IL REPARTO PSICHIATRICO MI HA SCELTO COME TESTIMONIAL

Scandalo nel Regno Unito: se prosegue il progetto di dismissioni della Marina
e non entrano rapidamente in funzione nuove navi la Marina britannica sarà più piccola della Marina Militare Italiana.

La notizia si basa sul fatto che, senza l’introduzione di nuove fregate,
il numero di grandi unità in servizio nella Marina di sua maestà Britannica si ridurrà a 15, contro 17 della Marina italiana e 22 di quella francese.

Tra l’altro alcune unità inglesi, come le fregate Type 23, sono piuttosto anziane che dovrebbero essere ritirate dal servizio.



In realtà, ufficialmente, il numero di grandi navi dovrebbe essere superiore, pari a 19.

Purtroppo, per problemi di bilancio, ci sono stati dei ritardi nella consegna delle fregate Type 31,
riducendo il numero di unità in servizio nello stesso momento a sole 5:
infatti per ogni unità in servizio attivo una è in manutenzione ed un’altra in addestramento e preparazione.

Lord West, il precedente capo di Stato maggiore della Marina ha parlato di “Motivo di grande imbarazzo”
per il ritardo che mette a serio rischio la capacità operativa di una parte essenziale della difesa dello stato insulare.

Il Regno Unito verrebbe quindi ridotto ad una potenza navale di secondo piano, con scarsa capacità di intervenire all’estero.

Il governo di Boris Johnson si è ufficialmente impegnato ad accelerare il programma di costruzione navale,
nonostante presto il numero di personale della Marina verrà ridotto di oltre 300 unità, in modo contraddittorio rispetto a quanto ufficialmente proclamato.



Nave Caio Duilio

Nel frattempo la Marina italiana, privata di una guida politica autorevole e di obiettivi sensati prosegue nel proprio obiettivo di affondare il bilancio dello Stato:
è inutile avere 17 fregate e cacciatorpedinieri quando poi le nostre frontiere marittime sono un colabrodo perché il governo preferisce usarle come traghetto per le ONG.
 
Che se ne buggerassero dei problemi del Paese, del lavoro, dell’economia,
era chiaro da prima che scoppiasse il virus cinese, figuriamoci adesso che avranno la scusa per giustificare i fallimenti.

Sia chiaro l’animaletto virale oltre al superiore allarme sanitario, di certo porterà guai anche nell’economia, ma che il paese arretri solo per colpa sua è una bugia.

Tanto è vero che i previsionali sul 2020 annunciavano temporali a partire dall’autunno scorso e per questo sarebbe stato necessario mettere in piedi
una finanziaria in grado di contrastare le flessioni e le contrazioni della crescita.

Eppure come se nulla fosse i giallorossi impegnati solo a scongiurare il voto e gestire le poltrone
se ne sono infischiati con la manovra che sappiamo sulla quale è inutile tornare visto che oramai è legge.

Come se non bastasse oggi alla scriteriatezza di una finanziaria restrittiva e assistenziale si aggiunge l’effetto del bacillo asiatico e la frittata è fatta,
viaggiamo infatti verso una recessione e una involuzione dell’economia.

Ebbene mentre ovunque si corre ai ripari pur di evitare il peggio, da noi il governo che avrebbe dovuto sanare gli errori di Salvini,
come se l’esecutivo precedente fosse un monocolore, pensa a litigare, a galleggiare fra un ricatto e l’altro, tra una minaccia e un veto.

Tanto è vero che mentre la situazione si aggrava con nuove crisi, licenziamenti, chiusure e fallimenti
ed i dati sul reddito e sugli sprechi assistenziali confermano il flop da spesa improduttiva,
nel Conte bis si pensa ai decreti di Salvini e ad alleanze alternative con qualche transfuga di soccorso
.

Insomma nel governo ci si occupa degli ultimatum di Renzi, del disfacimento dei grillini, di allargare le maglie dell’immigrazione e degli arrivi,
di montare o smontare le coalizioni alle regionali e della spartizione di centinaia di poltrone.

Eppure all’orizzonte si profila una manovra correttiva, non solo perché quella di dicembre è stata una sciocchezza e una finzione contabile,
ma perché si aggiungeranno appunto le conseguenze del virus e della flessione generale dell’economia.

Di fronte a questo paradiso l’unica proposta, oltre all’ulteriore spesa assistenziale, è di rimodulare l’iva, dunque aumentarla,
incredibile ma vero, ed inasprire le tasse per qualcuno per diminuirle a qualcun’altro con la scusa di riformare il fisco.


Come se una grande riforma fiscale si potesse limitare ad un ridicolo maquillage sulle aliquote, ad un metti e togli sulle detrazioni,
ad un aumento dell’iva su qualche bene e una diminuzione su qualche altro al solo fine di far crescere il gettito complessivo.

Insomma in un paese che si ferma e rischia di tornare indietro, con 160 tavoli di crisi, aziende che licenziano e vanno via,
consumi fermi e iniziative zero, con un carico fiscale da paura e un sistema riscossivo poliziesco, con una burocrazia da paradosso neurologico
,
si pensa al rimmel e al rossetto.

Ma peggio ancora si spacciano i belletti per grande riforma del sistema, è tutto ciò di cui sentiamo dire dalle parti di un esecutivo che si accapiglia,
minaccia trappole e tenta quotidianamente di sventare la crisi che toglie il sonno a Conte e alla compagnia cantante.

Nulla più sulla revisione della spesa, sul taglio degli enti inutili, sull’applicazione seria dell’autocertificazione che stroncherebbe la burocrazia,
sullo shock per stimolare consumi e investimenti, su una pace fiscale duratura per risanare la guerra fra cittadini e amministrazione.


Nulla sulla spesa assistenziale che serve ai voti ma non all’economia, nulla sul credito agevolato all’idea, nulla sulla ricerca e il sostegno forte alla tecnologia,
nulla sul sud perché il piano presentato è solo un libro dei sogni imbellettato e riciclato come le tesi di laurea di qualcuno.

Ecco perché mentre il governo gioca all’avanspettacolo e a resistere solo per impedire nuove elezioni,
il paese sprofonda e la gente è furibonda.
 
“Una volta un linguista molto noto, di cui non faccio il nome, ma che era un membro del ‘Comitato ministeriale per la salvaguardia della lingua italiana’,
insieme a me e a Giovanni Nencioni, che allora era Presidente dell’Accademia della Crusca, mi disse testualmente:

“Se uno si sveglia alla mattina e gli viene in mente una parola nuova, quella parola deve entrare nel vocabolario”.

Come ‘petaloso’, inventato da un bambino”.

“Gl’Italiani, fra i tanti difetti, possiedono una grande dote, che non è così diffusa negli altri popoli: la fantasia.
Ma il più delle volte ne fanno un cattivo uso. Fra le centinaia che può vantare la nostra storia politica c’è stato persino il ‘partito della bistecca’.
Ora con le Sardine abbiamo raggiunto il massimo della nostra capacità inventiva”.
 
“Il fatto è che gl’Italiani discendono da un miscuglio di popoli diversi che occuparono un tempo lo Stivale:
per non dire di quelli preromani, ch’erano più di cinquanta, i popoli che all’alba della nostra storia occupavano le nostre regioni erano una quindicina:
Liguri, Etruschi, Veneti, Latini, Umbri, Iapìgi, Ernici, Falisci, Opici, Volsci, Siculi, Sabini, Elimi, Equi, Sardi.
Pensa un po’ che fantasia! Sono queste le ragioni (e le regioni) che dividono ancora gl’Italiani.
Per i quali Dante non aveva molta simpatia”.

“In che senso?”.

“Nel De vulgari eloquentia, in cui in mezzo ai tanti dialetti, andava alla ricerca di una lingua comune, che almeno in questo campo potesse unire gl’Italiani,
definiva ‘insipidi’ i fiorentini, dei milanesi e dei bergamaschi diceva ‘gettiamoli via’, i genovesi li chiamava ‘uomini diversi d’ogni costume e pieni d’ogni magagna’,
definiva i romani ‘puzzolenti su tutti gli altri nei loro costumi’, degli istriani e degli aquileiesi diceva addirittura ‘crivelliamoli’,
definiva i pisani ‘vituperio delle genti’, augurandogli di annegare tutti nell’Arno, e dei sardi (che non hanno niente a che vedere con le sardine)
diceva ‘gettiamo via anche loro, perché non appartengono all’Italia, cercano d’imitare la grammatica come fanno le scimmie con gli uomini’”.

“Gl’Italiani molto spesso confondono la fantasia con la realtà e la infilano persino nella loro storia.
Uno dei casi più eclatanti risale al primo dopoguerra: quelli che accesero la miccia della lotta civile furono i socialisti e i comunisti, non i fascisti,
la cui reazione, come dissero illustri antifascisti, fra cui Salvemini, De Gasperi e Benedetto Croce, fu ‘legittima e a scopo difensivo’.

Poi, caduto il Fascismo, i comunisti invertirono le parti: eroi del vittimismo, riscrissero la Storia,
capovolgendo i fatti, riempirono volumi su volumi, facendo il prima il dopo, il vero il falso e così via.


È su quei libri di storia, una storia fantasiosa, che si formarono le nuove generazioni, nate alla fine della guerra, dopo il ‘45,
imbeccate dagli insegnanti, che come la maggior parte degli intellettuali, diventarono antifascisti”.

“Negli Italiani la fantasia è tale che dal 1948 in 17 tornate elettorali si sono presentati alle elezioni 380 partiti diversi,
con un totale di 558 simboli e una media di 32 partiti per ogni elezione”.

“Fra i tanti passi indietro che ha fatto la Politica in Italia uno riguarda proprio la fantasia.
La ‘fantasia al potere nacque nel Sessantotto.
Ubriacati dalla libertà, dopo il crollo del Fascismo, gli studenti e i giovani lavoratori, con la loro fantasia la trasformarono in una licenza sfrenata.
Oggi la politica italiana si regge sulle chiacchiere di allora. Il Sessantotto fu la dissoluzione di ogni legame comunitario:
Dio, Patria, Famiglia
, di mazziniana memoria, diventarono una schiavitù.
Molti studenti, per liberarsene, come novelli partigiani, aspiravano a ritirarsi sulle montagne, del Tibet, dell’Himalaya, addirittura”.

“Tale fu l’ubriacatura della libertà che ai cosiddetti ‘costituenti’ non passò per la testa nemmeno l’idea di precisare nella Costituzione
che cosa dovesse intendersi per partito, quali ne fossero la funzione e lo scopo: ‘ogni italiano un partito’ hanno sempre detto di noi gli stranieri”.

“L’Italia più che sul lavoro è sempre stata fondata sulla fantasia, in tutti i campi, anche nell’arte, bene o male,
perché pure lì delle schifezze sono passate e passano tuttora per dei capolavori.
Proprio nel Sessantotto uno slogan dei contestatori recitava: ‘Uno sgorbio vale quanto la Gioconda”.

“Fu il linguaggio a creare slogan che divennero comuni a tutte le classi sociali di quel tempo, formate da studenti, operai, piccoli borghesi,
tutti in cerca di riconoscimenti per una rinascita che non si sapeva di che cosa: ‘Prima distruggiamo’, dicevano, ‘poi si vedrà’.

Fu proprio a causa della fantasia al potere che i problemi da risolvere venivano sempre rimandati.

Oggi quella situazione sta ripetendosi. Anche le Sardine hanno assunto il ruolo di rottamatori”.
 
Come comunicato dall’agenzia russa TASS la Russia ha bloccato tutti gli accessi nel Paese ai cittadini cinesi a partire dal 20 Febbraio prossimo.

La misura, presa naturalmente su base temporanea, riguarda tutti i privati cittadini che vogliano entrare per scopi turistici,
di visita privata, di affari o di studio, ponendo quindi, praticamente, un bando totale a chi proviene dal paese confinante.

La Russia è il primo paese al mondo ad applicare un protocollo così stretto agli accessi in quanto, sinora,
ci si era limitati a limitare i voli diretti e quindi ad allungare i tempi per i trasferimenti, o a prendere delle precauzioni mediche alla partenza.

La notizia ufficiale è stata comunicata dal vice primo ministro, Tatyana Golikova e scatta alla mezzanotte fra il 19 ed il 20 di questo mese.
Sono inoltre interrotti tutti i permessi di lavoro. Certo non sarà facile controllare tutti gli accessi, vista l’estensione della frontiera fra i due paesi.



Intanto continuano a circolare voci incontrollate su chi sia stato il primo paziente della malattia.

Le voci che affermavano come la prima paziente fosse stata una donna, ricercatrice presso l’istituto di virologia dell’Università di Wuhan
e che mai lei avesse visitato il famigerato “Zoo”, cioè il mercato di animali vivi esotici della città, è stato fermamente smentito dall’Università,
affermando che la donna è viva e vegeta ed in buona salute e neppure lavora più per il laboratorio.

Richard Ebright, docente di biologia alla Rutger University, ha affermato alla BBC che il genoma del Covid-19
non mostra nessuna prova di modifiche artificiali, ma che questo non viene ad escludere completamente
che la sua diffusione sia il risultato di un incidente di laboratorio occorso durante lo studio di virus naturali esistenti su animali.

Ebright ha quindi confermato che il Covid-19 è il cugino di un virus trovato su un pipistrello
catturato nelle caverne della zona dello Yunnan nel 2003 ed i cui campioni erano conservati a Wuhan almeno dal 2013-

Insomma il mistero sull’origine dell’epidemia continua a persistere.
 
Ormai non si comprende dove sia la verità e come siano realmente le cose.

Le notizie ufficiali sono confortanti, poi i fatti collaterali spingono a ritenere che ci sia molto di più.

Insomma bloccare tutto e isolarsi per un virus che ha una mortalità inferiore al 3% con una bassa contagiosità?
Qualcosa non torna proprio...

Città fantasma con morti sui marcipiedi.

E chissà quanti misteri si aggiungeranno se ancora nel 1989 in un romanzo americano si parlava di un ipotetico virus futuro di nome Wuhan400.

In rapporto riservato del 1948 del Ministero della Difesa Usa si leggeva:
Una cannonata o una bomba non lascia dubbi sul fatto che si sia verificato un attacco deliberato.
Ma se … un’epidemia si abbatte su una città affollata, non c’è modo di sapere se qualcuno ha attaccato,
tanto meno chi “, aggiungendo con speranza che” Una parte significativa della popolazione umana
all’interno di aree bersaglio selezionate potrebbe essere uccisa o inabilitata “solo con piccole quantità di un agente patogeno.
 
Dati poco attendibili, rispetto a 60 MILIONI di persone costrette a stare in casa.

75.144 infetti

2.007 morti

meno del 3% e tutti segregati ????????????????????????
 
Le notizie che trapelano dalla Cina sono preoccupanti.

Il presidente cinese, Xi Jinping, era a conoscenza della manifestazione del morbo 41 giorni prima che il mondo venisse informato.

I regimi totalitari si comportano così, incuranti degli effetti delle loro azioni tese a proteggere (si fa per dire) la loro nazione.
Anche l’economia e la finanza stanno subendo colpi durissimi da quanto si è scatenata la pandemia – perché di questo si tratta – da Wuhan.

La paura del contagio ormai è globale. Il coronavirus è stato isolato in Egitto e si è registrato il primo morto in Francia.

La virologa Ilaria Capua ha affermato:

«Il virus si diffonde. Il caso francese è comprensibile perché si tratta di una persona anziana, più fragile nei confronti del virus.
Quello che più preoccupa è l’Africa, a partire dal Cairo che è una megalopoli con milioni di persone, a volte nemmeno censite.
Poi tutto il continente dove buona parte della popolazione è povera, malnutrita, già soffre di altre malattie infettive come la malaria,
la tubercolosi o le infezioni da Hiv (il virus dell’Aids) che la rendono più fragile».

Nessuno può più negare che si tratti di pandemia, sostiene ancora la dottoressa Capua.
Gli uomini non hanno anticorpi di difesa contro il coronavirus e difficilmente, come sostengono i virologi,
le misure eccezionali predisposte per contenere l’infezione in Cina impediranno il diffondersi della malattia in tutto il mondo.

Dall’Africa le notizie sono scarse e frammentarie.
Non ci sono controlli serie organizzati, quindi non si sa l’infezione quanto sia estesa.
È da lì, come accadde per l’HIV e per Ebola che la propagazione del morbo potrebbe avere un’accelerazione decisiva.

È per questo che la paura si è dilatata a dismisura.

Un incubo moderno, paradigma di tutte le psicosi più spaventose.
Cala dal nulla il male e non c’è autocrate che possa fermarlo.
Una maledizione antica. Ritornano le pagine manzoniane.
Ci si ricorda di quelle di García Márquez.
Si rivedono come spettri i monumenti che in mezza Europa richiamano epidemie lontane oggi mai tanto vicine.
Come la peste, il colera, la spagnola che distrussero popoli e nazioni con la rapidità violenta di un vento spaventoso.
Epidemie che si manifestavano come per mettere in ginocchio civiltà progredite.

Paradossalmente, anche la scienza progredisce grazie alle tragedie.
Fu così con la SARS nel 2002/3.
È accaduto lo stesso con l’HIV, se non sconfitto del tutto almeno messo sotto controllo.
Però, ogni volta che una catastrofe umanitaria si affaccia all’orizzonte,
tornano gli antichi fantasmi che hanno accompagnato i destini umani lungo i millenni.
E sempre si è impreparati, psicologicamente e culturalmente. Perfino le fedi vacillano.

Quando sarà pronto il prossimo vaccino che dovrebbe debellare l’ultima mostruosa apparizione dell’Apocalisse?

Un’epidemia diventa pandemia in men che non si dica. E veicola il terrore. La morte di siede tra di noi.
Nessuno può sottrarsi almeno al pensiero che possa accadere vicino, sempre più vicino. Globale è il terrore.
Non ci saranno rassicurazioni che possano mitigare l’impatto sulla nostra vita. Guardando all’Africa. Con comprensibile apprensione.

Da dove viene questa antica mostruosità che ha fatto irruzione nella nostra esistenza impreparata al Male Assoluto?
Dalle nebbie dell’imprevisto tra le quali, di tanto in tanto, si fanno strada incubi che ci soggiogano.

Ci nutriamo di dimenticanze.

Perciò ignoriamo, fin quando possiamo, che qualcosa di oscuro, misterioso, inafferrabile può, senza preavviso,
trascinare i nostri destini in un gorgo dal quale non c’è ritorno.
E ci culliamo nella certezza che nulla, in fondo, è irreparabile, non foss’altro perché a qualcosa bisogna pure aggrapparsi.

Nel momento in cui l’irreparabile si manifesta non abbiamo più nulla cui attaccarci né illusioni da coltivare
perché abbiamo bruciato tutto nel braciere dell’effimero materialismo edonista.
Ci rimane soltanto l’umano terrore. Ma alla disperazione non si sfugge.

Pare che neppure Dio ci possa salvare, poiché la Fede e i miracoli li abbiamo relegati
nel capace armadio delle “tradizioni incapacitanti”, miti che sviano, distolgono, distraggono.

Poi, però, qualcuno che ricorda c’è.
E ci avverte che le Civiltà di cui non ci prendiamo più cura sono state distrutte da venti maligni
che si sono insinuati nelle vite pur solide di genti avvezze a parlare con le divinità,
a frequentare il sacro, a espiare quando era il caso.

E persino a rassegnarsi che dal cielo piovevano anche catastrofi.

Alla globalizzazione della paura, invece, non c’è rimedio.
 
Ci sono 586mila pensioni del settore privato - a dipendenti e autonomi (artigiani, commercianti, agricoli) -
e 67mila di quello pubblico che vengono pagate da 38 anni e oltre.

Oltre 652mila pensioni che puntualmente, mese dopo mese, vengono riscosse da persone
che si sono ritirate dal lavoro nel lontano 1980 o ancora prima.

Si tratta di 585.860 assegni riconosciuti a lavoratori dipendenti e autonomi (artigiani, commercianti, agricoli) del settore privato,
con 471mila donne e 145mila uomini.

Per i dipendenti pubblici la platea comprende invece 66.827 pensioni che durano da 38 e più anni
due su te a favore del gentil sesso.
 
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