LASSU'

Il mese di settembre sarà decisivo per questioni molto più importanti che le comunali a Roma e Milano.

Negli USA i Dem moderati e radicali si stanno scontrando per la legge sulle infrastrutture,
da chiudere entro il primo ottobre, e da questo dipenderanno gli equilibri nel partito.

Però il gioco grosso è in Europa.

Il 26 settembre i tedeschi andranno alle urne per eleggere un nuovo parlamento e, infine, un nuovo cancelliere.

Dopo quasi sedici anni alla guida della più grande economia d’Europa,
e dopo aver dovuto lavorare con personaggi del calibro di Sarkozy, Berlusconi e Trump,
l’immacolata Angela Merkel lascerà finalmente spazio a un successore.


Fino a luglio la gara sembrava chiusa, con un forte vantaggio dei democristiani della CDU/CSU,
ma successivamente questo vantaggio si è sciolto come neve al sole.

L’aspirante successore della Merkel, Armin Laschet, non è riuscito a raccogliere alcun entusiasmo
tra la sua stessa base elettorale, per non parlare del resto dell’elettorato tedesco.

Il suo profilo pubblico è addirittura peggiorato a metà luglio, dopo essere stato filmato mentre rideva
mentre il presidente tedesco parlava sulle scene delle devastanti inondazioni nella Germania occidentale.

La correlazione non è causalità, così dicono, ma dalla gaffe in poi, i sondaggi si sono notevolmente inaspriti.


Poiché l’agenda politica di qualsiasi nuova coalizione sarà modellata da ampi negoziati,
che richiedono concessioni sugli interessi fondamentali delle parti partecipanti,
la personalità è in questo frangente più importante delle idee politiche.

Su questo fronte, non sta andando bene per la CDU/CSU.

Nell’ipotetico scenario di un voto diretto del cancelliere, Laschet dovrebbe ottenere solo il 16% dei voti,

secondo questo recente sondaggio infratest-dimap.

È una figura sorprendentemente ridotta, che fomenta divisioni all’interno dell’Unione,
come viene chiamata comunemente la CDU.


Da notare anche qui che il leader dei Verdi, la signora Baerbock, si rivela una stella in via di estinzione

piuttosto che una stella cadente, poiché otterrebbe solo il 12% di questo voto.

Anche la sua scelta è stata sbagliata.


Il restante 72% di questi ipotetici scrutini ovviamente deve finire da qualche parte;


la notizia sorprendente qui è che almeno uno dei candidati è finalmente riuscito a diventare più popolare delle mezze tacche scelte dagli altri.

Questo risulta essere Olaf Scholz, il leader dei socialdemocratici
che attualmente è ministro federale delle finanze della Merkel e suo vice-cancelliere.


Si caratterizza infatti come il Kanzlerkandidat più esperto,
come colui che è stato in grado di guidare la Germania attraverso i tempi più turbolenti.

Questa idea sembra essere gradita agli elettori e, avendo lavorato così a stretto contatto con la Merkel
che inizia effettivamente a imitarla, viene visto come la “scelta competente”.

Ciò è ancora una volta confermato dal suddetto sondaggio,
che rileva che anche i sostenitori dell’FDP liberale preferiscono il signor Scholz al signor Laschet.


Il divario della SPD con la CDU/CSU si è ridotto da metà luglio, ma per la prima volta in quindici anni,

un sondaggio di Forsa ora vede la SPD (23%) in vantaggio rispetto alla CDU/CSU (22%),

mentre aprendo un divario con i Verdi (18%) e la FDP (12%).

L’AfD potrebbe ottenere il 10% e la Sinistra il 6%.


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Questo apre tutta una serie di coalizioni a tre partiti,
incluso il tanto decantato “semaforo” che è composto da SPD (rosso), FDP (giallo) e Verdi.

Sebbene i partiti di questa coalizione dovrebbero colmare molte differenze ideologiche su questioni fiscali, estere e ambientali,
ciò porrebbe fine al regno dell’Unione e rifletterebbe il declino strutturale della democrazia cristiana in Europa occidentale.

Del resto l’alternativa Nero verde che avrebbe di più in comune?


L’ampia diffusione dei voti in tutto lo spettro politico si traduce in molte possibilità di coalizione,
che devono essere esplorate senza l’autorità di un forte in carica.

È quindi semplicemente troppo presto per dire cosa significherebbe esattamente un “semaforo” per i mercati;

la nomina dei ministri sarà un fattore chiave per vedere quali politiche si accentueranno
(es. come saranno divisi il Ministero delle Finanze e il Ministero degli Esteri tra Verdi e FDP)
mentre occorre attraversare alcune ‘linee rosse’ per fare in modo che funzioni .

Ad esempio i Verdi e l’SPD sostengono cambiamenti per consentire maggiori investimenti pubblici,
ma questo sarà moderato dal FDP che sostiene l’idea del “piccolo governo”, che *ancora* crede che un governo si finanzi come una famiglia;
o , i Verdi che vorrebbero una posizione più dura su Russia e Cina, ma l’FDP starà all’erta per la forte lobby economica tedesca.

Sicuramente il contraccolpo ci sarebbe, e forte, in Europa, al parlamento Europeo:
l’uscita della CDU dalla coalizione porterebbe alla contestazione del suo ruolo e di quello della Von Der Leyen, sua espressione diretta.


Vedremo cosa succederà fra un mese.
 
La Corte Suprema spagnola è stata la prima autorità giudiziaria massima in Europa

a pronunciarsi contro l’uso dei covid-pass per limitare l’accesso agli spazi pubblici,

in particolare alle attività ricettive (bar, ristoranti e discoteche).



Non è il primo tribunale spagnolo a prendere posizione contro i passaporti vaccinali, ma è il più importante.

Finora, solo cinque delle 17 regioni autonome spagnole – Isole Canarie, Ceuta e Melilla, Andalusia, Cantabria e Galizia –
hanno proposto di utilizzare passaporti vaccinali per limitare l’accesso agli spazi pubblici.

E tutti sono stati respinti dai giudici locali.

La Corte Suprema Spagnola è corrispondente alla nostra Corte di Cassazione.




Il Green Pass dell’UE è un documento con codice QR in un unico pezzo
che può essere rilasciato a un viaggiatore sia in formato cartaceo che digitale.

Ha lo scopo di dimostrare che il titolare ha ricevuto uno dei quattro vaccini autorizzati dall’Agenzia europea per i medicinali
(BioNTech-Pfizer, Moderna, AztraZeneca e Johnson & Johnson), è risultato negativo per Covid-19 nelle ultime 48 ore
o è stato contagiato da Covid negli ultimi sei mesi e quindi dotato di immunità naturale.

Tuttavia, alcuni paesi come la Francia hanno scelto di consentire l’ingresso solo ai viaggiatori completamente vaccinati.


Molti governi stanno anche utilizzando i documenti per limitare l’accesso dei cittadini non vaccinati a spazi e servizi pubblici con i propri paesi,
ma finora i giudici spagnoli hanno contestato questa tendenza, sostenendo che violerebbe alcuni diritti individuali costituzionalmente riconosciuti,
come il diritto all’integrità fisica e alla privacy, e nello stesso tempo avrebbe un impatto limitato sulla salute pubblica.


Anche le Corti Supreme dell’Andalusia e di Ceuta e Melilla hanno affermato che le misure sono discriminatorie.

Quando la Corte Suprema dell’Andalusia si è schierata con le imprese alberghiere locali nel loro ricorso
contro le misure proposte dalla regione per il passaporto per i vaccini, l’autorità regionale ha portato il caso dinanzi alla Corte Suprema nazionale.

Ed ha perso.



Anche considerazioni economiche possono aver avuto un ruolo nella decisione dei tribunali.

Il settore dell’ospitalità in Spagna genera un’enorme quantità di denaro e un enorme numero di posti di lavoro,
specialmente durante l’alta stagione turistica (cioè in questo momento).

Il settore ha già attraversato la frantumazione del blocco nazionale di tre mesi dello scorso anno e sporadici blocchi regionali.

Anche con l’introduzione dei passaporti vaccinali, i visitatori stranieri continuano ad arrivare, anche se in modo minore.

Come lo scorso anno, è la domanda interna che tiene in vita molte aziende e danneggiarla potrebbe dare un colpo troppo dure all’economia spagnola.



Quindi tutti i livelli del potere giudiziario in Spagna ritengono le applicazioni del Green pass

come violazioni dei diritti fondamentali che non valgono il prezzo della riduzione della diffusione del covid.




Questo ci porta a due conclusioni:

  • la prima è che la Spagna si avvia a essere una sorta di paradiso turistico
  • per chi non ama mostrare documenti e pass ogni volta che entra al ristorante o in una discoteca;

  • probabilmente anche le Corti di Cassazione o Costituzionali di altri paesi si comporterebbero nello stesso modo.
  • Perfino quella italiana potrebbe pronunciarsi, dopo questo precedente, come quella spagnola.

  • Il problema sono i tempi.
 
Povero. Da almeno 2 anni si ripetono le stesse considerazioni su bidet.



La strategia Biden per la ritirata dall’Afghanistan è partita male, proseguita peggio e rischia di terminare nell’orrore.

Intanto iniziamo a dire che i soldati USA,
giunti all’aeroporto Karzai nelle ultime due settimane per aiutare all’evacuazione dei cittadini americani
hanno iniziato la ritirata per rispettare l’ultimatum dei talebani che viene a scadere il 31 agosto:


BREAKING: The U.S. military has started withdrawing from Afghanistan reducing troop presence: U.S. officials

— Lucas Tomlinson (@LucasFoxNews) August 24, 2021




Biden ha detto, sull’Afghanistan, che il ritiro entro il 31/8 “Non è una resa ai talebani“, ma oggettivamente, nella realtà dei fatti, lo è.


Tra l’altro bisogna vedere se i britannici e i francesi si accoderanno agli USA
o termineranno le operazioni di evacuazione ancora in corso.

Dato che il tema è piuttosto esecrabile, il presidente ha cercato di parlare il più possibile di economia
ed ha cercato di scaricare le responsabilità, per quanto possibile, sul G7 e sugli altri paesi.

Come a dire che lui scappa, ma scappano anche gli altri.

Ha cercato anche di scaricare la responsabilità su Trump, naturalmente senza prove.

Biden - come sempre - non ha accettato domande dai giornalisti e appena letto il discorso è scappato dalla conferenza stampa.



La resa degli Stati Uniti, un tempo potenza orgogliosa, è stata trattata direttamente dal direttore della CIA Burns

che ha segretamente incontrato il leader de facto dei talebani Abdul Ghani Baradar.



Questi ha imposto la data del 31 come definitiva e gli USA, sconfitti, si sono adattati.


Biden ha affermato che vuole evitare perdite nei soldati di guardia all’aeroporto,
che va perfettamente contro quello che ha fatto come vicepresidente con Obama
e che lascia gli afgani abbandonati a se stessi.
 
Il ritiro americano dall’Afghanistan, voluto e gestito in maniera disastrosa da Joe Biden,
e tutto ciò che ne sta conseguendo, hanno riportato in auge il dibattito globale sulla cosiddetta esportazione della democrazia.

Come la Storia ci insegna, gli Stati Uniti d’America, dalla Seconda guerra mondiale
e passando attraverso la lunga contrapposizione fra il blocco occidentale e quello comunista e sovietico,
hanno sempre rivestito un ruolo particolare nel mondo.

Ma è stato posto l’accento sulla necessità, da parte occidentale,
di instaurare sistemi liberi e democratici in quelle aree del pianeta ostaggio di tirannie sia laiche che religiose in particolare dal 2001,
dopo l’attentato alle Torri Gemelle di New York e all’inizio delle operazioni militari della Nato in Afghanistan.


Era, in buona sostanza, la dottrina Bush, dell’allora presidente Usa George Walker Bush e del movimento dei neocon,
i neoconservatori animati anche da ex-liberal radunatisi attorno al bisogno di sicurezza e libertà degli Stati Uniti e dell’Occidente, feriti dal terrorismo islamico.

Un approccio, quello di Bush e dei neocon, che fu all’epoca oggetto di numerose discussioni e di non poche critiche,
ma che non c’entra nulla con gli accadimenti odierni all’interno dell’Afghanistan.

Se in quello sfortunato Paese sono ritornati, con una facilità sorprendente, i talebani,
sono riprese pertanto le persecuzioni e le esecuzioni sommarie, e gli afghani preferiscono rischiare la morte
piuttosto che rimanere sotto il tallone degli integralisti, le colpe non vanno ricercate nell’America di Bush,
colpita al cuore l’11 settembre 2001 da terroristi protetti proprio dai talebani afghani,
che decise di entrare in Afghanistan, bensì in quella di Joe Biden che ha scelto di uscirne nella maniera più maldestra possibile.


Rimane da capire se questo presidente americano sia troppo incapace o troppo cinico.



Ci può essere stata una apertura di credito drammaticamente ingenua nei confronti dei talebani,
magari artefici di promesse disattese un secondo dopo.

Oppure, potremmo essere in presenza del cinismo di un presidente che in realtà se ne infischia del destino degli afghani,
degli alleati della Nato e persino della onorabilità delle stesse Forze Armate americane.

Chi, anche all’interno dell’Occidente, non ha mai gradito il protagonismo a stelle e strisce nel mondo,
insieme agli antagonisti degli Usa come Russia e Cina, oggi sottolinea compiaciuto come il disastro afghano
simboleggi il fallimento dell’esportazione della democrazia.


Esportare la libertà è un esercizio molto difficile e in alcune aree del mondo quasi impraticabile,
ma non per questo occorre arrendersi a uno scenario di democrazie vili che rimangono immobili di fronte a terrorismi e dittature.

Ciò che viene abbandonato dall’America e dall’Occidente non rimane a lungo terra di nessuno, b
ensì cade immediatamente fra le braccia di qualcun altro che può essere ben peggiore delle pur imperfette democrazie del globo.
 
Perché dovremmo scandalizzarci tanto per il solo fatto che, a casa di un parlamentare del Partito Democratico,

è stata trovata una somma, neppure troppo consistente, di denaro contante ?



Qualcuno risponderà che le modalità della custodia – nella cuccia del cane, invece che in cassaforte (ammesso che quell’abitazione ne sia dotata) –
gettano un’ombra di sospetto sulla provenienza del denaro, che, in genere, viene affidato alle mani sicure di un istituto di credito.


Il possesso di denaro “liquido” (ancora di più se si ricopre una carica pubblica), anche a seguito delle progressive restrizioni al suo utilizzo, è sinonimo di illecito:
compromette pregiudizialmente ogni valutazione sulla legittimità della sua provenienza.


Oggi è quasi un marchio di infamia.


Resto convinto che ciascuno può fare delle proprie cose quello che più gli aggrada:

se vuole tenere 25mila euro sotto l’albero di casa sua, deve poterlo fare.


Ovviamente, a richiesta (esattamente come è previsto per i conti bancari, i titoli, le proprietà immobiliari) della Autorità,
deve essere in grado di giustificare la propria disponibilità.


Quello che è suo, tuttavia, resta suo.

Anche se si chiama Cirinnà; anche se è di sinistra.

I compagni sono loro.

Io sono liberale.

Io.


.
 
UTOPIA ? Ai posteri l'ardua sentenza.



In molti si starebbero interrogando su cosa possa accadere dopo il 31 dicembre 2021, ovvero quando scadrà lo “stato d’emergenza”.


Domanda a cui l’alta dirigenza di Stato vorrebbe che Sergio Mattarella rispondesse con fermezza.


Perché i vertici dei poteri statali, ma anche confindustriali e bancari, sperano in una scappatoia che blindi ulteriormente il Paese,
e che metta fine agli attacchi della politica tutta a magistratura e potentati finanziari.

Ma la nomenclatura ben si guarda dall’appellare il sogno di società bloccata con la parola dittatura.


La tattica potrebbe decollare con Mario Draghi momentaneamente in panchina sotto semestre bianco,

e perché possa riposarsi prima di sostituire Mattarella al Quirinale.


Questo favorirebbe l’insediarsi d’un Governo (sarebbe meglio dire giunta) retta dal generale Francesco Paolo Figliuolo.



In pratica una giunta militare,

un esecutivo sbrigativo,

in grado di amministrare non solo i problemi d’ordine pubblico e sanitari,

ma anche di risolvere il problema giustizia.


E di grazia come si porrebbe fine a quest’ultimo?

Semplicemente facendo tornare in auge lo storico adagio
che vorrebbe il problema giustizia cagionato esclusivamente dall’enorme carico dei processi,
dal superlavoro che ingorga le tante procure italiane.

Un supercarico che, secondo molti addetti ai lavori, sarebbe stato amplificato con l’abolizione delle Preture.

Così i militari, rientrati in Patria e alleggeriti dalle terminate missioni in giro per il mondo,
oltre a coadiuvare sanità, forze di polizia ed emergenze varie, potrebbero vedersi passare alle procure militari
un po’ di carichi dei tribunali ordinari.

Manovra di riparto del lavoro che potrebbe avvenire solo per volontà del presidente della Repubblica.

Perché quest’ultimo, oltre a presiedere il Consiglio superiore della magistratura, è a capo delle forze armate:
solo il Quirinale potrebbe motivare la collaborazione tra militari e potere giudiziario per smaltire il lavoro delle procure.


Su autorevole impulso del Colle, lo Stato Maggiore della Difesa metterebbe subito in collaborazione giustizia militare e civile.

Tribunali militari, giudici militari e magistrati militari che, visto lo scarso carico di lavoro
(trasferimenti contestati, congedi, contenziosi minimi tra ufficiali e truppa),
non s’opporrebbero alla momentanea estensione dell’esercizio della giurisdizione penale militare di pace anche ai reati compiuti dai civili.


I tribunali militari sono nove e hanno sede rispettivamente a Torino, Verona, Padova, La Spezia, Roma, Napoli, Bari, Palermo e Cagliari.

Ma sarebbe possibile aprirne di nuovi nelle tante caserme in disuso,
e con la scusa di smaltire l’atavico carico dei tribunali civili e penali:

e del resto la dirigenza di Stato lo ha detto chiaramente che la malagiustizia non esisterebbe,
che sarebbe solo un problema di carico di processi da smaltire,
soprattutto che all’Unione europea interesserebbe solo che l’Italia azzerasse il lavoro delle procure.



Ecco che, a vertici dello Stato e Ue, poco interessa che in Italia insistano logge (o cupole) che aggiustano i processi
o che milioni d’italiani senza santi protettori vengano distrutti da una giustizia prona a salotti, censo e poteri vari.

Così un Governo dei generali si fregerebbe d’aver risolto tutte le emergenze.

Del resto, il tribunale militare è strutturato come organo a formazione mista,
con uno schema più semplice e meno macchinoso di quello previsto da altri tribunali:
è una struttura che giudica con l’intervento del presidente del tribunale militare (che lo presiede).

Peraltro, la sentenza 49 del 1989 della Corte Costituzionale parla chiaramente dei tribunali militari
(soprattutto dei militari che li compongono) come contributo alla peculiare vita dello Stato.

Il 1989 era anche l’anno in cui entrava in vigore il nuovo Codice di procedura penale,
e presso i tribunali militari vennero nominati i nuovi “giudici per le indagini preliminari” e per “l’udienza preliminare”,
e veniva archiviata la funzione del “giudice istruttore militare”.

Nel 1989, tribunali militari e ordinari iniziavano per certi versi a somigliarsi.


C’è di peggio: se l’uomo di strada nutre totale sfiducia verso la magistratura ordinaria,
diversamente è diffuso l’adagio che la magistratura militare sarebbe magnanima in proporzione al livello gerarchico dell’imputato.

Del resto, è noto che libertà ed uguaglianza rimangono valori rivoluzionari, difficilmente metabolizzabili da un ordine,
poi figuriamoci quando chi v’appartiene porta le stellette.

C’è la variante italica, in troppi cercherebbero tra parenti e amici il militare che aggiusti il loro personalissimo contenzioso giudiziario:
avveniva così anche nell’Argentina di Jorge Rafael Videla.


Ovviamente i militari garantirebbero più la costruzione di nuove carceri,
raccogliendo il plauso di Confindustria, che lo svuotamento delle strutture di detenzione.

E i benpensanti con buon posto di lavoro potrebbero dire
“tutti questi disoccupati nullafacenti è meglio se stanno dentro, è noto che liberi risulterebbero socialmente nocivi”.


Ma una simile botta alla nostra democrazia potrebbe favorire il risveglio delle coscienze?

Far germogliare nuovamente la voglia di libertà?


Difficilmente queste spinte vengono solo dal basso, dove i bisogni quotidiani strangolano ogni idealità.

Nemmeno c’è da sperare che i vecchi di potere allentino il giogo:
anzi, più vanno avanti negli anni maggiormente sperano in una lunghissima vita terrena,
e per loro personale sicurezza rinforzano polizie ed eserciti.


La viltà della classe media si conferma il problema delle moderne società occidentali.
 
C’è la variante Kafka che sa mettendo i bastoni tra le ruote al generale Paolo Figliuolo.

I sintomi sono i paradossi e le assurdità,

gli effetti vanno, invece, dall’annichilimento allo stupore rassegnato.



Altro che semplificazione, altro che efficienza, altro che modernità.

Vorrei raccontarvi la storiella, la mia, di un tizio che,

nonostante la malattia contratta subito, il 9 marzo 2020,

nonostante l’abbondante dose di anticorpi certificati dal conteggio sierologico effettuato un mese fa,

quasi quasi una punturina “burocratica” di Pfizer se la sarebbe fatta.

Anche se il suo medico di fiducia sostiene che con una quantità di anticorpi così, forse, non sarebbe necessaria.

E invece, il sei agosto, esasperato dal circuito kafkiano in cui è finito, ha preso carta e penna (si fa per dire)

e ha inviato una e-mail alla segreteria dell’assessore lombardo al Welfare Letizia Moratti. Eccone uno stralcio:

Buona sera carissimi,
(…) oltre due anni fa, a gennaio 2019, non ho ben capito per quale motivo, il rinnovo della mia carta regionale dei servizi (tessera sanitaria, codice fiscale, eccetera) mi fu inviata, come ho appreso pochi giorni fa, presso un indirizzo diverso dal mio di residenza e di domicilio, ubicato in un’altra Regione. Da allora, dunque, ho nel portafoglio una tessere sanitaria scaduta. Che, a quanto pare, funziona lo stesso per procedure ordinarie, come visite al Pronto soccorso e per la dotazione del medico di base che, in effetti, si trova a due passi da casa mia, a Milano. Ma non è utilizzabile per il vaccino e, ora, quindi, neppure per il green pass perché non riconosce i numeri. È da alcuni mesi che, come dicono a Napoli, “esco pazzo”. Numeri verdi, Asl, Regione, Agenzia delle entrate. Nulla. Neanche il “sito facilitatore”. È un continuo “La tua richiesta non è andata a buon fine. Ti restano ancora due tentativi”. Ergo: sono un 65 enne in ottima forma, molto sportivo che, magari, una dose di Pfizer se la farebbe. Però, evidentemente, la semplificazione ancora non funziona e chi ha smarrito la mia tessera sanitaria non vuole saperne di darmene una nuova…
Tra me e Lenin ci sono anni luce di distanza, direi quasi un intero Parsec, però mi viene da chiedere, a questo punto, “Che fare?” Grazie per l’attenzione.

Ad amici e collegi a cui dicevo: “Ho scritto alla Moratti”, si disegnava un sorriso sarcastico sul viso: “Figurati se la leggono”.

Invece si sbagliavano, e io ne ero certo.

Dopo tre giorni, il 9 agosto, ho ricevuto la riposta, cortese, efficiente nei tempi, a mio parere rassegnata nella sostanza.

“Gentile Dott. Gregoretti,
a seguito di verifica, possiamo confermarLe che la Sua tessera sanitaria è ancora valida (ovviamente si tratta di quella emessa in sostituzione della vecchia scaduta nel 2019 ndr), scade nel 2024 e Le è stata spedita al seguente indirizzo: (l’indirizzo sbagliato dove non sono mai stato residente). L’indirizzo è ancora valido e se fosse riemessa una nuova tessera verrebbe spedita sempre in provincia di… L’indirizzo è quello da Lei dichiarato come indirizzo di residenza presso l’Agenzia delle Entrate e noi non possiamo modificarlo in nessun modo. Se l’indirizzo non fosse corretto, deve cortesemente recarsi presso l’Agenzia delle Entrate e attivare le procedure per la correzione e quindi potremo procedere con l’emissione della tessera corretta. Cordiali saluti. La Segreteria”

Lo staff di Letizia Moratti è stato, rapido e disponibile.

E non credo soltanto perché sono un giornalista (ormai contiamo meno del due di picche).

Segno che all’ex sindaco di Milano interessi davvero l’approccio semplificato e “manageriale”.

Però ha confermato che il vero nemico della campagna vaccinale è proprio Franz Kafka,
perché io non posso aver comunicato alla Agenzia delle entrate una abitazione, un luogo, dove non sono mai stato residente.
Vivo e risiedo a Milano da 30 anni e da lì non mi sono ancora schiodato.



Alla mia successiva e-mail, con la quale, lo stesso 9 agosto, al netto dell’errore non mio,
ho chiesto se io potessi ugualmente vaccinarmi e così ottenere il green pass, non ho ancora ottenuto riposta.

Ma ci sta.

Non ci sta invece, l‘accanimento sui cittadini trattati da criminali e, come nel mio caso, da idioti che, però,
dovrebbero impegnarsi in prima persona per correggere errori commessi da apparati dello Stato.

Intanto, non potendo ottenere il green pass, sono costretto a sottopormi periodicamente a tampone (a mie spese) per poter andare banalmente al ristorante.


Che poi il mio breve racconto è solo un piccolo esempio.


Stimolato nel mio ego giornalistico, infatti, ho “investigato” e di storie similari ne ho raccolte un bel pacchetto.

Una su tutte me l’ha raccontata il giovane e valido chef che lavora in una località turistica.

E qui, forse, non basta neanche Kafka.

Il mio amico chef, che chiamiamo Roberto, il 13 giugno ha fatto la prima dose di Pfizer senza prenotazione, presso l’open in Valle.

Il 13 luglio lo hanno chiamato per la seconda.

Le colleghe, i colleghi e i titolari dell’albergo-ristorante, hanno ricevuto il green pass.

Lui no, né tessera verde né alcuna comunicazione mail o telefonica dall’Asl competente.

Dopo tre settimane di parossistica ricerca tra il numero verde della Regione e il sito governativo,

scopre che lo avevano registrato come genere femminile e con il codice fiscale sbagliato.

Quindi Roberto non risulta vaccinato.

Il punto è che quando scrivo questo articolo è ancora senza green pass.

E sta in cucina tra pentole e fornelli!

In un ristorante dove si può entrare, per pranzare o per cenare, soltanto se in possesso del cosiddetto passaporto sanitario: senza non si può neanche prenotare.


L’Asl sostiene di aver corretto i dati e di averli trasmessi alla Regione.

Ma ancora nulla.

L’ultima risposta ottenuta da Roberto è una barzelletta:

“Aspettiamo mercoledì. Speriamo, perché sennò non sappiamo più che cosa fare”.


Dunque ci sono i documenti che attestano l’avvenuto inoculamento di due dosi,

ma il malcapitato è inserito tra i non vaccinati.


Forse il generale più che andare a caccia di indecisi, dovrebbe farsi un giro con i suoi uomini negli uffici pubblici.
 
Mi vien da ridere per una grande presa per il kulo come questa.
Cartelle probabilmente già andate in prescrizione.

Cancellazione dei debiti con il fisco fino a 5 mila euro è cominciata.

Procederà tutta da sola, senza che il contribuente debitore debba fare alcunché,
perché il fisco italiano è già in possesso di tutti i dati necessari.


Il condono fiscale prevede di cancellare automaticamente le cartelle fino a 5 mila euro,

ma solo per chi ha avuto nel 2019 un reddito inferiore a 30 mila euro (sia persone fisiche sia imprese).



Si tratta dei ruoli affidati all’Agenzia delle Entrate Riscossione tra il primo gennaio 2000 e il 31 dicembre 2010
(a questo link è possibile verificare se si hanno cartelle da cancellare).

Il condono comprende anche il mancato pagamento del bollo auto (compreso il superbollo) e delle multe.

Una precisazione sul possibilità di poter usufruire del condono:
si fa riferimento alla data delle cartelle esattoriali e non al momento in cui multe, bolli e altre imposte non sono state pagate.


La prima deadline è già scaduta: entro il 20 agosto,
l’Agenzia delle Entrate-Riscossione della riscossione ha dovuto trasmettere all’Agenzia delle Entrate
l’elenco dei codici fiscali dei contribuenti potenzialmente interessati presenti nel suo sistema informativo il 23 marzo 2021.

Si tratta delle persone fisiche e dei soggetti diversi dalle persone fisiche aventi uno o più debiti di importo residuo,
alla stessa data del 23 marzo 2021, fino a 5.000 euro, comprensivo di capitale, interessi per ritardata iscrizione a ruolo e sanzioni.

Lo scopo dell’invio è permettere all’Agenzia delle di fare il controllo incrociato con i suoi dati.


Che cosa fa l’Agenzia delle Entrate?

Controlla i redditi imponibili, perché c’è il tetto a 30 mila euro.

L’Agenzia delle Entrate, per consentire all’agente della riscossione di individuare i soggetti per i quali ricorrano o meno i requisiti reddituali,
deve restituire l’elenco dei codici fiscali di chi ha avuto un reddito superiore ai 30 mila euro e di conseguenza non ha diritto alla cancellazione del debito.

In caso di ruoli intestati a più debitori (i cosiddetti «coobbligati»), la cancellazione non ci sarà se uno dei due debitori
risulta tra i codici fiscali segnalati alla Riscossione (cioè superiore a 30 mila euro).

La deadline per questa procedura è il 30 agosto.


La procedura è conclusa, ma per vedersi cancellata la cartelle esattoriale bisognerà aspettare ancora.


Scade il 31 ottobre il termine entro cui l’Agenzia di Riscossione procede d’ufficio alla cancellazione dei ruoli.


Quindi dal 31 ottobre si può stare tranquilli? Non ancora.


È solo entro il 30 novembre che l’agente di riscossione deve notificare agli enti interessati
(quelli da cui era stato affidato il ruolo di riscossione) l’annullamento delle cartelle.


Solo dal primo dicembre gli ormai «ex debitori» potranno verificare l’avvenuta cancellazione controllando la loro posizione debitoria
(utilizzando l’apposito servizio online dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione).
 
I mass media di mezzo mondo, di fronte alle evidenze sui numeri degli ingaggi, iniziano a farsi delle domande.

Certo, si tratta di una critica non frontale, ma qualche domanda iniziano a farla.



Ad esempio, Bloomberg afferma che

Ci sono delle serie preoccupazioni che i vaccini anti covid siano meno efficaci contro le forme serie della malattia di quanto si pensasse


There’s growing concern that vaccinated people may be more vulnerable to serious illness from the Covid delta variant than previously thought The Vaccinated Are Worried and Scientists Don’t Have Answers

— Bloomberg (@business) August 21, 2021




Anche la BBC si chiede:

“Ammalarsi di covid è più sicuro che vaccinarsi”


Il servizio comincia:


Ora è una domanda seria che ha implicazioni sul fatto che i bambini debbano o meno essere vaccinati.
E se sia opportuno usare il virus o i richiami per aumentare l’immunità negli adulti.
Entrambi sono diventati questioni controverse.


“Staremmo scavandoci un buco, dove restare per molto tempo,


dove pensiamo di poter tenere lontano il Covid solo aumentandolo ogni anno”,

mi ha detto la prof.ssa Eleanor Riley, immunologa dell’Università di Edimburgo.



Surprising…
Is catching Covid now better than more vaccine? – BBC News Covid: What’s the best way to top up our immunity?

— Anna Brees (@BreesAnna) August 21, 2021




Anche il network americano ABC ha Iniziato a farsi delle domande molto serie sul vaccino.

In questo caso però la domanda è sulla terza dose, sul richiamo.

In questo caso la TV a stelle e strisce lascia la parola agli esperti che raccomandano di NON correre a fare la terza dose, il “Richiamo”


Health experts warn not to jump the gun—or line—in taking a third dose. Why you shouldn't rush to get a COVID-19 vaccine booster shot before it's your turn
— ABC News (@ABC) August 21, 2021




Quindi i dati stanno spingendo i più liberi, o meglio i più accorti,

quelli che sanno come andranno a finire le cose,

a cambiare lentamente la propria posizione.




Solo due luoghi sono rimasti il regno dei talebani vaccinali,

coloro che non discutono, neanche scientificamente, il credo:


  • i social media, dove se postate uno di questi articoli rischiate di essere bannati;
  • la TV e i giornali italiani mainstream, dove vige il “Credere, obbedire, combattere”.
 
ahahahahahahah pietà pietà, non mi fermo dal ridere.


La delegittimazione medica del pass vaccinale arriva in questo caso dalle stesse istituzioni

che hanno imposto le limitazioni e l’obbligo indiretto della tessera verde.


Perché per accedere a #Palazzo Chigi è richiesto obbligatoriamente il tampone e non il solo Green pass da vaccinazione?


Come denuncia l’eurodeputato della Lega Antonio Rinaldi ai microfoni di Fabio Duranti,
l’esibizione del Green pass da vaccinazione è strumento di certificazione non sufficiente per accedere a Palazzo Chigi,
alle istituzioni europee o alle conferenze pubbliche del Premier Draghi,
mentre obbligatoria è l’esibizione di un tampone entro le 48 ore precedenti.


Questa imposizione smentirebbe di fatto l’importanza sanitaria del pass vaccinale

sottolineando al contrario come solo il tampone possa essere considerato mezzo sicuro per accertare il potenziale contagio.



Paradossalmente, sottolinea Rinaldi, anche per la conferenza stampa del presidente del Consiglio Draghi

nella quale veniva imposto l’obbligo del Green pass per accedere a ristoranti, teatri e cinema,

l’accesso era vincolato non dalla sola vaccinazione ma bensì dal tampone.


La denuncia di Rinaldi evidenzierebbe ancora una volta le crepe del green pass come strumento medico di contrasto alla pandemia.


Se devi fare il test per accedere a Palazzo Chigi, vuole dire che neanche Draghi si fida del vaccino!


 

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