E ora anche la Germania ha paura di fallire...
Mauro Bottarelli
giovedì 20 ottobre 2011
GEOFINANZA/ E ora anche la Germania ha paura di fallire...
Angela Merkel (Foto Ansa) Approfondisci
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FINANZA/ Così la "guerra" tra banche e Grecia scuote l’Europa, di M. Bottarelli
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“Not our debt”, gridano gli indignados di ogni latitudine, proponendo come
soluzione alla crisi del debito il suo annullamento, la rivolta contro i creditori, l’insolvenza. E l’armata dei fautori della bancarotta strategica ha un suo
totem da sventolare: l’Islanda e la sua scelta di non ripagare i creditori britannici e olandesi, dopo che nel 2008 le tre principali banche del Paese - Landsbanki, Kaupthing e Glitnir - sono andate a zampe all’aria con la crisi dei subprime.
In effetti, una gran bella storia con tanto di inchiesta per perseguire i responsabili della crisi e riscrittura della Costituzione affidata a un “comitato dei 25”, tra cui figurano un pastore e un contadino scelto dai cittadini attraverso i social network.
Insomma, il tripudio della democrazia diretta e della sovranità nazionale. Perché i Piigs non seguono questa strada, si chiedono gli indignados, facendo pagare alle banche il costo della crisi?
Stop, titoli di coda, dissolvenza, colore che sgrana e vira sul seppia, pellicola che esce sibilando dal proiettore.
Il film è finito.
La realtà è un’altra.
Primo, gli amministratori di Landsbanki, principale istituto islandese, hanno già fatto sapere che le proprietà immobiliari della banca sono più che sufficienti per ripagare il debito verso Gran Bretagna e Olanda e che i pagamenti cominceranno al termine delle dispute legali interni, al più tardi entro fine di quest’anno.
Insomma, l’Islanda ripaga - eccome - il debito, solo lo fa in silenzio. Inoltre, la ricetta islandese non è esportabile, tanto più in Grecia.
Troppe le differenze, prima delle quali il fatto che il primo sia un Paese di 330mila anime e il secondo di 11 milioni. Seconda, e più importante, il problema di debito islandese era una tantum, tutto bancario e tutto d’importazione,
ovvero dovuto alla crisi dei subprime Usa, con cui le tre banche principali del Paese avevano giocato un po’ troppo. Non si trattava di un problema di debito sovrano da rifinanziare per mantenere in vita un sistema elefantiaco di welfare, come quello greco o anche italiano.
Volgarmente parlando, insomma, una volta risolta la questione attraverso il default prima bancario e poi statale, con il non rimborso del debito estero, Reykjavik non aveva il problema di paesi stranieri che, essendo stati fregati una volta, non finanzieranno più il suo debito sovrano sul mercato.
La Grecia, invece, sì. Dio non voglia, quindi, che qualcuno ad Atene decida di cedere al populismo e alla piazza, sfiorando anche soltanto con il pensiero l’ipotesi di non pagamento del debito estero. Ipotesi tutt’altro che peregrina, purtroppo, visti i continui contrasti tra Germania e Francia. La prima in pressing sulle banche perché accettino tagli fra il 50% e il 60% al valore dei titoli greci nel loro portafoglio, la seconda favorevole al fatto che si apportino solo modifiche tecniche all’accordo preliminare raggiunto con gli investitori privati a luglio, basato su haircuts del 21%.
E Parigi ora trema davvero.
E con buona ragione. Moody’s ha infatti minacciato di mettere il rating a tripla A della Francia in outlook negativo. In pratica, Parigi, fra tre mesi, rischia di vedersi tagliato il suo giudizio di eccellenza, se il piano di salvataggio europeo per le banche e i paesi membri in difficoltà dovesse avere costi troppo alti. L’avvertimento arriva a ridosso del vertice europeo di domenica, in cui si discuterà proprio di questo. Moody’s terrà anche in considerazione gli sforzi della Francia per tenere sotto controllo i suoi conti e aiutare il sistema bancario. Secondo l’agenzia di rating, Parigi in questa fase ha meno spazio di manovra che nel 2008 per riequilibrare e cambiare il suo bilancio: «La Francia nei prossimi mesi dovrà affrontare difficili sfide ed esporsi per aiutare i partner europei in difficoltà. Per evitare un downgrade dovrà continuare a implementare le necessarie riforme economiche e di bilancio. Inoltre, il governo francese dovrà mostrare visibili progressi nel raggiungere gli obiettivi di sostenibilità che sui è data». Come diciamo da settimane, insomma,
la Germania è pronta e volenterosa di scaricare i costi della crisi sulla Francia: alla faccia del direttorio! E il rischio enorme sta tutto nel vertice di domenica e nella volontà di Berlino di dare seguito alla più volte citata
“opzione Allianz” per ampliare il fondo Efsf, ovvero ottenere un effetto leva sulla disponibilità massima dello stesso fino a 2-3 triliardi di euro per utilizzarlo come assicurazione “first loss” sulle obbligazioni dei paesi periferici: se passerà, si rischia un reazione brutale dei mercati.
Prepariamoci, quindi, cari amici, visto che il quotidiano britannico
The Guardian si spingeva ieri a sostenere che la cancelliera Angela Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy avrebbero concordato un massiccio aumento della “potenza di fuoco” del fondo europeo salva Stati, quell’Efsf che, tramite il ricorso alla leva finanziaria, vedrebbe moltiplicarsi di quasi cinque volte la sua capacità di intervento, passando da una dotazione di 440 miliardi di euro si potenzierebbe a oltre 2 miliardi teorici. Ma su altre testate circolano altre versioni e cifre in merito alla stessa vicenda: come al solito, la parola d’ordine europea è chiarezza!
Ad esempio, stando al
Financial Times Deutschland, il ministro delle Finanze tedesco,
Wolfgang Schauble, sarebbe d’accordo a utilizzare la leva finanziaria sull’Efsf, ma solo per potenziarlo fino a 1.000 miliardi di euro teorici: un’apertura che comunque, se confermata, segnerebbe un cambiamento di linea rispetto a quella finora tenuta dallo stesso Schauble sulla questione;
peccato che si sostanzierebbe nella non copertura per Spagna e Italia (ovvero nell’assenza di fondi per l’anticipo di rischio pari al 20% per gli investitori che vogliano comprare nuovi Btp e o Bonos) rispetto alle emissioni obbligazionarie per tutto il 2012, quindi un anno senza scudo di Bce e nemmeno dell’Efsf come assicurazione a garanzia. Auguroni!
Ma stavolta l’asse franco-tedesco rischia di ritrovarsi come il topo nella trappola.
Il professor Ansgar Belke, del Diw Institute di Berlino, ha infatti dichiarato che «ogni utilizzo della leva per il fondo Efsf potrebbe essere “velenoso” per il rating AAA della Francia e potrebbe dar vita a una catena incontrollabile di eventi. Sarebbe controproducente rispetto a tutti gli sforzi fin qui fatti per stabilizzare la crisi del debito europeo, tutti basati sullo status tripla A di un numero sufficiente di economie forti. In extremis, potrebbe causare la rottura dell’Eurozona stessa».
E la Francia, minacce di Moody’s a parte, è già oggi estremamente vulnerabile, visto che può vantare i peggiori debiti di budget e deficit primario degli stati con rating AAA (ovviamente si può obiettare che la Gran Bretagna stia peggio, peccato che Londra abbia una moneta e una banca centrale sovrane). Sempre i
l professor Belke fa notare come «Bnp Paribas, Societe Generale e Credit Agricole potrebbero aver bisogno a breve di 20 miliardi di capitale fresco, con un effetto deprimente per lo Stato. L’attuale ratio debito/Pil del 82%, è destinata a salire facilmente e rapidamente al 90% se la crisi non verrà frenata».
E subito dopo la minaccia di Moody’s di declassare la tripla A sul rischio sovrano della Francia, è salita ai massimi anche la pressione sui buoni del Tesoro francese: gli Oat decennali di Parigi erano scambiati sul mercato secondario al 3,13%, con lo spread sul Bund a 110 punti base, su livelli record dall’introduzione dell’euro.
Ma se Parigi piange, Berlino rischia di non ridere e, anzi, di scottarsi parecchio le dita giocando, come sta facendo, con il fuoco.
Per Thorsten Polleit di Barclays Capital, «i pesi derivanti dai salvataggi che il governo tedesco deve sostenere, potrebbero portare a un drastico deterioramento del debito e alla messa in discussione del rating AAA».
Insomma, l’azzardo di operare a leva sull’Efsf è un’arma a doppio taglio: se da un lato scaricherebbe sui contribuenti europei i costi dei tagli obbligazionario dei bonds detenuti da banche, fondi pensione e assicurazioni, dall’altro farebbe volare via il rating AAA di Francia e Germania, principali contributori in sede Ue.
A oggi, infatti, l’Efsf è un creditore privilegiato.
Quindi, tutti i soggetti poc’anzi elencati che hanno acquistato debito greco in buona fede, dovranno subire le perdite. Solo una volta che queste saranno ridotte a zero con un haircut al 100%, il debito dell’Efsf comincia a essere svalutato, la cosiddetta “last loss”.
Allianz, invece, vuole ribaltare l’impostazione, facendo in modo che sia il fondo salva-Stati a prendere il primo colpo, ovvero a pagare per primo. Che rating avrebbe l’Efsf se davvero si darà vita a questa follia? BBB? Forse CCC?
Ma, soprattutto, qualche particolare di non secondaria importanza. Primo, gli stanziamenti dell’Efsf non sono in cash ma in garanzie, quindi non avranno la potenza di fuoco degli acquisti diretti della Bce.
Inoltre, la soluzione “Allianz” permette agli investitori lo switch da bond rischiosi a obbligazioni nuove e parzialmente garantite, ma non fa nulla per il rischio di solvibilità sottostante.
Creare un mercato obbligazionario a due binari rischia poi di destabilizzare gli attuali detentori di debito, impattando sui mercati terziari. Ad esempio, chi detiene obbligazioni belghe potrebbe incorrere in sofferenze mentre gli investitori attenderanno che l’Efsf attui il de-risking di quei titoli.
Ancora,
questo Efsf potenziato avrà vita breve e appare unicamente uno strumento per prendere tempo: nella migliore delle ipotesi, infatti, scadrà per statuto nel luglio del 2013, quando entrerà in vigora l’Esm. Del quale, però, da più parti si chiede l’attivazione con un anno di anticipo, luglio 2012, dimenticandosi che questo diverrà da subito un creditore senior e soggetto istituzionalizzatore di tagli obbligazionari.
«Si deve fare tutto il possibile per evitare il contagio della crisi del debito. Nell’azione di contrasto alla crisi stiamo procedendo millimetro dopo millimetro», così Angela Merkel si è rivolta ai parlamentari della Cdu martedì pomeriggio.
Anche “Frau Nein” sembra aver capito che il ghiaccio sta diventando sottile sotto i piedi di tutti: e non salta più sulla sedia, sbraitando. Ma si muove piano e cauta, millimetro dopo millimetro.