Riprendo il problema:
come avviene che il tempo, nella maggioranza dei casi, faccia giustizia nel campo artistico? (poi anche: perché non proprio
sempre?)
Non mi piace procedere per astrazioni. Voglio che il mio discorso sia concreto. Definire tempo e spazio come ho fatto non è un gioco mentale. Può essere la chiave per vedere oltre i paraocchi del pensare comune.
Il tempo è il concetto (o strumento dell'operare mentale) che ci permette di conservare l'identità nostra e del mondo tutto. Se ho più percezioni differenti perché
la realtà esterna muta, posso attribuire una identità a quella realtà e quindi dotarla della qualità "tempo", o meglio vederla attraverso l'occhiale "tempo". La gamba del tavolo è prima intera, poi rotta: sono due vignette, due immagini che io riferisco allo stesso soggetto. Se non unifico in un solo soggetto, non ho un divenire: c'è
una gamba intera e
una rotta. Vedo
due gambe del tavolo, interpreto la situazione come spazio. Lo spazio è il concetto che ci permette di moltiplicare l'identità nostra e del mondo tutto. Non posso parlare di tempo senza adoperare l'"identità",
non posso parlare di spazio senza adoperare la "pluralità".
Le leggi geometriche tipo il teorema di Pitagora ecc. "parlano" di puro spazio, non di tempo. Viceversa, le modifiche biologiche evidenti in un individuo sono portatrici di tempo in quanto appunto le riferisco ad una identità.
Questo ha a che fare con il "giudizio del tempo"? Con il riconoscere una qualità? Certo.
Poiché tutto muta, mutano anche esigenze, riferimenti, necessità e criteri di giudizio. In pratica, le caratteristiche di un'epoca. Se, per esempio, le esigenze fossero così diverse da non potersi riferire a qualcosa di comune, di dotato d'identità, come per esempio nell'arte la "bellezza", ma addirittura sfociassero invece in qualcosa di assolutamente diverso, come potrebbe essere "lo scopo di influenzare la politica",
cambierebbero i metri di giudizio e si valuterebbe non più la piacevolezza estetica, ma la correttezza politica di un lavoro.
Però si giudicherebbe su un altro piano, confronti dunque non se ne potrebbero fare.
Il feticcio del selvaggio NON aveva una risposta estetica ad un complesso di situazioni ed esigenze, ma andava direttamente sul pratico. Posso trovarlo bello, ma l'autore non ci ha messo dentro la bellezza, nel senso che intendo io oggi. Di due feticci quello che oggi pare il più bello poteva benissimo essere il peggiore rispetto alla sua epoca.
Da alcune centinaia di anni noi esigiamo dall'arte una espressione di identità, sentire la forza dell'uomo che ha creato. Ciò accade perché lo spettatore è divenuto irrimediabilmente cosciente che quanto l'arte muove in noi non va subìto passivamente, ma viene rivissuto dalla nostra identità.
Creare significa fare cosa nuova. Un lavoro collettivo ci spiazza, dobbiamo immaginare una superiore unione spirituale dei creatori. Un lavoro pur individuale, ma nato vecchio e che non "crea" viene rifiutato. Creare,oggi, presuppone una individualità che si esterna.
Allora, nella nostra epoca cerchiamo bellezza/piacevolezza/espressione, identità, creazione. Se manca uno di questi elementi non parliamo, solitamente, di arte.
Questo a livello spirituale.
Ma c'è un altro livello,
chiamiamolo di consumo, quello in cui l'opera non deve darci
bellezza/piacevolezza/espressione, identità, creazione, ma, al contrario,
deve rassicurarci ripetendo il già noto, e quindi mostrare aspetti dell'identità che non siano di alta creazione, dove si abbisogna di "pensiero", bensì avvicinarsi ai bisogni della sopravvivenza. Come esempio, la canzonetta contrapposta alla musica sinfonica.
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Allora il punto è:
come verrà capita/giudicata un'opera d'arte? Il popolo della chiesa saprà accettare l'immagine non rasserenante di un Cristo espressionista? Il pubblico della musica andrà a cercare l'aspetto creativo e problematico di un compositore, o invece non richiederà di navigare acque già note e rassicuranti, "suonala ancora, Sam"? Il livello inferiore è sempre attivo nel tempo, ma ha la caratteristica di mutare maggiormente, proprio in quanto più dipendente dai cambiamenti epocali.
Viceversa, creazione ed identità sono elementi unificanti e contrastano la pluralità di spinte di una società che si modifica.
Ecco allora che Vermeer al suo tempo è pregiatissimo, ma per essere goduto richiede una apertura verso il "luminoso" che la società che venne dopo non aveva: e fu dimenticato.
Ecco che Tiepolo, per gli atteggiamenti dei suoi personaggi,
appare troppo legato alla società rococò, che il nuovo tempo, romantico e materialista insieme, rifiuta. E per un po' va in secondo piano.
Voglio dire che gli errori (o insufficienze) di giudizio sono legati all'emergere del "livello del consumo", quello che chiede rassicurazioni. E questo livello è il più dipendente dalle modifiche che sono caratteristiche di un'epoca - o sottoepoca.
Molto Liberty venne considerato vecchiume dopo la Guerra Mondiale, con i miti della velocità, della forza ecc. Poi si è recuperato quanto fosse più dotato di individualità. Ma per un periodo la "leziosità" liberty fu un peccato mortale. Come si vede, non si giudicò sul piano
bellezza/piacevolezza/espressione, identità, creazione, bensì si andava a spulciare l'aspetto di decorativismo con cui a sua volta il Liberty omaggiava i bisogni meno elevati della propria epoca.
Ecco che Cris e Baleng porteranno dentro sé non solo una somma di esperienze con cui giudicare l'opera, ma anche, ciascuno, le contrapposte esigenze di novità (spirituale) o di ripetizione consolatoria. Quello dei due che più si sarà fatto guidare dalla prima esigenza avrà avuto accesso ad un giudizio più valido nel trascorrere del tempo. Ma se Baleng avrà apprezzato la "pennellata grassa" senza chiedersi che cosa di nuovo indichi l'autore, o se Cris avrà apprezzato la novità in quanto tale (ché oggi anche la novità esteriore esasperata è una forma di rassicurazione) senza considerare gli elementi
bellezza/piacevolezza/espressione, identità, creazione, il loro giudizio non mirerà lontano.
Detta in altro modo: l'evoluzione di una identità noi la chiamiamo temporale. Però i ritmi delle modifiche possono rispondere ad esigenze di basso livello, e il giudizio su ciò vale meno, o di alto livello, allora più lenti e comunque rispondenti a criteri diversi, che portano a guardare lontano.
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Si pensi al classico salotto confortevole, dove l'ambiente tende a rassicurare e far star bene le persone, mentre invece i quadri appesi al muro, quando non siano una banale conferma di quell'ambiente - vasi di fiori, paesaggi bucolici ... - talvolta si esprimono come caute finestre su un mondo diverso, portando provocazione, idee ... scomodità