I due economisti poi cercano di analizzare le vie d'uscita e, seppure con differenti sfumature, le conclusioni sono simili: o un cambiamento a 180 gradi delle politiche economiche europee con meno tasse, più spesa e Bce garante del debito e disposta a tollerare l'eventuale inflazione, oppure l'unico modo per salvarsi è l'uscita dalla moneta unica, trauma che però risolverebbe alla radice i problemi di competitività con una normale svalutazione, riavviando la crescita. I medici del veleno tuttavia predicano sventure: guai, disperazione e carestia attendono chi mai dovesse osare mettere in discussione il dogma dell'euro. Basterebbe vedere quale prosperità ha invece raggiunto Atene seguendo le loro ricette per seppellirli di risate, ma il timore dell'ignoto è comprensibile.
Eppure è dimostrabile che i disagi (principalmente pratici) paventati in caso di uscita dalla moneta unica possono essere minori di quanto si pensi. Certo, ridenominare il debito in un'altra valuta è un default ma se l'alternativa a questo cambio di valuta fosse peggiore, anche i creditori capirebbero. Il timore più grande nel caso di uscita dall'euro, vale a dire la fuga dei capitali, è una lama spuntata, dal momento che il famigerato spread dimostra semplicemente come quella fuga sia già in atto.
Della ricchezza degli italiani la parte immobiliare, con quasi 6.000 miliardi, rappresenta la proporzione maggiore del valore e (per definizione) non scappa. Il contante vale solo 100 miliardi, di più sono i depositi anche se in buona parte risparmio postale o vincolato, però non sono più trasferibili oltrefrontiera senza problemi, specialmente considerando i controlli pervasivi di cui ormai il governo può disporre. Non sono un problema né le azioni quotate (poche, 80 miliardi, e in pratica beni reali) né le partecipazioni né i titoli esteri (non sarebbero impattati dal cambio). Rimangono solo quindi i titoli domestici di debito. Qui però la fuga è già avvenuta e probabilmente il calo dei prezzi è già superiore al timore di cambio valuta.
Difficile che uno venda un Btp a prezzi molto bassi temendo una svalutazione che probabilmente sarebbe inferiore di quella implicita nei valori attuali.
Anche il cambio della valuta fisica sarebbe relativamente indolore, basterebbe una conversione alla pari con la nuova valuta di contratti, stipendi e depositi (conversione, non cambio: a quel punto il cambio esterno con l'euro sarebbe definito dal mercato e ci interesserebbe quanto ci interessa ora il cambio con il dollaro) per non dover nemmeno cambiare i cartellini dei prezzi. Mantenendo provvisoriamente gli stessi formati delle banconote non occorrerebbe neppure cambiare bancomat e macchinette. Disagi e rischi ci sono, tuttavia se sull'altro piatto della bilancia c'è la miseria dell'oppressione fiscale e dell'austerità recessiva infinita è da irresponsabili non considerare l'alternativa.