E NELLE MONTAGNE VADO A PERDERE LA MIA MENTE E A TROVARE LA MIA ANIMA

I DATI DEL CANTON TICINO CONTINUANO AD ESSERE MOLTO BUONI
CON SOLTANTO 7 CONTAGI IN 3 GIORNI.

NEGLI OSPEDALI SONO ATTUALMENTE RICOVERATE 2 PERSONE,
NESSUNA FRA QUESTE IN TERAPIA INTENSIVA O INTUBATA;

A CAUSA DEGLI ALLENTAMENTI SI POSSONO VERIFICARE LOCALI FOCOLAI
ANCHE DI UNA CERTA RILEVANZA CON CONSEGUENTE AUMENTO DEI CONTAGI.

SI INVITA QUINDI LA POPOLAZIONE A MANTENERE ATTIVE
LE VARIE MISURE IGIENICHE ACQUISITE NEI MESI SCORSI.

VI RICORDIAMO L'OBBLIGO DELLA MASCHERINA SUI MEZZI PUBBLICI,
INOLTRE E' STRETTAMENTE CONSIGLIATO L'USO DELLA STESSA NEI LUOGHI CHIUSI,
SPECIE SE AFFOLLATI E SE DOVETE RIMANERE OLTRE 10 - 15 MINUTI.
 
Di fronte alla pandemia Covid-19, le autorità in Svizzera, e ancora di più in altri paesi, hanno adottato «misure esagerate»,
dice il professore all'ETH Didier Sornette, specialista della gestione dei rischi.

I costi dei provvedimenti, ad esempio a livello del mercato del lavoro, non hanno trovato adeguata considerazione.

«I politici, a mio avviso, hanno voluto unicamente evitare i rischi giuridici e fornire risposte alle paure collettive»,
dice, in un'intervista pubblicata oggi dal quotidiano romando Le Temps, il membro cofondatore del Risk Center al Politecnico federale di Zurigo (ETH).


Il fisico di formazione, ora detentore della cattedra di rischi imprenditoriali all'ETH, ribadisce quanto più volte da lui già sostenuto nei media durante la crisi.

Come aveva fatto all'inizio di febbraio in un'intervista alla Neue Zürcher Zeitung,
sottolinea ad esempio che la pandemia non è affatto un «cigno nero» ossia, secondo la teoria che porta questo nome, un evento improbabile a forte impatto.


«Sono stato scioccato dal fatto che l'Ufficio federale della sanità pubblica nel 2018 ha preparato un piano in caso di pandemia molto ben concepito
e il Consiglio federale non abbia assolutamente fatto quanto vi è scritto».

Il ricercatore, dall'inizio sostenitore del modello antipandemico svedese, è ancora più severo con Francia e Stati Uniti.


Ma la critica principale dello studioso - attivo soprattutto nell'ambito dei rischi in ambito finanziario ed energetico -
non riguarda in particolare l'impreparazione di cui hanno dato prova le autorità.

Il problema, a suo avviso, è infatti la mancanza di capacità nel gerarchizzare i rischi e nel misurare gli effetti delle decisioni prese.


In termini di vite umane, a livello globale, il mondo occidentale ha dato prova di un certo cinismo.

La paralisi più o meno pronunciata dell'economia conduce ad

«una possibile perturbazione delle catene di approvvigionamento alimentare per 48 paesi che hanno bisogno dell'aiuto internazionale.
Questa rottura dei trasferimenti dai paesi ricchi ai paesi poveri potrebbe comportare la morte di 200'000-300'000 persone al giorno,
secondo l'Organizzazione mondiale della sanità. Tutto questo per salvare alcune migliaia o decine di migliaia di persone in un anno in Occidente».


Ma le perturbazioni del mercato del lavoro fanno male anche nei paesi industrializzati dato che si traducono in «sofferenze, depressioni e suicidi».

E quanto a pessima gerarchia dei mali, il 63enne, cresciuto e formatosi in Francia, ricorda che

«i decessi dovuti all'inquinamento sono più numerosi di quelli provocati da Covid-19. Eppure non si blocca l'economia per l'inquinamento».


«Di fronte a un virus senza dubbio malvagio ma che condurrà probabilmente a una mortalità normale nel 2020, i governi hanno preso misure esagerate».

L'équipe del ricercatore ha valutato il numero di vite salvate in funzione della severità dei provvedimenti adottati dalla politica.

Lo studio, dice Sornette a Le Temps, arriva alla conclusione che, rafforzando il grado di confinamento da quello adottato in Svezia
(che ha lasciato alla popolazione un ampio grado di libertà) a quello scelto in Francia (con un lockdown molto rigido),
si salvano 50-100 vite per milione di abitanti.

«Ogni vita è preziosa, ma l'autorità deve ponderare (i vari oneri) e attribuire un costo alla vita».


Confrontato all'apparente insuccesso del modello svedese, che ha comportato un numero di infezioni da coronavirus più elevato,
colui che è stato anche professore all'università delle scienze e della tecnologia di Shanghai, afferma che le valutazioni sono premature.

In termini di immunità di gregge, a bocce ferme, la scelta di Stoccolma potrebbe essere stata vincente.

Il ricercatore punta anche il dito contro media e reti sociali, che hanno giocato un «ruolo estremamente negativo».

I secondi, in particolare, «amplificano considerevolmente l'universalità dell'evento e l'esagerazione della risposta».
 
Ce ne sarebbero di insetti e zanzare da allontanare ........


A livello mondiale sono state classificate circa 1,38 milioni di specie animali.

Con circa un milione di specie, gli insetti costituiscono la parte più consistente.

Negli ultimi anni è stata tuttavia osservata una vera e propria moria di insetti.

Non è solo il numero di specie a diminuire ma anche il numero di animali delle singole specie.

Secondo i rapporti dell'Intergovernamental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services,
in molte aree del pianeta sono state osservate perdite drammatiche tra le specie di api, farfalle e altri insetti impollinatori.

La biodiversità, compresa anche quella degli insetti, è centrale per la stabilità del nostro ecosistema e della nostra agricoltura.

Gli insetti contribuiscono allo sviluppo delle piante e quindi alla fertilità del suolo.

Gli insetti impollinatori danno un contributo importante al nostro approvvigionamento alimentare.

Se mancano gli insetti, molte piante non vengono impollinate e alle specie di uccelli insettivori
(di cui, secondo Vogelwarte Sempach, fa parte circa il 40 per cento degli uccelli nidificanti svizzeri) viene a mancare la base del nutrimento.

Anche la maggior parte delle piante coltivate necessita degli insetti impollinatori.

Senza impollinatori, il rischio di perdita dei raccolti aumenta in modo vertiginoso in particolare per gli alimenti vegetali come frutta e verdura.


Anche se gli insetti hanno un ruolo vitale nella catena alimentare, nessuno di noi vuole essere circondato da zanzare, mosche e vespe durante la cena.

Ogni estate vengono proposti sul mercato nuovi repellenti e insetticidi.

I repellenti per zanzare e insetti più venduti contengono spesso sostanze sintetiche che spesso raggiungono gli impianti di depurazione tramite le canalizzazioni.

Le sostanze che non possono essere filtrate in questi impianti vengono quindi riversate nel ciclo naturale delle acque.

Riducendo la quantità di sostanze chimiche nelle acque di scarico, si riduce anche il rischio che queste finiscano nell’acqua potabile.

Ci sono anche tante sostanze naturali che tengono lontani gli insetti.
 
Le vespe adorano i frutti dolci come il melone e l’uva.
Se volete mangiare di fuori tranquilli, potete piazzare una ciotola di frutta dolce a distanza di sicurezza dal tavolo per tenere gli insetti lontani dal vostro pasto.
Se la ciotola viene messa sempre allo stesso posto, le vespe se ne ricorderanno e voleranno automaticamente là.

Il profumo delle piante di pomodoro tiene a distanza gli insetti.

Il basilico aiuta a tenere lontane le vespe. La cosa migliore da fare è disporre diversi vasi di basilico su tutto il balcone.

Proprio come il basilico, anche il profumo dei limoni è fastidioso per tanti insetti.
Funzionano gli oli essenziali di limone o anche semplicemente i limoni tagliati a metà sul tavolo.
I limoni affettati dovranno però essere sfregati con chiodi di garofano per evitare che attirino le vespe.

Le vespe odiano l’odore del caffè.
Per tenere alla larga le vespe, potete bruciare qualche chicco o un po’ di polvere di caffè in un contenitore ignifugo.

Gli oli essenziali di lavanda, sandalo o menta tengono lontani gli insetti.
Ma attenzione: la pelle di ognuno di noi reagisce in maniera differente a questi oli e per alcuni potrebbero non funzionare come repellente.

Lavarsi regolarmente e indossare vestiti puliti aiuta a prevenire le punture delle zanzare.
Secondo molti studi, l’odore del sudore attrae molte specie di insetti tra cui anche le zanzare.
 
Per la Dany non ci sono problemi.

1. Scegli la bici giusta per te
Non hai più dubbi: vuoi una mountain bike. Ce ne sono per ogni fascia di prezzo, dalle più economiche alle più care, quindi basati sul tuo budget.
Le più costose sono pensate per i “rider” esperti, sono realizzate con materiali di qualità maggiore e sono più accessoriate:
per chi comincia ora basterà un prodotto di qualità, ma in una fascia di prezzi contenuti.
Ci sono diversi tipi di mountain bike, a seconda delle esigenze:

  • da cross-country” (o XC).leggere ed efficienti, adatte a percorsi semplici, strade sterrate e collinari, ma inutili su terreni davvero difficili, pendenze importanti e strade molto sconnesse.
  • Da trail, cross-country modificate in grado di superare ostacoli più grandi.
  • All-Mountain”, costruite per affrontare i terreni più impervi. Più pesanti delle cross-country, possono arrampicarsi facilmente su colline anche ripide.
  • Da downhill, nate per la velocità, con più sospensioni per ammortizzare gli urti ma meno adatte alle pendenze peggiori.
  • Freeride, dalla pedalata più scorrevole, con ruote strette, adatte in particolare per salti e acrobazie.
  • Infine le “dirt jump”, più piccole e maneggevoli, adatte ai grandi salti.
Per quanto riguarda le marche e i migliori rapporti qualità-prezzo, Internet abbonda di recensioni, ma è importante tenere conto del fatto che la scelta resta in gran parte soggettiva:
una mountain bike si sceglie a seconda del tipo di uso che abbiamo in mente.


2. L’abbigliamento è importante
Chi si avventura nel mondo delle mountain bike deve tenere conto di alcuni parametri di base.
La mountain bike ti porterà su strade impervie, in mezzo alla campagna, in balìa degli elementi. Ti servono vestiti comodi, impermeabili a portata di mano nel caso in cui cambi il tempo,
giubbotti forniti di catarifrangenti per la guida notturna, protezioni per ginocchia e gomiti, guanti termici per tenere le mani calde.
Ti serve, naturalmente, un casco: scegline uno certificato in base alle più aggiornate norme di sicurezza. Deve essere comodo, ma non si deve muovere se scuoti la testa.


Ti serviranno, inoltre, scarpe compatibili con la foggia dei pedali, con una suola dura che aiuti la pedalata, e calzini appositi.
Un paio di occhiali da sole terranno lontani lo sporco, il vento e gli insetti, oltre a proteggere gli occhi dai raggi ultravioletti.
La spesa è quasi finita, ma manca la cosa più importante: l’acqua. Devi averne abbastanza per poter bere ogni venti minuti circa, con continuità e anche se non ti sembra di avere sete.
Se non ti vuoi fermare così spesso, procurati un kit apposito per poter bere in movimento. Infine, ricordati di portare con te qualche snack energetico e un po’ di frutta.
Ora sei pronto a partire.

3. Impara le regole
Esiste un’organizzazione internazionale (International Mountain Biking Association) che codifica le poche ma fondamentali regole del mondo MTB.

Eccole:
  • Scegli solo sentieri conosciuti e ben equipaggiati con segnali e indicazioni.
  • Tieni conto dei tuoi limiti. Attenzione alla velocità, rallenta nelle curve strette e non fare manovre al di là delle tue effettive capacità.
  • Adattati al percorso. Rallenta quando incontri altri rider e segnala la tua presenza.
  • Sii previdente: porta con te un kit per affrontare riparazioni e imprevisti.
  • Tieni pulito il percorso. Non gettare rifiuti lungo il sentiero.
  • Attenzione agli animali selvatici: non avvicinarti.
Oltre alle regole di cui sopra, esistono alcune indicazioni di buon senso: sei sicuro di voler cominciare la tua attività di mountain biker con un percorso di 30 km su strade difficili?

4. Una buona preparazione - riscaldamento
Il riscaldamento è fondamentale. Comincia con alcuni minuti di bicicletta su un tratto dritto e asfaltato di strada. Comincia con una RPM di circa 90 giri al minuto e con una resistenza bassa.
Dopo dieci minuti, aumenta la resistenza.
Scendi dalla bici e fai un po’ di stretching, dedicandoti ai muscoli di cosce, polpacci, collo, spalle, schiena e quadricipiti. Concludi con altri 10/20 minuti di bici in pianura.
Per la mountain bike è consigliato anche svolgere attività fisica regolare per consolidare la muscolatura e darti la resistenza aerobica necessaria per sforzi di lunga durata.

5. Scegli il tuo percorso
Ci sono sentieri di tutti i tipi, dai più facili e pianeggianti ai più ripidi e impervi. Valuta sempre il tuo livello di preparazione per scegliere il più adatto:
all’inizio è opportuno percorrere strade non troppo complesse, con dislivelli dolci.
Qualunque sia il tuo livello di preparazione, ricorda che un sentiero affidabile deve avere alcune caratteristiche:
essere ricco di indicazioni per sapere sempre dove stai andando, indicare con appositi cartelli il livello di preparazione necessario per affrontarlo.
 
E’ in corso qualcosa di inaudito, mostruoso e sinistro, ma l’Intelligente Asintomatico insiste nel voler occultare le sue sinapsi, come se volesse fingersi politicamente cerebroleso:
preferisce rifugiarsi nel rassicurante tifo calcistico – buoni contro cattivi – anziché affrontare la scomodità del ragionamento, la lucidità dell’analisi, il nudo linguaggio dei fatti.

L’Italia si candida a essere la capitale europea del Covid, unico paese del vecchio continente ad auto-proclamarsi patria della nuova peste,
nell’estate in cui i militari in assetto da guerra spaventano i bagnanti sulle spiagge
e la ministressa della pubblica istruzione sconcerta genitori e alunni collaudando in televisione le seggiole-banco a rotelle:
aggeggi grotteschi che secondo ogni previsione metteranno nel freezer l’infanzia, trasformando i bambini in degenti cronici del nuovo manicomio-scuola,
futuri clienti dello psicologo e pazienti dei medici specializzati in patologie psicosomatiche.

Eppure va tutto bene, sembra dirsi l’Intelligente Asintomatico, per far rima con lo slogan demenziale che preparò lo storytelling della catastrofe, “andrà tutto bene”.

E visto che va tutto così bene, anzi benissimo, è normale che il governo-apocalisse proroghi l’aberrante stato d’eccezione,
così come è normale che la sedicente opposizione – al netto dei proclami gridati – di fatto permetta (grazie alle provvidenziali assenze tattiche)
che anche l’ultimo decreto-vergogna venga infine approvato, al Senato, sia pure per un solo voto di scarto.

Tutto questo non potrebbe accadere, senza la prevalenza – nell’opinione pubblica – dell’Intelligente Asintomatico.


Questo esemplare, così diffuso, sembra appartenere a una vasta zoologia politica che predilige le vie spicce,
eventualmente anche l’insulto, e pretende di vedere in campo uomini della provvidenza, risolutori fulminei, fuoriclasse a chiacchiere.

Quelli di trent’anni fa agitarono i valori della sinistra storica e dell' Europa Unita per meglio affossare la sinistra sociale dei diritti e l’idea stessa di solidarietà europea.

Giocarono la partita fingendo di contrastare il collega Berlusconi, impresentabile socio collaterale del medesimo indirizzo antipopolare, prono agli stessi decisori internazionali.

Gli Intelligenti Asintomatici si divisero a lungo, attingendo al carburante dell’odio, per scannarsi tra di loro in una guerra imbarazzante,
visto che bianchi, rossi e verdi giocavano tutti nella stessa squadra.

Poi vennero risolutori ancora più spicci, rivoluzionari ancora più fasulli: da una parte Renzi, dall’altra Grillo e i 5 Stelle.

Ultimo nato, nella scuderia dell’illusionismo, il prode Salvini: trasformato prontamente in una sorta di eroe nazionale o, a scelta, in epocale pericolo pubblico.

Di svista in svista, eccoci agli incresciosi record inanellati dall’oscuro “avvocato del popolo”:

l’Italia è l’unico grande paese europeo messo ko dall’epidemia di coronavirus, l’unico ad aver attuato un coprifuoco suicida, “cinese”, come quello imposto a Wuhan.
Il nostro è l’unico paese rimasto senza mezzi finanziari, l’unico costretto a mendicare elemosine tardive e ingannevoli come l’accordo-capestro sul Recovery Fund:
pochi spiccioli, e fuori tempo massimo, solo a patto che si svenda quel che agli italiani è rimasto.



Il piano, spudorato, punta a sabotare definitivamente lo Stato per mettere le mani sul vero bottino :

l’ingente risparmio privato e il patrimonio immobiliare, che è il maggiore d'Europa.

A questo mirano gli sciacalli nell’ombra che manovrano burattini come l’ipocrita Mark Rutte, piccolo feudatario del paradiso fiscale chiamato Olanda,
vero e proprio Stato-canaglia (perfettamente tollerato dall’Ue) che sta letteralmente spolpando l’erario italiano, risucchiando offshore le contribuzioni delle grandi aziende del Belpaese.

Ma tutto questo sembra non interessare l’Intelligente Asintomatico, nelle due versioni (il talebano che idolatra “Giuseppi”, l’hooligan che applaude il “Capitano”).

Nella sua apparente pigrizia e indolenza intellettuale, è raro che l’Intelligente Asintomatico si produca in ragionamenti pubblicamente offerti:
preferisce parassitare le idee altrui, le esternazioni altrui, spesso limitandosi a commentare in modo sbrigativo e provocatorio, sui social media,
le riflessioni di chi si sforza di pensare in proprio, documentandosi faticosamente.

L’Intelligente Asintomatico non si domanda come mai i giornaloni stiano letteralmente facendo a pezzi il leghista Fontana
per la vicenda dei camici lombardi e dei conti svizzeri, trascurando completamente i 14 milioni di euro che il piddino Zingaretti
ha fatto spendere al Lazio per mascherine mai arrivate.


Buoni e cattivi, ancora e sempre: falsi amici, falsi nemici.

Imbevuto com’è della narrazione ufficiale, quella secondo cui va tutto benissimo, dal momento che era stato promesso che sarebbe andato tutto bene,
l’Intelligente Asintomatico tende a squalificare chiunque osi mettere in discussione gli assiomi propalati dal nuovo regime politico-televisivo,
che si tratti di mascherine e distanziamenti, guanti o vaccini, untori presunti e involontari macellai come i poveri medici che, per loro stessa ammissione,
lo scorso marzo causarono la morte – per iper-ventilazione – dei pazienti in realtà affetti da trombo-flebite polmonare.

C’è chi si domanda (e ormai domanda per iscritto anche all’autorità giudiziaria) quante persone sarebbero ancora vive, oggi,
se il governo non avesse prima scoraggiato le autopsie
, e poi emarginato i sanitari che per primi, già ad aprile,
avevano inutilmente segnalato al ministero le terapie efficaci per trasformare il Covid in una malattia curabilissima.

Dati oggettivi, che però l’Intelligente Asintomatico si rifiuta di registrare, per paura di veder crollare il governicchio in carica:
come se la controparte (gli opposti Intelligenti Asintomatici e i loro rispettivi eroi politici) avessero sollevato la questione.

Errore ottico: la strage è avvenuta senza che l’opposizione muovesse un dito per denunciarla e contrastarla.

E’ la stessa sedicente opposizione che non ha fatto nulla per impedire che nel paese venisse sospesa la democrazia.

Ma non importa: ancora oggi, all’Intelligente Asintomatico pare che basti dare del cornuto, del complottista e del negazionista
a chiunque invochi un brandello di obiettività, foss’anche il cantante Andrea Bocelli, prontamente sottoposto a fascio-bastonatura mediatica e olio di ricino.

Il mondo intero è preda di una sindrome inquietante e inaudita, che tradisce i segni evidentissimi di un tenebroso totalitarismo,
ma l’Intelligente Asintomatico difende l’indifendibile Conte per proteggerlo da Salvini, o a scelta si schiera con l’altrettanto indifendibile Salvini per avversione verso Conte
(come se lo stesso Salvini avesse lasciato supporre che, di fronte all’emergenza, si sarebbe comportato in modo diverso da Conte).

Forse il bilancio della situazione sarebbe differente, se gli Intelligenti – più o meno Sintomatici – mettessero finalmente una pietra sopra alle loro divisioni di cartapesta,
di fronte alla minaccia comune, riscoprendo l’importanza del valore supremo – la verità – che notoriamente non ha padroni.


L’infinita stupidità dell’odio, il più facile degli ingredienti “magici” della manipolazione, è dosata oculatamente dai gestori di ogni crisi.


Storia antichissima: lo spiega un intellettuale prestigioso ma quasi sconosciuto, in Italia, come Francesco Saba Sardi, in una riflessione intitolata “L’istituzione dell’ostilità“.

A questo serve, il falso nemico fabbricato all’occorrenza: a smettere di pensare, in modo che a vincere sia sempre il banco
(e che a perdere siamo noi, tutti quanti, Sintomatici e non).
 
Della Sicilia vi abbiamo detto nei giorni scorsi, eravamo lì e abbiamo visto e sentito gli umori della gente sugli sbarchi,
ma quello che accade sull’isola fa il paio col resto del Paese, l’immigrazione clandestina è fuori controllo.

Con la sinistra è sempre stato così perché cerca i voti dello ius soli.

Oltretutto non è vero che gli stranieri ci facciano i complimenti per la gestione della crisi,

perché la gran parte di quelli con cui abbiamo parlato e non solo in Sicilia, sono allibiti e sconcertati
per ciò che accade sulla gestione degli illegali che sbarcano in continuazione
.

Perché sia chiaro: quei pochi stranieri che questa estate nonostante tutto hanno deciso di fare un po’ di vacanze in Italia,
non riescono a capire il caos, la trascuratezza e la tolleranza, con la quale si lascino arrivare, sbarcare e poi fuggire senza problemi, migliaia di illegali al giorno.

Ancora di più, restano scioccati dal fatto che molti dei clandestini, seppure positivi al Covid-19,
vengano ammucchiati come sardine in centri che chiaramente non sono attrezzati per capacità e quantità a gestirli, controllarli e rispedirli via.


Abbiamo parlato con francesi, inglesi, turisti dell’Est Europa, gente affezionata all’Italia che, sfidando l’emergenza sanitaria,
non ha rinunciato a qualche giorno di vacanza nel nostro Paese, considerato fra i più belli al mondo, ma anche tra quelli politicamente peggio gestiti.

Ecco perché c’è poco da sbandierare il New York Times, che l’ipocrisia giallorossa ha trasformato nell’oracolo, perché il pensiero dei turisti stranieri è ben diverso.

Ma al di là del loro di giudizio, c’è quello della maggioranza degli italiani.

Sarebbe bastato farsi un giro ieri per le stazioni ferroviarie per capire a chi siamo finiti in mano,
a quale maggioranza ci abbiano condannati, neanche avessimo da espiare le colpe più gravi della storia.

Eppure si sapeva perché non c’era dubbio che sarebbe andata così col Conte bis.

Non c’era dubbio che questo Esecutivo sarebbe stato vittima della mancanza di ogni armonia, capacità, coscienza e conoscenza dei problemi.

Sarebbe stato vittima dell’impreparazione e della mediocrità,
sarebbe stato vittima di quella ideologia che ci ha rovinati economicamente e socialmente.

Insomma, che il governo più di sinistra della storia, messo in piedi giammai per il bene del Paese ma per quello dell’asse franco-tedesco,
del potere cattocomunista, di quello dei grillini, di una logica contraria all’alternanza e al sentimento popolare, fosse il peggio possibile si sapeva.

Qui non si tratta solo del fatto di aver consentito una maggioranza che si insultava e offendeva in ogni modo,
di aver messo al governo gli sconfitti del Pd e di Leu, di aver fatto finta di non vedere il guaio gialloverde precedente, si tratta di rispetto del Paese e della gente.


Perfino gli stranieri ci chiedevano come fosse possibile avere al governo i grillini e i comunisti: avere gli stessi che hanno finito di distruggere Roma.

Perché i turisti con cui abbiamo parlato raccontavano di non aver mai visto la città eterna tanto malridotta.

Inutile dire che a sentirli ci piangeva il cuore e che obtorto collo abbiamo dovuto dargli ragione.

Mai Roma è stata tanto sciatta, trascurata, sporca e buia, mai i parchi erano divenuti giungla di rovi e di animali,
le strade un tratturo di campagna, i marciapiedi un pericolo costante.

Ecco perché abbiamo fatto fatica a spiegare agli stranieri la ragione per cui nonostante questo in Italia si sia consentito
di rimandare a governare gente incapace oltretutto assieme agli eredi di Palmiro Togliatti
che con le braccia aperte e in accordo col Vaticano hanno trasformato l’Italia in un campo profughi e clandestini.


Eppure così è stato e oggi l’Italia è nel caos, in crisi nera, allo sbando economico sociale e ancora è niente perché alla fine dell’estate,
per via dell’incoscienza politica letterale, per via dei provvedimenti sbagliati, dei miliardi a palate bruciati inutilmente, nessuno può dire come reagirà la gente.


Questo governo ha spaccato il Paese in due:

da una parte gli statali che gli stanno a cuore perché i cattocomunisti e i grillini sono malati di statalismo e assistenzialismo,

dall’altra chi lavora e produce abbandonato all’elemosina, all’atto d’amore delle banche, ai monopattini, ai bonus cervellotici,
ai divieti coprifuoco, alla Cassa integrazione perpetua come se le casse dello stato fossero piene.

Non solo ma questo mondo produttivo grazie al quale con tasse da capogiro si può pagare l’apparato statale più inefficiente e burocratico che ci sia,
sarà obbligato a pagare queste tasse anche quest’anno di chiusura, di fatturato da bancarotta e precipizio.

Qui, si gioca con la tenuta del Paese, con la pazienza che seppure proverbiale potrebbe finire, si gioca col futuro di tutti,
compresi gli statali che abituati a non pensare visto che il bonifico gli arriva anche stando a casa a fare poco o niente
ancora non hanno capito che senza Pil la pacchia finirà, altroché lavoro remoto, remoto diventerà pure il bonifico statale.

Nel mezzo di questo ben di Dio, la giustizia è devastata dallo scandalo del secolo senza che nessuno faccia niente.


Si pensa a portare Matteo Salvini in tribunale quando su Open Arms la decisione fu collegiale,
si pensa ai fondi della Ue che, se va bene, arriveranno fra un anno,
si pensa a statalizzare carrozzoni e a prolungare uno stato d’emergenza segretando come nei soviet le ragioni che obbligheranno a tutto i cittadini.

Verrebbe da dire si salvi chi può, ma visto che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi
, prima o poi si voterà e se così non fosse, prima o poi la pazienza finirà, anche quella degli italiani,
incredibile ma vero, e a quel punto parleremo di futuro.
 
Gli amanti della pallacanestro (come il sottoscritto) non aspettavano altro.
Finalmente è ripartita la stagione Nba, un appuntamento irrinunciabile per tantissimi appassionati della “palla a spicchi”.

Tuttavia, una stagione bruscamente interrotta dalla pandemia Covid-19 non poteva che riprendere…in ginocchio.

E così giovedì 30 luglio, nella “bolla” di Orlando, sotto l’ala di una Lega molto attenta alle dinamiche del marketing,
soprattutto quelle di natura politica, e quindi disposta a chiudere un occhio sul regolamento NBA
(che impone agli atleti di ascoltare l’inno nazionale con postura dignitosa), i giocatori degli Utah Jazz e dei New Orleans Pelicans,
in segno di solidarietà, hanno deciso d’inginocchiarsi contro il razzismo e l’uso eccessivo della forza da parte della polizia.

Perciò, durante l’inno, tutti i protagonisti (giocatori, allenatori, arbitri), evidentemente avvolti da un unico sentire,
si sono presentati sul parquet indossando una maglia nera con la celebre (quanto inflazionata) scritta “Black lives matter”,
a sostegno del movimento antirazzista, tornato alla massima potenza dopo l’uccisione di George Floyd, a Minneapolis, il 25 maggio scorso.

Un’immagine indubbiamente toccante che in breve tempo ha fatto il giro del mondo, rilanciata anche dagli atleti delle due squadre di Los Angeles.

Eppure, e lo affermo perché ai cowboy ho sempre preferito gli indiani, se la malapianta del razzismo va combattuta con estrema fermezza,
mi chiedo quanto sappiano, fuoriclasse del calibro di LeBron James o Anthony Davies, al di fuori del recinto statunitense, delle discriminazioni perpetrate da neri su altri neri.

Si tratta di vicende poco pubblicizzate, se non da pochi validi colleghi, che non si addicono alla moda del momento.
Perché, ne siamo consapevoli, va bene “Black lives matter”, ma solo se rivolto nella direzione che fa più comodo e scalpore,
specie quando un afroamericano è brutalmente ucciso da un poliziotto. Tanto meglio se bianco.

Alle stelle Nba (ma l’intuizione andrebbe rivolta a tutti gli atleti delle varie leghe professionistiche americane),
mi piacerebbe chiedere, per esempio, se sono a conoscenza delle violenze (e degli omicidi) che si consumano con puntualità in Sudafrica.


E non sto parlando delle disgustose pratiche cui ci aveva abituato il Paese guidato dal regime razzista condannato dalla Trc[1] per crimini contro l’umanità,
ma di quello post apartheid, “multirazziale”, nato dopo la liberazione di Nelson Mandela.


Quasi un anno fa, infatti, un lancio dell’agenzia Ansa[2]allertava in merito a un’ondata di saccheggi, incendi e atti vandalici
contro negozi proprietà di stranieri nelle periferie di Malvern e Jeppestown, a sud di Johannesburg e a Pretoria.

In verità, come giustamente riporta Mauro Indelicato, “quello che non si vuole ammettere è che nel Sudafrica post apartheid
la violenza xenofoba è ben presente ed è perpetuata da giovani di colore contro altri cittadini di colore.

Una guerra civile africana proprio nel Paese della lotta alle discriminazioni”.[3]

Violenze montate come panna che partono da lontano, alla vigilia dell’evento sportivo più importante in assoluto: l’organizzazione dei mondiali di calcio del 2010.

A fare le spese dell’ondata xenofoba sono soprattutto lavoratori somali, del Malawi, dello Zimbabwe e di altri Paesi africani.

Non possono dunque non creare turbamento le dichiarazioni del leader nero sudafricano (e marxista) con cognome accostabile a un codice fiscale,
passato alle cronache per aver invitato i partecipanti a un suo comizio ad ammazzare bianchi:

«Per ogni nero uccideremo cinque bianchi. Uccidi uno di noi, uccideremo cinque di voi.
Uccideremo le loro donne, uccideremo i loro figli, uccideremo i loro cani, uccideremo i loro gatti, uccideremo qualsiasi cosa si metta sulla nostra strada».[4]

Probabilmente, ed è comprensibile per carità, dai loro televisori a 1.000 pollici i nostri campioni inginocchiati non trovano il tempo per seguire notizie così lontane,
poco interessanti e non utilizzabili ai fini “pubblicitari” indirettamente imposti dalla vulgata del politicamente corretto.

E allora, voltiamo pagina.


Mi piacerebbe chiedere loro se sono in grado di spiegare, prima di sbucciarsi le ginocchia sul parquet, perché in Mauritania,
nonostante una recente legge l’abbia abolita, la piaga della schiavitù sia così difficile da curare.


“Non ci sono statistiche affidabili – scrive Chiara Clausi – su quante persone siano schiavizzate in questo Stato dell’Africa.
E la sua posizione ufficiale è negare che ci siano schiavi nel paese.
Ma il l’indice World Slavery stima che la Mauritania abbia uno dei più alti tassi di schiavitù sulla terra, con oltre l’1% della popolazione impegnata in lavori forzati”.[5]


Mentre ci si ammazza per colpa della crisi economica e di consolidati tribalismi, una guerra civile a bassa intensità
sta attraversando Paesi come Sudafrica, Camerun, Nigeria, Congo e Libia, morti che, palesemente, non catturano l’interesse dei milionari di cui sopra.

È forse giunto il momento di allargare la discussione a una riflessione più ampia sul razzismo (soprattutto quello che non ti aspetti)
capace di affliggere ogni giorno, nell’indifferenza generale, molte realtà del continente africano.

Non c’è posto, per esempio, nei cuori dei “Black lives matter”, per gli oltraggi subiti dai lavoratori domestici (molto spesso neri)
in Libano oppure Arabia Saudita, abusi che in questi Paesi rappresentano la norma.


Insomma, se a praticare la violenza, o peggio, un omicidio non è una divisa indossata da un bianco l’interesse per i maltrattamenti subiti dai neri improvvisamente scema.

Lo conferma anche Najma Fiyasko Finnbogadòttir, attivista somala e fondatrice della piattaforma social Md-Show,
che denuncia il trattamento vergognoso riservato ai somali bantu nel suo Paese, discriminati per le loro caratteristiche fisiche:

«Paradossale che ci si dimentichi di una questione come questa proprio mentre si scende in piazza per Floyd».[6]


Basterà, cara Najma, aspettare il prossimo omicidio commesso da un poliziotto bianco negli Stati Uniti
per ridestare la noiosa ipocrisia dei nostri campioni che, vedrai, morandianamente parlando, torneranno in ginocchio. Ma non certo da te.


D’altra parte a chi interessa dei somali bantu?



P.S.: Un ringraziamento sentito a Jonathan Isaac, giocatore di colore degli Orlando Magic, rimasto in piedi durante l’inno senza indossare la maglia nera. Chapeau.
 
Fayez al Sarraj manda via i soldati italiani da Misurata.

Un fatto quasi inevitabile vista la politica del governo condotta fino ad ora nel paese nordafricano.

L’episodio in questione è avvenuto giovedì 30 luglio, quando un Hercules C 130 con 40 soldati (militari del Celio e della Brigata Julia) a bordo,
partito da Pisa è atterrato a Misurata, dove dal 2016 l’Italia è presente con la missione ‘Ippocrate’ per fornire assistenza
“sanitaria alle forze libiche impegnate nel contrasto alla presenza di Daesh (Isis, ndr) nel Paese”.

Secondo quanto emerso, il governo di Tripoli avrebbe negato lo sbarco dei nostri militari contestando la mancanza del visto sul passaporto.

Il problema, però, potrebbe non essere stato questo.

I nostri militari, secondo altre ricostruzioni, avevano tutta la documentazione completa e la decisione di non farli sbarcare sarebbe meramente politica.



In ogni caso, questa vicenda ruoterebbe tutta intorno alla missione in corso proprio a Misurata.

Per i primi due anni, all’incirca, l’ospedale ha offerto il supporto sanitario necessario per la lotta contro l’Isis.

Poi, da qualche tempo a questa parte, il Comcoi, Comando operativo di vertice interforze che di fatto gestisce le missioni all’estero,
avrebbe intrapreso una linea su cui adesso anche il ministero della Difesa vorrebbe vederci chiaro.

Secondo alcune fonti, infatti, l’ospedale di Misurata si sarebbe trasformato in una base militare vera e propria
(come in Afghanistan o in Iraq), chiusa, senza attività e senza rapporti con il territorio.

Una scelta che avrebbe contribuito, oltre all’assenza di una decisione politica lungimirante,
a generare malcontento nei libici che non hanno visto alcuna collaborazione dai militari italiani.

Quasi 400 persone chiuse in una base con costi notevoli.

L’errore strategico di questa missione, dunque, sarebbe proprio qui.

E cioè nell’aver considerato la Libia un paese in cui creare una sorta di avamposto di occupazione militare,
per poi chiudersi in una base e difendersi in caso di attacco.

Ma il paese nordafricano ha un’altra storia e segue un altro percorso.

Quello che l’Italia avrebbe dovuto fare, suggeriscono fonti di Palazzo Chigi, era inserirsi nel tessuto sociale ed economico,
offrire addestramento militare e organizzare una presenza fruttuosa sotto tutti i punti di vista.


Ma l’assenza di una linea diplomatica chiara dell’Italia in questi anni, ha portato il governo di Fayez al Sarraj
(quello riconosciuto dalla comunità internazionale e nato sotto l’egida dell’Onu) ad allontanarsi progressivamente da Roma.

Il nostro governo non si è schierato neanche con l’antagonista di Sarraj, il generale Khalifa Haftar.

Risultato: una politica confusa che ha scontentato tutti al punto che Tripoli si è lanciata nella braccia della Turchia,
a cui di certo non fa paura l’Italia e che nella questione dei soldati di Misurata potrebbe aver avuto un ruolo.


E dire che Sarraj, sempre secondo alcune indiscrezioni filtrate da Palazzo Chigi,
prima di rivolgersi a Erdogan pare abbia chiesto aiuto militare all’Italia per gestire la presenza dei terroristi e per arginare l’avanzata di Haftar verso Tripoli.


Ma il governo italiano non avrebbe risposto nel modo adeguato e anche adesso, con l’emergenza coronavirus, il supporto richiesto non è arrivato.

Insomma, i libici si sarebbe stancati di un’Italia assente e priva di una linea, che non è riuscita a gestire i rapporti
e diventare un interlocutore serio e credibile di un paese strategico per la nostra sicurezza e per le implicazioni economiche.


Al momento il governo Conte è in confusione.
I flussi migratori arrivano da più parti.
Lampedusa è al collasso e gli sbarchi non si fermano.


E nel tentativo di fermare l’emorragia dal nordafrica, la strategia italiana propone accordi al ribasso che non allettano nessuno.

In attesa che il ministro degli Esteri, o quello della Difesa, e magari anche il presidente del Consiglio,
spieghino agli italiani l’accaduto, le opposizioni si sono fatte sentire.

Il senatore Enrico Aimi, capogruppo di Forza Italia in Commissione Esteri, in una nota ha parlato di

“un caso di ‘respingimento’ senza scrupoli, ridicolo e al tempo stesso umiliante per loro e per noi.
Rimandati a casa dopo poche ore, con lo stesso aereo, nuovamente verso Pisa.
La notizia ha dell’incredibile e dimostra che a livello internazionale il nostro Paese non conta più nulla.
Proviamo ad immaginare cosa sarebbe accaduto se un ‘incidente’ di questo tipo
avesse coinvolto i Marines Americani giunti in un qualsiasi Paese amico”.


Ed ha annunciato “un’interrogazione ai Ministri competenti per chiedere chiarimenti.

Il governo ha il dovere di dare immediatamente delle spiegazioni su questa vicenda inaccettabile”.

Anche Fratelli d’Italia ha chiesto “ai ministri Di Maio, Guerini, Speranza spiegazioni su 40 militari italiani respinti in Libia”.


Ma al momento, l’unica cosa che emerge è una disfatta su tutta la linea.

Facendo rimpiangere l’epoca in cui Silvio Berlusconi, riuscendo a trattare anche con un dittatore, ha difeso i nostri interessi nel paese nordafricano
 
Per chi se la fosse dimenticata o non l'avesse mai letta.

Oggetto: Indicazioni emergenziali connesse ad epidemia COVID-19 riguardanti il settore funebre,
cimiteriale e di cremazione
(Revisione post DPCM 26 aprile 2020)

La presente Circolare sostituisce integralmente quella, avente medesimo oggetto, dello scorso 8 aprile 2020 (prot.
n. 12302); essa prende in considerazione anche le disposizioni del DPCM 26 aprile 2020 che dal 4 maggio p.v.,
data di entrata in vigore di tale decreto, producono effetti sul settore funerario.

Le indicazioni qui fornite hanno come obiettivo la individuazione di procedure adeguate per il settore funebre,
cimiteriale, della cremazione in fase emergenziale determinata dall’epidemia di COVID-19, valide per l’intero
territorio nazionale

Talune regioni sono già intervenute con proprie norme di dettaglio e/o con circolari.

Si ritiene peraltro opportuno uniformare il comportamento sull’intero territorio nazionale, anche al fine di ridurre
le possibilità di trasmissione del contagio tra aree diverse.

Linee direttrici del presente documento sono:
− identificare i percorsi di maggior tutela dei defunti dal luogo di decesso al luogo di sepoltura o cremazione,
nonché le cautele da adottare per il personale interessato al trasporto funebre ed attività funebre
− limitare al massimo, regolamentandole, le occasioni di “assembramento” per la ritualità dell’addio
− potenziare le strutture necroscopiche ricettive di defunti, in relazione ai prevedibili aumenti di mortalità
connessi all’evento epidemico, nonché i servizi di sepoltura e di cremazione
Allo stato attuale le norme applicabili a livello statale sono contenute principalmente nel regolamento di polizia
mortuaria approvato con D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285. Si applicano altresì le previsioni delle “Linee guida
per la prevenzione del rischio biologico nel settore dei servizi necroscopici, autoptici e delle pompe funebri”
approvate dalla Conferenza Sato Regioni e PP. AA. in data 09/11/2017 (di seguito “linee guida”) e le disposizioni
3 contenute nel Titolo X “Esposizione ad agenti biologici” e Titolo X-bis: “Protezione dalle ferite da taglio e da
punta nel settore ospedaliero e sanitario” del d.lgs. n. 81/2008.

A. Natura e durata delle indicazioni emergenziali

Il presente documento è connesso con la situazione emergenziale determinata dall’epidemia di COVID-19. Esso
individua le procedure da adottare nel settore funebre, cimiteriale, della cremazione, valide per l’intero territorio
nazionale, e da applicare con gradualità, in funzione del livello di mortalità delle singole province interessate e
delle dotazioni di strutture cimiteriali e di cremazione presenti, tenendo conto altresì dell’evoluzione
epidemiologica in corso.

1. Le indicazioni e le cautele stabilite dal presente documento vanno applicate fino a un mese dopo il termine della
fase emergenziale, come stabilita dai provvedimenti del Presidente del Consiglio dei Ministri.

2. Il sindaco, in raccordo col Prefetto territorialmente competente, in relazione alla evoluzione di mortalità, e nei
limiti dei poteri a lui assegnati dalla normativa vigente, emanerà eventuali provvedimenti contingibili e urgenti
necessari per l’attuazione delle indicazioni qui fornite.

3. In tutti i casi di morte nei quali si possa individuare che la persona defunta sia stata affetta da COVID-19 si
applicano le cautele specifiche per defunti già adottate in presenza di sospetta o accertata patologia da
microrganismi di gruppo 3 o prioni (v. lettera B).

4. Nei casi di morte nei quali non si possa escludere con certezza che la persona fosse affetto da COVID-19, per il
principio di precauzione, si adottano le stesse cautele previste in presenza di sospetta o accertata patologia da
microrganismi di gruppo 3 o prioni (v. lettera B).

B. Precauzioni da adottare in via generalizzata per tutti i defunti
per i quali non si possa escludere la contrazione in vita di Covid-19

Premesso che con il decesso cessano le funzioni vitali e si riduce nettamente il pericolo di contagio (infatti la
trasmissione del virus è prevalentemente per droplets e per contatto) e che il paziente deceduto, a respirazione e
motilità cessate, non è fonte di dispersione del virus nell'ambiente
, è tuttavia utile osservare le seguenti
precauzioni:

1. la manipolazione del defunto antecedente la chiusura nel feretro dovrà avvenire adottando tutte le misure di
sicurezza atte ad evitare il contagio tramite droplets, aerosol o contatto con superfici nonché fluidi e materiali
biologici infetti.

2. Il personale adibito alla manipolazione del cadavere adotterà, nel rispetto delle disposizioni normative, delle
ordinanze e dei protocolli operativi emanati dalle Autorità sanitarie, dispositivi di protezione individuale
appropriati, secondo le indicazioni formulate da parte dei competenti servizi di sicurezza e protezione dei lavoratori,
nonché dal medico competente di cui al D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 e successive modifiche ed integrazioni, tenendo
conto delle indicazioni fornite per gli operatori sanitari - per procedure con analogo livello di rischio - con circolari
del Ministero della salute, da ultimo in data 22/2/2020, 17/3/2020 e 29/3/2020 Per questa attività, pertanto, si
raccomanda agli operatori addetti, oltre al rispetto di tutte le misure igieniche previste per la popolazione generale,
l’utilizzo di adeguati Dispositivi di Protezione Individuale: mascherina chirurgica, occhiali protettivi (oppure
mascherina con visiera), camice monouso idrorepellente, guanti spessi e scarpe da lavoro chiuse. Oltre ad essere
garantita un’adeguata aerazione dei locali, al termine delle attività, dovrà essere eseguita un’accurata pulizia con
disinfezione delle superfici e degli ambienti adibiti alle attività (cfr. punto 4 delle Linee guida).

3. Prima dell’arrivo del personale incaricato del trasporto funebre, il personale sanitario deve provvedere
all’isolamento del defunto all’interno di un sacco impermeabile sigillato e disinfettato esternamente per ridurre al
minimo le occasioni di contagio durante le operazioni di incassamento. In caso di decesso al di fuori delle strutture
sanitarie, il personale incaricato del trasporto funebre, laddove il defunto non sia già isolato all’interno di sacco
impermeabile sigillato, disinfettato, provvede all’incassamento riducendo al minimo le occasioni di contatto,
avvolgendo il defunto in un lenzuolo imbevuto di disinfettante.

4. Sono vietati la vestizione del defunto, la sua tanatocosmesi, come qualsiasi trattamento di imbalsamazione o
conservativo comunque denominato, o altri quali lavaggio, taglio di unghie, capelli, barba e di tamponamento.

5. Dopo l’incassamento il feretro, confezionato diversamente in funzione della destinazione, è chiuso e sottoposto a
disinfezione esterna sia superiormente, sia lateralmente che inferiormente.

6. Il feretro e il suo confezionamento dovranno avere le caratteristiche stabilite dall’Allegato 1.

7. Le cerimonie funebri sono consentite, purché svolte nei termini previsti dal DPCM del 26 aprile 2020 e richiamati
al successivo punto G1.

C. Esami autoptici e riscontri diagnostici

1. Per l’intero periodo della fase emergenziale non si dovrebbe procedere all’esecuzione di autopsie o riscontri
diagnostici
nei casi conclamati di COVID-19, sia se deceduti in corso di ricovero presso un reparto ospedaliero
sia se deceduti presso il proprio domicilio.

2. L’Autorità Giudiziaria potrà valutare, nella propria autonomia, la possibilità di limitare l’accertamento alla sola
ispezione esterna del cadavere in tutti i casi in cui l’autopsia non sia strettamente necessaria. Analogamente le
Direzioni sanitarie di ciascuna regione daranno indicazioni finalizzate a limitare l’esecuzione dei riscontri
diagnostici ai soli casi volti alla diagnosi di causa del decesso, limitando allo stretto necessario quelli da eseguire
per motivi di studio e approfondimento.

3. In caso di esecuzione di esame autoptico o riscontro diagnostico, oltre ad una attenta valutazione preventiva dei
rischi e dei vantaggi connessi a tale procedura, devono essere adottate tutte le precauzioni seguite durante
l’assistenza del malato. Le autopsie e i riscontri possono essere effettuate solo in quelle sale settorie che
garantiscano condizioni di massima sicurezza e protezione infettivologica per operatori ed ambienti di lavoro:
sale BSL3, ovvero con adeguato sistema di aerazione, cioè un sistema con minimo di 6 e un massimo di 12 ricambi
aria per ora, pressione negativa rispetto alle aree adiacenti, e fuoriuscita di aria direttamente all’esterno della
struttura stessa o attraverso filtri HEPA, se l’aria ricircola. Oltre agli indumenti protettivi e all’impiego dei DPI,
l’anatomo patologo e tutto il personale presente in sala autoptica indosseranno un doppio paio di guanti in lattice,
con interposto un paio di guanti antitaglio.

4. È obbligatorio l’impiego di dispositivi di protezione delle vie respiratorie (FFP2 o superiori) associati a dispositivi
di protezione di occhi e mucose (visiera o schermo facciale).

5. Si deve evitare l’effettuazione di procedure e l’utilizzo di strumentario che possono determinare la formazione di
aerosol.

6. Deve essere evitata l’irrigazione delle cavità corporee; il lavaggio di tessuti ed organi deve essere eseguito
utilizzando acqua fredda a bassa pressione, fatta defluire a distanza ravvicinata in modo da evitare la formazione
di aerosol; i fluidi corporei devono essere raccolti per mezzo di materiale assorbente, immesso nelle cavità
corporee.

7. Campioni di tessuti ed organi, prelevati per esami istologici, debbono essere immediatamente fissati con soluzione
di Zenker, formalina al 10% o glutaraldeide per la microscopia elettronica.

8. Al termine dell’autopsia o del riscontro diagnostico, la sala settoria deve essere accuratamente lavata con
soluzione di ipoclorito di sodio o di fenolo.

9. Sono da evitare le manipolazioni non necessarie, così come qualsiasi contatto con la salma da parte di parenti,
conviventi o altre persone diverse da quelle incaricate delle operazioni necessarie e indicate dal presente
documento.

10. Per maggiori dettagli, riferirsi alla lettera E.

D. Riduzione dei tempi di osservazione e per eseguire
il trasporto funebre in cimitero o crematorio

1. Il primo medico intervenuto, se il decesso avviene all’esterno di strutture sanitarie accreditate o di ricovero e cura,
in attuazione del principio di precauzione, sospende ogni intervento sul defunto, allontana i presenti e li informa
delle procedure da seguire per ridurre il rischio di contagio. Allerta tempestivamente la struttura territoriale
competente per l’intervento del medico necroscopo che detta le cautele da osservare. L’allerta è immediata per
via vocale e seguita da comunicazione scritta o per via telematica a mezzo PEC;

2. in caso di decesso sulla pubblica via, in luogo pubblico, o comunque in luoghi diversi da abitazione, strutture di
ricovero e cura, RSA e similari, gli operatori intervenuti sono tenuti ad osservare in ogni caso le precauzioni di
massima cautela, per il principio di precauzione, comportandosi come se la persona defunta possa essere portatore
asintomatico di COVID-19;

3. se il decesso avviene all’interno di strutture sanitarie accreditate o di ricovero e cura, il personale sanitario,
attenendosi alle istruzioni puntuali della Direzione sanitaria, allontana i presenti e li informa delle procedure da
seguire per ridurre il rischio di contagio;

4. in caso di decesso presso struttura sanitaria le direzioni di presidio riducono il periodo di osservazione della salma
ricorrendo all’accertamento strumentale della morte, ai sensi del D.M. Salute 11 aprile 2008;

5. in caso di decesso al di fuori di strutture sanitarie, i medici necroscopi, constatata la morte mediante visita
necroscopica, riducono il periodo di osservazione al tempo dell’esecuzione della loro visita e consentono il più
rapido incassamento del cadavere e il successivo trasporto funebre;

6. luoghi consentiti di destinazione intermedia dei feretri, in caso di difficoltà ricettive di cimiteri e crematori della
zona, sono case funerarie o strutture per il commiato, chiese o strutture speciali di sosta a ciò destinate;

7. luoghi di destinazione finale dei feretri sono il cimitero in cui ha diritto di essere sepolto il defunto, un crematorio
disponibile per la cremazione;

8. in assenza di volere degli aventi titolo per il trasporto funebre e la successiva sepoltura o cremazione, decorse al
massimo 48 ore dal decesso, la Prefettura può disporre d’ufficio il trasporto funebre, fatta salva una tempistica
inferiore disposta dal sindaco (v. OCDPC n.655 del 25 marzo 2020);

9. tutti i defunti di cui al precedente punto 2) sono obbligatoriamente trasportati al Servizio mortuario della struttura
sanitaria territoriale di riferimento o all’obitorio, secondo le indicazioni ricevute dall’Autorità intervenuta, sia essa
giudiziaria, di polizia giudiziaria, o sanitaria.

E. Conferimento al cimitero

1. Onde evitare sovraffollamento anche dei soli addetti, stante il divieto di svolgimento di riti funebri, bisognerebbe
prevedere che l’arrivo di trasporti funebri sia in cimitero che al crematorio debba essere sfalsato come orari da
parte dei rispettivi gestori, con l’obiettivo di minimizzare l’assembramento di persone, derivante da diverse
sepolture o cremazioni.

F. Potenziamento e ottimizzazione in fase emergenziale della rete di crematori
sul territorio nazionale

1. In ogni crematorio prioritariamente vanno cremati i feretri conseguenti a funerali svolti nel bacino di riferimento
stabilito dalla pianificazione regionale. In mancanza di pianificazione regionale il bacino di riferimento di ciascun
crematorio è il territorio provinciale.

2. L’esecuzione di altre cremazioni di cadaveri provenienti dall’esterno della provincia, nonché di resti mortali, parti
anatomiche, ossa, sono eseguite una volta garantita la prioritaria cremazione dei feretri di cui al paragrafo che
precede.

3. Gli organismi competenti possono valutare il rilascio di deroghe ad autorizzazioni precedentemente fornite ove si
ritenga necessario che gli impianti di cremazione, operino per l’intero arco della giornata, senza interruzione
(H24), e anche in giorni prefestivi e festivi.

4. In caso di fermo impianto di crematorio con due o più forni per motivi di manutenzione, è necessario, qualora
tecnicamente possibile, che almeno uno dei forni sia sempre in funzione per garantire la operatività del crematorio.

5. In caso di fermo impianto per motivi di manutenzione è necessario che i gestori dei crematori viciniori siano
informati preventivamente di tale sosta, in maniera da sfalsare i fermi impianto tra crematori di area e continuare
a garantire una quantità minimale di servizi offerti.

6. Per favorire l’aumento di potenzialità di ciascun impianto e fermo restando il rispetto di tutte le norme di igiene,
sicurezza e ambientali, sono consentite soluzioni tecniche per ciascuna cremazione che abbrevino i tempi di
esecuzione accelerando l’ignizione del feretro. È altresì da favorire nella cremazione l’uso di bare di essenze
lignee facilmente infiammabili.

7. Nella autorizzazione al trasporto funebre per procedere a cremazione si indica il crematorio scelto dagli aventi
titolo è opportuno indicare “o qualunque altro crematorio disponibile”.

8. L’uso per il trasporto massivo di feretri a crematori può essere svolto con camion chiuso, anche militare, da
disinfettare adeguatamente dopo l’utilizzo, preferibilmente internamente rivestito di materiale impermeabile
facilmente lavabile e disinfettabile.

9. Laddove sia necessario ampliare la ricettività dei locali per feretri in attesa di cremazione, si possono utilizzare:

i. le sale del commiato, dove collocare feretri chiusi e disinfettati, aventi le caratteristiche di cui all’Allegato 1;

ii. loculi vuoti, purché la cremazione sia eseguita entro al massimo 30 giorni dalla tumulazione temporanea e il
feretro sia confezionato come previsto dall’Allegato 1, lettera B).

G. Cimiteri

1. Nei cimiteri sono consentite le cerimonie funebri con l'esclusiva partecipazione di congiunti del defunto e,
comunque, fino a un massimo di quindici persone indicate dagli aventi titolo, con funzione da svolgersi
preferibilmente all'aperto, indossando protezioni delle vie respiratorie e rispettando rigorosamente la distanza di
sicurezza interpersonale di almeno un metro.

2. Le operazioni di inumazione, tumulazione di feretri, di sepolture comunque denominate di urne cinerarie e di
cassette di ossa vanno eseguite in condizioni di sicurezza.

3. L’esecuzione di esumazioni ed estumulazioni ordinarie e straordinarie non strettamente necessarie dovrebbero
essere rinviate, per provvedere alla sepoltura in occasione di funerale o per rendere disponibili adeguate quantità
di sepolture al cimitero; esumazioni ed estumulazioni devono comunque essere effettuate a cancelli cimiteriali
chiusi.

4. In caso di necessità la camera mortuaria in cimitero, oltre che per le ordinarie funzioni, può essere adibita, su
proposta della ASL territorialmente competente e con provvedimento del sindaco, al ricevimento e temporanea
custodia temporanea di feretri provenienti da strutture sanitarie site nel Comune o nella provincia, che lamentino
carenza di posti nel Servizio mortuario.

5. Andrebbe favorita la disponibilità di loculi vuoti e sepolture vuote necessari a garantire la sepoltura definitiva o
temporanea in attesa di cremazione.

6. L’attività connessa ai servizi cimiteriali di iniziativa privata nei cimiteri, come manutenzione, ristrutturazione di
tombe, posa di lapidi, costruzioni ex novo di tombe, viene consentita in relazione al calendario di ripresa delle
singole attività, connesso al codice ATECO corrispondente, con la gradualità definita con ordinanza del sindaco
e con modalità che evitino l’assembramento di persone, se necessario stabilendo che detti lavori siano effettuati
in orari di chiusura del cimitero. Viene data priorità di accesso alle ditte che provvedono a garantire la corretta
identificazione delle sepolture e alla posa di lapidi e arredi tombali. Restano sempre consentiti i lavori e le
operazioni necessari alla sepoltura dei defunti da parte dei gestori cimiteriali e quelli di realizzazione di
ristrutturazione o costruzione ex novo di sepolture di emergenza.

7. Nel registro cimiteriale di cui all’art. 52 del regolamento di polizia mortuaria approvato con D.P.R. 10 settembre
1990, n. 285, ricorrendone le condizioni, viene obbligatoriamente indicato che il feretro è stato confezionato per
la sepoltura di defunto con malattia infettiva diffusiva, apponendo il codice “Y” (ypsilon).

8. La estumulazione o la esumazione di feretri aventi la codifica “Y” di cui al comma precedente se eseguite prima
di 24mesi da quando si sia proceduto rispettivamente a tumulazione o a inumazione, sono da effettuarsi con
procedure di salvaguardia del personale operante, dotato dei DPI adeguati, e in orario di chiusura al pubblico del
cimitero.

9. Al termine della fase emergenziale le susseguenti estumulazioni temporanee vengono eseguite adottando le
cautele del caso ed i loculi risultanti di nuovo liberi devono essere sanificati.

H. Rifiuti

1. I rifiuti sono trattati nel rispetto delle norme applicabili in base alla natura e, laddove se ne ravvisi la necessità,
secondo quanto previsto dalla normativa sui rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo di cui al D.P.R. 15 luglio
2003, n. 254.

Il Segretario generale
dott. Giuseppe Ruocco*
 

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