Il governo Meloni è intervenuto con un provvedimento a dir poco autolesionista e prociclico, cioè potenzialmente esasperante i movimenti che si devono invece cercare di ridurre. Ha tassato al quaranta per cento (aliquota assurda ed elevatissima) il differenziale tra margine di interesse 2023 rispetto al 2021 che era stato il minimo storico di questo indicatore.
Quali saranno le conseguenze?
Primo. Le banche non avranno alcun interesse a fare impieghi, anzi se fossero razionali li dovrebbero sempre impedire da qui a fine anno quando scadrà la misura. Al cinque per cento di tasso, qualsiasi impiego viene tassato al quaranta per cento del tasso nominale visto che già oggi è assolutamente certo che il margine di interesse 2023 sarà di molto superiore al 2021. Quindi il tasso vero per la banca che impiega oggi è il tre per cento che non risulta per nulla remunerativo al netto di rischi e spese con il tasso di sconto al quattro per cento o anche leggermente superiore. La tassa prevista dal governo è del quaranta per cento del tasso nominale, quindi è tanto più alta quanto più rischioso è il cliente. A maggior ragione, non ci sarà nessun credito ai clienti anche solo marginalmente rischiosi.In un momento di frenata dell’economia, questo tipo di impatto ha conseguenze devastanti. Per cinque mesi si fermerà tutto, investimenti, mutui, credito non verranno concessi o verranno concessi col contagocce e ritardati al 1 gennaio 2024 quando improvvisamente la tassa scadrà.
Secondo. Le banche che già devono essere certe di avere liquidità per fronteggiare eventuali crisi prossime venture, e che hanno visto una prima modesta contrazione dei depositi col salire dei tassi, sono invogliate da un incentivo fiscale folle e monumentale a pagare i depositi a tassi elevatissimi. Cosa osta a remunerare i depositi al cinque per cento se il due per cento viene rimborsato dallo Stato? E non saranno certo i depositi da cinquemila euro a venir strapagati, ma quelli da cinque milioni di euro che improvvisamente troveranno ampia disponibilità a strapagare. Pagherà lo Stato. Dove si troverà il cash? Banalmente nelle aziende liquide, cioè quelle che non hanno bisogni di prestiti e in generale in tutti i rentier che troveranno più vantaggioso farsi pagare time deposit a tassi assurdi piuttosto che comprare per esempio titoli di Stato.
Terzo. I titoli di Stato che vengono emessi in asta e che contribuiscono a formare margine di interesse attivo non saranno più attrattivi. Le tesorerie delle banche preferiranno non comprarli per evitare anche in questo caso di pagare una tassa del quaranta per cento sul tasso concesso. Oppure li compreranno solo a tassi molto elevati se la domanda fosse cosi bassa da costringere il Tesoro a incrementare i tassi per trovare domanda.
Quarto. Ci sarà un’ulteriore, inattesa e cospicua manovra di restrizione dell’economia in un contesto che ha già subito una fortissima (inutile?) restrizione con il repentino aumento dei tassi.
Quinto. La tassa genererà un’immediata diminuzione dei dividendi pagati dalle banche. Quindi, con la tassazione del ventisei per cento dei dividendi, e con un payout tra il cinquanta e il settanta per cento, significa che qualsiasi importo riscosso dalla nuova tassa va ridotto di almeno il venti per cento per un effetto immediato sugli utili e sui dividendi delle banche nel 2023.
Sesto. La fiducia degli investitori stranieri sulle nostre banche crollerà. Perché investire in banche dove il trenta per cento del profitto viene spazzato via dalla sera alla mattina, dove la volatilità dei valori vedrà un meno otto-dieci per cento in un giorno? Ci sono banche in ogni paese europeo, e si potrà facilmente vendere titoli di Intesa o Unicredit e comprare qualsivoglia titolo bancario in euro di paesi dove i governi non siano cosi stupidamente interventisti. Questo costerà molto perché il capitale (equity e debito) delle banche italiane vorrà essere remunerato con un maggiore premio di rischio. E, se cosi sarà, i profitti delle banche italiane nel tempo saranno inferiori, così come la loro base imponibile e quindi le tasse riscosse dallo Stato.
Gli investitori che allocano capitale hanno giustamente memoria molto lunga e il premio per il rischio maggiorato sarà una conseguenza negativa di lungo termine che peggiora la competitività delle banche italiane proprio nel momento in cui le due maggiori hanno risultati ottimi. Il tutto per una mossa improvvida e improvvisata del governo che interviene in un ambito che ha riflessi competitivi evidenti e negativi. Tutto questo per raccogliere due, tre miliardi da cui togliere da subito un venti per cento per i dividendi e a seguire probabilmente somme anche superiori per effetto del rallentamento economico che ne consegue.
Il giorno dopo, il Governo ha messo una pezza introducendo il limite massimo dello 0,1 per cento degli asset gestiti che di fatto dimezza la tassa, ma gli effetti distorsivi permangono e le tesorerie staranno facendo di conto per verificare se lo 0,1 per cento è da considerarsi tassa fissa o tassa marginale. Speriamo che sia per tutti una tassa fissa, ma anche in questo caso gli effetti distorsivi sono identici, seppure edulcorati dalla toppa introdotta dopo ventiquattro ore.
L’effetto di perdita di credibilità in tutto il mondo invece permane e anzi viene aumentato. La domanda nel mondo oggi è chi sono quegli incompetenti al governo in Italia, che varano una misura così importante, salvo rendersi conto dopo ventiquattro ore che era una tanto sbagliata da richiedere un correttivo potente e immediato?
La morale è che lo Stato non deve intervenire nell’economia in modo scriteriato. Un provvedimento come questo crea un danno economico allo Stato proprio perché mal concepito, comunicato in modo demagogico (dire «tassiamo le banche» è tanto stupido quanto «
vi regalo il centodieci per cento per ristrutturare la casa») e in ultima analisi dannoso. Lo sviluppo economico e il sostegno alle classi deboli si ottiene lasciando che i privati prendano rischi di mercato e operando una tassazione il più possibile stabile, prevedibile, commisurata a quella degli altri paesi europei, e combattendo con tutti i mezzi l’evasione fiscale.
Tassare le banche significa segare il ramo su cui poggia il nostro sistema economico. Se il ramo cade, cade anche il sistema che assicura allo Stato circa ottocento miliardi di tasse e di contributi l’anno. Questi due miliardi della tassa sulle banche potranno essere il regalo con cui Matteo Salvini vorrà dire di aver finanziato una qualche misura demagogica e populista, ma di certo costeranno allo Stato ben di più. La tassa sull’energia del governo Draghi, la famigerata Tobin tax e tanti altri esempi di fallimenti conclamati non sono bastati, ora ci dobbiamo sorbire la tassa sul margine di interesse che marchierà il governo Meloni con infamia.