* Una visione ottimistica dello Stivale (nonostante gli italiani che lo abitano 

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Quei dieci motivi per cui l'Italia non deve temere dalle nuove tensioni sui debiti sovrani - Il Sole 24 ORE
Quei dieci motivi per cui l'Italia non deve temere dalle nuove tensioni sui debiti sovrani
  di Marco Fortis
8 dicembre 2010 
   		 			 			
		 			 		
Nel pieno delle 
nuove tensioni sui debiti sovrani alcune  superficiali e irresponsabili banalizzazioni mediatiche sono arrivate  al punto di prefigurare un rischio Italia. Ma vi sono almeno dieci buone  ragioni, fondate su indicatori oggettivi, per cui gli italiani non  dovrebbero cadere per l'ennesima volta nella trappola  dell'autolesionismo che è loro familiare. E ve ne sono altrettante,  nonostante il brutto clima che c'è in giro, che dovrebbero portare alla  conclusione che in base ai fondamentali l'Europa e l'euro non siano  assolutamente a rischio.  	 
		
		
	
	
 
 A meno che l'Europa stessa non decida di farsi del male da sola (anche  rappresentando confusamente ai mercati il suo effettivo stato di  salute), facendo così un bel regalo di Natale ai super indebitati Stati  Uniti e al dollaro.
  
1. Ricchezza finanziaria netta delle famiglie.  Questo è l'indicatore più importante per capire la sostenibilità  finanziaria di un'economia nazionale, non il Pil. Le famiglie sono  l'unico "polmone" finanziario delle economie. Infatti, le imprese e i  governi hanno normalmente dei debiti finanziari mentre le banche sono  dei semplici intermediari i cui bilanci dipendono dal modo, prudente o  sconsiderato, con cui prestano denaro agli altri. Tutti, dalla  Commissione europea (alle prese con il ridisegno del Patto di stabilità)  alla Bce, dagli economisti agli opinionisti, dagli investitori agli  speculatori, farebbero bene a capirlo.
L'Irlanda è "saltata" non  perché il suo Pil non brillasse o il suo debito pubblico fosse alto (era  anzi tra i più bassi) ma perché la ricchezza delle famiglie e con essa  il sistema bancario dell'Irlanda sono crollati sotto il peso dei debiti  privati e dello scoppio della bolla degli asset immobiliari alimentata  dalle banche stesse. La Grecia è "saltata" non perché non riesce a  pagare il proprio debito pubblico con il Pil (nessun governo, tra  l'altro, ha mai pagato i propri debiti con il Pil) ma perché la  ricchezza finanziaria netta delle famiglie greche è ormai talmente bassa  da essere addirittura la metà del Pil.
Se anche volesse, la Grecia  oggi non potrebbe nemmeno introdurre un'imposta patrimoniale per  risanare i propri conti statali perché il patrimonio dei greci si è  semplicemente dissolto e non c'è più nulla da tassare ma solo spesa  pubblica da tagliare. L'Italia ha invece il più alto rapporto tra  ricchezza finanziaria netta delle famiglie e Pil in Europa, di gran  lunga davanti a Francia e Germania. Ma molti (anche in Italia) lo  ignorano.
 
2. Debito pubblico estero.  Il vero tallone d'Achille dei paesi dell'Euroarea in questo momento non  è tanto il debito pubblico complessivo ma quello estero, che è in balia  degli umori dei mercati e sotto il tiro della speculazione. Pochi forse  sanno che a fine giugno 2010 il debito pubblico estero italiano era di  837 miliardi di euro, inferiore a quello della Germania (978 miliardi) e  della Francia (1.037 miliardi). La domanda vera allora è: nel caso  limite (e sottolineiamo limite più volte) in cui gli investitori  stranieri non sottoscrivessero più il debito pubblico estero, i paesi  dell'Euroarea possiedono le risorse finanziarie interne sufficienti per  far fronte a una simile eventualità? L'unico cavaliere bianco che in  ultima istanza può venire in soccorso ai governi è il sopracitato stock  di ricchezza finanziaria netta delle famiglie, non il Pil che è solo un  flusso già allocato pressoché integralmente in domanda interna ed estera  nell'anno stesso in cui viene generato. In base alla ricchezza, su  sette paesi analizzati, solo Irlanda e Grecia non ce la farebbero a  evitare il default. Persino Spagna e Portogallo, pur avendo qualche  banca pericolante e una crisi economica interna gravissima, che per  diversi anni determinerà un netto peggioramento delle condizioni di vita  dei loro abitanti, dispongono di uno stock di ricchezza finanziaria  netta delle famiglie più che sufficiente per rimpiazzare in tutto o in  parte il debito pubblico estero eventualmente non più sottoscritto dagli  stranieri. L'Italia ha oggi il più basso rapporto tra debito pubblico  estero e ricchezza finanziaria netta delle famiglie, migliore di quello  della stessa Germania. Il nostro paese, nell'interesse di tutti gli  italiani, farebbe bene a dare ampia risonanza di ciò ai mercati perché  forse tanti investitori (e speculatori) non ne sono consapevoli.
  
3. Debito pubblico totale/ricchezza finanziaria netta delle famiglie.  Anche considerando il debito pubblico totale e prendendo come  riferimento il suo prevedibile anno di picco, cioè il 2012 secondo le  ultime previsioni della Commissione Europea, risulta che solo Atene e  Dublino sono nettamente fuori linea se si rapporta tale debito alla  ricchezza finanziaria netta delle famiglie. Questo rapporto (e non  quello del debito pubblico/Pil) dovrebbe essere una delle fondamenta del  nuovo Patto di stabilità: esso non dovrebbe superare il 60%, con facili  margini di rientro per Italia, Francia e Portogallo, che oggi lo  superano di poco, mentre alla Spagna sarebbe richiesto un impegno un po'  più forte. Valutata con parametri più sensati, la crisi dei debiti  sovrani europei, in realtà, è una tempesta in un bicchier d'acqua. Una  tempesta che nasce dagli errori concettuali di comunicazione al mercato  dell'Europa stessa (basati sull'attribuzione di un significato  fuorviante e quasi apocalittico al parametro del debito pubblico/Pil) e  che è aggravata anche dai continui messaggi contraddittori dei suoi  leader, a cominciare dalla "maestrina" Angela Merkel come ha bene  sottolineato Romano Prodi sul Messaggero alcuni giorni fa. Il rischio  default riguarda solo due piccoli paesi dell'Euroarea come Grecia e  Irlanda. L'idea che la Spagna possa fallire, pur avendo compiuto in  questi anni drammatici errori di politica economica (grandemente  finanziati dalle banche tedesche), è pura follia. A meno che gli europei  e la loro moneta unica non vogliano imitare in tutto e per tutto i  lemmings.
  
4. Il debito aggregato.  Consideriamo ora, oltre al debito pubblico lordo, anche il debito delle  imprese non finanziarie. Scopriamo che rispetto a questo debito  aggregato, il "polmone" della ricchezza delle famiglie, alle cui  attività finanziarie nette a questo punto vanno aggiunti anche gli asset  immobiliari per avere una visione più completa dello stato patrimoniale  privato, risulta assolutamente adeguato in Francia, Germania e Italia:  tutti paesi che vantano dei "debt/equity" nazionali tranquilli, intorno  al 32-38 per cento. Portogallo e Spagna sforano di poco la soglia  classica del 60%, mentre soltanto le solite Irlanda e Grecia appaiono in  crisi conclamata.
  
5. Debiti delle famiglie.  Le famiglie italiane sono poco indebitate, con appena 21.800 dollari in  media per adulto (prevalentemente mutui ben investiti in case che,  diversamente da quelle di americani, irlandesi e spagnoli, non hanno  perso valore). Le famiglie più indebitate sono invece quelle irlandesi,  con 77mila dollari per adulto. Soltanto le famiglie greche sono meno  indebitate di quelle italiane. Ma è una scarsa consolazione per i greci,  perché in Grecia il rischio default non è nato dal debito privato bensì  da quello pubblico e dalla progressiva erosione e dalla fuga all'estero  dei patrimoni familiari.
  
6. Distribuzione della ricchezza.  Un paese sopporta meglio una grande crisi economica non soltanto se  possiede un elevato stock di ricchezza finanziaria netta e immobiliare  delle famiglie, ma anche se tale ricchezza è ben distribuita e non  concentrata solo in poche mani. È importante allora guardare a indici di  equidistribuzione come la ricchezza mediana. Quella italiana è di gran  lunga la più alta nella Ue a 27 (ed è seconda al mondo solo dopo quelle  degli australiani e dei norvegesi). L'Irlanda, pur molto distaccata dopo  l'Italia, è al secondo posto per ricchezza mediana tra i sette paesi  qui esaminati. Ciò significa che gli irlandesi, se il loro stato eviterà  il default, dovranno fare sacrifici durissimi per venir fuori dal  tunnel ma che hanno i mezzi per farcela.
  
7. Bilancio primario.  Secondo i dati consuntivi e previsionali della Commissione Europea (non  del governo italiano), nel quadriennio 2008-2012 l'Italia si  caratterizza per il miglior bilancio primario pubblico (una media  dell'1,5% del Pil) davanti alla stessa Germania (0,4%). Tutti gli altri  paesi sono in disavanzo e i più sotto pressione sono Irlanda, Grecia e  Spagna.
  
8.Tasso di disoccupazione. Germania e Italia hanno i più bassi tassi di disoccupazione. I più alti sono quelli di Spagna, Irlanda e Grecia.
  
9. Esposizione delle banche verso i paesi "periferici". Secondo un recente studio di Deutsche Bank, 
le banche italiane sono  di gran lunga le meno esposte verso Grecia, Irlanda e Portogallo (per  un totale di soli 26 miliardi di euro nei tre paesi). Quelle più esposte  sono le banche tedesche (213 miliardi) e francesi (142 miliardi).
  
10. Competitività reale.  La reale competitività di un'economia si misura con i fatti e non con  indicatori astratti (di gran moda nei convegni e nei dibattiti sulla  stampa, a cominciare da quello abusato della "produttività" fino agli  "eterei" tassi di cambio reali). E la vera competitività si misura sui  mercati più difficili, non sul mercato interno europeo che ormai è un  grande mercato comune. I fatti ci dicono che, se escludiamo l'energia,  l'Italia (con 38 miliardi di euro nel 2009) è seconda nella Ue a 27 solo  alla Germania (107 miliardi) per surplus commerciale con i paesi extra  Ue. Anche l'Irlanda ha un bel surplus (17 miliardi) ma se lo è costruito  non con il lavoro e la genialità dei propri imprenditori (come  l'Italia) bensì con vantaggi fiscali anacronistici (e inaccettabili in  un mercato unico come quello europeo) che hanno attratto nell'isola  multinazionali che avrebbero invece dovuto pagare le giuste tasse nei  loro paesi d'origine.