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Val

Torniamo alla LIRA
Stavolta ha detto la verità.
Business vaccini, ma andare avanti con le cure ? QUELLE NO.
Business. Business. Business.



Secondo Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università Statale di Milano,
il coronavirus “ci farà compagnia ancora per un po’ di tempo, e l’immunità di gregge non si raggiungerà facilmente”.

In alcune dichiarazioni riportate da ‘La Repubblica’, l’esperto ha detto:

“Il Covid rimarrà con noi, penso, ancora per 2 o 3 anni“.


Pregliasco ha poi aggiunto:

“Comunque, anche allora, non dovremo aspettarci una dichiarazione di fine emergenza, uno spegnimento del virus.

Semmai un andamento endemico, anche alla luce della percezione del pericolo che ne ha la gente.

Un esempio: ancora oggi si infettano 10 persone al giorno a causa dell’Hiv, ma la gente non lo percepisce.

Eppure il pericolo c’è.

Così avviene anche per il Covid-19: continuerà a muoversi tra noi

e il fatto che le persone ne sottovalutino la presenza non può che agevolare l’estendersi dell’infezione”.



“La terza dose è solo l’inizio di una prassi che proseguirà”.




Ma quando andrà fatta la terza dose?

Pregliasco ha chiarito:

“Non abbiamo dati certi al riguardo.

Alcuni studi, sulla base di parametri di laboratorio,
avanzano la tesi che le due dosi di vaccino proteggano per 9-12 mesi,

ma si tratta di una schermatura che si deteriora progressivamente.


Il picco di anticorpi si rileva a 14 giorni dalla seconda dose, poi le difese scendono progressivamente.


Quindi, ragionevolmente, sarebbe opportuno pensare a una terza dose a 5 mesi dal richiamo.


In seguito si potrebbe valutare se sarà necessario adottare un approccio universale”.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Voi ci credete ? Io, solo quando le vedrò.
Però potevano aspettare ancora un po', novembre era meglio.



Le elezioni amministrative si svolgeranno domenica 3 e lunedì 4 ottobre.


Lo stabilisce il decreto adottato oggi dal ministro dell’interno Luciana Lamorgese.

In conseguenza, gli eventuali turni di ballottaggio per l’elezione diretta dei sindaci nei comuni dove è previsto il secondo turno,
si terranno due settimane dopo, e quindi di domenica 17 e lunedì 18 ottobre.

Al voto andranno i cittadini di 1162 comuni.

Tra questi 18 sono capoluoghi di provincia.

Nove, invece, tornano alle urne dopo lo scioglimento per infiltrazioni e/o condizionamenti malavitosi.

«In totale – informa una nota del Viminale – voteranno 12.015.276 elettori».

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Si voterà a Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna e Trieste.
E qui che sono puntati gli occhi di opinionisti e commentatori.
Ma anche quelli dei leader politici.

Vigiliato speciale sarà soprattutto il M5S.
Il nuovo leader Giuseppe Conte si presenta con un bottino assai magro:
di accordi con il Pd ne ha chiusi davvero pochi.

Soprattutto non lo ha chiuso a Roma, dove l’uscente 5Stelle Virginia Raggi
correrà contro due candidati della sinistra, il Pd Roberto Gualtieri e il leader di Azione Carlo Calenda.
 

Val

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Ahahahahahah molto meglio quando correvano a piedi nudi.


Non è passato inosservato il modello della Nike indossato a Tokyo dal velocista azzurro,
che consente di guadagnare fino ad otto centesimi di secondo.

Ebbene sì il trionfo di Marcell Jacobs deve essere rimasto indiesto, tanto che ormai il velocista azzurro
viene passato ai raggi X sotto tutti i punti di vista.

A questo proposito non sono passate inosservate le Nike MaxFly, che Jacobs indossava a Tokyo.

Scarpe che grazie a una tecnologia rivoluzionaria possono far guadagnare fino a 8 centesimi di secondo.

Questo piccolo vantaggio non deve destare però alcuna preoccupazione,
visto che il modello in questione sono state approvate dalle World Athletics (la federazione internazionale) lo scorso 7 maggio.


"Marcell trova le sue chiodate molto comode, sono leggermente penalizzanti nel primo tratto e vantaggiose nel finale".

Analizzando la gara di Jacobs tutto sembra tornare, dato che era solo sesto dopo essere scattato dai blocchi di partenza,
salvo poi mettere il turbo tra i 30 e i 60 metri e dominare tra i 60 e 90,
con una velocità massima di oltre 43 km/h, praticamente simile a quella di uno scooter.


Adesso proviamo a capirne la dinamica.

Le Nike MaxFly pesano 173 grammi, il tacco è sotto i 20 mm e la piastra di carbonio nella suola, un pezzo unico, è più larga della pianta del piede.
L’impressione è che la piastra funzioni come una specie di super-molla che aumenta la elasticità
e che dovrebbe migliorare la prestazione anche nella fase lanciata e in curva, fino a guadagnare qualche centesimo di secondo,
di sicuro un bel tesoretto per una gara come i 100 metri.

Qualcosa di simile per efficienza (ovviamente con i chiodi) al modello indossato da Eliud Kipchoge
nel giorno storico dell’1h59’40’’ di Vienna nella maratona.

Insomma, se c’è chi grida al doping tecnologico,
come era già successo in passato per le bici utilizzate per il record dell’ora
oppure i costumi in poliuretano vietati dalla Fina, non bisogna neanche stupirsi più di tanto.
 

Val

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00:00 Il Fatto Quotidiano titola sui morti e i ricoveri
che rispetto a un anno fa sono di più nonostante la campagna vaccinale.
Chissà come la prenderanno i politicamente corretti della dittatura sanitaria.

01:20 La Verità continua giustamente a evidenziare tutte le incongruenze sul green pass.
Intanto ci sono 15 milioni di italiani senza certificato verde, sono tutti no vax?!

03:50 Al governo continuano i dubbi se applicarlo per scuola e viaggi…

04:15 L’attacco hacker alla Regione Lazio,
pensate cosa sarebbe successo se la vittima fosse stata la Lombardia di Fontana.

06:00 La Svezia anti-lockdown ha meno morti e ricoveri rispetto al resto d’Europa, ma nessuno ne parla.

07:00 Approvata alla Camera la riforma Cartabia,
mentre Di Maio assicura che dopo l’elezione del nuovo presidente della Repubblica non ci sarà comunque il voto.
Comodo comodo sulla poltrona…

09:30 Berlusconi fa pace con la Meloni a Villa Certosa.

10:20 Il ministro Brunetta e l’ennesima intervista a Repubblica su Draghi…

11:04 Le velleità quirinalizie di Franceschini raccontate da Veneziani su la Verità.

11:27 Il Sole 24 ore racconta quanto ci è costato il fallimento di Mps: 24 miliardi di euro.

12:15 Cuomo, governatore di New York, accusato di molestie…
 

Val

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"Il problema è culturale. Il digitale fa parte delle nostre vite da trent'anni,

oggi anche il signor Rossi sa che non deve cliccare dove non deve, altrimenti i suoi dati vengono criptati,

e così, anche la Pubblica amministrazione che ha responsabilità molto più grandi,

deve essere consapevole di quanto siano critiche le sue infrastrutture"
 

Val

Torniamo alla LIRA
Più che di un «potente ed invasivo attacco», s’è trattato di un quasi-autogol,

propiziato peraltro giocando pure in casa: in smart working.



Una sorta di «gollonzo», subito dopo un pasticcio nella sgangherata difesa di Lazio Crea Spa,
la società regionale che gestisce la rete informatica.

Violata dopo un’azione di rapina ai danni dell’incerta retroguardia, a cui hanno sottratto la palla-credenziali d’accesso,
rubandola di soppiatto all’utenza di un dipendente che lavorava in casa da remoto.

Così hanno perforato la rete regionale i bomber-pirati informatici.

Che, dopo il primo gol di sabato notte, hanno riprovato, ma invano, sia domenica che lunedì notte.


Neanche 24 ore dopo la denuncia del presidente della Regione, Nicola Zingaretti, sul

«più grave attacco criminale di stampo terroristico mai avvenuto finora sul territorio nazionale»

ieri è arrivata, infatti, la rivelazione che smonta un po' il caso e ne ridimensiona quanto meno la matrice.


«L’attacco hacker che ha colpito la Regione Lazio è partito dalla violazione di un’utenza di un dipendente in smart working (nella sua casa di Frosinone ndr)

- ha detto l’assessore regionale alla Sanità, Alessio D’Amato, a Repubblica -

Hanno colpito in un momento particolare, in un momento di smartworking, quando il livello di attenzione si abbassa.

È stato criptato anche il backup dei dati, ed è l'elemento più grave. I dati non sono stati violati ma sono stati immobilizzati».



Eppure il responsabile dei sistemi d’emergenza di Lazio Crea, Vittorio Gallinella, aveva escluso categoricamente la violazione di un’utenza interna:

“Tutti i protocolli di sicurezza dei nostri sistemisti sono stati rispettati»,
aveva assicurato nella conferenza stampa di lunedì scorso dopo i primi dubbi avanzati.

Un esperto informatico, Fabio Ghioni, l’aveva invece ipotizzato subito:
«È stata la disattenzione di un dipendente a causare l’attacco, ma non possono dirlo e stanno strumentalizzando l'accaduto».



Ed anche la polizia postale, indicando dall’inizio come «ipotesi più accreditata la vulnerabilità del sistema»,
aveva fatto intuire una certa inadeguatezza di fondo nella rete regionale.



Per la quale solo 21 mesi fa è stato inaugurato il «nuovo Data Center regionale, cuore della Information Technology del Lazio,
realizzato con un investimento di 25 milioni di fondi FESR 14-20.

Il nuovo CED è un sistema complesso e innovativo per la centralizzazione e miglioramento
dei servizi informatici rivolti ai cittadini - assicurò la Regione il 4 novembre 2019 -

Un passo importante nella crescita digitale a favore non solo del buon funzionamento della Regione,
ma anche di tutti i soggetti pubblici e privati ad essa collegati, dagli ospedali alle società regionali,
dalle comunità ed enti locali alle imprese.

Un potente motore per la crescita digitale del Lazio».


Ora che tutto è in tilt molti s’interrogano sulle funzioni di Lazio Crea,

che lo scorso anno, dopo le 14 «progressioni di carriera verticali» di ferragosto,

creò altri 7 dirigenti per coprire i posti vacanti di un’azienda che ne contava già 18 su 1713 dipendenti

(che costano alla Regione 65 milioni di euro l’anno).



Due dei 7 nuovi dirigenti proprio per i «Sistemi di governo per la Sanità» in una società per azioni
nata 7 anni fa dalla fusione di 2 carrozzoni regionali: Lazio Service e Lait Lazio.

Dai quali ha assorbito i 1713 dipendenti, poi stipati nei 5 piani della sede di Via del Serafico.

Un palazzone in affitto che costa 2 milioni e 744 mila euro l’anno, pari a una media di 228 mila euro al mese e 7624 al giorno.


Ieri, intanto, in procura è arrivata una prima informativa della Polizia Postale:
si procede contro ignoti per vari reati, tra cui accesso abusivo a sistema informatico
e tentata estorsione con aggravante terroristica.

L’attacco con l’installazione del «ransomware cryptolocker»
sarebbe partito dall'estero, con rimbalzo in Germania, fino alla semi-autorete laziale.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Dato che se ne sentiva il bisogno, la Commissione Europea ha inaugurato l’ennesima Autorità, AMLA,
quella che dovrebbe occuparsi del riciclaggio di denaro sporco.

Attualmente questo tipo di attività è fatta, soprattutto, da servizi bancari e finanziari off-shore o da transazioni nel dark web,
eppure i regolatori vecchio stile vedono solo il contanti.

L’AMLA e la Commissione intendono proporre a livello comunitario un limite alle transazioni in contati pari a 10 mila euro.

Ci sono però almeno quattro paesi che non hanno limiti e che si trovano in difficoltà ad applicarli: Germania Austria, Lussemburgo e Cipro.

Soprattutto in Germania la notizia non è stata presa particolarmente bene.

Su diversi giornali, la moderata Welt in testa, sono apparti diversi articoli che si oppongono a questo limite visto per quello che è:
una limitazione forte alla libertà personale.

Tra l’altro perfino i giovani sono contrari all’imposizione del limite, apposta per lo stesso motivo.


Attualmente in Germania il teorico limite ai pagamenti in contanti è pari a 30 mila euro.

Praticamente ci si può pagare un’auto cash.

Ora dire ai tedeschi che, per volere della commissione, il loro potere di acquisto in contanti viene ridotto a un terzo dell’originale non è facile,
e sono partite le proteste dei consumatori, sempre riportate dalla Welt, contro il governo perché non avrebbe fatto abbastanza.

Anche l’Austria si è opposta piuttosto fermamente alla misura.


Ora siamo piuttosto sicuri che, con le elezioni che si avvicinano,
il governo tedesco tornerà a impegnarsi molto attentamente sulla materia e porterà a casa un risultato,
ad esempio un’esenzione mirata per Austria e Germania, in virtù della superiorità etnica dei teutonici.


Gli italiani hanno accettato, quasi senza colpo ferire, un inutile limite del contante a 1999 euro,
eppure non sembra che questo abbia frenato il crimine, per il quale ci vuole una buon magistratura inquirente.


Immaginiamo cosa succederebbe a Berlino o a Monaco se imponessero i nostri limiti!
 

Val

Torniamo alla LIRA
I modelli matematici dovrebbero studiare i dati reali e quindi utilizzarli per fare previsioni sulle evoluzioni future
che, comunque, sarebbero basate su eventi passati o su situazione diverse.

Un po’ di umiltà imporrebbe di non utilizzare i modelli come se fossero la Bibbia, perché non lo sono.

Ad esempio in Svezia, paese nordico che ha imposto regole di lockdown molto morbide e limitate
e che attualmente è solo al 18imo posto per vaccinazioni,
ha sconfitto un po’ di modelli matematici che, in passato, hanno predetto disastri apocalittici.



Facciamo un po’ di esempi pratici:


un modello ha previsto un’incredibile media di 96.000 morti, con un valore minimo di 52.000 e uno massimo di 183.000.

All’università svedese di Lund un accademico ha utilizzato i parametri dell’ormai famigerato modello Neil Ferguson/Imperial College ottenendo come risultato 85 mila morti.

Un team dell’Università di Uppsala ha calcolato un terribile prezzo umano con con 40.000 morti per Covid-19 entro il 1 maggio 2020 e quasi 100.000 entro giugno.


Totale decessi per Covid svedesi al momento in cui scriviamo: 14.657.

Nessun modello si è neppure avvicinato al risultato
.

Sembrano quasi i modelli economici utilizzati dalla Commissione!


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Cos ha fatto la Svezia, nella realtà?


La rivista medica Lancet criticava fortemente l’approccio del governo Svedese:

“Dall’inizio della pandemia di COVID-19, l’Agenzia per la Salute Pubblica. . .
a intrapreso un approccio di immunità di gregge de facto,
consentendo la trasmissione della comunità in modo relativamente incontrollato”.


Non sono state prese misure obbligatorie per limitare la folla sui mezzi pubblici,
nei centri commerciali o in altri luoghi affollati”
,

“I test del coronavirus, la tracciabilità dei contatti, l’identificazione della fonte e la segnalazione,
come raccomandato dall’OMS, sono stati limitati”.

"Le scuole superiori hanno chiuso temporaneamente, ma le scuole elementari mai. "

“Secondo noi”, disse The Lancet, “non c’è ancora un riconoscimento sufficiente
nella strategia nazionale dell’importanza della trasmissione presintomatica e asintomatica,
della trasmissione di aerosol e dell’uso di mascherine”.



In Svezia le vaccinazioni, presenti e perseguite dal governo, non sono state la causa della fine del picco dei contagi,
che ha raggiunto il proprio culmine ai primi di gennaio, mentre le vaccinazioni non sono iniziate che alla fine del mese.

Attualmente la Svezia è al 18° posto in Europa nei vaccini pro capite, proprio nel mezzo.

Allo stesso modo, c’è chi dice che la Svezia alla fine si è piegata e ha imposto gravi restrizioni. Non è stato così.
Ha imposto più restrizioni nella seconda settimana di gennaio,
forse più in risposta alle pressioni internazionali che per convinzione, ma il picco era già passato.


sedend-covid-cases.png



Cosa sta succedendo?

Secondo uno studio non ancora accademicamente rivisto, ma già online, di due ricercatori di Svenske,
sembra che il paese abbia raggiunto quel Santo Graal di Covid chiamato “immunità di gregge”.

Ciò significa un livello in cui coloro che sono già protetti stanno proteggendo in modo significativo quelli senza esposizione.

Questo rappresenterebbe un po’ un mistero scientifico, visto il basso numero di casi,
e sarebbe spiegabile, forse, con un’immunità ottenuta a un altro virus simile.

Comunque i dati del calo dei casi sono lì e mostrano un andamento che sfida statistici, matematici e cultori del lockdown.


Intendiamoci, le cifre attuali sono solo un’istantanea.

Certamente il tasso di mortalità svedese è più alto dei suoi vicini nordici Norvegia, Danimarca e Finlandia,
ma è ben al di sotto delle tariffe per i paesi europei più popolati tra cui Belgio, Italia, Regno Unito, Romania, Spagna, Francia e Portogallo.
Anche gli Stati Uniti.


Il capo epidemiologo svedese Anders Tegnell, che è stato molto criticato lo scorso anno, ha un sua piccola vendetta:

“Chiudere significa risparmiare tempo”, ha detto l’anno scorso. “Non sta risolvendo nulla.”


In sostanza, il paese ha “prepagato” le sue morti e le ha diminuite in seguito.


Alla fine la Svezia rappresenta un interessante mistero che i nostri scienziati si sono guardati dallo studiare a fondo,
abbarbicandosi dietro l’affermazione che l’esperimento sarebbe fallito e che si tratta di una realtà unica e diversa.

In realtà ci sarebbero diversi punti d analizzare in profondità, se non altro per studiare strategie e scenari alternativi.


Purtroppo la predica televisiva è la strada più semplice.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Triste verità.



Che fine ha fatto la terapia al plasma iperimmune?

Messa a punto nell’aprile 2020 dal Dott. De Donno (l’ex primario di Pneumologia all’ospedale Carlo Poma di Mantova morto suicida nei giorni scorsi)
aveva salvato la vita a una sessantina di pazienti affetti da Covid, curati con trasfusioni di plasma prelevato ai malati guariti dall’infezione.

Un trattamento così promettente da convincere anche l’Ospedale di Padova e il San Matteo di Pavia ad adottare la cura.

Da lì era partita l’attivazione di una rete di banche del plasma iperimmune per rifornire gli ospedali del resto dello Stivale.

Ebbene, la raccolta delle sacche è ferma da mesi. Il progetto è attualmente sospeso.


«Ormai i clinici non chiedono più questo trattamento».

Lo spiega al Corriere la dottoressa Giustina De Silvestro, direttore del Centro immunotrasfusionale in Azienda ospedaliera a Padova.

«Nell’ultimo periodo l’hanno ricevuto solo un paio di pazienti.
La letteratura scientifica non l’ha molto sostenuto,
preferendo gli anticorpi monoclonali per i soggetti non ospedalizzati
e gli antivirali insieme ad altri farmaci per i degenti».


Eppure c’è uno studio, in fase di chiusura, che confermerebbe l’efficacia del trattamento al plasma.


La terapia è «nata come sperimentale in un momento in cui ci siamo tutti trovati a dover combattere una malattia sconosciuta a mani nude.

Non è una cura miracolosa, ma ha dato buoni risultati.

Lo testimoniano per esperienza diretta gli stessi pazienti, molti dei quali medici guariti con il plasma iperimmune,
che sostengono questo metodo, risultato salva-vita soprattutto per le persone fragili e anziane».

Due sono i limiti della terapia al plasma:

«Non è facile capire a priori quali siano i soggetti ideali ai quali somministrarlo
e non porta guadagno, ma solo tanto lavoro. La spesa non è confrontabile a quella dei farmaci».


Le case farmaceutiche, in sunto,
non ci guadagnano nulla.


Il plasma viene raccolto dai Centri trasfusionali degli ospedali e poi conservato a 30 gradi sottozero fino alla somministrazione.

Il costo di ogni dose è ridicolo: 200 euro al Sistema sanitario, un ciclo completo 600-650 euro.

Meno di un giorno di ricovero, meno di una dosa di anticorpi monoclonali (2mila euro).


«Abbiamo visto che, trasfuso precocemente, anche al primo giorno di ricovero, il plasma iperimmune funziona».



Nonostante la raccolta sia stata sospesa «ne custodiamo una buona scorta.
Solo a Padova basterebbe per un’ottantina di pazienti e gli altri hub dispongono di diverse unità.
Tutte ad alto titolo anticorpale. Insomma, in caso di bisogno siamo pronti».
 

Val

Torniamo alla LIRA
Andate a farlo capire a quei coglioni europei .....del green forever.



Non passa giorno che non si sentano annunci allarmistici, quando non apocalittici,
sull’inquinamento e sul riscaldamento globale.

Seguiti a ruota da richieste sulla necessità di spendere somme faraoniche per affrontare il problema.

Anche l’Unione Europea ha deciso di adottare misure drastiche
(che peseranno su cittadini e imprese)
per ridurre le emissioni di anidride carbonica.



Nessuno nega che ridurre l’inquinamento sia un tema importante.

Ciò dovrebbe, a logica, avvenire anzitutto laddove le emissioni sono maggiori.

E queste località non – sottolineiamo non - si trovano in Europa
.

Uno studio condotto dall’università Sun Yat-sen di Guangzhou ha analizzato 167 tra le più grandi città del mondo.

Giungendo alla conclusione che il 52% delle emissioni inquinanti globali derivi da 25 di esse.

Di queste, ben 23 – Handan, Shangai, Suzhou, Dalian, Pechino, Tianjin, Wuhan, Qinqdao, Chongqing,
Wuxi, Urumqi, Guangzhou, Huizhou, Shijiazhuang, Zhengzhou, Shengyang, Kaohsiung, Kunming,
Shenzhen, Hangzhou, Hong Kong, Yincuan e Chengdu – si trovano in Cina.


Le uniche al di fuori del fu celeste impero sono Mosca a Tokyo.


I motivi per i quali le città cinesi sono tra le principali fonti dell’inquinamento mondiale sono diversi.

Tra essi spicca l’uso di mezzi di trasporto poco efficienti e la presenza di impianti energetici poco “amici” dell’ambiente.

Riguardo quest’ultimo punto è degno di nota il fatto che in Cina operino ben 1058 centrali elettriche a carbone.


Ciò spiega parecchie cose, visto che il carbone è la fonte energetica più inquinante in assoluto:
se Pechino le sostituisse tutte con centrali a gas naturale, questo renderebbe possibile ridurre l’inquinamento a livello globale.

Senza che le nazioni europee debbano spendere una fortuna e
rinunciare alle proprie prospettive di crescita e sviluppo alla ricerca della soluzione ad un problema non generato da loro.
 

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