Giornata mondiale per l'eliminazione della violenza contro le donne: 25 novembre 2011

Violenza di genere - Wikipedia

Intanto questo.

Poi:


La violenza contro le donne riguarda innanzitutto gli uomini.


Aprire un conflitto interno al maschile è una questione politica centrale.

Stefano Ciccone

Le violenze maschili contro le donne dicono molte cose sulla nostra società e le relazioni che viviamo. Per questo è importante la scelta
di "Liberazione" di continuare a proporre un dibattito che chiama in causa donne e uomini.

E chiama in causa una politica che voglia ascoltare a trasformare le relazioni tra le persone, interpretare i conflitti e le domande di libertà che intrecciano le vite di ognuno e ognuna di noi.
La violenza è questione che riguarda innanzitutto gli uomini. Già perché sono uomini quelli che stuprano, picchiano, umiliano, fino a volte ad uccidere. Uomini come noi, simili a me.

Ed è necessario che nel maschile si apra una riflessione, ma anche un conflitto.

La violenza contro le donne non è infatti riducibile alla devianza di maniaci o marginali
contro i quali alimentare risposte emergenziali che, paradossalmente, alimentino politiche securitarie. Non c'è un nemico oscuro nascosto nelle nostre strade da espellere: l male è nelle nostre case, nelle nostre famiglie, nelle relazioni e nell'immaginiario sessuale che abbiamo costruito. La violenza contro le donne, inoltre, è solo marginalmente rinviabile ad arretratezza culturale né è retaggio di un passato premoderno: riguarda tutte le latitudini del nostro paese, la provincia come le grandi città, tutte le classi sociali e i livelli di istruzione. Interroga direttamente la nostra "normalità"e il nostro presente. E' anche fuorviante interpretare questa violenza come frutto di un "disordine".

Al contrario il suo permanere, in forme socialmente e culturalmente ogni volta determinate, mostra come sia vitale un ordine simbolico, un sistema di poteri che plasma i corpi, le identità, le relazioni. Un ordine invisibile che ancora segna le nostre prospettive esistenziali, le nostre opportunità di decidere di noi stessi/e. Lo chiamo patriarcato per ricordare che il conflitto con esso non è riducibile a categorie sociologiche e, soprattutto, a riconoscere che è stato nominato politicamente e dunque reso visibile da un soggetto: il movimentodelle donne nella sua pluralità di pratiche e prospettive.

Non dobbiamo misurarci tanto con una debolezza femminile a cui fornire (paternalisticamente) tutele (tutele delle donne dalla violenza, tutela della loro presenza nello spazio pubblico tramite quote di garanzia) quanto con un universo maschile generatore di questa violenza.

Ciò su cui dobbiamo riflettere, e produrre pratiche capaci di cambiare comportamenti, modi di pensare se stessi e il mondo, è la costruzione della nostra identità di uomini. Guardare dentro questo universo e dentro di noi ci porta a indagare quali siano i fili sotterranei che legano le storie, i desideri, le fantasie, i bisogni di ognuno di noi, nella nostra "normalità" con questa tensione alla violenza. La violenza estrema dell'uccisione rischia di farci dimenticare le tante facce di quell'universo che ha a che fare con lo stupro, con il consumo del corpo femminile, con la sessualità ridotta a sfogo separato dalle relazioni, con l'imposizione del corpo maschile e con le categorie misere della potenza, della prestazione e della virilità incapaci di riconoscere la soggettività femminile.

Quante violenze, quanti abusi nascono dalla rimozione del desiderio e del piacere femminili schiacciati in una presunta complementarietà con le forme che il maschile ha assunto? Cosa dice tutto questo?

Non parla soltanto di una violenza insensata ma racconta di un universo più complesso, un deserto nelle relazioni, una rappresentazione del corpo e del desiderio maschile schiacciati nella categoria dei bassi istinti da imporre con la violenza o con il denaro, di una sessualità maschile ridotta alla sua rappresentazione rattrappita della virilità e scissa dalle relazioni.

Svelare questa miseria non vuole proporre un vittimismo né pensarla esaustiva ma individuare una chiave di lettura della violenza e una prospettiva che faccia della reinvenzione della sessualità maschile la leva per sradicarla e al tempo stesso per aprire nuove opportunità di vita per noi uomini.

Ha avuto ragione Angela Azzaro a chiedere agli uomini una parola di verità che non fugga nell'astrazione politica o sociologica ma che parta da ognuno di noi.

Questo tentativo di riflessione, pur se minoritaria, ha avuto un suo percorso e mi permette oggi di trovare parole per nominarla oltre la Versione riduttiva d e l l a "confessione personale".

La violenza contro le donne e la continua verifica di forme di complicità maschile e femminile con schemi del patriarcato rivelano la vitalità di un sistema di dominio.

Ma è vero che questo è ormai disvelato ai nostri occhi.

E che è sempre più difficile guardare come naturale l'ordine della gerarchia tra i sessi, la presunzione di corrispondere al metro neutro dell'umanità da parte del maschile. Almeno per me è sempre più difficile sopportare le forme di socialità tra uomini, è sempre più difficile stare a mio agio nelle aspettative a cui mi si chiede di corrispondere.

E' come se un modo di guardare il mondo, e di cogliere ciò che segna i linguaggi, la politica, le relazioni, una volta aperto non fosse più rimovibile. E' impossibile non guardare una sala in cui i relatori sono solo uomini e pensare ancora che ciò sia casuale, guardare un corteo con gli uomini alla testa col megafono (quando non schierati militarmente a simulare mimeticamente il "nemico") e non sentire l'estraneità con quella virilità subalterna e ostentata.

Al tempo stesso ogni giorno scopro dentro di me complicità, comportamenti di cui percepisco l'internità a quell'ordine, a quel sistema di gerarchie e poteri. Ogni giorno, nel riconoscimento di autorevolezza tra uomini nella politica o nel lavoro, nel percorrere di notte con agio le strade delle nostre città, nel progettare la mia vita politica e professionale, misuro il peso dei "dividendi" del patriarcato di cui beneficio. Ma ogni giorno, dentro di me, guardando alla perdita di senso e autorevolezza di modelli maschili consolidati e dal suono stonato delle ostentazioni di autorità di molti miei simili, misuro quanto questi dividendi siano pagati con moneta falsa, che non ha più corso nella mia contemporaneità per dare senso alla mia vita e ai miei desideri. Questo continuo movimento tra estraneità e continuità con la storia del genere a cui appartengo è parte della riflessione che come uomo, insieme ad altri ho tentato di sviluppare.
Questa scelta è condizione perché la rottura con la violenza avvenga senza quelle ambiguità che hanno spesso segnato la presa di posizione maschile. Innanzitutto quella del volontarismo: essere contro lo stupro per necessità etica condannando qualcosa che nulla avrebbe a che fare con noi.

La reazione di sconcerto per la violenza è una risorsa da non mettere da parte ma nasconde dentro di sé un doppio rischio di ambiguità:

quello di considerarla una questione che non ci riguarda e verso la quale ci chiniamo per solidarietà e il ricorso, di nuovo, alla qualità virile dell'autocontrollo capace di disciplinare un maschile portatore di una componente naturalmente violatrice e ferina. Un'operazione che dunque non rompe con una rappresentazione storica del maschile come soggetto portatore di istinti irrefrenabili e al tempo stesso detentore della ragione e della capacità di dominio sul corpo proprio e della donna.
I gruppi di uomini che hanno avviato una critica politica ed esistenziale della maschilità scelgono questa rottura con il patriarcato non solo o non tanto per un obbligo etico, quanto come opportunità di liberazione.
Se infatti la tensione del maschile ad affermare il proprio controllo fisico, tecnologico, normativo, sul corpo della donna deriva anche da un conflitto ingaggiato per contrastare il primato femminile nella procreazione, e dalla necessità di costruire un nesso visibile del maschile con la genealogia (fino a fondarla sul nome del padre) il riconoscimento di questo limite può essere l'occasione per fare un'esperienza dell'essere uomini nuova, che fondi nella relazione la costruzione del proprio posto nel mondo.
Il rapporto apparentemente necessario col potere nell'essere uomini non è solo all'origine della violenza contro le donne ma anche della desertificazione delle relazioni tra uomini, della loro fondazione sul silenzio, sulla tacita condivisione di un obiettivo esterno (o di un nemico esterno) che supplisca a quell'impossibile intimità tra corpi potenzialmente invasivi e anestetizzati nella loro capacità di sentire e tra soggetti costretti a misurare nella competizione per il potere la propria identità.
La ricerca delle radici della violenza ci ha portati a indagare la costruzione della maschilità, le domande che hanno attraversato la nostra storia, le costrizioni che hanno limitato le nostre vite. E abbiamo scoperto la libertà femminile e questa ha trasformato il mondo e noi stessi. Le relazioni tra i sessi e il conflitto che segna questa irriducibile differenza sono oggi un terreno su cui si misura la capacità della politica di essere luogo di trasformazione e liberazione e non complice di nuove forme di dominio e gerarchia.
Al contrario linguaggi e priorità programmatiche della politica rischiano di segnare le nostre complicità e rivelare l'inadeguatezza di una politica neutra contro la necessità di costruire soggettività che dalla propria parzialità leggano e reinventino conflitti inediti e non riducibili.
La troppo frettolosamente archiviata sconfitta nel referendum ci ricorda come sulle norme e le tecnologie di controllo dei corpi, esista un conflitto che riguarda la libertà femminile: un terreno su cui la destra costruisce consenso e su cui cresce un'offensiva che non si può contrastare in nome di categorie astratte come la laicità e la libertà di ricerca senza guardare alla materialità dei soggetti.
Così la crescita di politiche di appartenenza identitaria che propongono il sangue, la genealogia maschile come luogo di ricostruzione di identità frammentate dalla globalizzazione e dall'incrinatura di grandi prospettive progressive, esercitano una grande seduzione sugli uomini ad ogni latitudine e aiutano a capire la torsione integralista di movimenti, il continuo rischio di complicità che segna pratiche politiche che si vogliono antagoniste.
E' possibile dunque costruire una politica di trasformazione che non si misuri con una critica dei modelli di mascolinità?
La necessità di aprire una riflessione critica sul maschile e di agire un conflitto esplicito nel maschile sono insomma questione centrale per la politica e la cultura. Pena l'avvizzimento di ogni tensione di trasformazione in forme subalterne e emendative.
Chiedere che questo conflitto che cerchiamo di agire con il maschile diventi politica non è fuga dalla fatica individuale di scavare nelle nostre contraddizioni individuali ma rifiuto di relegarla a questione privata.
E' anche desiderio che, divenendo pubblica e socialmente visibile possa rompere la solitudine con cui molti uomini vivono la propria difficoltà a condividere con altri il proprio singolare differire rispetto a un modello di mascolinità oppressivo.
 
Ho capito , infatti , manifestare , parlare , sparlare , e mai risolvere i problemi.

Detto da uno che ha affermato che si dovrebbe proporre di castrare gli uomini alla nascita perché l'aggressività deriva dal testosterone....

Qualche proposta è stata fatta. Le istituzioni dovrebbero innanzitutto riconoscere dignità al problema.
Ma, chissà poi perché, pare sempre ci siano urgenze maggiori:rolleyes:
:wall::( :cry:
 
Questo è il pensiero di un anarchico.
Un po' "estremo"...

Ma alcune cose le condivido

Il 25 novembre è un’altra di quelle giornate che il cittadino medio maschio, bianco, cattolico ed eterosessuale dedica a pensare alle vittime della sua società capitalista, autoritaria e patriarcale e a lavarsi la coscienza dalle sue responsabilità. Una di quelle giornate fatte apposta per discutere un problema una volta l’anno e poi dimenticarselo per gli altri 364 giorni.
La giornata internazionale contro la violenza delle donne si apre con le ipocrisie della classe politica che a parole la condanna, nei fatti taglia i fondi ai centri antiviolenza, alimenta la cultura maschilista di stereotipi e approva leggi che mortificano le donne, come quella sull’affido condiviso per cui la donna è obbligata a restare accanto al marito per crescere i figli, anche nel caso in cui lui sia un violento che la perseguita o uno stalker già denunciato. Come i ripetuti attacchi alla 194, il tentativo da parte di alcune Regioni (Lazio e Piemonte in primis) di fare entrare il Movimento per la Vita obbligatoriamente nei consultori, e costringere una donna in un momento certo non facile della sua vita a subire un interrogatorio ed essere schedata come una criminale.
Le compagn* del Bollettino di Guerra (Bollettino di Guerra | Cronaca quotidiana di violenze maschili su donne e bambini), un blog che si occupa di violenza sulle donne, hanno contato 129 femminicidi dall’inizio del 2011: centoventinove donne sono state uccise da mariti, compagni o ex. Sono dati che fanno pensare a una guerra, scientificamente condotta da un genere sull’altro per perpetuare il proprio dominio. Sono cifre che dicono che per molte donne è stato impossibile esprimere una propria scelta, quella di allontanarsi da un uomo violento che magari le picchiava.
Il quadro della condizione sociale della donna non è più consolante; si trova a scegliere tra due modelli omologati ed ugualmente autoritari: la santa e la puttana. O sottostà al desiderio maschile, assecondandolo in tutto e per tutto, oppure rinuncia al sesso, impossibilitata in entrambi i casi a un pieno sviluppo della propria personalità. Ciò ha la sua ovvia ricaduta anche sullo stupro: quando una donna viene stuprata, si cercano tutte le attenuanti possibili all’aggressore (aveva bevuto, era da tanto in astinenza e via accampando scuse assurde) e si colpevolizza la vittima (in fondo se l’è cercata), con la sottintesa conclusione che sei stata stuprata vuol dire che te lo meritavi, che tu lo hai provocato con i tuoi abiti(come se la donna dovesse coprirsi perché sennò a qualche povero maschio incapace di trattenersi gli vengono strane idee) e così impari a non sottometterti al dominio di tuo padre/fratello/compagno.
Alle donne sono assegnati una serie di ruoli di cura dei familiari per cui vige un doppio sfruttamento: nel campo lavorativo, perché a parità di lavoro viene pagata di meno, e nel campo domestico perché ricadono tutte sulle sue spalle le fatiche delle “faccende di casa” e dell’assistenza, specialmente ai genitori anziani. La cura dei figli è affidata esclusivamente a lei, con il risultato di spingere ancora di più sul modello dell’ “angelo del focolare” di mussoliniana memoria; la donna si trova a dovere scegliere se lavorare o stare a casa per “fare la madre”.
Come anarchic* dobbiamo rifiutare entrambe le alternative, per consentire un pieno sviluppo dell’individuo e una maternità responsabile. Non possiamo accettare di ridurre un essere umano a una sola dimensione, essere sfruttato a casa o sul posto di lavoro. Non possiamo rivendicare che la donna venga oppressa nella stessa misura dell’uomo. Dobbiamo lottare perché finisca l’oppressione. Dobbiamo costruire una società di liber* e ugual*

:D
Alcune volte metto da parte la mia dolcezza e, quando leggo pagine come questa, mi sento l'anima che divampa e si infiamma.
Anche se, quando la fiamma si spegne, mi resta un po' di amaro in bocca: tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare e quanti, troppi uomini esistono che parlano bene, benissimo e razzolano male....

Che sogno enorme che ho: che questo tipo di "giornata" non abbia più motivo di essere celebrata.

Chissà...

certo io un mondo in cui ci siano rispetto e parità non lo vedrò mai.
E nemmeno i miei figli, temo.
:(
 
In effetti 129 omicidi di donne e' veramente clamoroso, piu' di mafia, camorra e terrorismo; anche in francia i problemi famigliari sono diventati la prima causa di omicidio. C'e' davvero da intervenire urgentemente. Per la castrazione skerzavo suvvia.
 
quando una donna viene stuprata, si cercano tutte le attenuanti possibili all’aggressore (aveva bevuto, era da tanto in astinenza e via accampando scuse assurde) e si colpevolizza la vittima (in fondo se l’è cercata), con la sottintesa conclusione che sei stata stuprata vuol dire che te lo meritavi, che tu lo hai provocato con i tuoi abiti(come se la donna dovesse coprirsi perché sennò a qualche povero maschio incapace di trattenersi gli vengono strane idee) e così impari a non sottometterti al dominio di tuo padre/fratello/compagno.
nonostante sia tanto in astinenza non stupro nessuno :-o
comunque quello sottolineato in neretto, purtroppo è la scusa tipica
di chi vuol sminuire l'atto di violenza in sè
purtroppo fa parte di una certa cultura maschile
mio padre era solito dire a proposito dello stupro
"furto con scasso" parole che mi facevano rabbrividire
però era un bravuomo incapace di violenza
ma era portatore di una certa cultura...quanti scozzi fra me e lui
su questa ed altre questioni
 
Qualunque sia il reato c'e' sempre qualcuno che cerca giustificazioni, tipo hanno pagato la casa a mia insaputa e cose simili. Succede per tutti i reati.
 
In effetti 129 omicidi di donne e' veramente clamoroso, piu' di mafia, camorra e terrorismo; anche in francia i problemi famigliari sono diventati la prima causa di omicidio. C'e' davvero da intervenire urgentemente. Per la castrazione skerzavo suvvia.

Nel 2011, 156 donne morte ammazzate, per mano di uomini (ex marito, mariti, fidanzati, ex fidanzati. ecc ecc.)

Omicidio di genere, si chiama ed è la principale causa di morte violenta delle donne in Italia. Una ogni due giorni, circa.
Il che è agghiacciante.
:(
 
Si avvicina questa data.
Leggo di questo video "gioco" (GIOCO???? :eek: :cry:)
RapeLay, lo Stupro Diventa un Gioco!! | FacceDaGioco

Clicco il video di youtube riportato nella pagina e leggo i commenti al video.

E mi spavento.
Piango.
Torno indietro a un tardo pomeriggio di quasi 20 anni fa e mi viene da vomitare.

Quanto abbiamo ancora da fare? Quanta strada ancora da percorrere?
Mi sento un buco nello stomaco e nel cuore.
 

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