l’Ue cambia tutto e non fa mea culpa
di Angela Mauro
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La normativa ribattezzata ‘Clean industrial deal’ rivede gran parte delle regole green: le aziende sotto i mille dipendenti esentate dagli obblighi della transizione; due anni in più per rendicontare sulla sostenibilità; 190mila aziende esentate dal calcolo delle emissioni sul carbonio alle frontiere. A suo agio anche la socialista Ribera: “Per un’industria più grande”
26 Febbraio 2025 Aggiornato alle 16:46
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“Il mondo è diverso da un anno fa”, allarga le braccia un funzionario della Commissione europea. È il massimo delle concessioni quando a Palazzo Berlaymont si chiede come mai il Green deal, messo a punto solo un anno fa, sia già oggetto di una totale revisione senza che nessuno nella squadra von der Leyen ammetta l’errore e chieda scusa. Oggi a Bruxelles una lunga serie di briefing dei funzionari della Commissione e conferenze stampa dei commissari, uno dopo l’altra senza sosta dal mattino al pomeriggio, presenta la nuova linea: il Green deal diventa ‘Clean industrial deal’, che poggia sul provvedimento Omnibus, di fatto un collage di emendamenti alla normativa originaria per rivederla come hanno chiesto gli Stati, dall’Italia di Giorgia Meloni alla Francia di Emmanuel Macron, la Germania e tutti gli altri. La nuova parola d’ordine è ‘indietro tutta’ dalle regole dell’agenda verde nel tentativo di dare fiato e competitività alle imprese. La rivoluzione è totale. L’obiettivo di neutralità climatica al 2050 resta sulla carta, ma la marcia ingranata lascia spazio ai dubbi. O quanto meno illumina un madornale errore di strategia non dichiarato. Nel mazzo dei dossier presentati oggi c’è anche il cosiddetto “Piano d’azione per l’energia a basso costo”, ma solo un mese fa gli Stati hanno deciso di non prorogare il meccanismo che stabilisce un tetto al prezzo del gas, faticosamente raggiunto dopo mesi di negoziati e muri alzati dai frugali nel 2022.
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C’è tanta retorica e tanta cosmesi nella sfilza di provvedimenti presentati oggi, marchio di fabbrica della nuova Commissione von der Leyen. La sintesi sta nella revisione delle regole per la transizione energetica, contestate da aziende e partiti politici in tutta Europa, ritenute troppo stringenti nell’attuale crisi economica ed energetica che non accenna a placarsi. E allora, in molti casi la Commissione va anche oltre le richieste degli Stati. E decide di esentare l’80 per cento delle aziende dagli obblighi di rendicontazione della sostenibilità (Corporate sustainability reporting, Csrd), cioè ben 40mila aziende su un totale previsto inizialmente di 50mila. Le piccole imprese con un massimo di mille dipendenti e 50mila euro di fatturato annuo non avranno alcun obbligo. Se vorranno, potranno presentare la documentazione con una procedura che viene anche semplificata: eliminato il 70 per cento delle voci previste dalla vecchia normativa. La Commissione von der Leyen I smentisce la von der Leyen II fino al punto da diventare più realista del re: Italia e Francia avevano chiesto l’esenzione per le aziende con un massimo di 1500 dipendenti. Quanto alle grandi aziende, quelle con più di mille dipendenti e un fatturato annuo di 450 milioni di euro obbligate a rendicontare sulla sostenibilità, potranno esimersi dal farlo sull’altro meccanismo previsto nei regolamenti del Green deal: la tassonomia, modificata anche questa.
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A Palazzo Berlaymont la chiamano “semplificazione”. Sulla parola insistono tutti i commissari delle conferenze stampa di oggi, a partire dai vicepresidenti Teresa Ribera e Valdis Dombrovskis, politicamente agli antipodi, lei socialista, lui conservatore e frugale, eppure allineati a respingere le critiche delle ong ambientaliste o della stessa famiglia socialista allarmata per la “deregolamentazione” che guida le nuove proposte. La scorsa settimana la presidente del gruppo dei Socialisti&Democratici Iratxe Garcia Perez ha inviato una lettera allarmata a Ursula von der Leyen. Invece oggi l’allarme sembra rientrato, senza che nessuna delle critiche sia stata accolta. “Sono stata parte attiva della costruzione della nuova normativa - dice Ribera - Questa non è deregolamentazione, ma è una mossa per far diventare l’industria non solo grande di nuovo, ma più grande di com’era. È un privilegio e un onore lavorare con i miei colleghi in Commissione, sono profondamente soddisfatta”.
Parole che suonano come un dictat ai socialisti, per lo meno agli spagnoli, la delegazione più numerosa del gruppo dopo il Pd: niente scherzi all’Europarlamento che sarà chiamato a ratificare la nuova versione del ‘Green deal’. Bisogna “approvare al più presto”, intima Dombrovkis mentre scardina l’agenda verde che fu della passata Commissione, passata legislatura, il commissario lettone c’era anche allora, immarcescibile. Non solo saranno solo le aziende più grandi a rendicontare sulla sostenibilità ma potranno farlo nel 2028 invece che l’anno prossimo: rinvio di due anni per le imprese che nella vecchia normativa era tenute a rendicontare nel 2026 o 2027.
"Elaborata a porte chiuse attraverso un processo per lo più influenzato dagli interessi delle grandi imprese, la proposta Omnibus è stata definita in maniera opaca e antidemocratica, escludendo la società civile dal dibattito. Mentre le multinazionali dei combustibili fossili e le lobby aziendali hanno avuto accesso privilegiato per ridefinire la legislazione sulla sostenibilità, i lavoratori e le comunità più colpite sono stati ignorati", è la protesta di 'Impresa 2030', cartello che riunisce varie associazioni e ong, da ActionAid a Savethechildren. "Concedere alle aziende negligenti la libertà di operare senza conseguenze, ci riporta a un'epoca di misure puramente volontarie, in cui le violazioni dei diritti umani e i danni causati all’ambiente rischiano di rimanere impuniti".
Anche la direttiva che chiede alle imprese di mitigare o ridurre al minimo gli impatti sui diritti umani e sull’ambiente (Corporate sustainability due diligence directive, Csddd) esce semplificata o deregolamentata, a seconda di come la si vuole vedere. La frequenza delle valutazioni periodiche e del monitoraggio dei partner commerciali viene ridotta da annuale a ogni 5 anni e solo sui partner commerciali diretti. Via anche gli oneri e gli effetti a cascata per le piccole e medie imprese, ridotte al minimo le informazioni richieste per la mappatura della catena del valore da parte delle grandi aziende. Via anche la responsabilità civile dell'Ue nelle cause per non conformità delle aziende: le vittime continueranno ad avere diritto al “pieno risarcimento per i danni” subiti, ma le aziende sono “protette da un eventuale sovra-risarcimento”. Infine alle imprese viene concesso un anno in più per conformarsi ai nuovi requisiti, al 26 luglio 2028. Si tratta di cambiamenti che dovrebbero fruttare 60 milioni di euro di risparmi subito e in prospettiva 330 milioni di risparmi ogni anno.
Vittima della scure ‘semplificatrice’ è anche il Meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (il cosiddetto Cbam, Carbon Border Adjustment Mechanism), entrato in vigore in via transitoria a ottobre del 2023, sottoposto a profondissima revisione oggi. Qui addirittura il 90 per cento degli importatori, nel 190mila aziende, viene esentato dall’obbligo di calcolare le emissioni incorporate nel prodotto importato e pagare il relativo prezzo. Spiega il commissario Wopke Hoekstra: “Esentando il 90 per cento delle aziende dal Cbam saremo comunque in grado di garantire la cattura di oltre il 99 per cento delle emissioni”. Delle due, una: si sono sbagliati all’epoca oppure stanno pesantemente deregolamentando ora.
Se adottate e implementate come proposto, le misure dovrebbero generare risparmi annuali sui costi amministrativi per circa 6,3 miliardi di euro e mobilitare capacità di investimento pubblico e privato aggiuntiva per 50 miliardi di euro. “Il mondo sta cambiando di fronte ai nostri occhi - dice Dombrovskis - È una chiamata all’azione per sostenere, adattare, innovare la nostra base industriale”.
Il provvedimento ‘Omnibus’ fa da base al Clean industrial deal, il Green deal sotto nuove vesti, mano tesa alle aziende per aiutarle a recuperare competitività iniziando a liberarle da un fardello preciso: gli oneri della transizione energetica. L'obiettivo del Clean Industrial Deal è "semplificare senza cambiare gli obiettivi climatici”, dice von der Leyen parlando all'Industry Summit di Anversa. "La domanda di prodotti puliti è rallentata e alcuni investimenti si sono spostati in altre regioni. Dobbiamo invertire la tendenza. Questo è l'obiettivo centrale del Clean Industrial Deal. Vogliamo tagliare i legami burocratici che vi trattengono. Affinché l'Europa possa essere non solo un continente di innovazione industriale, ma anche un continente di produzione industriale”.
Il piano punta a mobilitare oltre 100 miliardi di euro a breve termine per sostenere la manifattura pulita dell'Ue e finanziare la transizione pulita. L'importo comprende un ulteriore miliardo di euro di garanzie nell'ambito dell'attuale quadro finanziario pluriennale. Ne fanno parte un piano d’azione per l’automotive, che sarà presentato la prossima settimana, e uno per l’acciaio e i metalli in primavera, mentre altre azioni su misura sono previste per l'industria chimica e delle tecnologie pulite. Anche il piano per l’energia a basso costo fa parte del Clean industrial deal. Obiettivo: ridurre i costi dell'energia, completare l'unione dell'energia, attrarre investimenti, prepararsi meglio a potenziali crisi energetiche, ottenere un risparmio complessivo di 45 miliardi di euro nel 2025, che aumenterà progressivamente fino a 130 miliardi di euro all'anno entro il 2030 e 260 miliardi di euro entro il 2040.
"Stiamo abbassando i prezzi dell'energia e aumentando la competitività. Abbiamo già ridotto significativamente i prezzi energetici in Europa raddoppiando la quota di rinnovabili. Ora facciamo un passo in più con il piano d'azione per l'energia accessibile, parte del nostro Clean industrial deal. Grazie a questo piano, otterremo prezzi più prevedibili, connessioni più solide in tutta Europa e un maggiore utilizzo dell'energia. Rimuoveremo sistematicamente gli ostacoli rimanenti per costruire una vera Unione dell'energia", assicura von der Leyen.
La scommessa è di accelerare gli investimenti nell'energia pulita e nelle infrastrutture, garantendo trasparenza ed equità nei mercati del gas per rendere l'energia più accessibile. Ma allora davvero non si capisce perché a gennaio i leader hanno deciso di non prorogare la misura faticosamente adottata nel 2022 per stabilire un prezzo al tetto del gas in modo da calmierare tutto il mercato dell’energia. O forse la risposta è nelle parole del commissario Dan Jorgensen: “Non vogliamo un prezzo fisso, il mercato è libero”. Viva l’onestà.
La normativa ribattezzata ‘Clean industrial deal’ rivede gran parte delle regole green: le aziende sotto i mille dipendenti esentate dagli obblighi…
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