mostromarino
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CRISI IRLANDESE
L'EURO BASSO CHE PIACE ALLA GERMANIA
di LINO TERLIZZI
Il ritorno del caso Irlanda ha fatto riemergere in questi giorni anche gli interroga­tivi sul futuro dell'euro, già sorti nei mesi scorsi sull'onda della crisi greca. Non potendo escludere che, dopo Grecia e Irlanda, anche il Portogallo e forse la Spagna nei prossimi mesi possano entrare nel mirino del mercato più di quanto lo siano ora, è naturale che risorgano domande.
Alcuni esperti allargano il cono d'ombra all'Italia, ma lì en­triamo in un'altra dimensione, po­litica ed economica. Anche lascian­do da parte l'Italia, il Club Med ri­stretto e la ex Tigre celtica da soli, come si vede, possono provocare problemi.
Il fatto è che spesso si guarda ad una faccia della medaglia, cioè quella appunto dei Paesi deboli dell'area euro, e non all'altra faccia, cioè quel­la dei Paesi forti e della Germania in particolare. In realtà, per capire co­me potranno andare le cose, biso­gna oggi guardare a Berlino più che a Dublino.
La Germania, che ha una ripresa economica più robusta di quella di molti partner, guida più che mai le danze nell'area dell'eu­ro.
Ed ha una linea basata su tre pun­ti principali: contenere il valore del­l'euro; superare la bufera attuale conservando in tutto o in gran par­te l'area euro; stabilire meccanismi che in futuro evitino che siano solo le casse pubbliche a soccorrere ban­che o Paesi. Vediamo più da vicino.
Dopo i forti ribassi legati alla crisi greca, l'euro ha ripreso quota sul dollaro, anche perché quest'ultimo è stato spinto in basso dalla politica USA di valu­ta bassa, a favore dell'export ameri­cano.
Dopo esser sceso attorno a 1,20 dollari l'estate scorsa, l'euro è risalito a circa 1,40 e solo in questi ultimi giorni, con la crisi irlandese, è ridisceso attorno a 1,35. Alla Ger­mania, che è ai vertici dell'export mondiale insieme alla Cina, non è dispiaciuta la flessione estiva dovu­ta alla Grecia e non dispiace la fles­sione dovuta all'Irlanda.
Berlino vuole un euro non debole, ma neppure troppo forte.
Tanto più in una fase come questa di guerra valutaria, con dollaro e yuan cine­se bassi. Per capire la lentezza volu­ta con cui la Germania ha affronta­to la crisi greca, bisogna guardare sia alla necessità del Governo Mer­kel di avere prima un consenso po­litico interno, sia al vantaggio per l'export tedesco di avere per un certo periodo un euro non forte.
Secondo punto. Le teorie secondo cui Berlino non vedrebbe l'ora di abbandonare l'euro si scontrano con un dato economico oggettivo: la Germania con l'euro ha rafforzato il suo export e la sua economia.
Anche perché ha potuto evitare l'insidia delle svalutazioni competitive delle monete deboli, come lira, peseta, escudo, dracma e così via. Berlino farà di tutto per conservare l'area euro, pur pagando un prezzo per gli aiuti ai Paesi deboli.
Se non dovesse reggere l'attuale euro a sedici, potrebbe studiare un riduzione dell'area euro. L'abbandono dell'area e dunque il crollo della costruzione dell'euro sarebbe davvero l'ultima spiaggia per una Germania che trae vantaggi dalla moneta unica. Un'ipotesi che per ora continua ad apparire lontana.
Ma la Germania, come e più di altri Paesi forti dell'area, paga appunto un prezzo.
E qui siamo al terzo punto. Berlino cerca di avere garanzie, in cambio degli aiuti finanziari.
Alla Grecia, il cui problema principale è il dissesto dei conti pubblici, ha richiesto un maxipiano di risanamento.
All'Irlanda, che ha un grosso fardello sui conti pubblici derivante dalla caduta del suo sistema bancario, chiede insieme alla UE ed al Fondo monetario garanzie non solo sui conti pubblici, ma anche su una diversa struttura bancaria e su modifiche al sistema di tassazione bassa per le società. Con Portogallo e Spagna, lo schema di fondo potrebbe ripetersi.
Per il dopo 2013, quando scadrà il meccanismo europeo di rifinanziamento degli Stati, Berlino ha già messo le mani avanti, ripetendo che per eventuali nuovi aiuti ci vorrà un coinvolgimento anche degli investitori privati. Una affermazione che ha fatto paura al mercato e che è per certi aspetti criticabile. Ma che mostra che la Germania ha un progetto, non naviga alla cieca.
Bisognerà vedere se questa architettura tedesca basata sull'euro non troppo forte, sull'inclusione sin che si può dei Paesi deboli, sugli aiuti finanziari a severe condizioni, potrà davvero avere successo.
È vero che vi sono ostacoli, compreso quello dell'austerità imposta ai Paesi aiutati, ma è anche vero che per ora non si vedono grandi alternative, al di fuori di una caduta rovinosa del mercato europeo. In tutto questo, la Svizzera resta legata alla Germania, suo primo partner commerciale.
Ma è in contrasto con Berlino in campo valutario, perché un euro debole significa un franco troppo forte, un rischio per l'export elvetico.
La Banca nazionale e le imprese svizzere sono peraltro abituate a esercizi di equilibrio valutario.
Sin qui le cose sono andate abbastanza bene.
Ma l'equilibrio non è dato per sempre, va ogni volta ricercato.
cdt, oggi
L'EURO BASSO CHE PIACE ALLA GERMANIA
di LINO TERLIZZI
Il ritorno del caso Irlanda ha fatto riemergere in questi giorni anche gli interroga­tivi sul futuro dell'euro, già sorti nei mesi scorsi sull'onda della crisi greca. Non potendo escludere che, dopo Grecia e Irlanda, anche il Portogallo e forse la Spagna nei prossimi mesi possano entrare nel mirino del mercato più di quanto lo siano ora, è naturale che risorgano domande.
Alcuni esperti allargano il cono d'ombra all'Italia, ma lì en­triamo in un'altra dimensione, po­litica ed economica. Anche lascian­do da parte l'Italia, il Club Med ri­stretto e la ex Tigre celtica da soli, come si vede, possono provocare problemi.
Il fatto è che spesso si guarda ad una faccia della medaglia, cioè quella appunto dei Paesi deboli dell'area euro, e non all'altra faccia, cioè quel­la dei Paesi forti e della Germania in particolare. In realtà, per capire co­me potranno andare le cose, biso­gna oggi guardare a Berlino più che a Dublino.
La Germania, che ha una ripresa economica più robusta di quella di molti partner, guida più che mai le danze nell'area dell'eu­ro.
Ed ha una linea basata su tre pun­ti principali: contenere il valore del­l'euro; superare la bufera attuale conservando in tutto o in gran par­te l'area euro; stabilire meccanismi che in futuro evitino che siano solo le casse pubbliche a soccorrere ban­che o Paesi. Vediamo più da vicino.
Dopo i forti ribassi legati alla crisi greca, l'euro ha ripreso quota sul dollaro, anche perché quest'ultimo è stato spinto in basso dalla politica USA di valu­ta bassa, a favore dell'export ameri­cano.
Dopo esser sceso attorno a 1,20 dollari l'estate scorsa, l'euro è risalito a circa 1,40 e solo in questi ultimi giorni, con la crisi irlandese, è ridisceso attorno a 1,35. Alla Ger­mania, che è ai vertici dell'export mondiale insieme alla Cina, non è dispiaciuta la flessione estiva dovu­ta alla Grecia e non dispiace la fles­sione dovuta all'Irlanda.
Berlino vuole un euro non debole, ma neppure troppo forte.
Tanto più in una fase come questa di guerra valutaria, con dollaro e yuan cine­se bassi. Per capire la lentezza volu­ta con cui la Germania ha affronta­to la crisi greca, bisogna guardare sia alla necessità del Governo Mer­kel di avere prima un consenso po­litico interno, sia al vantaggio per l'export tedesco di avere per un certo periodo un euro non forte.
Secondo punto. Le teorie secondo cui Berlino non vedrebbe l'ora di abbandonare l'euro si scontrano con un dato economico oggettivo: la Germania con l'euro ha rafforzato il suo export e la sua economia.
Anche perché ha potuto evitare l'insidia delle svalutazioni competitive delle monete deboli, come lira, peseta, escudo, dracma e così via. Berlino farà di tutto per conservare l'area euro, pur pagando un prezzo per gli aiuti ai Paesi deboli.
Se non dovesse reggere l'attuale euro a sedici, potrebbe studiare un riduzione dell'area euro. L'abbandono dell'area e dunque il crollo della costruzione dell'euro sarebbe davvero l'ultima spiaggia per una Germania che trae vantaggi dalla moneta unica. Un'ipotesi che per ora continua ad apparire lontana.
Ma la Germania, come e più di altri Paesi forti dell'area, paga appunto un prezzo.
E qui siamo al terzo punto. Berlino cerca di avere garanzie, in cambio degli aiuti finanziari.
Alla Grecia, il cui problema principale è il dissesto dei conti pubblici, ha richiesto un maxipiano di risanamento.
All'Irlanda, che ha un grosso fardello sui conti pubblici derivante dalla caduta del suo sistema bancario, chiede insieme alla UE ed al Fondo monetario garanzie non solo sui conti pubblici, ma anche su una diversa struttura bancaria e su modifiche al sistema di tassazione bassa per le società. Con Portogallo e Spagna, lo schema di fondo potrebbe ripetersi.
Per il dopo 2013, quando scadrà il meccanismo europeo di rifinanziamento degli Stati, Berlino ha già messo le mani avanti, ripetendo che per eventuali nuovi aiuti ci vorrà un coinvolgimento anche degli investitori privati. Una affermazione che ha fatto paura al mercato e che è per certi aspetti criticabile. Ma che mostra che la Germania ha un progetto, non naviga alla cieca.
Bisognerà vedere se questa architettura tedesca basata sull'euro non troppo forte, sull'inclusione sin che si può dei Paesi deboli, sugli aiuti finanziari a severe condizioni, potrà davvero avere successo.
È vero che vi sono ostacoli, compreso quello dell'austerità imposta ai Paesi aiutati, ma è anche vero che per ora non si vedono grandi alternative, al di fuori di una caduta rovinosa del mercato europeo. In tutto questo, la Svizzera resta legata alla Germania, suo primo partner commerciale.
Ma è in contrasto con Berlino in campo valutario, perché un euro debole significa un franco troppo forte, un rischio per l'export elvetico.
La Banca nazionale e le imprese svizzere sono peraltro abituate a esercizi di equilibrio valutario.
Sin qui le cose sono andate abbastanza bene.
Ma l'equilibrio non è dato per sempre, va ogni volta ricercato.
cdt, oggi