IL FUTURO DIPENDE DA CIO' CHE FAI OGGI

Quando il petrolio cala sino a 30 dollari al barile c’è da attendersi una crisi molto forte delle società del settore,
soprattutto di quelle impegnate nella produzione di Shale Oil che , per la sua natura,
è molto più costoso rispetto a quello estratti con le tecniche tradizionali di trivellazione.

Ci sono banche particolarmente esposte che rischiano di saltare in questa situazione di profonda crisi.

Ecco un elenco delle banche con maggiore esposizione verso il settore energetico,
secondo una classifica di Morgan Stanley, considerando le percentuali settoriali sui prestiti totali:



  • BOKF è la BOK Financial corporation di Tulsa,
  • CFR is Cullen Frost San Antonio , Texas;
  • CADE è la Cadence Bank di Huoston Texas;
  • CIT bank è la filiale del CIT Group di Pasadena, CA;
  • PB è la Public Bank Berhad, Malese;
  • EWBC è la East West Bank Corporation;
  • C è il noto gruppo Citigroup;
  • RF è la Regions Bank di Birmingham, Alabama;
  • ZION è la ZIONS Bankcorp di Salt Lake City, la banca dei Mormoni;
Soprattutto i primi istituti rischiano di avere dei problemi se il petrolio a questi prezzi non fosse un avvenimento temporaneo,
ma si protraesse nel tempo, e questo potrebbe richiedere un intervento massiccio della FED o di altri istituti a salvataggio.

I grandi istituti di credito si sono coperti in questi anni, calando l’esposizione in questo settore e diversificando,
al contrario l’esposizione è molto pericolosa per istituti di medie dimensioni:



Vedremo se sarà necessario un intervento pubblico come nel 2008…
 
Dopo gli attacchi in borsa all’Italia oggi, il governo NON ha chiuso le borse o non ha vietato le vendite allo scoperto.

Era una decisione politica che poteva prendere.

Ha invitato a nozze gli speculatori.

Ennesimo golpe, il più brutto, il più vile, all’Italia.

E in tutta questa emergenza si anticipa la riforma del MES al 16 marzo all’Eurogruppo.

Quindi ci stanno prendendo il paese, stiamo in ginocchio per l’emergenza ma la BCE
ammette nuovamente quello che sapevamo tutti, che non può stampare e distribuire moneta
neanche per un’occasione tragica come questa, dove la Cina ce la sta facendo
proprio perchè ha stampato tutta la moneta che ci voleva per contenere e rallentare il contagio del virus.

La scusa di Bruxelles invece sarà che dovremo “prendere in prestito” i soldi “del MES” che le abbiamo regalato,
con tanto di “condizionalità”, come se non bastasse.


Noi dobbiamo – ma sappiamo che abbiamo un governo, l’ennesimo, che NON ci rappresenta –
opporci alla riforma del MES, ed emettere cambiali, statonote, CCF, anticipi girabili, tutto quello che serve per salvarci la vita. Punto.

Perché se non lo aveste notato, questa è la nostra fine greca, solo che per noi hanno quintuplicato la dose.

E manco a farlo apposta, non potremo neanche scendere in piazza per protestare contro la decisione del governo di approvare il MES a Bruxelles.

 
Vi presentiamo un video nel quale Antonio Maria Rinaldi invita il ministro dell’economia Gualtieri
a NON firmare le modifiche del MES, molto stringenti nei confronti degli stati,
in un momento in cui l’economia e la coscienza nazionale sono scosse dal problema dell’epidemia
ed il parlamento italiano è in difficoltà.

Sarebbe una coltellata alla schiena in un momento in cui, invece, c’è bisogno di ben altro.

https://scenarieconomici.it/wp-content/uploads/2020/03/WhatsApp-Video-2020-03-09-at-5.59.59-PM.mp4
 
Sarebbe il caso che qualcuno iniziasse a dire qualcosa.
Sarebbe il caso di svegliarsi.

Il corto circuito che sta fulminando il Paese è provocato da tre criticità:
sanitaria
, che è la prima e più rilevante di tutte, economica e politica.

Cigni neri
che si muovono simultaneamente e che insieme possono compromettere la vita di milioni di persone,
la tenuta dei conti pubblici, dei bilanci delle aziende, il mantenimento dell’occupazione e la credibilità internazionale dell’Italia.

Davanti all’incendio non ci sono santi che tengano: va spento il prima possibile
e nessuno si può rifiutare di usare l’estintore o portare secchi d’acqua.

Sulle norme sanitarie, d’ordine pubblico e controllo del territorio non sono concepibili, nell’immediato,
polemiche strumentali e divisioni di sorta tra istituzioni e partiti.

Lo stesso si deve dire per i provvedimenti indifferibili di finanza pubblica:
quelli sul potenziamento degli organici negli ospedali, sull’acquisto di strumentazioni terapeutiche,
sul sostegno agli anziani o alle famiglie e via dicendo.

Anche su questi temi e almeno per il momento, i partiti devono ammainare le loro bandiere e convergere nella ricerca di soluzioni comuni.

Non così su altre criticità. Il tracollo dell’economia e il forte peggioramento dei conti pubblici
esigono proposte autonome delle forze di governo e di quelle d’opposizione.

Su questo doppio fronte, le due coalizioni si devono assumere separata responsabilità davanti al corpo elettorale.

Il contrario, dunque, di quel che vorrebbero accadesse il Presidente del Consiglio,
il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle, che auspicano anche su questi temi l’incontro delle volontà di maggioranza e opposizione.

Se non ci fermiamo alla superficie, in questa invocazione di convergenza c’è qualcosa che non torna.

Vediamo dove sta il bluff.

La democrazia si regge sulla contrapposizione tra maggioranza e opposizione,
sicché la loro riduzione ad unità è una forma di sospensione delle regole della democrazia stessa.

Se sospensione vi deve essere, allora, la sola strada può essere quella di un governo di unità nazionale,
con un voto parlamentare espresso, un programma preciso, l’approvazione e il controllo del Capo dello Stato,
com’è accaduto in alcuni momenti drammatici della storia repubblicana.

Si pensi al governo De Gasperi III del 1947, immediatamente successivo alla nascita della Repubblica,
oppure al governo Andreotti IV del 1978, varato all’indomani del rapimento del presidente Aldo Moro
e dell’uccisione degli uomini della sua scorta.

Esperienze tra loro diverse e dal peso politico assai differente, ma forgiate intorno all’idea di unire,
in esecutivi formalmente costituiti, partiti antitetici.

Questi governi, proprio perché nati per esigenze specifiche e col concorso di forze ideologicamente contrapposte,
ebbero vita breve: superata la fase acuta dell’emergenza, le regole democratiche furono pienamente ripristinate,
caddero i governi e furono indette elezioni anticipate.

Ad oggi non v’è volontà politica di costituire un governo di unità.

I soli partiti disponibili sono Lega e probabilmente Forza Italia.

Fratelli d’Italia
si oppone per questioni ideologiche - e per questo rispettabili -
mentre Partito Democratico e Movimento 5 Stelle si oppongono per motivi di bassa cucina.

Un governo di unità non potrebbe che avere durata limitata: finita l’emergenza dovrebbe cedere alla volontà delle urne.

Ipotesi dalla quale, invece, democratici e pentastellati fuggono a gambe levate.

Ed eccoci al bluff.

Pd e Movimento, si è detto, vorrebbero usare il cigno nero dell’emergenza economica
per indurre l’opposizione a votare a favore di provvedimenti “emergenziali”
proposti congiuntamente da tutte le forze “responsabili”.

In questo modo, se l’opposizione cadesse nel tranello, la maggioranza prenderebbe due piccioni con una fava:
non si assumerebbe in proprio responsabilità politiche per scelte che non potranno che essere dolorose,
in ragione, appunto, della gravità del tornante economico, e al tempo stesso rimarrebbe
comodamente seduta negli scranni di Governo e Parlamento col dire di dover fronteggiare l’altro cigno nero, quello sanitario.

La sospensione contingentata delle regole democratiche, con un Governo di unità, può essere accettata.

Non può essere accettato, invece, l’imbroglio della convergenza.

Con le regole della democrazia non si gioca, neppure al tempo del Covid-19.
 
Nel giro di nemmeno un mese siamo passati dal governatore della Toscana Enrico Rossi
che dava dei “non informati” e dei “fascio-leghisti” a chi voleva imporre dei controlli più stringenti
sui cinesi di rientro a Prato, al decreto che ha trasformato la Lombardia nel più grande lazzaretto
a cielo aperto mai visto della storia italiana.


Sissignori, qui si sta facendo la storia e pure male, molto male.

È francamente impensabile e molto oltre i confini del surreale, che quando in Cina schierava l’esercito
a sparare a chiunque uscisse da Wuhan e superasse le trincee scavate dai caterpillar
per evitare che anche solo una persona lasciasse l’epicentro del Covid-19 e ci arrivavano
immagini allarmanti di città fantasma e medici bardati dalla testa ai piedi come se si dovesse affrontare una guerra nucleare,
qui ci fosse gente che lanciava iniziative ridicole come “abbraccia un cinese”.

Altrettanto penoso che anche persone di una certa intelligenza e di un certo spessore e ruolo,
come un Presidente della Repubblica, si siano piegate alla narrazione girotondina
prestata al grillopiddismo del volemose bene, dell’apriamo questo e riapriamo quello.


Era il minimo che un aperitivo nella Milano che non era affatto da bere in un contesto sanitario
già evidentemente allarmante con interi comuni già in quarantena, contagiasse il suo protagonista Nicola Zingaretti,
persona suppostamente neuro dotata nonché politico al governo di una regione intera e segretario di un partito
– seppure partito alla deriva assoluta – che si presupporrebbe possedere un minimo di lungimiranza nel valutare le situazioni.

Ma, nel balletto a chi sminuiva meglio, durato settimane preziose,” l’influenza stagionale ci impegna di più”, disse.

Eppure è tanto ovvio che si richieda a chi ci deve amministrare, organizzare e anche proteggere,
di possedere intelligenza, capacità di analisi, di presunzione e di deduzione, prevenzione, lungimiranza,
azione e risoluzione e non l’ingegno di scegliere le tartine migliori all’happy hour: in politica l’ingenuità non si può perdonare

. In questo tripudio di leggerezza, svetta poi che la comunicazione istituzionale del governo italiano
nella persona di Giuseppe Conte sia stata così claudicante e ci abbia sottoposti ad un infinito stop and go senza amai arrivare al punto.

Al punto ci hanno fatti arrivare di colpo i 7.375 contagiati, facendoci capire che dobbiamo stare a casa, e le persone decedute.

E non le sto nemmeno a contare per rispetto, perché sono sempre troppe.

Abbiamo dovuto assistere a bollettini allucinanti in cui i malcapitati ci tenevano a sottolineare che i morti “erano anziani”
o che erano affetti da altre patologie: un cane, uno, che si fosse soffermato a pensare sul fatto che erano genitori e nonni di qualcuno
e soprattutto cittadini italiani che non siamo, non sono, i nostri amministratori, stati in grado di proteggere
da un’epidemia misteriosa e improvvisa nonostante esista un Piano Nazionale di preparazione ad una epidemia di tipo influenzale da quel dì.

Bastava fare due telefonate a qualche scienziato serio due mesi fa per capire che il problema era la contagiosità esponenziale
e la pericolosità in relazione al collasso dei reparti di rianimazione e terapia intensiva.

E chi le doveva fare quelle telefonate?
Io o il presidente del Consiglio e il presidente della Repubblica?
O magari il ministro della Salute o dell’Interno?
Chi doveva accorgersi che non c’era un protocollo operativo e normativo nazionale univoco?


Certo, questa è un’emergenza nazionale, ma l’italiano medio che ci governa e cavalca anche il dramma
per mostrarsi come l’uomo nuovo, l’uomo tranquillo che affronta tutto con serietà e serenità,
dopo le boiate low profile sul “problema” si fa addirittura sfuggire una bozza di decreto pre-bellico prima della sua entrata in vigore.

Le cose non ce le hanno dette chiare dall’inizio, ma per fortuna è intervenuto il tam tam dei social,
che per quanto abbia esumato una moltitudine informe di cadaveri cerebrali, anche stavolta ha fatto il suo,
facendo circolare idee, opinioni, facendo trapelare opinioni anche qualificate che sicuramente sono state d’aiuto
nel farsi un’opinione su quello che non ci veniva detto.

L’impressione di essere in un regime che si è fidato di un altro regime –comunista e di tipo autoritario è bene sottolinearlo –
si è avuta lo stesso e non spiace dirlo, perché costoro al governo non ci dovevano stare
dopo che alle urne gli italiani li avevano fatti praticamente sparire.

Ma sappiamo com’è andata: non ci hanno fatti rivotare.

Aggiungiamo alla tragedia del tracollo economico imminente ed ormai inevitabile,
che siamo da sempre il paese dove nessuno controlla niente e alle sanzioni ridiamo in faccia,
dove si “forzano” quarantene e posti di blocco all’acqua di rose per andare a sciare,
dove ci si dimentica che tuo figlio vive a Lodi quando arrivi al triage e contagi tutti,
dove a mezzanotte di domenica ti scapicolli alla Stazione centrale a prendere il treno
fregandotene se infetti il mondo, dove ci si lamenta per la palestra chiusa,
per i figli a casa e “non toglietemi il sabato sera fuori!”.

In serata prevedono l’arresto fino a tre mesi per chi viola le regole di contenimento.
Tutto sempre in serata, tutto sempre intempestivo.

E allora ti aspetti a breve scene di panico da film dove qualcuno irrompe armato in un reparto di terapia intensiva
sparando alla camorrista per mettere il boss al posto di tua nonna. O di tuo figlio,
perché i protocolli prevedono già di aiutare chi ha più speranze di vita, che significa affidarsi alla speranza
che gli scartati ce la facciano e lasciarli nelle mani del Signore.

E chi è questo “Signore”? A quanto pare, per l’ennesima volta, uno Stato inefficiente e tardo, per non dire ritardato,
che si comporta come un buttafuori da discoteca di quart’ordine, tu sì tu no,
e che ha giocato con la vita della gente per settimane e ora assurge a Dio.

E ormai, arrivati a questo punto, non possiamo nemmeno più contestarglielo, dovremmo solo cacciarli via.

Ecco, adesso pensate se scoppiava una guerra vera, che tanto poco ci manca.
 
Personalmente, quando esco, la mascherina la metto.......solo da 2 giorni, però.:boxe:

Riporto questo studio che non so quanto attendibile.


Un passeggero che già avvertiva i sintomi della malattia, identificato come "A",
è salito su un autobus a lunga percorrenza di 48 posti al completo,
sedendosi in penultima fila, senza mascherina per coprire il volto.

In base alle immagini delle telecamere a circuito chiuso, l'uomo non ha avuto interazioni
con altri passeggeri durante tutto il viaggio, durato quattro ore.

In questo lasso di tempo il Covid-19 è riuscito a posarsi su altri sette passeggeri
prima che il soggetto A scendesse dal mezzo, tra cui alcuni che sedevano sei file più avanti del paziente zero in questione,
collocati, tra l'altro, a una distanza stimata di circa 4,5 metri.

Dopo mezz'ora dalla fine della corsa un altro gruppo di persone è salito sull'autobus.

Uno di loro che non indossava la mascherina è rimasto contagiato, probabilmente per le particelle
inalate dal gruppo di passeggeri seduti in precedenza.

Il solito paziente preso in considerazione è poi salito su un altro minibus contagiando,
in un'ora, altre due persone, una delle quali distante 4,5 metri.

Lo studio ha dimostrato come nessuna delle persone che indossavano una mascherina per coprire il volto
durante il viaggio con il paziente zero abbia contratto il coronavirus.

Certo, rimangono ancora interrogativi aperti sullo studio, tra cui il fatto che la persona seduta al fianco di A
non ha contratto il Covid-19 pur avendo l'esposizione più alta delle altre.

Eppure la conclusione dei ricercatori è quella di indossare le mascherine quando si prendono i mezzi pubblici,
comprese metropolitane e aerei,
ridurre al minimo il contatto tra le mani e le aree pubbliche
ed evitare di toccare la faccia prima di averle pulite.
 
In attesa della conclusione della gara per allestire 5mila postazioni di rianimazione,
la protezione Civile ha firmato attraverso la Consip un contratto con la ditta Siare Engineering di Valsamoggia,
provincia di Bologna, per la fornitura immediata di 320 respiratori.

A questi si aggiungono diversi ventilatori provenienti da altre parti.

Valsamoggia è un'altra trincea del contagio: non perché è zona rossa, ma perché è il luogo che fa respirare l'Italia.

Nelle ultime ore da qui sono partiti «320 respiratori polmonari destinati a Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte.
Abbiamo aggiunto 5 macchine in extremis per la Liguria. Lavoriamo ora dopo ora» ci spiega il direttore generale, Gianluca Preziosa.

Al lavoro ci sono 35 dipendenti specializzati nell'assemblaggio e nel collaudo di apparecchi respiratori.

Venticinque tecnici dell'esercito prederanno servizio in supporto da domani, istruiti da 15 tutor:

«Non accadeva dai tempi della guerra che militari entrassero nella produzione»
commenta il direttore di questa piccola e «unica realtà» italiana.

Di aziende di questo tipo «in Europa ce ne sono cinque».

Si punta a fornire 500 ventilatori al mese. Duemilacinquecento in cinque mesi come minimo.

Equivale alla produzione di questa ditta in due anni e mezzo di lavoro, al 14% della produzione mondiale.

Nel mondo si fabbricano infatti «circa 35mila respiratori».

Sembrano numeri piccoli a paragone del rischio di trasmissione dell'infezione,
se si pensa che i pazienti che vanno in terapia intensiva sono mediamente il 10%.

La matematica è una delle chiavi di lettura del contagio.

I posti in terapia intensiva in Italia sono 5.300. Settecento sono già occupati da malati di coronavirus.

Se il Covid-19 si diffonde troppo, i respiratori devono aumentare di pari passo.
Per questo l'atteggiamento dei cittadini è la vera carta vincente.

Almeno sedici respiratori al giorno usciranno da questa azienda,
«ma ne servono di più. Mi auguro che Consip trovi anche altri operatori.
Confidiamo comunque in un ulteriore aiuto dell'esercito. Potete immaginare lo sforzo immane».

Straordinari, lavoro anche il sabato, massima sicurezza perché ognuno dei 35 è fondamentale:
«Non possiamo permetterci di perdere nessuno».

Ci sono poi 100 lavoratori delle aziende fornitrici che devono inviare i pezzi e che «si stanno facendo in quattro».
Tutto «organizzato in 48 ore dai primi contatti di venerdì».

Con una precisazione. «Nessuna speculazione. Le macchine vengono date al 50 per cento in meno rispetto al normale. Abbiamo ragionato da patrioti».

Patrioti sembra una parola enfatica, ma è il concetto di contribuire ognuno per quello che può.

«Servono spazi e servono misure ancora più rigide. Il contagio deve essere arginato.
Non si può arrivare a staccare un respiratore ad un malato per attaccarlo a un altro».
 
Nonostante il virus questitengono sempre la testa al posto del
Certo, con lo stipendio che prendono questi se ne fregano del mondo reale.
Vivono nelle nuvole.......a loro vicine.

La nuova sentenza della Corte costituzionale è destinata a far discutere.

La Consulta ha infatti stabilito, con la sentenza 44 depositata lunedì 9 marzo, che

«è irragionevole negare l'accesso all'edilizia residenziale pubblica (ovvero le case popolari) a chi, italiano o straniero,
al momento della richiesta non sia residente o non abbia un lavoro nel territorio della Regione da almeno cinque anni».

La relatrice, Daria De Pretis, ha esposto i termini della decisione spiegando come la censura
fosse stata sollevata dal Tribunale di Milano sul requisito

«della residenza o dell'occupazione ultraquinquennale stabilito dalla legge della Regione Lombardia 16 del 2016
per accedere ai servizi abitativi (articolo 22, primo comma, lettera b)».

Come si legge nelle motivazioni,

«questo requisito, infatti, non ha alcun nesso con la funzione del servizio pubblico in questione,
che è quella di soddisfare l'esigenza abitativa di chi si trova in una situazione di effettivo bisogno».

Il requisito delle residenza per 5 o più anni, insomma, ai fini della concessione dell'alloggio popolare
non ha giustificazione perché non costituisce indice «di un'elevata probabilità di permanenza»,
ma anche perché il fatto che il richiedente sia radicato sul territorio non costituisce metro per l'esclusione dal diritto di avere un alloggio.

Il periodo di cinque anni potrebbe quindi essere fondamentale solo per la formazione delle graduatorie.

Per la Corte la norma viola i principi di uguaglianza e ragionevolezza perché discrimina una fascia di persone.
Oltretutto, secondo i giudici che hanno emesso la sentenza, quella stessa norma va a contrastare
anche con il principio di uguaglianza sostanziale, perché il requisito temporale richiesto contraddice
la funzione sociale dell'edilizia residenziale pubblica.

Un problema, quello delle case popolari, molto sentito anche a causa del numero degli stranieri
che negli anni hanno superato per assegnazioni e in graduatoria moltissimi cittadini italiani.
 
Dopo gli attacchi in borsa all’Italia oggi, il governo NON ha chiuso le borse o non ha vietato le vendite allo scoperto.

Era una decisione politica che poteva prendere.

Ha invitato a nozze gli speculatori.

Ennesimo golpe, il più brutto, il più vile, all’Italia.

E in tutta questa emergenza si anticipa la riforma del MES al 16 marzo all’Eurogruppo.

Quindi ci stanno prendendo il paese, stiamo in ginocchio per l’emergenza ma la BCE
ammette nuovamente quello che sapevamo tutti, che non può stampare e distribuire moneta
neanche per un’occasione tragica come questa, dove la Cina ce la sta facendo
proprio perchè ha stampato tutta la moneta che ci voleva per contenere e rallentare il contagio del virus.

La scusa di Bruxelles invece sarà che dovremo “prendere in prestito” i soldi “del MES” che le abbiamo regalato,
con tanto di “condizionalità”, come se non bastasse.


Noi dobbiamo – ma sappiamo che abbiamo un governo, l’ennesimo, che NON ci rappresenta –
opporci alla riforma del MES, ed emettere cambiali, statonote, CCF, anticipi girabili, tutto quello che serve per salvarci la vita. Punto.

Perché se non lo aveste notato, questa è la nostra fine greca, solo che per noi hanno quintuplicato la dose.

E manco a farlo apposta, non potremo neanche scendere in piazza per protestare contro la decisione del governo di approvare il MES a Bruxelles.


non serve a nulla chiudere le borse, lo si è visto storicamente anzi crea ancora più panico alla riapertura
 
“Si lascia filtrare la bozza di un decreto severissimo che manda nel panico la gente
che prova a scappare dall’ipotetica zona rossa, portando con sé il contagio.
Alla fine l’unico effetto è quello di aiutare il virus a diffondersi. Non ho parole”.

Lo spettro di un contagio che sembra inarrestabile e che sta mandando al collasso il sistema sanitario più efficiente d’Italia,
a cui francamente non pensavamo di dover assistere.

D’altro canto, già in precedenza dal di fuori si sono avvertiti abbastanza chiari i segni di un ben noto italico pressappochismo,
a cominciare dall’iniziale sottovalutazione con cui si è affrontato un problema che molti elementi segnalavano essere assai grave.

In particolare, le lunghe e singhiozzanti trattative che hanno caratterizzato fin qui le decisioni del Governo,
con il nemico coronavirus ben entro le porte, non sono apparse efficaci né sul piano concreto e né su quello della rassicurazione di massa.

Basti dire che nella zona della bergamasca in cui stava dilagando l’infezione, nonostante i pressanti appelli dei sindaci
affinché le autorità centrali prendessero una rapida decisione, è passata quasi una settimana in totale assenza di risposte.

Quasi che il virus, nel frattempo, si fosse preso una pausa di riflessione.

Vorrei sinceramente essere smentito dai fatti, tuttavia ho la sensazione che pure nei riguardi di una così grave emergenza nazionale
all’interno della maggioranza domini, ogni qual volta vi sia la necessità di adottare una misura importante,
una estenuante trattativa tra le varie forze politiche nello spartirsi le solite bandierine propagandistiche.

Una caratteristica quest’ultima che riscontro a livelli quasi maniacali soprattutto tra gli esponenti del Movimento 5 Stelle, Luigi Di Maio in testa.

Tutta gente che dichiarava di voler rivoltare il Paese come un calzino ma che, alla prova dei fatti,
si sta connotando come la peggior emanazione di alcuni nostri storici vizi nazionali: superficialità e pressappochismo
a cui si aggiunge una certa qual mancanza di senso responsabilità.

Da qui sembra manifestarsi la cifra di un Governo che, visto il modo con cui “prepara” le sue misure in un simile momento,
evidentemente ritiene che sia sufficiente scrivere un decreto onde impedire ai buoi di fuggire dalla stalla
anche se quest’ultima resta drammaticamente aperta.

Ma i buoi, come si vede, sono oramai lontani centinaia di chilometri.
 

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