Opec in bilico fra falchi e colombe
19 Luglio 2004
Non ha provocato stupore alcuno la pubblicazione del Report dell'Agenzia Internazionale per l'Energia che prevede per il 2005 – così come per il 2004 - una crescita della domanda mondiale maggiormente ridistribuita a favore dei Paesi Ocse. Le tensioni derivanti dalla ripresa a singhiozzo dei livelli di produzione petrolifera in Iraq, dagli scioperi in Nigeria e dalle tensioni politiche nel settore in Russia sono state compensate dall'ampliamento della produzione Opec ma certamente un certo war premium o premio al rischio bellico, è rimasto implicitamente espresso nei prezzi del crudo a pronti. Il livello delle scorte commerciali Usa è aumentato del 12% quest'anno: il dato, comparato all'assenza di accumuli nello stesso periodo dello scorso anno, è certamente positivo. Un discorso a parte invece fa riferimento alla politica di costruzione delle riserve strategiche che sin dall'attentato dell'11 settembre 2001 è rimasta una priorità dell'Amministrazione Bush.
Questi dati confortanti per limitare il rischio di nuovi rincari trovano ulteriore supporto nell'annuncio a sorpresa da parte del governatore in carica dell'Opec, l'iraniano Ardebili, di cancellazione del meeting del 21 luglio in quanto l'aumento di 500.000 barili al giorno, un 2% in più, quota Opec giornaliera a 25 ml di barili è già stato concordato e non necessita di ulteriori ratifiche o discussioni. L'unico dubbio per gli analisti di settore resta relativo al range di oscillazione che l'Opec si impegnerebbe a sostenere e che non è più realistico in quanto fissato due anni fa la livello di 22-28 dollari. A questo proposito sembra emergere il vero nodo del dibattito tra i Paesi produttori, e quindi tra falchi e colombe, chi vuole ratificare un innalzamento dello stesso e chi non vuole impegnarsi più di tanto su un range prestabilito.
Nella precedente riunione del 3 giugno a Beirut avevano già deciso di alzare di 2 milioni di barili il tetto di produzione dei Paesi aderenti, scaglionandolo appunto tra luglio e agosto prima di 1,5 milioni e poi dei restanti. La forte crescita economica registrata in Cina e America e il permanere della difficile situazione irachena sono alla base di un rally del 26% per quest'anno e che ha visto il prezzo di riferimento del West Texas a New York sempre al di sopra dei 30 dollari.
Intanto nuovi mercati, soprattutto nell'area africana occidentale si aprono a esplorazioni e trivellazioni che evidenziano giacimenti non estesissimi ma proficui da sfruttare con le nuove tecniche, più rapide ed economiche del passato, in Mauritania, Gabon e Guinea-Bissau. Questi mercati aiuterebbero nel contesto internazionale la capacità di assorbimento delle variabili esogene che alimentano la volatilità sulle quotazioni.
È importante osservare a questo punto l'atteggiamento che sarà adottato dall'Opec avvicinandosi le elezioni presidenziali americane del prossimo novembre e che dovrebbe portare a ulteriori aumenti delle quote per riportare i prezzi stabilmente al disotto dei 40 dollari limitando così eventuali ricadute sull'inflazione e sulla crescita economica globale. Infatti Kuwait, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, ovvero le colombe, sono maggiormente propensi a evitare uno scontro diretto con i Paesi consumatori mantenendo così un vantaggio dal caro petrolio senza tirare troppo la corda ma Iran, Nigeria e Venezuela sono decisamente meno disponibili, anche perché più vulnerabili economicamente, a venire incontro alle istanze del G7 in materia di caro petrolio.
I dati ufficiosi parlano comunque di una produzione Opec in giugno molto vicina ai 27 ml di barili al giorno, 730.000 in più di maggio senza conteggiare l'Iraq che è fuoriuscito dal cartello nel 1999, e non vi è ancora rientrato a pieno diritto. L'extra non ufficiale deriva da un preciso impegno che ha preso l'Arabia Saudita di mantenere elevati i propri livelli di produzione al disopra di quelli ufficiali per compensare shock esogeni, ma questa "missione" riflette la necessità per questo Paese di consolidare il suo potere all'interno del cartello rappresentando attualmente il Paese con maggiori riserve stimate al mondo di greggio, oltre che il principale produttore.
L'attuale reggente, il principe Abdallah, che sostituisce il fratello re Fahd, gravemente malato sin dal 1995, è supportato per ora da islamici e imprenditori, ma nonostante lo spirito riformistico che lo contraddistingue non è facile per lui trovare un compromesso con le frange estremiste dei principi che lo hanno costretto ad imporre la fuoriuscita degli americani dal paese lo scorso mese di aprile. La fragilità di un Paese dipendente strettamente dalle entrate del petrolio e ago della bilancia tra il mondo sunnita, predominante nell'area islamica, e quello sciita di Iran e Iraq resta il punto debole dell'Opec che sino ad ora non ha saputo esprimere unità di intenti e quindi efficacia nel controllo dei prezzi.
Per i Paesi fuori dal cartello - quali Messico, Russia ed Ecuador- l'attuale situazione assume un vantaggio notevole per una ridistribuzione delle quote di mercato e l'evidente vantaggio strutturale che permane sul fronte della capacità produttiva e della velocità di immissione della stessa nel mercato. Solo con un ridimensionamento delle tensioni irachene e un isolamento dei vari estremismi che caratterizzano l'area si può quindi pensare a un mercato del petrolio stabilmente sotto controllo.