Claire
ἰοίην
Ecco qua, gli appunti presi a Torino, sulla "Normalità della violenza" a cura proprio del blog "Maschile plurale" che ha realizzato il secondo video che ho linkato nel primo post.
I due relatori erano Michele Poli e Daniela Danna
Lui psicologo presso il carcere, lei sociologa.
Ha preso la parola per primo Poli.
Ha sottolineato come sia utile parlare di violenza, perché essa esiste ed è inutile negarlo.
Ha poi aggiunto che avrebbe parlato "al maschile" perché statisticamente la maggior parte delle violenze sono commesse da uomini: nelle carceri, nell'esercito e anche nelle relazioni tra generi.
Ha provato a spiegarci come mai gli uomini si siano storicamente sempre interrogati poco sulla violenza. Ha spiegato che gli uomini, con la loro modalità e la loro violenza hanno talmente inciso sui rapporti sociali e sulla realtà, che interrogarsi sulla violenza procurerebbe tali devastanti conseguenze psicologiche, da far letteralmente mancare la terra sotto i piedi, perché la società è fatta da violenze di vario genere, è una società NON democratica. E insorgerebbero moltissimi problemi che riguardano la libertà, i diritti umani, la politica, la divinità, in pratica si formerebbe uno squarcio in tutto il pensiero di un uomo, in tutto quello che egli ha sempre pensato, vissuto e condiviso. Tutto entrerebbe in crisi e quindi l'uomo evita di guardare dentro se stesso.
Inoltre l'atteggiamento di un uomo nei confronti della violenza è di rimozione, ha difficoltà ad avvicinarvisi, perché la vuole dimenticare, sia che la subisca, sia che la compia.
Ci sono degli ambiti in cui la violenza è coltivata:
- esercito (gerarchia forte, uomini che riducono altri uomini ad oggetti, vengono eliminati i sentimenti)
- medicina (nella quale la violenza viene mascherata e chiamata scienza)
Abbiamo perso la capacità di sentire nausea, di "rigurgitare" di fronte alla violenza, perché essa è vissuta come "normale"
Se riuscissimo a provare nausea di fronte alla violenza, riusciremmo anche a dire di no, come il neonato che rigurgita il latte quando non ne può più.
Per far scattare la nausea di fronte ad un comportamento violento, occorre entrare nel dettaglio della violenza. (Esempi vari. Un conto è dire: ho strangolato una persona, un altro conto è dire: ho afferrato una persona, le ho messo le mani intorno al collo, l'ho vista respirare con difficoltà sempre maggiore, l'ho vista diventare cianotica, sbarrare gli occhi e cadere prima di vita e afflosciata a terra).
Daniela Danna è intervenuta, guardando la violenza dal punto di vista sociale.
Purtroppo la violenza presso di noi è vista come normale, perché portata avanti dal modello culturale dominante.
La prevaricazione è vista come normale, non problematica.
Siccome le relazioni sono tutte sfalsate, sono tutte "impari", ci si inserisce in queste dinamiche senza porsi troppo problemi.
Anche le stesse ragazze accettano la violenza, specialmente quando è insita nelle usanze della cultura alla quale appartengono.
Anche il linguaggio giornalistico contribuisce a rendere normale la sopraffazione e la violenza.
Anche le autorità troppo spesso avallano la normalità della violenza, (nello specifico si parlava di violenza di uomini sulle donne), ponendo, troppo spesso, ad una donna che si reca a denunciare, domande come quelle che citavo prima.
La carcerazione per le violenze in famiglia non è un rimedio efficace, perché spesso il colpevole in carcere ci sta pochissimo. Sarebbe meglio che venisse attuato sempre l'ordine di allontanamento.
E' poi intervenuta una ragazza del pubblico che ha sottolineato come sui giornali e nei media in genere, quando accadono episodi di violenze di uomini su donne, le immagini e le rappresentazioni del fatto siano sempre "stonate", mal fatte.
Ed ecco un video che illustra bene quel che diceva questa ragazza.
[ame]http://www.youtube.com/watch?v=aU0tVZlS-8Q[/ame]
I due relatori erano Michele Poli e Daniela Danna
Lui psicologo presso il carcere, lei sociologa.
Ha preso la parola per primo Poli.
Ha sottolineato come sia utile parlare di violenza, perché essa esiste ed è inutile negarlo.
Ha poi aggiunto che avrebbe parlato "al maschile" perché statisticamente la maggior parte delle violenze sono commesse da uomini: nelle carceri, nell'esercito e anche nelle relazioni tra generi.
Ha provato a spiegarci come mai gli uomini si siano storicamente sempre interrogati poco sulla violenza. Ha spiegato che gli uomini, con la loro modalità e la loro violenza hanno talmente inciso sui rapporti sociali e sulla realtà, che interrogarsi sulla violenza procurerebbe tali devastanti conseguenze psicologiche, da far letteralmente mancare la terra sotto i piedi, perché la società è fatta da violenze di vario genere, è una società NON democratica. E insorgerebbero moltissimi problemi che riguardano la libertà, i diritti umani, la politica, la divinità, in pratica si formerebbe uno squarcio in tutto il pensiero di un uomo, in tutto quello che egli ha sempre pensato, vissuto e condiviso. Tutto entrerebbe in crisi e quindi l'uomo evita di guardare dentro se stesso.
Inoltre l'atteggiamento di un uomo nei confronti della violenza è di rimozione, ha difficoltà ad avvicinarvisi, perché la vuole dimenticare, sia che la subisca, sia che la compia.
Ci sono degli ambiti in cui la violenza è coltivata:
- esercito (gerarchia forte, uomini che riducono altri uomini ad oggetti, vengono eliminati i sentimenti)
- medicina (nella quale la violenza viene mascherata e chiamata scienza)
Abbiamo perso la capacità di sentire nausea, di "rigurgitare" di fronte alla violenza, perché essa è vissuta come "normale"
Se riuscissimo a provare nausea di fronte alla violenza, riusciremmo anche a dire di no, come il neonato che rigurgita il latte quando non ne può più.
Per far scattare la nausea di fronte ad un comportamento violento, occorre entrare nel dettaglio della violenza. (Esempi vari. Un conto è dire: ho strangolato una persona, un altro conto è dire: ho afferrato una persona, le ho messo le mani intorno al collo, l'ho vista respirare con difficoltà sempre maggiore, l'ho vista diventare cianotica, sbarrare gli occhi e cadere prima di vita e afflosciata a terra).
Daniela Danna è intervenuta, guardando la violenza dal punto di vista sociale.
Purtroppo la violenza presso di noi è vista come normale, perché portata avanti dal modello culturale dominante.
La prevaricazione è vista come normale, non problematica.
Siccome le relazioni sono tutte sfalsate, sono tutte "impari", ci si inserisce in queste dinamiche senza porsi troppo problemi.
Anche le stesse ragazze accettano la violenza, specialmente quando è insita nelle usanze della cultura alla quale appartengono.
Anche il linguaggio giornalistico contribuisce a rendere normale la sopraffazione e la violenza.
Anche le autorità troppo spesso avallano la normalità della violenza, (nello specifico si parlava di violenza di uomini sulle donne), ponendo, troppo spesso, ad una donna che si reca a denunciare, domande come quelle che citavo prima.
La carcerazione per le violenze in famiglia non è un rimedio efficace, perché spesso il colpevole in carcere ci sta pochissimo. Sarebbe meglio che venisse attuato sempre l'ordine di allontanamento.
E' poi intervenuta una ragazza del pubblico che ha sottolineato come sui giornali e nei media in genere, quando accadono episodi di violenze di uomini su donne, le immagini e le rappresentazioni del fatto siano sempre "stonate", mal fatte.
Ed ecco un video che illustra bene quel che diceva questa ragazza.
[ame]http://www.youtube.com/watch?v=aU0tVZlS-8Q[/ame]
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