L'arte è pura convenzione?

Credo che in questo contesto il tempo diventi comunque il criterio che discrimina, salvo oscillazioni temporanee legate a mode-riscoperte, l'arte "vera" dai prodotti "costruiti a tavolino". Il riconoscere una sopravvivenza ed una qualità anche al mutare di epoche e gusti sarà pure legato ad un valore unanimemente riconosciuto... nonostante il tempo non sia di per sè immutabile ma abbia subito anch'esso una velocizzazione ed un "consumo" per cui tutto si evolve o si brucia molto più in fretta.

Proprio quanto affermato da Holly, percezione di valore come "riconoscibilità di un marchio" o a maggior ragione di status symbol, mi portava a collegare il concetto di "convenzione" più al mercato e dintorni che all'arte in quanto tale, magari illudendomi che l'arte sia frutto di una libertà di scelta ed anche dell'urgenza e necessità per l'artista di produrla, in modo svincolato da costrizioni domanda-offerta applicabili piuttosto alla lavorazione seriale.
 
Ragazzi stasera sono a cena con un importante Artista. Pongo la domanda anche a lui e poi vi dico.
Son curioso.
 
Il riconoscere una sopravvivenza ed una qualità anche al mutare di epoche e gusti sarà pure legato ad un valore unanimemente riconosciuto...
Se magari volessimo partire non dal tempo ma dall'evoluzione, potremmo dire che quest'ultima consiste nel mutarsi delle "cose" nella loro forma e sostanza. Io credo (ma penso sia pure l'ideuzza di qualche Einstein non di passaggio) che noi percepiamo solo la modifica di queste "forma e sostanza" e recuperiamo l'identità delle cose utilizzando il concetto di tempo.
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Lo spazio è il concetto che ci permette di moltiplicare l'identità nostra e del mondo tutto.

L Qui davo per scontato che si potesse considerare accettabile l'idea occidentale del progresso, del divenire, cosa piuttosto controversa sul puro piano filosofico.

Riprendo il problema: come avviene che il tempo, nella maggioranza dei casi, faccia giustizia nel campo artistico? (poi anche: perché non proprio sempre?)
Non mi piace procedere per astrazioni. Voglio che il mio discorso sia concreto. Definire tempo e spazio come ho fatto non è un gioco mentale. Può essere la chiave per vedere oltre i paraocchi del pensare comune.

Il tempo è il concetto (o strumento dell'operare mentale) che ci permette di conservare l'identità nostra e del mondo tutto. Se ho più percezioni differenti perché la realtà esterna muta, posso attribuire una identità a quella realtà e quindi dotarla della qualità "tempo", o meglio vederla attraverso l'occhiale "tempo". La gamba del tavolo è prima intera, poi rotta: sono due vignette, due immagini che io riferisco allo stesso soggetto. Se non unifico in un solo soggetto, non ho un divenire: c'è una gamba intera e una rotta. Vedo due gambe del tavolo, interpreto la situazione come spazio. Lo spazio è il concetto che ci permette di moltiplicare l'identità nostra e del mondo tutto. Non posso parlare di tempo senza adoperare l'"identità", non posso parlare di spazio senza adoperare la "pluralità".
Le leggi geometriche tipo il teorema di Pitagora ecc. "parlano" di puro spazio, non di tempo. Viceversa, le modifiche biologiche evidenti in un individuo sono portatrici di tempo in quanto appunto le riferisco ad una identità.

Questo ha a che fare con il "giudizio del tempo"? Con il riconoscere una qualità? Certo. Poiché tutto muta, mutano anche esigenze, riferimenti, necessità e criteri di giudizio. In pratica, le caratteristiche di un'epoca. Se, per esempio, le esigenze fossero così diverse da non potersi riferire a qualcosa di comune, di dotato d'identità, come per esempio nell'arte la "bellezza", ma addirittura sfociassero invece in qualcosa di assolutamente diverso, come potrebbe essere "lo scopo di influenzare la politica", cambierebbero i metri di giudizio e si valuterebbe non più la piacevolezza estetica, ma la correttezza politica di un lavoro. Però si giudicherebbe su un altro piano, confronti dunque non se ne potrebbero fare.
Il feticcio del selvaggio NON aveva una risposta estetica ad un complesso di situazioni ed esigenze, ma andava direttamente sul pratico. Posso trovarlo bello, ma l'autore non ci ha messo dentro la bellezza, nel senso che intendo io oggi. Di due feticci quello che oggi pare il più bello poteva benissimo essere il peggiore rispetto alla sua epoca.
Da alcune centinaia di anni noi esigiamo dall'arte una espressione di identità, sentire la forza dell'uomo che ha creato. Ciò accade perché lo spettatore è divenuto irrimediabilmente cosciente che quanto l'arte muove in noi non va subìto passivamente, ma viene rivissuto dalla nostra identità. Creare significa fare cosa nuova. Un lavoro collettivo ci spiazza, dobbiamo immaginare una superiore unione spirituale dei creatori. Un lavoro pur individuale, ma nato vecchio e che non "crea" viene rifiutato. Creare,oggi, presuppone una individualità che si esterna.
Allora, nella nostra epoca cerchiamo bellezza/piacevolezza/espressione, identità, creazione. Se manca uno di questi elementi non parliamo, solitamente, di arte.
Questo a livello spirituale.

Ma c'è un altro livello, chiamiamolo di consumo, quello in cui l'opera non deve darci bellezza/piacevolezza/espressione, identità, creazione, ma, al contrario, deve rassicurarci ripetendo il già noto, e quindi mostrare aspetti dell'identità che non siano di alta creazione, dove si abbisogna di "pensiero", bensì avvicinarsi ai bisogni della sopravvivenza. Come esempio, la canzonetta contrapposta alla musica sinfonica. ***
Allora il punto è: come verrà capita/giudicata un'opera d'arte? Il popolo della chiesa saprà accettare l'immagine non rasserenante di un Cristo espressionista? Il pubblico della musica andrà a cercare l'aspetto creativo e problematico di un compositore, o invece non richiederà di navigare acque già note e rassicuranti, "suonala ancora, Sam"? Il livello inferiore è sempre attivo nel tempo, ma ha la caratteristica di mutare maggiormente, proprio in quanto più dipendente dai cambiamenti epocali. Viceversa, creazione ed identità sono elementi unificanti e contrastano la pluralità di spinte di una società che si modifica.
Ecco allora che Vermeer al suo tempo è pregiatissimo, ma per essere goduto richiede una apertura verso il "luminoso" che la società che venne dopo non aveva: e fu dimenticato.
Ecco che Tiepolo, per gli atteggiamenti dei suoi personaggi, appare troppo legato alla società rococò, che il nuovo tempo, romantico e materialista insieme, rifiuta. E per un po' va in secondo piano.

Voglio dire che gli errori (o insufficienze) di giudizio sono legati all'emergere del "livello del consumo", quello che chiede rassicurazioni. E questo livello è il più dipendente dalle modifiche che sono caratteristiche di un'epoca - o sottoepoca.
Molto Liberty venne considerato vecchiume dopo la Guerra Mondiale, con i miti della velocità, della forza ecc. Poi si è recuperato quanto fosse più dotato di individualità. Ma per un periodo la "leziosità" liberty fu un peccato mortale. Come si vede, non si giudicò sul piano bellezza/piacevolezza/espressione, identità, creazione, bensì si andava a spulciare l'aspetto di decorativismo con cui a sua volta il Liberty omaggiava i bisogni meno elevati della propria epoca.

Ecco che Cris e Baleng porteranno dentro sé non solo una somma di esperienze con cui giudicare l'opera, ma anche, ciascuno, le contrapposte esigenze di novità (spirituale) o di ripetizione consolatoria. Quello dei due che più si sarà fatto guidare dalla prima esigenza avrà avuto accesso ad un giudizio più valido nel trascorrere del tempo. Ma se Baleng avrà apprezzato la "pennellata grassa" senza chiedersi che cosa di nuovo indichi l'autore, o se Cris avrà apprezzato la novità in quanto tale (ché oggi anche la novità esteriore esasperata è una forma di rassicurazione) senza considerare gli elementi bellezza/piacevolezza/espressione, identità, creazione, il loro giudizio non mirerà lontano.

Detta in altro modo: l'evoluzione di una identità noi la chiamiamo temporale. Però i ritmi delle modifiche possono rispondere ad esigenze di basso livello, e il giudizio su ciò vale meno, o di alto livello, allora più lenti e comunque rispondenti a criteri diversi, che portano a guardare lontano.

__________________________

***

Si pensi al classico salotto confortevole, dove l'ambiente tende a rassicurare e far star bene le persone, mentre invece i quadri appesi al muro, quando non siano una banale conferma di quell'ambiente - vasi di fiori, paesaggi bucolici ... - talvolta si esprimono come caute finestre su un mondo diverso, portando provocazione, idee ... scomodità :)
 
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Riprendo il problema: come avviene che il tempo, nella maggioranza dei casi, faccia giustizia nel campo artistico? (poi anche: perché non proprio sempre?)
Non mi piace procedere per astrazioni. Voglio che il mio discorso sia concreto. Definire tempo e spazio come ho fatto non è un gioco mentale. Può essere la chiave per vedere oltre i paraocchi del pensare comune.

Il tempo è il concetto (o strumento dell'operare mentale) che ci permette di conservare l'identità nostra e del mondo tutto. Se ho più percezioni differenti perché la realtà esterna muta, posso attribuire una identità a quella realtà e quindi dotarla della qualità "tempo", o meglio vederla attraverso l'occhiale "tempo". La gamba del tavolo è prima intera, poi rotta: sono due vignette, due immagini che io riferisco allo stesso soggetto. Se non unifico in un solo soggetto, non ho un divenire: c'è una gamba intera e una rotta. Vedo due gambe del tavolo, interpreto la situazione come spazio. Lo spazio è il concetto che ci permette di moltiplicare l'identità nostra e del mondo tutto. Non posso parlare di tempo senza adoperare l'"identità", non posso parlare di spazio senza adoperare la "pluralità".
Le leggi geometriche tipo il teorema di Pitagora ecc. "parlano" di puro spazio, non di tempo. Viceversa, le modifiche biologiche evidenti in un individuo sono portatrici di tempo in quanto appunto le riferisco ad una identità.

Questo ha a che fare con il "giudizio del tempo"? Con il riconoscere una qualità? Certo. Poiché tutto muta, mutano anche esigenze, riferimenti, necessità e criteri di giudizio. In pratica, le caratteristiche di un'epoca. Se, per esempio, le esigenze fossero così diverse da non potersi riferire a qualcosa di comune, di dotato d'identità, come per esempio nell'arte la "bellezza", ma addirittura sfociassero invece in qualcosa di assolutamente diverso, come potrebbe essere "lo scopo di influenzare la politica", cambierebbero i metri di giudizio e si valuterebbe non più la piacevolezza estetica, ma la correttezza politica di un lavoro. Però si giudicherebbe su un altro piano, confronti dunque non se ne potrebbero fare.
Il feticcio del selvaggio NON aveva una risposta estetica ad un complesso di situazioni ed esigenze, ma andava direttamente sul pratico. Posso trovarlo bello, ma l'autore non ci ha messo dentro la bellezza, nel senso che intendo io oggi. Di due feticci quello che oggi pare il più bello poteva benissimo essere il peggiore rispetto alla sua epoca.
Da alcune centinaia di anni noi esigiamo dall'arte una espressione di identità, sentire la forza dell'uomo che ha creato. Ciò accade perché lo spettatore è divenuto irrimediabilmente cosciente che quanto l'arte muove in noi non va subìto passivamente, ma viene rivissuto dalla nostra identità. Creare significa fare cosa nuova. Un lavoro collettivo ci spiazza, dobbiamo immaginare una superiore unione spirituale dei creatori. Un lavoro pur individuale, ma nato vecchio e che non "crea" viene rifiutato. Creare,oggi, presuppone una individualità che si esterna.
Allora, nella nostra epoca cerchiamo bellezza/piacevolezza/espressione, identità, creazione. Se manca uno di questi elementi non parliamo, solitamente, di arte.
Questo a livello spirituale.

Ma c'è un altro livello, chiamiamolo di consumo, quello in cui l'opera non deve darci bellezza/piacevolezza/espressione, identità, creazione, ma, al contrario, deve rassicurarci ripetendo il già noto, e quindi mostrare aspetti dell'identità che non siano di alta creazione, dove si abbisogna di "pensiero", bensì avvicinarsi ai bisogni della sopravvivenza. Come esempio, la canzonetta contrapposta alla musica sinfonica. ***
Allora il punto è: come verrà capita/giudicata un'opera d'arte? Il popolo della chiesa saprà accettare l'immagine non rasserenante di un Cristo espressionista? Il pubblico della musica andrà a cercare l'aspetto creativo e problematico di un compositore, o invece non richiederà di navigare acque già note e rassicuranti, "suonala ancora, Sam"? Il livello inferiore è sempre attivo nel tempo, ma ha la caratteristica di mutare maggiormente, proprio in quanto più dipendente dai cambiamenti epocali. Viceversa, creazione ed identità sono elementi unificanti e contrastano la pluralità di spinte di una società che si modifica.
Ecco allora che Vermeer al suo tempo è pregiatissimo, ma per essere goduto richiede una apertura verso il "luminoso" che la società che venne dopo non aveva: e fu dimenticato.
Ecco che Tiepolo, per gli atteggiamenti dei suoi personaggi, appare troppo legato alla società rococò, che il nuovo tempo, romantico e materialista insieme, rifiuta. E per un po' va in secondo piano.

Voglio dire che gli errori (o insufficienze) di giudizio sono legati all'emergere del "livello del consumo", quello che chiede rassicurazioni. E questo livello è il più dipendente dalle modifiche che sono caratteristiche di un'epoca - o sottoepoca.
Molto Liberty venne considerato vecchiume dopo la Guerra Mondiale, con i miti della velocità, della forza ecc. Poi si è recuperato quanto fosse più dotato di individualità. Ma per un periodo la "leziosità" liberty fu un peccato mortale. Come si vede, non si giudicò sul piano bellezza/piacevolezza/espressione, identità, creazione, bensì si andava a spulciare l'aspetto di decorativismo con cui a sua volta il Liberty omaggiava i bisogni meno elevati della propria epoca.

Ecco che Cris e Baleng porteranno dentro sé non solo una somma di esperienze con cui giudicare l'opera, ma anche, ciascuno, le contrapposte esigenze di novità (spirituale) o di ripetizione consolatoria. Quello dei due che più si sarà fatto guidare dalla prima esigenza avrà avuto accesso ad un giudizio più valido nel trascorrere del tempo. Ma se Baleng avrà apprezzato la "pennellata grassa" senza chiedersi che cosa di nuovo indichi l'autore, o se Cris avrà apprezzato la novità in quanto tale (ché oggi anche la novità esteriore esasperata è una forma di rassicurazione) senza considerare gli elementi bellezza/piacevolezza/espressione, identità, creazione, il loro giudizio non mirerà lontano.

Detta in altro modo: l'evoluzione di una identità noi la chiamiamo temporale. Però i ritmi delle modifiche possono rispondere ad esigenze di basso livello, e il giudizio su ciò vale meno, o di alto livello, allora più lenti e comunque rispondenti a criteri diversi, che portano a guardare lontano.

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Si pensi al classico salotto confortevole, dove l'ambiente tende a rassicurare e far star bene le persone, mentre invece i quadri appesi al muro, quando non siano una banale conferma di quell'ambiente - vasi di fiori, paesaggi bucolici ... - talvolta si esprimono come caute finestre su un mondo diverso, portando provocazione, idee ... scomodità :)
Oh cavolo Gino. Mi sento come lo spillo che ha sondato il palloncino
Compongo con calma alcuni pezzettini e poi ritorno.
 
L'arte interpretata sul piano dell'identità funziona finchè si applica il canone estetico o politico, che rispecchiano una realtà contemporanea riconoscibile dalla società di riferimento. Non appena prevalgono la dimensione individuale e l'uso di un linguaggio meno codificato ed immediato si crea una sfasatura tra momento di produzione e di fruizione dell'opera, l'artista rappresenta spesso "l'apripista" nell'interpretare un'epoca e viene apprezzato ex post dalla maggioranza.

Anche nella valutazione e comprensione dell'artista la chiave di lettura diventa quindi completamente soggettiva e non identitaria; guarda caso è proprio in tale contesto che il mercato diventa protagonista condizionando gusti e scelte ma soprattutto creando la riconosibilità basata sul valore.
 
Apprezzo tutti gli interventi. Vorrei solo rilevare che un'opera d'arte vera, rimane sempre contemporanea agli occhi delle generazioni che si susseguono e quindi, rimane atemporale.
 
Heimat ha ragione ma penso valga solo per i capolavori assoluti.
Se non contestualizzi l'opera d'arte nel momento storico in cui è prodotta, perdi gran parte del suo significato presente o evocativo
 
Se la "contemporaneità" fa riferimento al valore assoluto dell'opera d'arte tale da renderla "universale" in grado di superare mode e generazioni è un conto, ma non contestualizzarla la priva di parte del significato che assume proprio perchè prodotta in quel preciso momento o condizione storico-politica, direi che consente una vautazione solo parziale
 
Io credo che l'idea dello trascorrere del tempo e l'idea della storia siano, in arte, diverse, rispetto alla stesse intuizioni, poste su un livello più generale.
A livello generale il tempo viene intuito come processo di trasformazione e invecchiamento: le cose cambiano continuamente, le cose vive invecchiano e subiscono un ciclo di costruzione del vissuto; nascita, crescita, maturazione, invecchiamento, morte. Percepiamo i cambiamenti anche nelle cose 'non vive', più lenti ma che segnano comunque una trasformazione. L'identità, nel caso generale, è ciò che percepiamo, nella cosa osservata, rimanere costante nel tempo. L'intuizione del tempo e l'intuizione dell'identità sono fortemente legate tra loro dall'intuizione del principio causale, ovvero dall'intuizione del fenomeno di causa-effetto. Le cose cambiano, ma cambiano soggette a delle leggi naturali che tendiamo a razionalizzare in modelli, che fortemente vogliamo razionalizzare in modelli. Bisogna avere chiaro che identità e trasformazione sono equivalenti, sono un altro modo per affermare il principio di causa-effetto. Da causa-effetto derivano le intuizioni l'identità e trasformazione e da identità e trasformazione derivano le intuizioni di causa-effetto è evidente che si sta parlando non di intuizioni diverse, bensì di aspetti diversi della stessa intuizione (o se vogliamo della stessa intuizione espressa con vocaboli diversi).
Qui occorre introdurre però per completezza l'idea della volontà irrazionale, se da una parte realizziamo modelli di riconoscimento della realtà allo scopo di comprenderla e sottoporla al nostro dominio nondimeno dobbiamo ricordare che non abbiamo garanzia, e non possiamo provare, che queste intuizioni siano valide eternamente. La nostra cultura occidentale, la storia del pensiero occidentale (la nostra filosofia) è una vera e propria corsa alla distruzione progressiva di tutte le cose credute eterne. Il nichilismo è proprio questo: la messa in discussione di tutte le forme di identità sino alla negazione di ogni eternità. Dio è morto affermò Nietzsche, ma la sua negazione totale della identità eterna per eccellenza passa dal riconoscimento della volontà irrazionale di Schopenhauer e prima di lui dal riconoscimento della realtà convenzionale del fenomeno di causa-effetto di Hume. Tutto ciò appartiene alla storia del pensiero occidentale, le riflessioni dei singoli filosofi si basano sulle acquisizioni di pensiero dei filosofi precendenti, sono possibili solo perchè prima di loro qualcun'altro ha sviluppato una idea, una intuizione dalla quale non si può tornare indietro.

E' evidente e indiscutibile il fatto che esista un filo sottile che lega la storia di ogni singola società, e che questa storia sia segnata da accadimenti o idee: irreversibili all'interno di quella storia e che ne segnano la metrica, la direzione e lo sviluppo.
Nondimeno si può sicuramente affermare che nella nostra intuizione del tempo vi è una parte di scelta convenzionale legata alla nostra cultura e si può affermare inoltre che anche che ciò che viene riconosciuto come identità può cambiare da società a società e da epoca ad epoca.

Fatta questa lunga e, secondo me, necessaria premessa mi chiedo quali siano le caratteristiche da riconoscere nell'intuizione del fenomeno Arte se vogliamo porla al di fuori della sfera della pura convenzione. Occorre sicuramente fare una precisa distinzione tra ciò che è fenomeno di mercato da ciò che è fenomeno di arricchimento culturale. Occorre inoltre come avete già correttamente indicato comprendere quali espressioni siano minori e quali siano quelle che segnano la metrica, la direzione e lo sviluppo della Storia dell'Arte. Ovvero occorre riconoscere il valore delle espressioni dell'Arte non con la contropartita monetaria bensì con il metro del vero e proprio paletto culturale, occorre riconoscere cosa arricchisce la Storia dell'Arte, cosa aggiunge elementi culturali e cosa no.
Nel fare questo riconosciamo le espressioni artistiche più importanti come particelle del corpo della storia dell'Arte e le poniamo in una dimensione atemporale, le mettiamo in riga fuori dal tempo, inserendole però, comunque, in una particolare intuizione ordinata che funge da tichettio della stessa evoluzione dell'Arte.
Questo significa che non è che manchi la dimensione temporale, ma che questa dimensione viene rappresentata in una particolare 'storia' e quindi in una particolare progressione, il cui incedere non è segnato dal normale tichettio temporale (secondi, ore, anni, ecc.) ma da un tichettio di accadimenti culturali.
Alcuni tichettio sono più importanti di altri perchè permettono la acquisizione di 'conoscenza' e segnano il tempo dell'arte perchè una volta noti, la loro 'conoscenza' diventa irreversibile e si pone come base di ulteriori sviluppi (tichettii).

Esiste un'arte che è pura convenzione ed esiste un'arte che trascende la convenzione, o forse neppure trascende perchè proprio non ha relazioni con la convenzione.
Il moderno sistema dell'Arte ha necessità per svilupparsi di rendere il più possibile convenzionali i meccanismi di formazione del valore per garantire sviluppo e prosperità al mercato e ai suoi attori. Penso sia oramai semplice da comprendere, se partecipi al gioco ne trai vantaggi e rischi. Se meglio comprendi le regole tra meglio i vantaggi e limiti i rischi. Il gioco (qualunque gioco) ha necessità di un oggetto di scambio e di misurazione della propria dimensione, dei guadagni e delle perdite di ogni partecipante. Nel mercato dell'Arte l'oggetto di misurazione è il denaro e tutto è funzionale a questo. Non tutto per fortuna è mercato e quindi non tutto il fenomeno artistico si sviluppa nella direzione della convenzione.

Chiudo questo post con una nota personale.
Con tutto questo mio discorso non voglio affatto affermare che vi sia un'arte migliore altrove e un'arte peggiore (perchè convenzionale) nel mercato. Noi tutti viviamo sia di ideali che di cose pratiche, viviamo sia di valore economico che di valore spirituale.
Personalmente è stato importante arrivare a capire esiste una dimensione di valore del fenomeno artistico fuori dalla convenzione e cominciare a farmi un modello (che ovviamente è in divenire) di questa dimensione con lo scopo di arrivare, nel tempo, ad intuire alcuni dei meccanismi di formazione e sviluppo di questi valori.
 
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A livello generale il tempo viene intuito come processo di trasformazione e invecchiamento: le cose cambiano continuamente, le cose vive invecchiano e subiscono un ciclo di costruzione del vissuto; nascita, crescita, maturazione, invecchiamento, morte. Percepiamo i cambiamenti anche nelle cose 'non vive', più lenti ma che segnano comunque una trasformazione. L'identità, nel caso generale, è ciò che percepiamo, nella cosa osservata, rimanere costante nel tempo.
Bene. Ora è chiaro che per parlare di trasformazione adoperiamo il concetto di identità. :banana: Ed è chiaro che presupponiamo una identità (per una nazione, una cultura, una città) quando parliamo altresì di evoluzione. Un piccolo ulteriore passo sarebbe attribuire le modifiche NON alle cose in sé ma al risultato del nostro osservare su di esse.Perché l'identità non la percepiamo affatto. La presupponiamo in funzione, come dici, di quanto ci appare rimanere costante. Un antico abitante di Este, di 2000 anni fa, non riconoscerebbe nulla oggi di quella cittadina, tutto è cambiato. Però, sapendo che insiste sullo stesso suolo, negli stessi spazi, ecco che presupporrebbe che una grande trasformazione ne abbia trasformato l'identità. Non sapendolo, non collegherebbe le due immagini.
Allora, poiché non parliamo di tempo ma di trasformazioni, possiamo dire che quanto si trasforma maggiormente ci comunica di "vivere in un tempo più veloce" rispetto a quanto si trasforma poco o nulla. Tale almeno è la nostra percezione applicata alla cosa.

L'intuizione del tempo e l'intuizione dell'identità sono fortemente legate tra loro dall'intuizione del principio causale, ovvero dall'intuizione del fenomeno di causa-effetto. Le cose cambiano, ma cambiano soggette a delle leggi naturali che tendiamo a razionalizzare in modelli, che fortemente vogliamo razionalizzare in modelli. Bisogna avere chiaro che identità e trasformazione sono equivalenti, sono un altro modo per affermare il principio di causa-effetto. :noo: Da causa-effetto derivano le intuizioni l'identità e trasformazione e da identità e trasformazione derivano le intuizioni di causa-effetto è evidente che si sta parlando non di intuizioni diverse, bensì di aspetti diversi della stessa intuizione (o se vogliamo della stessa intuizione espressa con vocaboli diversi).
No, qui non sono d'accordo. Il principio causa-effetto viene irrimediabilmente dopo. Prima "percepisco" identità e trasformazione, solamente dopo posso ricercarne le cause (in tal caso do per presupposto che 1) la "norma" è che nulla cambi, e 2) se qualcosa cambia vi è eccezione alla norma: 3) per la quale eccezione va ricercata una "causa")

Qui occorre introdurre però per completezza l'idea della volontà irrazionale, se da una parte realizziamo modelli di riconoscimento della realtà allo scopo di comprenderla e sottoporla al nostro dominio nondimeno dobbiamo ricordare che non abbiamo garanzia, e non possiamo provare, che queste intuizioni siano valide eternamente. La nostra cultura occidentale, la storia del pensiero occidentale (la nostra filosofia) è una vera e propria corsa alla distruzione progressiva di tutte le cose credute eterne. Il nichilismo è proprio questo: la messa in discussione di tutte le forme di identità sino alla negazione di ogni eternità. Dio è morto affermò Nietzsche, ma la sua negazione totale della identità eterna per eccellenza passa dal riconoscimento della volontà irrazionale di Schopenhauer e prima di lui dal riconoscimento della realtà convenzionale del fenomeno di causa-effetto di Hume. Tutto ciò appartiene alla storia del pensiero occidentale, le riflessioni dei singoli filosofi si basano sulle acquisizioni di pensiero dei filosofi precendenti, sono possibili solo perchè prima di loro qualcun'altro ha sviluppato una idea, una intuizione dalla quale non si può tornare indietro.
Il poco che ho capito l'ho sottolineato :ops:
E' evidente e indiscutibile il fatto che esista un filo sottile che lega la storia di ogni singola società, e che questa storia sia segnata da accadimenti o idee: irreversibili all'interno di quella storia e che ne segnano la metrica, la direzione e lo sviluppo.
Se presupponi una identità (parlando di una singola società), presupponi anche il filo sottile, niente di strano che poi lo trovi :pollicione: visto che qualcosa deve rimanere uguale e qualcosa mutare. Trovo tautologica questa affermazione.

Nondimeno si può sicuramente affermare che nella nostra intuizione del tempo vi è una parte di scelta convenzionale legata alla nostra cultura e si può affermare inoltre che anche che ciò che viene riconosciuto come identità può cambiare da società a società e da epoca ad epoca.
Questo è interessante e si può approfondire. Anch'io scrivevo che la richiesta di identità umana nell'opera d'arte è fenomeno relativamente recente. Inoltre potremmo ricercare come qualcosa sia legato alle necessità dell'epoca anche in altri campi, e dunque produca uno stile che riguarderà sia l'opera di alto livello che quella di basso livello seguendo certe convenzioni (moda, per esempio). Altro sia invece più libero da queste e navighi a livelli superiori, dove, tra l'altro, i mutamenti sono minori (da qui l'attribuzione di "eterno" alle opere più elevate) e qui le convenzioni sono meno legate al contingente. Penso così di aver risposto anche a tutto il lungo paragrafo che segue

Fatta questa lunga e, secondo me, necessaria premessa mi chiedo quali siano le caratteristiche da riconoscere nell'intuizione del fenomeno Arte se vogliamo porla al di fuori della sfera della pura convenzione. Occorre sicuramente fare una precisa distinzione tra ciò che è fenomeno di mercato da ciò che è fenomeno di arricchimento culturale. Occorre inoltre come avete già correttamente indicato comprendere quali espressioni siano minori e quali siano quelle che segnano la metrica, la direzione e lo sviluppo della Storia dell'Arte. Ovvero occorre riconoscere il valore delle espressioni dell'Arte non con la contropartita monetaria bensì con il metro del vero e proprio paletto culturale, occorre riconoscere cosa arricchisce la Storia dell'Arte, cosa aggiunge elementi culturali e cosa no.
Nel fare questo riconosciamo le espressioni artistiche più importanti come particelle del corpo della storia dell'Arte e le poniamo in una dimensione atemporale, le mettiamo in riga fuori dal tempo, inserendole però, comunque, in una particolare intuizione ordinata che funge da tichettio della stessa evoluzione dell'Arte.
Questo significa che non è che manchi la dimensione temporale, ma che questa dimensione viene rappresentata in una particolare 'storia' e quindi in una particolare progressione, il cui incedere non è segnato dal normale tichettio temporale (secondi, ore, anni, ecc.) ma da un tichettio di accadimenti culturali.
Alcuni tichettio sono più importanti di altri perchè permettono la acquisizione di 'conoscenza' e segnano il tempo dell'arte perchè una volta noti, la loro 'conoscenza' diventa irreversibile e si pone come base di ulteriori sviluppi (tichettii).

Esiste un'arte che è pura convenzione ed esiste un'arte che trascende la convenzione, o forse neppure trascende perchè proprio non ha relazioni con la convenzione.
Il moderno sistema dell'Arte ha necessità per svilupparsi di rendere il più possibile convenzionali i meccanismi di formazione del valore per garantire sviluppo e prosperità al mercato e ai suoi attori. Penso sia oramai semplice da comprendere, se partecipi al gioco ne trai vantaggi e rischi. Se meglio comprendi le regole tra meglio i vantaggi e limiti i rischi. Il gioco (qualunque gioco) ha necessità di un oggetto di scambio e di misurazione della propria dimensione, dei guadagni e delle perdite di ogni partecipante. Nel mercato dell'Arte l'oggetto di misurazione è il denaro e tutto è funzionale a questo. Non tutto per fortuna è mercato e quindi non tutto il fenomeno artistico si sviluppa nella direzione della convenzione.
Chiudo questo post con una nota personale.
Con tutto questo mio discorso non voglio affatto affermare che vi sia un'arte migliore altrove e un'arte peggiore (perchè convenzionale) nel mercato. Noi tutti viviamo sia di ideali che di cose pratiche, viviamo sia di valore economico che di valore spirituale.
Personalmente è stato importante arrivare a capire esiste una dimensione di valore del fenomeno artistico fuori dalla convenzione e cominciare a farmi un modello (che ovviamente è in divenire) di questa dimensione con lo scopo di arrivare, nel tempo, ad intuire alcuni dei meccanismi di formazione e sviluppo di questi valori.
Se intendi dire che è "meglio" una cosa che risponde bene a una richiesta "bassa" piuttosto che male ad una richiesta alta, sono d'accordo. Una bella canzone funziona meglio che una brutta sinfonia. Io però tengo presente che comunque almeno gli scopi (non i risultati) sono più elevati in un caso, più banali nell'altro. Ci vuol molto meno per imparare ad andare in bicicletta che a suonare il pianoforte. Eppure un buon ciclista avrà più positività, poniamo. di un cattivo pianista. Allo stesso tempo si dovrà riconoscere che il pianista si era posto una meta più elevata.

Quanto alla dimensione di valore del fenomeno artistico fuori dalla convenzione, penso coincida con l'atemporalità di @Heimat , con i capolavori assoluti. di @Cris70 eccetera. Potrebbe spiegarsi relegando il livello della convenzione alle mode del tempo (cioè a quanto si modifica nelle necessità inferiori di una società), mode che sfiorano anche le vette, le quali tuttavia emergono dalle nebbie proprio in quanto non se ne siano fatte condizionare. E' per questo, infatti, che sono portatrici, queste vette, di novità. La quale novità, non derivando dalle convenzioni della società, non può che provenire dalle profondità dell'individuo.
 
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