la Germania è il canarino nella miniera (8 lettori)

tontolina

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Ora che stanno assaggiando gli effetti della politica economia imposta all'UE per impedire il salvataggio umano della Grecia e a scendere dei paesi Pigs, vogliono andrsene per poter essere indipendenti dalle loro imposizioni

Germania, l’Afd chiede un referendum per uscire dall’Unione europea: «La Brexit è stata una decisione assolutamente corretta»​

di Mara Gergolet
Un referendum per uscire dalla Ue. Come la Brexit in Gran Bretagna. Per la prima volta in un’intervista al Financial Times , la leader dell’Afd, l’estrema destra tedesca Alice Weidel, lancia un nuovo programma

Prima certo, osserva, l’Afd proverà a «riformare la Ue» e rimuovere il «deficit democratico» limitando i poteri della Commissione europea, «un esecutivo non eletto». Però se ciò fosse impossibile servirà un referendum.

 

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Germania: Bundesbank, record assenze per malattia ha avuto impatto 0,8% su Pil 2023

Con una perdita di entrate per 26 miliardi di euro

(Il Sole 24 Ore Radiocor Plus) - Milano, 26 gen - Nel 2023 la Germania ha visto un numero insolitamente alto di dipendenti in congedo per malattia, un fatto che, secondo quanto dichiarato dalla Bundesbank nel suo bollettino mensile, ha contribuito al calo complessivo dell'economia lo scorso anno. Nel 2023, infatti, il Pil tedesco è sceso dello 0,3%. L'analisi della Bundesbank è corroborata da uno studio pubblicato dall'associazione tedesca dei laboratori orientati alla ricerca (Vfa), secondo cui il Pil tedesco sarebbe aumentato dello 0,5% nello scorso anno se le assenze per malattia fossero state nella media anziché superare il record del 2022. Secondo gli economisti del Vfa Claus Michelsen e Simon Junker, l'impatto sul Pil è di 0,8 punti percentuali, ovvero una perdita di entrate per 26 miliardi di euro nel 2023, di cui 10 miliardi per l'industria. Anche il 2024 sembra destinato a iniziare male: la performance economica della Germania potrebbe "nel migliore dei casi ristagnare nel primo trimestre", secondo quanto riportato della Bundesbank.
Red-Mar
 

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L'hedge fund Qube ha deciso di posizionarsi short sull'industria tedesca e a credere nell'ESG sembra essere rimasta solo l'Europa​

Dubito che sui giornali di ieri sia stato dedicato molto spazio a questa notizia.
In compenso, si sono sprecati articoli sui tassi di interesse lasciati invariati dalla Bce e sul rinvio a data da destinarsi di ogni discussione sul loro taglio.
Come al solito, il dito è molto più comodo della Luna da osservare. Qui però occorre prospettiva. E memoria.
Occorre ricordare il giugno del 2011.
Occorre ricordare la decisione di Deutsche Bank di alleggerire il proprio portfolio di Btp. Il braccio di ferro tra Italia e Ue-Bce. La lettera estiva al Governo Berlusconi e poi l’esplosione autunnale dello spread.
Infine, a novembre, l’arrivo dei loden a palazzo Chigi.
Bene, oggi sono le aziende tedesche a finire nel mirino.
Qualche nome?
Volkswagen, Deutsche Bank, Rheinmetall, Siemens Energy, Hellofresh e Morphosys.
Certo, un singolo hedge fund non rappresenta il mercato. Ma una posizione short sul gotha industriale tedesco da 1 miliardo di dollari non è scommessa che compare all’ orizzonte ogni giorno. Soprattutto con il Dax fresco di nuovo record storico.
L’altro giorno, la sentenza contro il colosso immobiliare Adler Group SA da parte dell’Alta Corte di Londra, di fatto prodromica al blocco della ristrutturazione del debito da 6 miliardi.
Senza contare le esposizioni bancarie all’altra nobile decaduta del real estate, l’austriaca Signa. Nel mezzo, una regolamentazione ESG sulla supply chain che sta letteralmente annegando le aziende di burocrazia e lacciuoli, la crisi del comparto agricolo per la fine degli sgravi sul carburante e un Governo ai minimi storici di gradimento.

E dando un’occhiata a questi grafici scopriamo che proprio nella giornata di ieri, mentre a Francoforte si pettinavano le bambole della data-dependency contro l’inflazione, l’indice IFO tedesco ha inviato un segnale da bandiera rossa. Quella che i bagnini issano quando il mare si fa grosso. Ed entrare in acqua diventa pericoloso. Persino per i nuotatori provetti.
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Un omen, insomma. Soprattutto se letto in contemporanea con l’azzardo ribassista del fondo Qube.
Sconfessando le attese di tutti gli analisti, infatti, il Business Outlook tedesco è peggiorato in tutte le sue tre sotto-componenti. L’indice delle aspettative è sceso per il secondo mese di fila, passando da 84,2 a 83,5, quello delle condizioni attuali è sceso da 88,5 a 87, mentre il Business Climate Index si è fissato a 85,2 contro attese di 86,6.
Una partenza di 2024 decisamente come il piede sbagliato. Soprattutto alla luce di quanto ci dice il secondo dei due grafici, il quale mostra la valutazione prospettica che il dato odierno offre a 4 mesi di distanza da oggi: un quadro recessivo ben lungi dall’ aver toccato il suo fondo e pronto alla risalita.
A livello macro, la Germania è il canarino nella miniera di ciò che attende l’Europa a livello di crescita. Ma è quest’altro grafico che sembra porsi come il proverbiale chiodo nella bara dell’insipienza politica e operativa della Bce.
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La conferma, poi, arriva proprio dalla Francia di Christine Lagarde, ormai in recessione conclamata insieme proprio alla Germania. Le due principali economie sono in contrazione, la Banca centrale guarda solo all’inflazione e prende tempo (a febbraio niente board, se ne riparlerà a inizio marzo) e un hedge fund rompe gli indugi e annuncia en plein air di aver costruito una posizione short da 1 miliardo contro i (fu) colossi industriali teutonici.
Non è un film, è la realtà. Di cui nessuno parla, a cui nessuno pare interessato. Cosa più grave, soprattutto nel nostro Paese. Il terzo nella fila. Ma il più esposto, se vogliamo tramutare le nazioni in fronti aperti di crisi.

C’era da aspettarselo, comunque. E chi legge questi articoli, penso non sia particolarmente sconvolto dal dipanarsi della situazione. La quale viene aggravata da quest’altralmente fi notizia, giunta sempre nella giornata di giovedì. Signore e signori, la luna di miele della pagliacciata ESG è ufficiamente svanita.
Ora iniziano i guai. D’altronde, il vero scopo è stato raggiunto. Ovvero, diventare il primo esportatore al mondo di LNG, superando Qatar e Australia. Per quale ragione, quindi, gli Usa dovrebbero ancora sottostare alla narrativa della transizione ecologica e della sostenibilità di governance? Soprattutto in un anno elettorale, quando il prezzo della benzina in vista di spring break e vacanze estive potrebbe spostare più di un voto, stante poi riserve strategiche ancora ai minimi dagli anni Ottanta. Purtroppo, per chi invece è ancora pesantemente investito nel greenwashing, potrebbe essere tardi.

La regola aurea, d’altronde, è sempre la stessa: continuare a ballare per non dare nell’occhio. Ma farlo spostandosi sempre più in prossimità dell’uscita di sicurezza. In modo che, appena spinto il maniglione anti-panico dal più furbo del gruppo, si sia pronti a prendere le scale e abbandonare il palazzo. Prima che sia avvolto dalle fiamme. Ebbene, la porta è stata aperta. Per ora, l’uscita è stata di massa ma ordinata. E, soprattutto, silenziata da stampa e politica. Ma per quanto, prima che la calca divenga infernale e il rischio di “imbuti” pressoché certo?

E signori, quando un quotidiano come Italia Oggi pubblica un articolo dal titolo ESG anche nei conti delle PMI, c’è da aver paura. Perché mentre il mercato, quello con la m maiuscola, scappa ormai senza nemmeno più preoccuparsi di dissimulare, qui stiamo proseguendo in maniera miope con l’implementazione di un’agenda verde – e della sua conseguente burocrazia da green tape -, incuranti del fatto che anche l’America stia voltandole le spalle. Mentre Cina e India lo hanno sempre fatto. ESG come Kiev, fine della love story. Resta solo l’Europa con il suo Green New Deal e le sue regolamentazioni castranti a livello di competitività e concorrenza. L’ecologia vista da Tafazzi.

Signori, l’uscita di sicurezza è stata aperta. O forse il recinto. E mentre i buoi scappano, la Bce contempla l’inflazione



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Germania, stop alle assunzioni e licenziamenti in arrivo. Crolla il barometro Ifo sull’occupazione a gennaio​

di Guido Marzetti
tempo di lettura 3 min

L’istituto di ricerca rileva nel barometro sull’occupazione un nuovo punto di minimo dal 2021. Gli indicatori economici tedeschi dipingono un quadro negativo: ecco che cosa succede all’economia tedesca​

 

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E se la bolla del Nasdaq si sgonfiasse a spese dell'Europa?
Nella fattispecie, tanto per far piovere un po’ sul bagnato, nella già tribolata Germania dell’era Scholz. Patria della bolla immobiliare garantita da tassi a 0 infiniti e già alle prese con la bancarotta della sussidiaria di Signa e l’esposizione degli istituti di credito proprio verso l’ex colosso immobiliare austriaco.
L’immagine mostra l’andamento da kamikaze del titolo azionario di Pfandbriefbank dell’ultimo mese, un rotondo -15%. Che rischia di peggiorare rapidamente dopo che Morgan Stanley ha invitato i suoi clienti a vendere i senior bonds del gruppo, giudicati al pari della kriptonite per Superman proprio a causa proprio dell’esposizione al Cre statunitense.

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Il bond Tier 2 da 150 milioni della banca è letteralmente crollato di prezzo, aggirandosi ora attorno a 52 centesimi sull’euro e segnando il nuovo record di calo one-day. Non va meglio l’AT1 da 300 milioni, oltretutto quest’ultimo ontologicamente messo a rischio dalla sua natura di convertibilità in equity. Ovvero, effetto palla di neve al quadrato. Auto-alimentante.
Ma non basta.
Nel mirino di Bloomberg sono finiti anche un AT1 da 750 milioni di Landesbank Baden-Wuerttemberg
e una note da 300 milioni di Aareal Bank AG.
E se la BaFin, l’ente di vigilanza del mercato tedesco, si è affrettata a rendere noto il suo stretto monitoraggio della situazione (caso Wirecard docet), ecco che questi altri due grafici si sostanziano come i proverbiali chiodi nella bara per il sistema Germania.
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Il dato della produzione industriale di dicembre reso noto mercoledì ha infatti segnato un -1,6% su base mensile contro attese di -0,5%, mentre su base annua -3% contro previsioni di -2,4%.
E il dato scorporato per voci (su base mensile) fa ancora più impressione.
Industria chimica -7,6%,
costruzioni -3,6%,
industria ad alto consumo energetico nel suo complesso -5,8%,
manifattura di gomma, plastica e prodotti minerali (ex metalli) -4,4%,
manifattura di computer e prodotti elettronici -2,2% e tessile -1,4%.

Insomma, profondo rosso. Macro. Mentre il Dax festeggia ormai con cadenza quotidiana i suoi massimi. E la seconda immagine ci dice che anche il settore dell’ingrosso vede nubi all’orizzonte. Molto e scure nubi.

Ora, stante il volume dell’interscambio commerciale, l’economia italiana – mediamente e su base storica – segue a tre mesi i trend di quella tedesca. E il fatto che sempre mercoledì, mentre si recitava il de profundis della fu potenza industriale del Vecchio continente, dal distretto del lusso di Firenze arrivasse la notizia di ordinativi di pelletteria da parte delle griffe totalmente fermi e di 4.000 lavoratori già in cassa integrazione, rappresenta solo uno spoiler. Attenzione, perché il trend dell’industria è come l’interbancario: congela all’improvviso. Non invia telegrammi, solo spoiler. Da cogliere al volo.
Perché attenzione, il Commercial real estate (Cre) statunitense rischia – paradossalmente – di replicare alla perfezione l’effetto a detonazione lunga dei subprime. Ovvero, fare più danni all’estero che in patria. Anche perché, al netto dei rischi da controllare, negli Usa stanno utilizzandolo per ottenere un primo bersaglio grosso nel percorso verso taglio dei tassi e ritorno del Qe.

Parlavamo prima del nuovo corso della New York Community Bancorp, travolta appunto dall’esposizione a Cre. Quanto durerà la sua agonia, più o meno di quella di Silicon Valley Bank o Signature Bank?
O, magari, quella che appare un’eutanasia annunciata potrebbe tramutarsi nel coup de théâtre necessario all’unica opzione che Fed e Tesoro hanno di fronte a loro: rinviare lo stop del Btfp revisto per l’11 marzo. Nella giornata di mercoledì e dopo un -60% da inizio mese, il rimbalzo del gatto morto del titolo di New York Community Bancorp pareva durato poco. Le rassicurazioni da whatever it takes del nuovo Ceo, Sandro DiNello, non sembravano aver evitato che il titolo precipitasse fino a -12%. Dopo aver azzerato il -16% del pre-market e virato addirittura in positivo, proprio in virtù dell’attesa di un annuncio che sbloccasse l’impasse. Ma quando il nuovo Ceo ha dichiarato che l’istituto ha registrato virtually no deposit outflow from retail branches, tutti si sono concentrati solo su quel particolare non richiesto. Ok, nessuna fuga di depositi dalle filiali. Ma online?
Poi, a due ore dalla chiusura delle contrattazioni, questo: un colossale short squeeze che portava il titolo a chiudere a +6,67%. Sulla base di cosa, a parte il meccanismo auto-alimentante di unwind delle posizioni ribassiste?

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Dubbio che profuma di certezza e olezza di speranza. Ovvero, si utilizzerà il weekend del Super Bowl in arrivo – durante il quale l’americano medio non si accorge nemmeno se la casa sta andando a fuoco – per dar vita a una riedizione riveduta e corretta del fine settimana del 13-14 settembre 2008? Magari ancora nella sede della Fed di New York, tanto per vendere al pubblico un effetto dèjà vu molto hollywoodiano? Ma questa volta, il Sistema si mostrerà magnanimo. E salverà Nycb. Più che altro, metterà in sicurezza la sua esposizione al Commercial real estate, al fine di evitare un contagio che potrebbe – questo sì – andare fuori controllo. Ma a quale prezzo, si otterrà questo probabile rinvio (o almeno rimodulazione) dell’addio al Btfp?(Bank Term Funding Program)

La risposta sta in un articolo pubblicato sempre mercoledì da Bloomberg. E in quest’ultimo grafico.

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Nel pieno di un diluvio di licenziamenti, JP Morgan Chase ha infatti annunciato 3.500 assunzioni nei prossimi tre anni per le sue 500 nuove filiali. A Boston, Charlotte, Washington, Minneapolis e Philadelphia. In netta controtendenza rispetto a un trend che nel 2009 vedeva circa 100.000 filiali bancarie presenti sul territorio degli Usa contro le nemmeno 80.000 attuali, stando a dati di S&P Global Market Intelligence. Ma anche rispetto alla migrazione generalizzata verso i servizi online: si torna alla filiale.
Il perché? Perché le si compra a prezzo di saldo. Lo mostra il grafico: le riserve delle banche regionali sono ormai a livello di insolvenza tecnica e implicita. Già alle 00:01 del 12 marzo. Appunto, filiali a prezzo di saldo. In cambio, cavalieri bianchi a perdita d’occhio fra le Big4, le stesse che si sono caricate ulteriormente di free money federale da spendere in M&A grazie all’arbitraggio proprio da Btfp. E, soprattutto, un contenimento della crisi del Commercial real estate che preoccupa anche i grandi istituti, stante unrealized losses che devono restare tali.

La Fed, poi, ha un residuo di credibilità da tutelare. E l’inquilino della Casa Bianca un’elezione da cercare di vincere. Scommettete che l’idea di fondo, la sorpresa di primavera, sarà quella di far pagare il conto alla vecchia Europa e alle sue banche, un po’ come accadde alle bollette energetiche con le sanzioni alla Russia? La Germania è uno stress test. Da mesi, ormai.
 

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La crisi immobiliare Usa colpisce la Germania e allarma le banche​

Violetta Silvestri

L’allarme sul settore immobiliare commerciale si diffonde in Europa con un avvertimento che arriva da una banca tedesca: cosa succede e perché nuove turbolenze finanziarie sono all’orizzonte?​

La crisi immobiliare commerciale spaventa le banche Usa ed europee: il segnale di allarme è arrivato dalla Germania.

Il contagio delle tossiche esposizioni bancarie al settore degli immobili per uffici in declino si sta rapidamente espandendo dagli Stati Uniti al vecchio continente.
Dopo la vicenda dell’istituto di credito Usa New York Community Bancorp - che aveva allarmato gli azionisti tagliando i dividendi e accumulando riserve per coprire prestiti “problematici” legati a immobili commerciali - i riflettori si sono accesi su una banca europea.
L’ultima vittima di questa bolla è stata la tedesca Deutsche Pfandbriefbank AG, che ha visto crollare le sue obbligazioni a causa dei timori sulla sua esposizione al settore. Mercoledì 7 febbraio ha rilasciato una dichiarazione ufficiale non prevista in cui affermava di aver aumentato gli accantonamenti a causa della “persistente debolezza dei mercati immobiliari”.

Banca tedesca lancia l’allarme immobiliare in Europa: cosa è successo?​

Sale la pressione sul settore bancario tedesco. Nel quarto trimestre 2023, la tedesca Deutsche Pfandbriefbank ha notevolmente aumentato gli accantonamenti per i rischi di inadempienza imminente dei prestiti, secondo l’annuncio ufficiale a sorpresa di mercoledì 7 febbraio. Solo a novembre il CEO uscente Andreas Arndt aveva ridotto drasticamente il suo obiettivo di profitto, soprattutto a causa dei crediti inesigibili negli Usa. Le obbligazioni della Deutsche Pfandbriefbank hanno inoltre subito una perdita record nella giornata di martedì 6 febbraio quando sono emerse preoccupazioni sull’esposizione della banca tedesca al mercato immobiliare commerciale statunitense.

In una teleconferenza con i clienti, Morgan Stanley ha raccomandato di vendere obbligazioni senior dell’istituto, secondo indiscrezioni raccolte da Bloomberg. La banca tedesca ha un’esposizione significativa al mercato immobiliare commerciale statunitense, che ha lasciato nervosi gli investitori da quando la New York Community Bancorp ha riportato una perdita a sorpresa e ha tagliato il dividendo la scorsa settimana.

Da questo aavvertimento, le obbligazioni di Deutsche Pfandbriefbank con scadenza nel 2027 sono crollate di oltre 5 centesimi e ora sono quotate intorno a 97, secondo i dati CBBT compilati da Bloomberg. Nel frattempo, le obbligazioni AT1 della banca sono scivolate di 14 centesimi a 37 tra martedì e mercoledì.
Le preoccupazioni sulla banca tedesca hanno contagiato anche altri istituti di credito con esposizione al settore immobiliare commerciale. Le obbligazioni della Aareal Bank AG hanno perso circa 11 punti negli ultimi due giorni e ora vengono quotate a 75 centesimi di euro. A novembre, è stato riferito che il valore dei prestiti in sofferenza statunitensi era più che quadruplicato rispetto all’anno precedente.

Bafin, l’autorità di regolamentazione bancaria dell Germania, ha affermato che sta monitorando le turbolenze immobiliari.
La banca centrale tedesca ha messo in guardia lo scorso anno sui rischi legati agli immobili commerciali, affermando che potrebbero esserci “aggiustamenti significativi” in grado di spingere verso maggiori default e perdite su crediti.

Dagli Usa all’Europa, l’allarme immobiliare è grave​

Le banche stanno accumulando accantonamenti crescenti per affrontare i prestiti ai proprietari di immobili e agli sviluppatori, mentre questi debiti diventano sempre più “tossici” con l’aumento dei tassi di interesse che ha eroso il valore degli edifici in tutto il mondo.

Per gli uffici negli Stati Uniti, dove il ritorno al lavoro dopo la pandemia è stato più lento e meno sostanziale, la distruzione di valore degli immobili è stata particolarmente grave. E i suoi effetti potrebbero non essersi ancora palesati del tutto. Gli analisti di Green Street hanno affermato che quest’anno potrebbe essere necessaria un’ulteriore svalutazione fino al 15%.

Il calo delle obbligazioni degli istituti di credito tedeschi è stato l’ultimo di una serie di segnali di allarme. La New York Community Bancorp è stata ridotta a spazzatura dal Moody’s Investors Service dopo aver segnalato problemi immobiliari, mentre la giapponese Aozora Bank ha registrato la sua prima perdita in 15 anni a causa degli accantonamenti sui prestiti concessi alle proprietà commerciali statunitensi.
Nei risultati della scorsa settimana, Deutsche Bank ha registrato accantonamenti per perdite nel settore immobiliare commerciale negli Stati Uniti che erano più di quattro volte superiori rispetto all’anno precedente. Ha avvertito che il rifinanziamento rappresenta il rischio maggiore per il settore in difficoltà.

Paul van der Westhuizen, stratega del credito di Rabobank ha dichiarato su Blooomberg che il vero problema esiste non tanto per le banche più grandi statunitensi ed europee, ma per quelle tedesche più piccole focalizzate sul settore immobiliare. “In questo momento, però, per loro è più una questione di redditività che di solvibilità. Hanno capitale sufficiente e sono meno esposte alla minaccia di corse ai depositi rispetto ad alcune banche”.
Se le perdite del settore immobiliare commerciale Usa si diffondessero in Europa attraverso le banche tedesche più piccole, ciò avrebbe un’eco della crisi finanziaria globale del 2008. Allora furono le banche regionali a finire nei guai, quando la loro esposizione ai mutui subprime negli Stati Uniti portò a svalutazioni per miliardi di euro.
“Siamo consapevoli che potrebbero esserci ulteriori sofferenze in arrivo nel settore immobiliare commerciale”, ha affermato Raphael Thuin, responsabile delle strategie dei mercati dei capitali presso Tikehau Capital.
 

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