C'ERA UNA SVOLTA...

Nell’ultima asta di BoT qualcosa di strano è successo.

La distanza tra il rendimento massimo assegnato (0,223%) e quello minimo (-0,227%) è abissale, ovvero 45 punti base.

Il titolo è stato complessivamente collocato - per un controvalore di 6,5 miliardi di euro - al tasso dello 0,181% evidenziando anche una buona domanda.
Il rapporto di copertura è stato infatti di 1,65 volte, che si ottiene dividendo la domanda (10,7 miliardi) per l’importo assegnato (6,5 miliardi).

Stupisce però la distanza tra il rendimento minimo e massimo, soprattutto considerando che difatti c’è qualcuno
che in questo momento è stato disposto a pagare il Tesoro pur di possedere titoli di Stato
(è quello che accade quando si comprano titoli a tassi negativi).

Una condizione a cui l’Italia è stata abituata negli ultimi anni dove i tassi negativi non sono certo una novità.
Ma è una condizione che l’Italia non sta sperimentando più dallo scorso maggio, ovvero da quanto è tornata un po’ di tensione sul debito pubblico,
confermando dall’aumento dello spread da 120 punti a una media delle ultime settimane di 270 punti.


Come mai qualche investitore è stato disposto a comprare il titolo a tassi negativi,
pagandolo quindi certamente di più rispetto alla valutazione del mercato secondario, poi confermato dal tasso medio di aggiudicazione?

La risposta più probabile, ma al momento non confermata, è che ci sia stato un errore nella digitazione da parte dello sfortunato investitore (ahahahahahah)
che a questo punto si troverà nei prossimi 12 mesi nell’anomala condizione di finanziare il Tesoro.
 
Sono circa 13 milioni i contribuenti ad aver beneficiato della cancellazione delle mini cartelle fino a 1.000 euro.

Più che di cartelle per l’esattezza si tratta di 114,44 milioni di “partite” affidate all’agente della riscossione tra il 2000 e il 2010
e che agenzia Entrate- Riscossione ha stralciato perché inferiori a “quota mille”.

E se è vero che «la somma fa il totale» (per dirla alla Totò), lo stralcio dal magazzino della ex-Equitalia delle micro-cartelle calcolato in euro è pari a 32 miliardi.
 
Uno stralcio calcolato dall’amministrazione finanziaria e dal Governo, senza nessun allarme per la tenuta dei già deboli conti pubblici.

Come si legge nella relazione al decreto legge fiscale collegato alla manovra che introduce la sanatoria delle micro-cartelle, si tratta di somme in assoluto non più recuperabili.
Somme la cui cancellazione produce una perdita di 524 milioni, calcolata come il 3,5% del gettito di quasi 15 miliardi atteso dalla rottamazione-ter (11,1 miliardi),
dalla rottamazione-bis per i pagamenti 2018 (821 milioni) e per i “confluiti” nella terza edizione della sanatoria (circa 3,1 miliardi).

In sostanza la perdita di gettito per l’Erario è quanto non incasserà dalle rottamazioni proprio con le mini-cartelle del tutto stralciate.

Come anticipato, lo stralcio riguarda 114,4 milioni di «partite».
Con questo termine si intende il valore riferito al singolo procedimento di controllo chiuso dall’amministrazione finanziaria
con uno specifico atto impositivo, di liquidazione e di riscossione.
Differente dal ruolo che invece rappresenta un insieme di partite affidate all’agente della riscossione.

Proprio sul valore delle singole partite è in atto da fine anno un confronto tra Inps e amministrazione finanziaria.
A tutt’oggi non sono state ancora cancellate le posizioni debitorie targate Inps.
Lo stesso presidente dell’Istituto, Tito Boeri, ha reso noto nel corso dell’audizione al Senato sul reddito di cittadinanza e quota 100,
di essere in attesa di un chiarimento del ministero del Lavoro proprio su come si deve intendere la soglia dei mille euro.
Per l’Inps le sanzioni civili maturate nel corso degli anni vanno conteggiate ai fini del raggiungimento della soglia dei mille euro.

https://www.ilsole24ore.com/art/not...tte-date-ricordare-223821.shtml?uuid=AEMtaYoG
Di diverso avviso il Mef che ha già chiarito all’Inps che la soglia va individuata nel valore originariamente affidato agli agenti (si veda Il Sole 24 Ore del 5 febbraio).
E, prendendo per buona la percentuale del 13-14% sul peso delle cartelle Inps sul totale,
si può ipotizzare che al momento resterebbe sospesa la cancellazione di centinaia di migliaia di partite “previdenziali e contributive” per un controvalore di circa 4 miliardi.

Ma perché il Fisco ha rinunciato a recuperare cartelle per 32 miliardi di euro complessivi?

Per circa oltre 4,3 miliardi di euro si tratta di partite relative a soggetti deceduti e a imprese che hanno cessato qualsiasi attività.
Altra quota di peso, sopra i 3,2 miliardi, invece, sono debiti di nullatenenti o di soggetti non presenti nell’anagrafe tributaria.
Ci sono poi i falliti o con procedure concorsuali in corso e, anche se in minima parte, contribuenti con debiti sospesi per provvedimenti amministrativi o per contenziosi.

Insomma si tratta di micro-cartelle impossibili o quasi impossibili da incassare e su cui lo Stato, per altro, negli anni ha dovuto sostenere dei costi. 
Basti pensare alla continua attivazione di atti interruttivi della prescrizione o di iniziative di azioni di recupero pressoché inefficaci.
Inoltre con la cancellazione di queste cartelle si evita di anticipare e poi imputare agli enti creditori le spese per procedure cautelari ed esecutive
nell’inutile tentativo di recuperare micro-somme di difficile o impossibile esazione.

Tra le curiosità merita attenzione la distribuzione territoriale delle micro-cartelle cancellate.

La Campania con oltre 20 milioni e mezzo di partite stralciate e con un controvalore di 5,1 miliardi si colloca al primo posto della classifica
seguita dai circa 18 milioni di partite per 4,7 miliardi e la Lombardia con 15,7 milioni di poste cancellate (4,5 miliardi di valore complessivo).
 
Ricordate il faggio centenario ? ...tutti gli alberi centenari hanno spaccature e muffe e funghi........
se c'è l'umidità. Gli hanno anche quelli recenti. Forse però, fosse stato "pulito". Si notano chiaramente un eccesso di rami e rametti.
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Il faggio monumentale che da decenni arricchiva il parco di Villa Guagnellini è stato tagliato.
In base agli approfondimenti che il Comune aveva fatto fare dopo lo stratempo di fine ottobre
la sua stabilità era risultata compromessa e, per evitare rischi e problemi di sorta ne ha disposto il sacrificio.

Esemplare unico

Si trattava di « uno dei pochi alberi a livello provinciale posti sotto la tutela della Soprintendenza
– come aveva affermato il vicesindaco Aldo Valsecchi, che detiene anche la delega assessorile all’Ambiente -.
In occasione di quell’evento atmosferico è stato danneggiato in modo serio, con vere spaccature.
E dai controlli effettuati nel periodo successivo è stata rilevata la presenza di muffe e funghi».

Contro la decisione di tagliare il maestoso albero si era espresso Diego Colosimo,
consigliere comunale del gruppo civico Cambia Calolzio, che si era pure rivolto al Ministero,
ai carabinieri della Forestale e all’associazione Lega Ambiente affinché effettuassero
«direttamente delle ulteriori valutazioni al fine di proporre delle soluzioni tecniche alternative all’abbattimento»
 
Udine, 16.20 del 13 febbraio.
È pieno giorno nella città friulana quando una volante del Reparto prevenzione crimine "Veneto" di Padova
si aggira intorno alla stazione ferroviaria nell'ambito di una operazione di controllo del territorio straordinario contro lo spaccio e il consumo di droga.
Gli agenti notano "due individui" scavalcare il muro di cinta dell'ex caserma "Piave" di via Calatafimi.
L'azione è sospetta e i poliziotti si lanciano all'inseguimento. Fermano un afghano, l'altro fugge correndo tra la fitta vegetazione.
Poi lo choc: mentre procedono all'identificazione, il silenzio viene rotto da un grido. Sono suppliche colme di angoscia.

Gli agenti percepiscono "grida disperate con invocazione di aiuto" provenire da una delle stanze della palazzina in disuso.
Seguono la voce e all'interno dello stabile si trovano di fronte "ad una scena a dir poco raccapricciante", si legge nel verbale.
"Una giovane donna (40 anni, ndr) appare sdraiata a terra con i pantaloni abbassati fino alle caviglie e un individuo sopra di lei con i pantaloni slacciati".
Stava per stuprarla. I due si "dimenano e contorcono", la ragazza prova "affannosamente e insistentemente" a togliersi di dosso l'immigrato.
Ma non ci riesce. Si divincola e grida: "Lasciami, non voglio. Mi fai male".
Ma l'uomo, senza pietà, continua a trattenerla a terra con la forza: "Urla, urla finché vuoi - ridacchia - che tanto non ti sente nessuno".

Gli agenti intervengono all'istante e arrestano lo stupratore prima che accada il peggio.
Nel verbale la polizia sottolinea "l'intimidazione psicologica", gli "atti sessuali o di libidine subdoli e repentini" ignorando il dissenso della vittima.
Secondo quanto emerso, la donna sarebbe stata attirata con l'inganno nella caserma abbandonata.

Per l'autore della tentata violenza sono scattate le manette. Il pm di turno ha disposto la traduzione al carcere di Udine.
Si tratta di un immigrato afghano di 20 anni, con permesso di soggiorno per protezione sussidiaria,
senza fissa dimora in Italia e nullafacente. Ora dovrà rispondere dell'accusa di violenza sessuale.
 
SE avevo tre ruote ero un triciclo ........con quattro una carrozzina.


L'Italia è in recessione tecnica. E questa, per Kathrin Muehlbronner, senior vice president di Moody's, è "una fonte di preoccupazione",
anche se l'agenzia di rating non prevede alcuna "recessione per l'intera area euro".
Si aspetta comunque che le stime sull'Europa siano riviste "leggermente" al ribasso.

Le precedenti, come è stato ricordato durante la Credit Trends Conference che si è tenuta oggi a Milano, parlavano di una crescita dell'1,9% nel 2019.

In una prospettiva più ampia, parlando da un punto di vista europeo, gli analisti di Moody's hanno notato che
"non c’è un elevato rischio contagio dall’Italia", ma neppure da parte di altri Paesi, che hanno fatto progressi.
"È positivo che nonostante le tensioni di vario segno non ci sia stato un contagio", ha sottolineato Muehlbronner spiegando, poi, che
"i costi di finanziamento rimangono bassi nell'Eurozona, ma sono saliti in Italia a causa del rischio politico interno".

Durante la Credit Trends Conference, Muehlbronner si è più volte soffermato sulla tenuta politica del governo italiano.

L'agenzia di rating ritiene, infatti, che "il rischio politico resterà elevato" in tutto il Vecchio Continente e che "in Italia sta già incidendo sui conti pubblici".

Nei prossimi mesi questi rischio non farà altro che farsi sempre più stringente.
Più si avvicineranno le elezioni europee più sarà difficile che Lega e Movimento 5 Stelle riescano a mantenere l'equilibrio.

"Per il momento non è facile prevedere quali saranno le evoluzioni - ha commentato il senior vice president di Moody's - non è chiaro cosa succederà al governo dopo le elezioni europee".

Anche da un punto di vista di mercato, la situazione resta nebulosa perché "gli investitori fanno fatica a 'prezzare' il rischio politico".

Preferiscono, insomma, rimanere a guardare. "In parte questo è quello che abbiamo visto a settembre",
ha fatto notare oggi Muehlbronner secondo cui "potrebbe esserci bisogno di formare una nuova coalizione di governo, se non emergesse una maggioranza netta".
"Cosa che porterebbe nuova incertezza".
 
E' alquanto strano che Moody's si soffermi sugli eventuali rischi dell'Italia e non prenda neanche in considerazione
che in Spagna le elezioni anticipate sono prossime e con molti più rischi rispetto a quelle eventuali italiane.

In fondo in Italia ormai ci sono tutte le previsioni che danno estremamente vincente la Lega con il centro destra quindi un Governo più che stabile.
L'unica incognita è che Matterella se non è messo alle corde queste elezioni non le vuole concederle.

Forse Moody's dovrebbe anche occuparsi delle prossime elezioni europee che potrebbero portare a risultanti per loro, intendo i referenti delle agenzie di rating, più preoccupanti.
 
Udine, 16.20 del 13 febbraio.
È pieno giorno nella città friulana quando una volante del Reparto prevenzione crimine "Veneto" di Padova
si aggira intorno alla stazione ferroviaria nell'ambito di una operazione di controllo del territorio straordinario contro lo spaccio e il consumo di droga.
Gli agenti notano "due individui" scavalcare il muro di cinta dell'ex caserma "Piave" di via Calatafimi.
L'azione è sospetta e i poliziotti si lanciano all'inseguimento. Fermano un afghano, l'altro fugge correndo tra la fitta vegetazione.
Poi lo choc: mentre procedono all'identificazione, il silenzio viene rotto da un grido. Sono suppliche colme di angoscia.

Gli agenti percepiscono "grida disperate con invocazione di aiuto" provenire da una delle stanze della palazzina in disuso.
Seguono la voce e all'interno dello stabile si trovano di fronte "ad una scena a dir poco raccapricciante", si legge nel verbale.
"Una giovane donna (40 anni, ndr) appare sdraiata a terra con i pantaloni abbassati fino alle caviglie e un individuo sopra di lei con i pantaloni slacciati".
Stava per stuprarla. I due si "dimenano e contorcono", la ragazza prova "affannosamente e insistentemente" a togliersi di dosso l'immigrato.
Ma non ci riesce. Si divincola e grida: "Lasciami, non voglio. Mi fai male".
Ma l'uomo, senza pietà, continua a trattenerla a terra con la forza: "Urla, urla finché vuoi - ridacchia - che tanto non ti sente nessuno".

Gli agenti intervengono all'istante e arrestano lo stupratore prima che accada il peggio.
Nel verbale la polizia sottolinea "l'intimidazione psicologica", gli "atti sessuali o di libidine subdoli e repentini" ignorando il dissenso della vittima.
Secondo quanto emerso, la donna sarebbe stata attirata con l'inganno nella caserma abbandonata.

Per l'autore della tentata violenza sono scattate le manette. Il pm di turno ha disposto la traduzione al carcere di Udine.
Si tratta di un immigrato afghano di 20 anni, con permesso di soggiorno per protezione sussidiaria,
senza fissa dimora in Italia e nullafacente. Ora dovrà rispondere dell'accusa di violenza sessuale.
Purtroppo il colpo alla nuca sul posto e chiusa partita non è legale..,.,.ma pian piano ci arriviamo
 
La realtà drammatica che si evince alla lettura dei dati dell’osservatorio dell’Università di Pavia
che da tempo immemorabile si occupa del pluralismo nel servizio pubblico.

Resta occupato nostalgicamente per un po’ da alcuni di quelli di prima, non disdegnando chi ha in mano ora il potere.

In questo senso gennaio è stato un mese terribile per le voci fuori dal coro mentre continua a imperversare
il Pd che “risulta essere tuttora il più presente in tutte le fasce orarie”.
Prevalendo addirittura – ha denunciato il parlamentare – in trasmissioni di intrattenimento come UnoMattina e Tv7.

Nel mese di gennaio gli argomenti prevalenti sono stati gli immigrati, il reddito di cittafinanza, quota 100,
la Tav, l’arresto di Cesare Battisti, l’Italia in recessione.

Basti osservare i dati dei telegiornali; in un’informazione monopolizzata dal governo con interviste per il 43 per cento del tempo a suoi esponenti,
il Pd riesce a collezionare dichiarazioni per ben il 16 per cento. Forza Italia si salva con quasi il 14 che non ha riscontri in alcuna sede,
Fratelli d’Italia parla solo per l’1,6 del tempo graziosamente concesso dai tiggi’. Leu addirittura va poco meglio con l’1,9.

Sappiate che cosa vuol dire: partiti e governo parlano per 171 minuti – quasi tre ore – nel mese di gennaio. Presidente Foa, è questo il pluralismo?

Tanto per gradire, a conferma di quanto denunciato da Fdi in vigilanza,
c’è il botto del Pd nel programmi di rete, con una percentuale che tocca il 23% del tempo di parola dei partiti.
 
Ai molti italiani, non solo politici, colti da amnesia selettiva, per i quali la protesta dei pastori sardi
si sia tradotta in uno spreco (con tutto quel latte versato), o peggio, un problema di questi giorni, da confinare nell’isola,
è opportuno ricordare, invece, che ha origini lontane e la matrice non è locale, nè italiana, ma europea.

Seppure è vero che il prezzo di un bene sia determinato dalla domanda – che nel caso di specie pare essere calata,
determinando la caduta dei prezzi di vendita della materia prima (il latte) – è altrettanto vero
che questa protesta rappresenta la coda di un fenomeno remoto e purtroppo ancora irrisolto.

Una sentenza contro l’Italia
La rivolta del latte si manifesta a distanza di un anno dalla pubblicazione della sentenza della Corte di Giustizia
con cui l’Italia, convenuta dalla Commissione europea, è stata condannata a pagare per le violazioni delle norme comunitarie finalizzate,
tra l’altro (regolamento n. 3950/92), a ridurre sia lo squilibrio tra offerta e domanda di latte e prodotti lattiero-caseari (…)
e per il conseguimento di un migliore equilibrio del mercato.

Perché questo equilibrio venga mantenuto – altra disposizione comunitaria (regolamento n. 1234/2007) –
è stato concepito un meccanismo dissuasivo interno da applicare ogniqualvolta venga superata la quota nazionale
e tale da indurre lo Stato membro a ripartire l’onere del pagamento tra quei produttori che hanno contribuito al superamento,
con una sanzione proporzionata all’eccesso di produzione.

Non essendosi l’Italia adeguata a tale automatismo, ha subito dapprima una procedura di infrazione e poi convenuta dinnanzi la Corte di Giustizia.

Il risultato, noto a tutti, è stato quello per cui l’Italia è stata condannata,
per la violazione delle disposizioni comunitarie, per non aver riscosso – si stima – circa 1,3 milioni di euro.

Aggrapparsi al campanilismo, sezionare l’Italia per accentuare i contrasti tra le varie regioni, pare non avere molto senso,
se non nella miope prospettiva di una speculazione elettorale, atteso che il dissenso manifestato
contro le richiamate costrizioni europee ha avuto una precisa connotazione politica.

Non c’è il nord contro il sud, come non c’è una parte della penisola (magari settentrionale, ove si sono maggiormente consumate le ridette violazioni),
contro la Sardegna, nè viceversa.

Inique restrizioni
Il problema, con buona approssimazione, affonda le radici nella famosa imposizione europea,
che per anni ha condizionato la produzione domestica del latte (e non solo), imponendo, con un gelido algoritmo,
le note restrizioni nella produzione, con le cosiddette quote.

Misura – quella europea – apparentemente solidale, ma concretamente iniqua e per questo aspramente contrastata, a metà degli anni novanta.
Le conseguenze di quella misura si percepiscono ancora oggi (sebbene siano state abolite nel 2015),
con le sanzioni, ancora da versare.

L’allungamento della filiera produttiva ed il trasporto degli alimenti sono due dei tanti fattori che indiscutibilmente
hanno condotto a questa situazione; fenomeni che si scontrano con i principi di logica,
proclamati anche dalle misure sovranazionali, di contenimento dell’inquinamento e/o del rispetto dell’economia a chilometro zero:
quella che dovrebbe favorire la produzione locale, più genuina e controllabile rispetto a quella globalizzata.

Non è concepibile – considerati gli sforzi (in senso lato) affrontati dagli agricoltori – che un litro di latte abbia un costo inferiore ad un litro d’acqua
e seppure estrema sia stata la reazione degli allevatori sardi, comunque è giustificabile.

La sovrapproduzione sarebbe andata comunque distrutta, a causa del calo della domanda
e la rappresentazione scenografica della protesta ha dato, almeno in termini di eco, i risultati sperati.
 

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