IL FUTURO DIPENDE DA CIO' CHE FAI OGGI

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Fca chiude temporaneamente alcuni impianti italiani nell’ambito delle misure per contrastare la diffusione del coronavirus.
Si fermano le fabbriche di Pomigliano oggi, giovedì e venerdì, Melfi e la Sevel giovedì, venerdì e sabato,Cassino giovedì e venerdì.

Tutti gli stabilimenti italiani saranno coinvolti in interventi straordinari.

Interventi «straordinari»
Da quanto si apprende dal gruppo si tratta «interventi straordinari» che arriveranno anche, in alcuni casi,
alla chiusura temporanea di singoli impianti per mettere in atto tutte le misure possibili per minimizzare il rischio di contagio tra i lavoratori.

In particolare, saranno ridotte le produzioni giornaliere con un minor addensamento di personale nelle principali aree di lavoro.

In ogni stabilimento saranno inoltre fatti interventi specifici di igienizzazione delle aree di lavoro
ed in particolare delle aree comuni di relax, degli spogliatoi e dei servizi igienici.

Al via processo di igienizzazione
Le azioni di igienizzazione dei singoli locali proseguiranno anche successivamente a questo primo intervento straordinario.

Questi nuovi importanti interventi rafforzano le misure di sicurezza che sono state immediatamente implementate
all’esplosione del virus in Italia nelle scorse settimane e che sono state comunicate a tutti i lavoratori italiani
con molteplici strumenti di comunicazione interna (Employee Portal, locandine nei siti produttivi, informative dei singoli responsabili delle risorse umane).

Facilitazione del lavoro a distanza
Tra le principali azioni, la facilitazione del lavoro a distanza per gli impiegati e l’applicazione di rigidi controlli
e misure di sicurezza nelle mense e agli accessi di tutti i siti del gruppo.

Tutte le altre strutture amministrative di Fca continueranno regolarmente le loro attività nel rispetto delle norme
e delle disposizioni governative con al tempo stesso il mantenimento delle misure di sicurezza e igiene
applicate fin dal primo momento dell’esplosione del virus Covid-19.
 
Ho fatto un giro per il centro della città.

Ci sono aperti 2 - proprio DUE - bar.

Aperti i Macellai. Aperti i negozi di alimentari.

Un negozio che vende toner, uno di cibi pronti, un'oculista,
una parafarmacia, 3 di abbigliamento, uno di casalinghi.

Vado per eccesso. 10 negozi aperti.

Non ho visto la guerra ........ma sembra di essere a ferragosto.
 
Al centro del dibattito ora c’è la proposta dell’opposizione del centrodestra,
ispirata dalle richieste dei Governatori delle Regioni settentrionali,
di un blocco totale di almeno quindici giorni per colpire in maniera definitiva il coronavirus
e bloccare una espansione del contagio che può trasformare l’epidemia in una pandemia.

È difficile stabilire se la misura estrema potrebbe essere decisiva.

Ma è facile rilevare come potrebbe anche dare un colpo definitivo alle speranze del Paese
di risollevarsi in tempi ragionevoli dopo questa fase di guerra combattuta sul terreno virale.

Il rischio non è quello della riduzione delle libertà personali e della fine dell’illusione di poter continuare a vivere all’infinito
continuando a godere dei benefici conquistati dai nostri genitori ed antenati delle generazioni passate.

Il pericolo è che le devastazioni potrebbero essere talmente diffuse ed incisive da rendere impossibile la ripresa, la ricostruzione, la ripartenza.

La guerra, naturalmente, è guerra. E comporta dei costi pesantissimi.

Fino ad ora ne abbiamo pagati parecchi, primo fra tutti il danno d’immagine che ha fatto del nostro Paese
il focolaio dell’Europa ed il lazzaretto del Vecchio Continente.

Rompere l’isolamento non sarà affatto facile. Ma è indispensabile provarci.

Ma non ricreerà le condizioni di un tempo e non ci riporterà nell’età dell’oro in cui pensavano di poter vivere per lungo tempo.

Nell’ora più buia si accendono le luci. È arrivato il momento!
 
La circostanza impone di sollevare un quesito.

Ma quando il governo discuteva del decreto che rendeva sempre più difficili i colloqui dei detenuti con i propri familiari,
il ministro Alfonso Bonafede era presente o era andato a prendere un caffè?
 
Approfittando dell’epidemia, i burocrati di Bruxelles guidati dal ministro Gualtieri, con la complicità di Conte,
hanno anticipato l’approvazione sulle norme che distruggeranno quel che resta dell’economia nazionale

11 Marzo 202010 Marzo 2020

Se Conte e Gualtieri fossero uomini politici seri e responsabili chiederebbero per prima cosa all’UE
il rinvio della riforma del MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) il discusso fondo “salvastati”.
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Pensate che quei signori inqualificabili che sono i burocrati di Bruxelles
lo hanno inserito addirittura come primo punto all’ordine del giorno della riunione dell’Eurogruppo di lunedì prossimo 16 marzo…

Talmente importante che la discussione di provvedimenti contro il Covid-19 slitta addirittura al terzo posto.

La discussione era originariamente prevista per aprile, ma è stata anticipata,
probabilmente proprio per approfittare del coronavirus utilizzato come “arma di distrazione di massa”.


Invece il premier Conte e, naturalmente, il ministro Gualtieri (che peraltro prende ordini solo dalla BCE)
non hanno neppure risposto alla esplicita richiesta in tal senso formulata da Salvini e dalla Meloni nel corso dell’incontro avuto ieri a Palazzo Chigi.

Può sembrare assurdo ma il MES è una minaccia ancora peggiore del coronavirus.

L’epidemia ci colpisce e falcidia per qualche settimana o mese:
il MES ci porterà tutti definitivamente alla fame per anni .

Non può stupire, dunque, che oltre all’emergenza coronavirus, Matteo Salvini abbia ricordato che:

“Sullo sfondo di tutto c’è il silenzio dell’Ue che pensa più al MES che al virus
e che dimostra ancora una volta la sua lontananza dagli italiani».

«L’Europa è totalmente assente, deve svegliarsi» ha aggiunto Giorgia Meloni.

Purtroppo, l’introduzione del MES, così come previsto dall’UE,
è proprio il motivo principale della presenza di Gualtieri nel governo che, ancor prima di diventare ministro
spinse lo scellerato Conte a firmare l’impegno a nome di un’Italia che non ne sapeva nulla.

Non ci meraviglieremmo quindi se lunedì Conte darà ancora una volta l’ok.

Come sappiamo l’esecutivo Conte-Gualtieri è nato proprio da un esperimento genetico costruito nei laboratori di Bruxelles.

Gualtieri, collaboratore di Cristine Lagarde, rappresentante della Open society di Soros,
può essere considerato il garante dei poteri forti UE per i ruoli ricoperti nelle istituzioni europee,
prima di venire a fare il ministro per rovinarci del tutto.


L’ok alla riforma del MES, nel testo attuale, darà il colpo di grazia all’economia italiana,
in quanto il nostro Paese dovrebbe versare centinaia di miliardi al fondo,
al quale però non potrebbe mai attingere, perché per ottenerne l’aiuto finanziario
occorrerebbe non essere sottoposti a procedura per disavanzi eccessivi.

Sappiamo bene che, invece, l’Italia – soprattutto ora – non ha certo un deficit inferiore al 3% del Pil
né un rapporto fra debito e Pil inferiore al 60%.

Anzi, sia con la manovra economica di dicembre sia, ora, con la richiesta di “sforamento” per l’emergenza coronavirus,
Gualtieri ha fatto di tutto per portarci fuori da questi parametri.

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da “Italia Oggi”
Perché?

Perché in queste condizioni l’Italia dovrebbe sottostare a una serie di condizioni capestro per qualsiasi contributo.
Di fatto verrebbe commissariata dalla UE o meglio dalla famigerata Troika: UE-BCE-FMI
che spolperebbe il nostro Paese di ogni residuo tesoro (Ferrovie, Poste, Leonardo, Fincantieri…).
ED I RISPASRMI DEGLI ITALIANI.


Oggi l’Italia è economicamente, politicamente e moralmente molto più debole di qualche mese fa
e la cattiva gestione dell’emergenza coronavirus ci ha dato il colpo di grazia.

Siamo il Paese con più contagi e morti dopo la Cina e questo grazie solo e soltanto a una politica dissennata,
come ormai unariamente riconosciuto a libello mondiale.

Un governo inetto che prima ha sottovalutato il pericolo, poi perso tempo, non ha avuto (e non ha) coraggio,
ha preso decisioni sbagliate e contraddittorie, sordo agli appelli che giungevano dalle regioni, dagli ospedali e dai virologi.

Dopo Caporetto il governo si dimise e venne sostituito anche il Capo di Stato Maggiore.

Qui invece il presidente della Repubblica tace.

Mentre quello del Consiglio dichiara con incredibile faccia di tolla

«Avverto l’opportunità di un coordinamento per l’approvvigionamento di macchinari e attrezzature sanitarie».

Capito?

Solo il 9 marzo il presidente del Consiglio si è accorto che servono attrezzature:
un mese dopo l’inizio dei contagi in Italia, due mesi dopo l’allarme internazionale.


Eppure sarà proprio questo primo ministro, nominato a Bruxelles e solo ratificato dal Colle
ad andare lunedì 16 a dare il benestare al MES e alle nuove norme che affosseranno definitivamente il nostro Paese.
 
La famosa mappa della CNN che distorce la realtà sulla diffusione del Coronavirus dall’Italia verso il mondo
– tutto il mondo, compresa l’India ma esclusa la Cina, chissà perché – è solo una delle tante –
ha ragione Donald Trump – fake news che il network americano ha raccontato in questi anni.

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La diffusione di notizie pretenziose da parte della CNN parte dalle elezioni presidenziali del 2016.

Nella comunemente diffusa opinione che Donald Trump fosse il candidato più abbordabile per Hillary Clinton,
il network ha dedicato spazio al tycoon senza rendersi conto del potenziale che ha offerto all’attuale inquilino della Casa Bianca.

È il presidente della CNN, Jeffrey Zucker ad ammetterlo poco prima della vittoria di Trump:
«se abbiamo commesso un errore l’anno scorso, è probabile che in quei primi mesi abbiamo messo
– in programmazione, s’intende – troppe manifestazioni della sua campagna».

Zucker ha sostanzialmente ammesso che la CNN ha dato visibilità a Trump per fargli ottenere la nomination,
in quanto candidato più debole fra i repubblicani con l’intenzione di farlo distruggere,
politicamente parlando, dalla Clinton alle elezioni. Il risultato è cosa nota.

Pensate che l’errore sia servito per imparare la lezione? Assolutamente no.

Da novembre 2016, la CNN ha messo in campo tutti i suoi mezzi per demonizzare la presidenza di Trump, in barba alla prudenza giornalistica.

A poco più di un anno di distanza dalle elezioni, ad esempio, la CNN ha diffuso, tramite il reporter Manu Raju,
la notizia secondo la quale Donald Trump Jr. fosse stato in possesso, prima del rilascio ufficiale,
dei documenti hackerati di WikiLeaks.

La portata della notizia era atomica: in pieno Russiagate e con il Procuratore Speciale Robert Mueller
alle caviglie della Casa Bianca come un cane quando avvista l’osso, la pronta accusa del figlio del Presidente era ormai certezza.

Solo a seguito della smentita e di una serie di articoli del The New York Times sulla vicenda, allora, le acque si sono calmate.

Non è finita qui.

Jim Sciutto, anchorman della CNN, sostenne, sempre in pieno Russiagate che Trump
fosse a conoscenza di un incontro fra il figlio e i russi.
In sostanza, Sciutto, sosteneva che Trump fosse un traditore o, in alternativa,
una persona ingenua utilizzata dai russi per danneggiare gli Stati Uniti d’America.

Nonostante il The New York Times sia stato il primo a smentire categoricamente le congetture di Sciutto,
a distanza di anni, nessuna scusa o ritrattazione da parte del giornalista è arrivata.

Certe volte, però, non sono state le notizie false a preoccupare, bensì le offese gratuite e ingiustificate.

Reza Aslan – esperta religiosa – ha definito il Presidente «pezzo di m***a».
Anthony Bourdain, conduttore di programmi di cucina sul medesimo network,
ha affermato, seppur ridendo – ma non giustifica la gravità dell’affermazione –
che avvelenerebbe Donald Trump con della cicuta.

In alcuni casi, però, giustizia è stata fatta.

Thomas Frank, Eric Lichtblau e Lex Harris furono più o meno costretti a rassegnare le dimissioni
per la falsa notizia secondo cui Anthony Scaramucci, ex Direttore delle Comunicazioni della Casa Bianca,
era direttamente collegato a un fondo di investimento russo da 10 miliardi di dollari
e, implicato, nel Russigate e nei rapporti fra Casa Bianca e Cremlino.

È comunemente noto, oramai, che esiste un filo conduttore fra delle notizie non vere,
mistificate o, comunque, non completamente corrispondenti alla realtà e la CNN.

L’assenza di imparzialità del network nei confronti del Presidente è una mossa che avvantaggerà Trump in vista del 3 novembre.

La guerra alle notizie, alla verità, per richiamare il sito sul quale scriviamo e il “Ministero della Verità” di George Orwell in 1984,
pone una domanda necessaria: chi decide se una notizia è vera o falsa? Il lettore? No.

Lo decide il fatto che viene raccontato che, essendo un fatto realmente accaduto, non lascia spazio a libere interpretazioni.

Dopo la narrazione asettica, allora – ma solo allora – si possono descrivere i contorni, le storie collegate, le analisi necessarie.

Ma le seconde, restano sempre opinioni, mentre i fatti, per fortuna, restano sempre fatti.
 
La prima conseguenza socialmente destabilizzante, oltre quella sanitaria, di una “peste”, è quella economica.

L’ormai conclamata diffusione della pandemia da Codiv-19, sta ritracciando e ricordando, quel percorso,
che ogni storico e studioso della “materia”, conosce bene, che riguarda gli effetti delle epidemie nella società.

L’arrivo della malattia disegna “ritualmente” alcune tappe nella vita della popolazione colpita,
che potremmo riassumere, molto brevemente, come di seguito:

l’effetto iniziale, dopo la conclamazione della “peste”, è quello che riguarda la possibilità di cura degli infettati,
che è inversamente proporzionale al numero dei contaminati;
ciò significa che il numero di coloro che potranno essere curati si abbassa drasticamente con l’aumentare degli infettati,
non azzerandosi per vari fattori, ma attestandosi, mediamente, intorno al 8/10 per cento (dei colpiti dal “virus”).

Segue la destabilizzazione sociale, che si caratterizza con l’acuirsi degli atteggiamenti anarchici e di ribellione della società;

si arriva poi ad una brusca frenata dell’economia e delle dinamiche produttive, che inesorabilmente, conducono verso stati di “carestia”.

Questi “non fenomeni”, tali perché sono fisiologici e ciclicamente presenti, si mescolano,
causando tutte quelle manifestazioni che mettono allo scoperto sia i punti di forza
che i punti di debolezza di uno Stato, nel caso Italia “pare” prevalgano i secondi.

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Detto questo, uno dei primi effetti sull’economia mondiale del coronavirus,
è stato l’abbassamento del costo del “barile di petrolio”, oltre il tonfo delle principali Borse mondiali.

Circa il calo del costo del petrolio, l’Arabia Saudita, voce Opec, ha chiesto alla Russia
di ridurre la produzione dell’idrocarburo al fine di contenere la produzione mondiale e mantenere più alto il prezzo.

Tuttavia, Mosca, il 6 di marzo, non ha accolto l’invito dell’Arabia Saudita,
rifiutandosi di forzare le proprie capacità estrattive con lo scopo di ridurre la produzione.

Riyad
aveva programmato di poter ottenere una riduzione di 1.5 milioni di barili giornalieri,
ma la reazione di Mosca ha costretto la petro-monarchia saudita a percorrere un’altra strada.

Questa sottospecie di “guerra del petrolio” ha indotto l’Arabia Saudita, oltre che a non ridurre la produzione del “greggio”,
ad offrire uno sconto di 6-8 dollari al barile, ai sui clienti.

Il risultato di queste operazioni economiche, mirate al contenimento strategico dei prezzi,
ha creato nel mercato petrolifero una schizofrenia data dall’incertezza, che ha prodotto come risultato,
che il barile di petrolio in un giorno è piombato a 20 dollari per poi riassestarsi intorno a 35 dollari al barile.

Così l’Arabia Saudita che detiene il 12% della produzione petrolifera mondiale, ignorata dalla Russia,
è passata dalla “strategia di difesa dei prezzi” alla “strategia di difesa delle proprie quote di mercato”,
incrinando per la prima volta dopo tre anni, il rapporto di cooperazione tra i 14 Paesi Opec ed i dieci Paesi non Opec:
Azerbagian, Bahrain, Brunei, Kazakhstan, Malesia, Messico, Oman, Sudan, Sud Sudan e la Russia
membro di spicco.

La motivazione della decisione russa è ben chiara; il rifiuto si può racchiudere in tre considerazioni:

la prima è che il Governo russo ritiene temporanea la crisi causata dal coronavirus, quindi basterà avere pazienza e calma;

la seconda considerazione è che le compagnie petrolifere russe non condividevano
un’ulteriore riduzione della produzione di greggio, tra l’altro in varie occasioni già attuata;

ma quella che ritengo la motivazione più rilevante, è che gli Stati Uniti oggi sono il più importante produttore mondiale del petrolio,
da una riduzione della produzione russa trarrebbe solo benefici, acquisendo i clienti che eventualmente Mosca
potrebbe perdere se non offrisse garanzie di fornitura del greggio e visti i fragili rapporti tra Usa e Russia,
tale situazione indebolirebbe geostrategicamente la Russia.

Mosca ricorda quando, tra il 2014 ed 2016, il prezzo di un barile scese da 115 dollari a meno di 30 dollari al barile,
il sistema economico russo in quel periodo soffrì notevolmente.

Comunque al di la delle elucubrazioni economiche sul prezzo di un barile di greggio
e le conseguenze sui rapporti tra la Russia e l’Arabia Saudita, con uno sguardo agli Usa,
quello che emerge nel contesto di un’epidemia globale che rallenta l’attività economica,
è che il Covid-19 sembra essere il sospettato ideale per il crollo, che lunedì 9 marzo,
detto il “Black Monday”, ha subito l’oro nero perdendo il 30% del suo valore, passando da 45 a 30 dollari al barile;
era dalla Guerra del Golfo nel 1991, che non si verificava un declino tale nel prezzo del greggio.

Michael Bradshaw, specialista in energia della Warwick Business School, ha dichiarato a France 24 che:

Il coronavirus è l’elemento che ha rovesciato una situazione già esplosiva”.
 

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