E NELLE MONTAGNE VADO A PERDERE LA MIA MENTE E A TROVARE LA MIA ANIMA

Se la mascherina in questi mesi di pandemia è diventata un accessorio irrinunciabile, la fantasia italica si è sbizzarrita.

Si trovano ormai esemplari in tessuto di ogni foggia e colore.

E, con le temperature sempre più elevate, non è raro vedere persone che la indossano in modo curioso.

C’è chi la porta su polso, gomito o avambraccio, chi la tiene calata sotto il mento.

E chi addirittura come una sorta di bandana sulla fronte.

«Molte persone non sanno proprio dove metterla. Ma indossarla come una bandana o un “sottogola” è la cosa peggiore.
Si contamina e diventa umida con il caldo e il sudore. Poi ce la rimettiamo sul viso e facciamo un regalo al virus».

«E nemmeno tenerla in tasca: la parte più contaminata, a meno che non siamo positivi, è quella esterna. Perciò si potrebbe contaminare la tasca».

Cosa fare allora?

«Sono convinto che la mascherina debba essere gestita come gli occhiali da sole.
Va usata quando è opportuno e in modo corretto, cioè coprendo naso e bocca.
Invece, quando non si utilizza, va tenuta in un contenitore»

"....e va gettata via dopo ogni utilizzo".
 
Eccoli i veri negazionisti.


Il tema dei migranti positivi per il governo e per il ministro Boccia è una balla, una favola propagandistica del centrodestra,
un tema che Salvini vuole cavalcare, una paura che Meloni intende sfruttare.

Quindi, per l’illuminato Boccia, se il virus circola ancora è colpa degli italiani che fanno le feste.

Centinaia e centinaia di immigrati irregolari che arrivano sulle nostre coste non costituiscono un pericolo
anche se i sindaci chiedono a gran voce di non mandarne più nelle strutture si accoglienza,
anche se un assessore del suo stesso partito dem, Alessio D'Amato si lamenta che gli arrivi da Lampedusa nel Lazio
stanno mettendo a rischio il sistema sanitario già provato,
anche se il sindaco di Treviso minaccia di fare causa al governo per il focolaio dell'ex caserma Serena.
Tutte frottole, secondo Boccia, tutte chiacchiere dei sovranisti.
 
A Palermo nella notte un gruppo di tunisini positivi al Covid, arrivati in parte proprio da Landedusa e da Porto Empedocle,
ha lasciato le camere dell’albergo San Paolo, in cui era stato confinato per la quarantena.
La situazione ha provocato momenti di tensione e il rifiuto del personale dell’hotel di tornare al lavoro prima che fosse fatta una sanificazione dei luoghi,
oltre a un immediato intervento dello stesso Musumeci, che si è rivolto al prefetto Giuseppe Forlani.

A Vizzini, nel Catanese, il sindaco Vito Cortese si è ritrovato una tendopoli per i migranti in quarantena
allestita in una ex base militare, ora di proprietà del Viminale, senza che nessuno si premurasse prima di avvertirlo.
“È stato un fatto inaspettato, mi hanno avvertito all’ultimo”, ha denunciato il primo cittadino.
La gravità di questa scelta – ha chiarito – oltre ad aver bypassato totalmente le istituzioni locali che rappresento,
concerne il fatto che il luogo scelto per questa tendopoli è situato in una zona ad altissima densità abitativa e in un territorio a vocazione turistica”.
“Siamo stati un Comune praticamente Covid free. Adesso saremo esposti a un possibile rischio contagi”,
ha aggiunto Cortese, facendosi portavoce della “preoccupazione e della rabbia” insorte nella sua comunità.

Non va meglio negli altri due epicentri siciliani dell’emergenza: Pozzallo e Porto Empedocle.
A dare la misura dello sbando totale in cui le azioni del governo hanno precipitato l’Isola è la testimonianza dell’assessore alla Sanità, Ruggero Razza.
Hotspot e banchine come carnai; migranti portati avanti e indietro come pacchi; sindaci di comunità che non raggiungono i 20mila abitanti
costretti a fronteggiare fenomeni che richiederebbero ben altri mezzi e poteri.
“Ho visitato porto e hotspot di Pozzallo. Per un giorno, notte compresa, sulla banchina sono stati tenuti a decine.
Erano arrivati a Lampedusa, sono stati portati a Pozzallo e da Pozzallo in bus stanno andando a Porto Empedocle. Ma non è l’unica follia.
I migranti ospitati nell’hotspot erano arrivati in Sicilia, quindi portati a Bari, poi riportati in Sicilia”, ha raccontato Razza,
ringraziando il sindaco Roberto Ammatuna e facendosi carico di “raccogliere tutta la preoccupazione della sua comunità”.

“Quando il presidente Musumeci ha denunciato la mancanza di un piano, ci hanno preso per pazzi“,
ha ricordato Razza, sottolineando che la Regione continua a fare la sua parte.
Di fronte, però, si trova un governo che oltre gli annunci non sembra saper andare.
E che, come per le navi quarantena, dimostra di muoversi sempre troppo tardi di fronte alle sollecitazioni del territorio,
mentre costanti risuonano i diktat delle Ong.
“Altre due imbarcazioni ci hanno contattato ieri notte e stamattina, una di legno con 63 persone e un gommone con 65 persone a bordo.
Abbiamo informato le autorità della loro posizione. Stamattina hanno entrambe raggiunto zona Sar italiana.
Hanno bisogno di aiuto, soccorso immediato!“,
 
Processioni no, preghiera islamica sì.

Le questioni di Covid valgono a metà, gli assembramenti sarebbero letali per le consuete ritualità cristiane, per i raduni islamici no.

Accade a Torino e in altre città, tra cui Grosseto.

In questo periodo abbondano le feste in onore dei Santi patroni. Ma anche questo rituale sta saltando.

A Grosseto cari amici ci dicono in preda allo sconcerto che la processione di San Lorenzo, il 9 agosto è stata annullata .

E’ avvilente che le restrizioni colpiscano come una mannaia le abitudini spirituali di tanti italiani, di tante comunità.

Prevenire assembramenti in chiave anti-Covid: la motivazione ufficiale cozza però con il trattamento diverso riservato alle cerimonie islamiche.

Siamo alle solite.

Il caso di Torino.

Qui i musulmani hanno celebrato la Festa del Sacrifico non al parco Dora, come avvenuto negli anni scorsi, ma in nove luoghi pubblici e privati della città.

La contraddizioni si palesa subito perché poi le diverse location sparse per i riti sono diventate a loro volta assembramenti.

O il divieto di assembramenti vale per tutti o per nessuno.
 
Dunque non è bastato al Governo Giuseppe Conte-Rocco Casalino godere di una condizione irripetibile, con gran parte dell’informazione schierata
compatta sulla sua linea del terrore a oltranza e con un’opposizione ancora piuttosto timida perché preoccupata di non farsi appioppare il marchio infame del negazionismo.

Nei riguardi della sentenza del Tar del Lazio, la quale aveva imposto di rendere pubblici gli atti del Comitato tecnico-scientifico
che hanno determinato il lockdown più rigido d’Occidente, i geni che occupano la stanza dei bottoni si sono appellati immediatamente al Consiglio di Stato,
ottenendo di mantenerne il segreto almeno fino al 10 settembre. Poi si vedrà.


Ora, da semplice cittadino ancora indignato e traumatizzato da una ferita democratica che sarà ben difficile guarire,
soprattutto se gli uomini che gestiscono il potere a tutti i livelli proseguiranno su l’attuale strada liberticida, mi pongo una semplice domanda:

ma questa gente cos’ha da nascondere?

Se è vero che la maggioranza del popolo italiano manifesta un incondizionato apprezzamento per il modo con cui l’Esecutivo giallorosso ha affrontato la pandemia,
tenendoci chiusi in casa per due mesi e tempestandoci con milioni di multe solo se provavamo a mettere il naso fuori della porta
(sebbene molti autorevoli studiosi ci dicono che i testi sacri dell’epidemiologia prescriverebbero esattamente il contrario, ossia stare all’aria aperta il più possibile),
perché non renderli partecipi degli infallibili presupposti sulla base dei quali Giuseppe Conte, Rocco Casalino,
Roberto Speranza, Nicola Zingaretti, Francesco Boccia e compagnia cantante hanno compresso oltre ogni immaginazione le nostre principali libertà costituzionali?


Che razza di democrazia è mai questa se dopo una lunghissima sospensione delle loro garanzie,
peraltro comunicate di quando in quando in dirette televisive come se stessimo in un colossale reality show,
agli italiani non vengono ancora spiegate con chiarezza le relative ragioni?

In questo senso il Governo, sostenuto da un Comitato di scienziati-stregoni che è stato in grado persino di ribaltare in 24 ore un protocollo
con cui i treni avrebbero viaggiato in sicurezza occupando tutti i posti disponibili,
costringendo il ministro della Sanità ad emanare una ordinanza che dimezza di nuovo i passeggeri,
sta sostanzialmente fondando la sua azione su una sorta di dogma della religione del terrore.

Da questo punto vista il medesimo dogma, in quanto principio che si accoglie per vero e per giusto senza un esame critico o discussione,
non è assolutamente compatibile coi sistemi evoluti fondati sulla trasparenza e la libera informazione,
risultando assolutamente confacente con i metodi di chi continua a sfruttare una epidemia clinicamente morta da tempo per i propri personalissimi scopi.

Scopi che nulla hanno a che vedere con la salute a la sicurezza dei cittadini.


Tant’è che, proprio a dimostrazione di quest’ultimo assunto, mi sembra interessante citare, allegandolo, un accurato lavoro del mio amico Silvano Silvi,
tecnico che opera nel campo della sicurezza del lavoro, in cui egli dimostra, numeri alla mano, che in questi ultimi mesi la mortalità, al netto del Covid-19,
è comunque ben più alta rispetto al media degli ultimi anni.

Ciò tenderebbe a farci concludere che, proprio perché si stanno concentrando eccessive risorse in una guerra virale nei confronti di un nemico praticamente debellato,
si trascurano tutte le altre patologie gravi, con esiti catastrofici per molti soggetti che ne soffrono.

E tutto questo i signori che credono di aver vinto la lotteria politica e professionale del Coronavirus non sono finora riusciti a nascondercelo.

I numeri, come i fatti, hanno sempre e comunque la testa dura.


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Persino Christine Lagarde non si capacitava della ritrosia italiana, degli ultimi mesi, nella emissione di nuovi titoli di Stato.

Eppure è un buon momento per piazzare obbligazioni.

Tanto più che Francia e Spagna nel solo mese di giugno hanno emesso tre volte tanto l’Italia.


Purtroppo però, noi ve l’avevamo detto che Roberto Gualtieri avrebbe tirato il freno a mano
e volutamente non avrebbe approfittato del vantaggioso Pepp (Pandemic emergency purchase programme) voluto da Lagarde.

Troppo semplice.

Troppo conveniente.

Troppo immediato.

L’aver ridotto al lumicino la raccolta dai titoli, ha avuto il solo scopo di esacerbare la nostra necessità di nuove fonti di finanziamento.


In altre parole, a settembre quando saremo alla canna del gas, nonostante il Recovery fund che vedrà la luce l’anno prossimo,
saremo obbligati a scegliere l’altra grande fissazione del governo: il Mes.


Hanno, dunque, preferito strumenti più complessi, più vincolanti e molto più lenti nella loro applicazione.

Ad oggi, con aste mirate e cospicue, avremmo potuto veramente avere un fiume di denaro, potenzialmente superiore alle briciole europee.

E senza condizionalità.

La storia, prima o poi, dedicherà un capitolo a questi signori e non sarà per niente lusinghiero.
 
Oggi la FAZ tedesca presenta un articolo molto polemico sulla riapertura del ponte di genova che,
chi volesse, può ritrovare a questo link, e l’articolo attacca subito con una bella carica di malignità:


Quanto deve essere profonda l’autostima di una grande nazione e di una città orgogliosa se l’apertura di un “nuovo” ponte,
che non avrebbe mai dovuto essere costruito, se il vecchio non si fosse trasformato i in una tomba per 43 persone,
viene vissuta come una sorta di esperienza di rinascita?
In ogni caso, il lutto non prenderà parte al “Festival per il ponte nato da una tragedia”, come ha detto il loro portavoce.



Le parole fanno veramente male, e sono dure per una città che ha pagato, ma si è anche molto impegnata, tramite il suo sindaco,
per ricostruire nel minor tempo possibile un’opera della cui caduta non aveva responsabilità.

Vero è che il festeggiamento sarebbe molto più completo se si fossero identificate le responsabilità politiche e penali del disastro.

Su quelli politici, per la verità, un’idea di chi sia il responsabile c’è: Romano prodi, chi ha privatizzato le Autostrade cedendole ai Benetton.

Per quelle penali c’è solo l’imbarazzo della scelta fra amministratori irresponsabili e tecnici compiacenti.



Andiamo avanti nell’articolo:


I costruttori del ponte di San Giorgio a Genova sono giustamente orgogliosi del fatto che i lavori siano continuati senza sosta
anche durante il periodo di blocco nazionale da marzo a maggio.
In questo modo, hanno dimostrato di poter continuare a lavorare se vengono seguite le misure protettive e igieniche pertinenti
senza rischiare un’esplosione delle infezioni, ma il governo sotto il Primo Ministro Giuseppe Conte ha agito esattamente secondo il modello opposto:
Roma ha reagito allo shock dello scoppio della pandemia in Lombardia alla fine di febbraio paralizzando l’intero paese.
Le conseguenze catastrofiche del più stretto e più lungo lockdown in Europa stanno diventando evidenti per l’economia italiana.

Dall’introduzione dell’euro nel 1999, l’Italia ha avuto una crescita economica pressoché nulla per due decenni.
Dopo il crollo della prima metà del 2020, la potenza economica del paese è ora scesa al 91 percento del livello del 1998.
Il debito pubblico salirà a quasi il 160 percento della produzione economica annuale.
Le generazioni seguenti dovranno rimborsare questi soldi.
Per essere più precisi, coloro che, vista l’attuale disoccupazione giovanile del 23%, non sono già emigrati da tempo.



Un quadro molto nero, in parte malevolo, ma in parte veritiero.
Peccato che non ci si renda conto del fenomeno causa-effetto, fra presenza dell’euro e distruzione dell’economia italiana,
insieme anche all’altro fenomeno distruttivo, a cui la Germania non è estranea, dell’entrata della Cina del WTO.

Però è evidente a qualsiasi italiano come l’euro sia stato , dal 1998, un elemento di distruzione economica.

Se ne accorgono perfino i tedeschi…


Le cause della continua sofferenza dell’Italia sono note:

una burocrazia tutto paralizzante che scoraggia gli investitori dall’estero e da casa;
un sistema giudiziario estremamente lento e talvolta corrotto, i cui rappresentanti perseguono un’agenda personale o politica invece di garantire rapidamente la sicurezza giuridica;
una struttura sociale paternalistica che causa il potenziale creativo di donne e giovani per appassire o scacciarli dal paese;
una classe politica che ruota attorno a se stessa e serve la sua rispettiva clientela invece di rendere il paese di nuovo collegabile a livello internazionale.




Si mescolano qui verità e luoghi comuni.

La partecipazione femminile al lavoro in Italia è ampia, se c’è domanda di lavoro,
ma appare un po’ utopico parla di “Struttura paternalistica” quando il lavoro non c’è per entrambe i coniugi.

I giovani troverebbero ben lavoro, se ci fosse domanda dello stesso, come è avvenuto sino agli anni ’90.
Senza domanda l’offerta è sterile, e questa regola, fondamentale, dell’economia, prima o poi la comprenderanno tutti.

Per il resto, cioè i problemi derivanti dalla bruocrazia e dalla magistratura politicizzata, sono ben visti all’estero, come lo sono in Italia.

Peccato nessuno abbia il coraggio di prendere il toro per le corna.

Avete sinora sentito parlare di una seria riforma del CSM che spazzi via le correnti? Io no…
 
Treni.

La giravolta del governo ha provocato scene di caos in stazione Centrale a Milano,
dove centinaia di passeggeri hanno preso d’assalto la biglietteria per cercare una soluzione alternativa per partire.

«Il governo poteva organizzarsi prima», questa una delle voci riportate da Ansa.

«
Noi stiamo arrivando alla rivolta qui in coda», si lamentano i passeggeri.

«Abbiamo affittato casa a Rimini – spiega uno dei viaggiatori rimasti a piedi – ed ora dobbiamo per forza arrivare».
 
Il furto dovrebbe essere avvenuto a metà giugno, ma solo ieri la notizia è stata diffusa dalla stampa.

Come ha riferito Brunella Bolloli su Libero, sono stati rubati i 970 labari della marcia su Roma conservati presso l’Archivio centrale di Stato.

L’edificio appartiene al complesso urbanistico dell’Eur, situato a sud della capitale,
e le insegne e i gagliardetti trafugati facevano parte della Mostra della rivoluzione fascista,
che tra il 1932 e il 1934 accolse oltre 4 milioni di visitatori.

Stando ad alcune stime, il bottino ammonterebbe a non meno di 5 milioni di euro.


Il furto era stato denunciato ai carabinieri dall’allora direttrice dell’Archivio di Stato, Elisabetta Reale.

Le indagini sono quindi state affidate agli investigatori del Nucleo tutela patrimonio artistico e sono tuttora condotte nel più assoluto riserbo.

Secondo quanto è filtrato, pare che il trafugamento dei labari della marcia su Roma sia avvenuto in tempi diversi.

Magari approfittando dei lavori di ristrutturazione dell’edificio in cui erano conservati, e cioè l’enorme magazzino sito in piazzale degli Archivi.


È possibile che il furto non sia avvenuto per motivazioni politiche, ma a scopo di lucro.

Un labaro della marcia su Roma, infatti, può costare dai mille ai 10mila euro.

E c’è il forte rischio che i pregiati pezzi trafugati siano già stati venduti al mercato nero.

Ma si tratta, appunto, di ipotesi ancora al vaglio degli inquirenti.

Tra le tracce delle indagini avanza però quella della «talpa».

Un funzionario dell’Archivio di Stato avrebbe cioè approfittato dei lavori di ristrutturazione,
nonché dello scarso numero di personale presente in loco nelle settimane del confinamento,
per aiutare i ladri a trafugare le preziose insegne.

Lo storico Pietro Cappellari, che frequenta assiduamente l’Archivio di Stato, ha parlato del furto definendolo una «vergogna».

Ed ha inoltre raccontato di aver fatto richiesta già nel 2013 di poter fotografare i labari e le bandiere della marcia su Roma,

ma «senza ricevere risposta. Molto strano».
 
Un Paese schiavo di una burocrazia asfissiante, che mortifica la vena imprenditoriale dei propri cittadini invece di incoraggiarla.

Un ostacolo puntualmente sottolineato da ogni report, ogni analisi, eppure mai corretto da una classe politica che continua a promettere senza mantenere.

Compreso il Movimento Cinque Stelle, arrivato in Parlamento schiumante rabbia contro la casta e presto ridotto a un ruolo di mansueta obbedienza.

Resta, allora, il quesito: perché lo Stato continua a non intervenire con delle riforme che snelliscano iter ormai ingarbugliati come labirinti?


Una domanda alla quale ha risposto, attraverso le pagine del Corriere della Sera, Sabino Cassese, giurista, accademico e giudice emerito della Corte Costituzionale.

Chiarendo che gli interventi necessari sono noti a tutti, ma nessuno si prende la briga di trasformarli in legge.

E così resiste uno status quo che vede un italiano costretto, per esempio, a 73 adempimenti con 26 enti diversi soltanto per aprire una gelateria.

Con un costo di circa 13 mila euro.

Da anni si parla di accelerare i pagamenti delle amministrazioni, ridurre il numero delle stazioni appaltanti, abbreviare i tempi delle valutazioni ambientali e via dicendo.

Riforme che, tra l’altro, non avrebbero alcun costo.

Eppure restano chiuse nei rispettivi cassetti, ben chiusi.


Nemmeno il governo Conte, che ha fatto della parola “semplificazione” uno slogan, è passato dagli impegni verbali ai fatti.

Il motivo di una latitanza così ostinata delle politica?

Innanzitutto, secondo Cassese, “le riforme necessarie non costano, ma non rendono alla politica.
Richiedono tempo per essere attuate e producono risultati sul medio-lungo periodo, un arco temporale che va al di là degli obiettivi di qualunque politico di oggi”.


Inoltre coinvolgono il Parlamento, “organo che pensa di risolvere problemi complicati con la bacchetta magica della legge,
mentre un migliore rendimento dello Stato è semmai legato a un minore numero di leggi, e a leggi di principio piuttosto che di dettaglio



“Il terzo punto riguarda il deficit di competenza – insiste Cassese – legato a un carente addestramento della classe politica,
ma anche a disattenzione dei grandi centri di rilevazione dei dati.
La disattenzione per il buon funzionamento dello Stato dipende però anche dall’opinione pubblica, distratta dal ‘balletto della politica’
e poco informata dai ‘media’ su ciò che accade e su ciò che non accade nelle stanze del potere burocratico.
Buoni ultimi, sono causa della disattenzione per le riforme che non costano anche coloro che ne beneficerebbero, i burocrati,
ogni giorno accusati di impedire la modernizzazione del Paese, ma adagiati nel ‘tran tran’ quotidiano, e quasi afoni,
mentre dovrebbero far sentire la loro voce competente sulle grandi questioni quotidiane”.
 

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