NON ESSERE CIO' CHE DEVI. PROVA AD ESSERE CIO' CHE SENTI

Nel mezzo di tante proposte utopiche ed assurde, una proposta seria.

Personalmente andrei oltre. Abolire il retributivo e conteggiare tutto con il contributivo.
Riscuoti quello che hai versato. Per equità.

In questi giorni ho letto una proposta interessante avanzata sul giornale online lavoceinfo.it da Franco Mostacci,
laureato in Scienze Statistiche ed Attuariali all’Università La Sapienza di Roma, ricercatore senior all’Istat.

La proposta è quella che lui definisce la pensione a pezzi, una soluzione che separi parte contributiva
e parte retributiva della pensione per chi vuole anticipare l’uscita dal lavoro.
I vantaggi sarebbero diversi. Ecco il ragionamento dell’esperto, da leggere attentamente.

«Con le varie riforme che si sono succedute negli anni, il calcolo della pensione è effettuato con tre modalità differenti:

a) retributivo fino al 2011 e contributivo dal 2012 in poi per chi al 31 dicembre 1995 aveva maturato almeno 18 anni di contributi previdenziali (sono ormai una parte sempre più residuale di lavoratori);

b) retributivo fino al 1995 e contributivo dal 1996 in poi per chi al 31 dicembre 1995 era in servizio, ma non aveva maturato i 18 anni di contributi;

c) solo contributivo per chi ha iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995.

La componente retributiva della pensione è calcolata sulla base della retribuzione media degli ultimi 10 anni di lavoro,
mentre quella contributiva si basa sulla trasformazione in rendita vitalizia mensile, per la durata di vita residua attesa,
del montante contributivo accumulato anno dopo anno e opportunamente rivalutato con la variazione media quinquennale del Pil nominale.

A differenza della pensione retributiva, quella contributiva non fa altro che restituire, sotto forma di assegno mensile,
né più né meno che i contributi che il lavoratore ha maturato nel corso degli anni.

Se si va in pensione prima, l’importo è più basso perché deve essere pagato per un maggior numero di anni; se si va più tardi è maggiore, ma lo si godrà per un tempo minore.

Nel caso della pensione contributiva, quindi, non c’è alcuna necessità di fissare età e numero di anni di contribuzione
per maturare il diritto a lasciare il mondo del lavoro, come è previsto attualmente.
L’unico problema, semmai, è se l’assegno maturato è sufficiente a garantire una vita dignitosa sotto il profilo economico.

La soluzione alla questione previdenziale è separare le due componenti della pensione.

Fissando adeguati limiti di età anagrafica e di anzianità contributiva inferiori a quelli attuali
e verificando che l’importo della pensione maturata sia un multiplo (da definire) di quella sociale,
va consentito a un lavoratore di andare in pensione percependo solo l’assegno contributivo,
che sarà integrato, al compimento dei requisiti previsti dalla legge Fornero, anche con la parte retributiva.

Per l’Inps e per i conti pubblici, a parte qualche anticipazione nei flussi di cassa, non ci sarebbe alcun aggravio nel medio-lungo termine.
Anzi, lo stato potrebbe risparmiare qualcosa sulla componente retributiva, perché il lavoratore non potrà far valere ai fini della media decennale
gli eventuali aumenti stipendiali che avrebbe ricevuto se non fosse andato in pensione.

Nel settore privato, in caso di crisi aziendali, l’assegno contributivo potrebbe essere un’alternativa
o un complemento agli ammortizzatori sociali che altrimenti andrebbero attivati.

I pensionati pro rata porterebbero diversi benefici all’intera economia, a partire dal ricambio generazionale nel mondo del lavoro.

Per un lavoratore, che per i più svariati motivi decidesse di anticipare l’uscita, sarebbe un’opportunità ben più vantaggiosa rispetto all’Ape volontaria,
che richiede invece la restituzione ventennale dell’anticipo ricevuto e la stipula di una polizza vita, a vantaggio di banche e assicurazioni.

Un incentivo ad accettare anticipatamente l’assegno contributivo (in attesa di ricevere la componente retributiva)
potrebbe essere quello di corrispondere immediatamente il trattamento di fine rapporto, che oggi invece viene differito e dilazionato rispetto al momento in cui si va in pensione.

Potersi godere una pensione – anche se di importo più basso – in miglior salute e per un maggior numero di anni,
migliorando la qualità della propria vita, è una opportunità dalla quale molte persone si lascerebbero tentare,
soprattutto al Sud, dove recenti statistiche dicono che si campa meno che nel resto d’Italia».
 
Perdonatemi ma ....un po' di incenso di qua ed un po' di là.:p

«Consideratevi fortunati di appartenere ad una realtà come la vostra,
un territorio dalla grande tradizione industriale che ha saputo mettere al centro l’innovazione.
Vedere riuniti oggi, in questo centro di eccellenza per quanto riguarda la ricerca,
tante autorità, associazioni imprenditoriali e cittadini, dà soddisfazione,
perché dimostra che sapete lavorare insieme.
La città di Lecco ha dato un esempio veramente unico ed è anche per questo che sarò ben felice di tornare».
 
Per più di duemila anni la lavorazione del ferro ha caratterizzato Lecco e i suoi abitanti.
Una storia che parte dagli antichi siti minerari e siderurgici della Valsassina,
passa dalle fiumicelle medievali e continua oggi con aziende tecnologicamente avanzate,
che costituiscono eccellenze del Distretto Metalmeccanico lecchese.

La presenza di giacimenti di minerale ferroso in Valsassina e di torrenti da cui trarre l’energia idraulica sono alla base della precoce vocazione metallurgica di Lecco.

Queste miniere furono sfruttate fin dall’Antichità, come testimoniano anche i reperti scoperti nel sito minerario dei Piani d’Erna (II sec. a.C.),
ma essendo solamente le propaggini delle ben più ricchi bacini dell’area bergamasca e bresciana,
erano di mediocre sfruttabilità e, intorno alla fine del Settecento, si esaurirono nonostante gli sforzi compiuti per individuare nuovi filoni.

Il ferro puro era ricavato attraverso la riduzione, cioè la fusione del minerale a contatto con il carbone di legna.
Anticamente, ciò avveniva all’interno dei bassifuochi, dei rudimentali altiforni in cui si raggiungevano al massimo i 1200°,
che andavano però sempre spenti prima di poter rimuovere il metallo ridotto.

Durante il Medioevo furono introdotti gli altiforni detti alla bergamasca: concepiti nelle valli bergamasche e bresciane.
La maggiore temperatura raggiunta da questi impianti (1600°) permetteva la produzione di colate continue di ghisa
che veniva poi decarburata per ottenere ferro dolce o acciaio.
Questa tecnologia rimase in uso fino al termine del Settecento quando la maggior parte degli altiforni fu chiusa o sostituita da quelli alla norvegiana.
A metà dell’Ottocento subentrarono i forni a riverbero che portarono all’indipendenza dal carbone di legna, sostituito dal carbon fossile (coke).
L’esaurirsi delle miniere orientò gli imprenditori siderurgici verso una nuova attività: il riciclo dei rottami.
Questa pratica, che permetteva grandi risparmi, divenne uno dei settori produttivi più redditizi e diffusi sul territorio lecchese.

Lungo la vallata del Gerenzone, il principale dei tre torrenti che attraversano la città,
sorsero centinaia di fucine e opifici per la lavorazione del metallo.
L’energia idraulica fornita dalle sue ripide acque e dagli altri corsi d’acqua minori (Caldone e Bione),
concorse allo sviluppo industriale ed economico di tutto il comprensorio lecchese.

Fin dal Medioevo, il Gerenzone fu sfruttato in modo razionale tramite una derivazione artificiale detta Fiumicella,
che permetteva di raggiungere anche gli opifici situati a quote più elevate rispetto al letto del torrente e,
attraverso una serie di dighe e paratie, di mettere al riparo dalle variazioni stagionali del livello dell’acqua le ruote idrauliche che azionavano i magli e gli altri macchinari.

Anno dopo anno le attività industriali, specializzate nella lavorazione del ferro, del rame e dell’ottone, sorsero frenetiche lungo il corso del Gerenzone.
Esse sopravvissero anche alla modernizzazione del comparto industriale e all’introduzione dell’energia elettrica
che permise la delocalizzazione delle fabbriche verso il fondovalle e ai conflitti tra residenti e produttori dovuti al precoce inquinamento delle acque.

La decarburazione della ghisa prodotta negli altiforni spesso avveniva all’interno di fucine dette grosse. Gestite da artigiani e imprenditori altamente specializzati in esse, inoltre, si producevano dei semilavorati detti quadri. Solitamente affiancate alle fucine grosse, si trovava un altro tipo di fucina detta, con un’accezione tipicamente lombarda, sotiladora e in cui i quadri erano trasformati in semilavorati più sottili tra cui la vergella. Questi semilavorati, simili a delle verghe, erano alla base delle produzioni di altri due tipi di fucine specializzate: la fucina chiodarola e la fucina trafilera o trafileria.

In ogni fucina non mancavano gli elementi fondamentali come i focolari, utilizzati per riscaldare il metallo dei semilavorati per le successive lavorazioni; alimentati dai mantici, presto sostituiti dalle trombe idroeoliche; i magli, impiegati nella forgiatura dei semilavorati o di alcuni prodotti finiti e gli utensili vari, detti ferramenta.

Particolarmente gravosa era la giornata di lavoro.
Nella media degli opifici si lavorava per dodici o quattordici ore giornaliere, per sei giorni la settimana.
I rapporti tra operai e imprenditori, prima della nascita delle associazioni sindacali, erano regolati da accordi informali basati sul cottimo.
Tuttavia le controversie tendevano a non radicalizzarsi, anche in virtù dell’alta qualità della manodopera locale,
in un momento in cui la produzione non era ancora del tutto meccanizzata.

La città di Lecco trovò nel filo di ferro la sua maggior specializzazione,
arrivando a diventare uno dei maggior produttori sul territorio nazionale.
Almeno dal XIV secolo, nelle fucine trafilere, le vergelle venivano riscaldate e battute con speciali strumenti per essere arrotondate.
Dopodiché erano fatte passare attraverso la trafila, una robusta e spessa lastra di acciaio dotata di fori di misura decrescente, per ottenere il filo di ferro.

Questa operazione era svolta da un operaio chiamato tirabagia che, durante il Medioevo, seduto su di una sorta di altalena, tirava il filo con delle grosse pinze.
 
Il governo “balneare” – nel senso che dopo qualche giorno sarebbe andato in vacanza istituzionale –
del presidente Paolo Gentiloni, prima di andare – appunto – in ferie, ha lasciato a tutti noi,
traumatizzati dalle vicende Facebook/Cambridge Analytica e da altre amenità del genere,
un “ricordino” in tema di privacy, dandocene notizia attraverso un trionfante comunicato stampa del 21 marzo scorso.

Nello specifico il Consiglio dei ministri ha approvato, in esame preliminare,
il decreto legislativo utile all’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni dettate
dal nuovo Regolamento europeo per la protezione dei dati personali delle persone fisiche
e per la libera circolazione degli stessi (GDPR).

La direttiva attualmente in vigore cesserà di essere applicata dal 25 maggio 2018.
 
1,2,3 … E IL TWEET PIU NON C’È
È sparito un tweet. L’hanno cancellato dopo averlo scritto.
Hanno eliminato le prove di un errore. Tutto sommato una cosa che succede migliaia di volte ogni giorno su Twitter.
Quindi cosa c’è di strano?

C’è di strano innanzitutto che il tweet lo ha cancellato il Foreign Office dal proprio account.

C’è di strano che non era un tweet qualunque ma parlava del caso Skipral e attribuiva in maniera incontrovertibile a Mosca la responsabilità dell’accaduto:
“Un’analisi condotta da esperti di fama mondiale presso il laboratorio di Scienza e Tecnologia di Porton Down ha chiarito che si è trattato di un agente nervino di livello militare prodotto in Russia”.

C’è di strano che il tweet è stato scritto il 22 Marzo e cancellato il 4 Aprile, cioè oltre 10 giorni dopo essere stato pubblicato.

La cosa sta scatenando una tempesta addosso a Boris Johnson, il Ministro degli Esteri di Londra,
l’uomo in prima linea nell’accusare il Cremlino di essere il mandante dell’avvelenamento della ex spia russa e di sua figlia in territorio inglese.

Il tweet è stato riportato alla luce attraverso i feed, da quei furboni dell’Ambasciata russa a Londra
che in questa maniera hanno messo in gravissimo imbarazzo il governo inglese.

Why would @foreignoffice delete this tweet from 22 March? pic.twitter.com/Nvu1BfJw9J

— Russian Embassy, UK (@RussianEmbassy) April 4, 2018

Perché il tweet è stato cancellato? Semplice perché quello che c’era scritto si è dimostrata una colossale bugia; una gigantesca manipolazione,
per ora limitata al Ministro degli Esteri britannico ma che potrebbe mostrare l’infondatezza dell’intero apparato accusatorio che Londra ha costruito contro la Russia.

Tre giorni fa Gary Aitkenhead, il Direttore del DSTL (il Laboratorio di Scienze e Tecnologia della Difesa britannica)
ha confermato
che la sostanza usata per avvelenare l’ex spia russa e sua figlia

“è un agente nervino di tipo militare, che richiede metodi estremamente sofisticati per crearlo – cosa che è probabilmente solo nelle capacità di uno Stato”.

Ma ha aggiunto che gli scienziati britannici non sono in grado di affermare che sia stato fabbricato in Russia. In realtà non sanno da dove provenga.

Esattamente l’opposto di quanto scriveva il Foreign Office che attribuiva proprio a quegli stessi scienziati la certezza che la sostanza chimica provenisse dalla Russia.

Aikenhead è stato chiaro: noi “abbiamo fornito le informazioni scientifiche al governo
che ha poi utilizzato un certo numero di altre fonti per mettere insieme le conclusioni
a cui sono giunti”
; cioè che ci fosse la Russia dietro l’avvelenamento della ex spia.

Il Ministero degli Esteri britannico ha mentito: non c’è alcuna certezza scientifica che il veleno di Skipral provenga dalla Russia
LA BUGIA DI BORIS JOHNSON
Non c’è solo il tweet goffamente cancellato a confermare la bugia del Ministero degli Esteri.
Il 25 marzo scorso Boris Johnson ha rilasciato un’intervista video all’emittente tedesca Deutsche Welle
in cui ha ribadito quello che era scritto nel tweet del suo Ministero tre giorni prima:
e cioè che erano stati gli scienziati inglesi a scoprire non solo la natura della sostanza ma la sua origine russa.
Alla domanda precisa dell’intervistatrice sulla responsabilità della Russia:
“come avete fatto a scoprire tutto così in fretta?”
(min. 4:51), il Ministro risponde netto:
“quelli che lavorano a Porton Down (il laboratorio) sono stati assolutamente categorici.
Io stesso ho chiesto «siete sicuri?». E mi hanno risposto «Non c’è alcun dubbio”»
(min. 5:42)

Ora sappiamo che Boris Johnson ha mentito. Spudoratamente. Gli scienziati non hanno mai parlato al governo inglese dell’origine russa del “veleno”.

Ancora oggi le autorità inglesi non sanno il movente per cui una ex spia sovietica
che i russi stessi consegnarono agli inglesi dieci anni fa e che è stata in prigione in Russia per anni venga
avvelenata su ordine di Putin a Londra, quindici giorni prima delle elezioni cha avrebbero sancito l’ennesima vittoria del Presidente russo.

Ancora oggi non è chiara la dinamica dell’avvelenamento: dove Skipral e sua figlia abbiano contratto il veleno
(a casa, in aeroporto, in auto, in un parco, in un locale pubblico).
E non è chiaro come la sostanza chimica sia entrata in Inghilterra (se mai è entrata).

Eppure dopo pochi giorni dall’accaduto il governo inglese e l’intelligence di Sua Maestà
già sapevano che erano stati i russi su ordine diretto del Cremlino.
E su questa base hanno scatenato una guerra diplomatica trascinando tutto l’Occidente
in un atto di ostilità aperta contro la Russia, espellendo decine di diplomatici da Europa e Stati Uniti,
coinvolgendo l’Ue e addirittura la Nato e facendo salire alle stelle la tensione con Mosca.

Il caso Skipral può passare alla storia come l’ennesima fake news partorita dall’Occidente e dai suoi media


QUALCUNO SI VERGOGNI

Kanwal Sibal, ex Segretario agli Esteri dell’India, politico ed analista influente e sopratutto fuori dai giochi di parte,
in un articolo su The Wire, con il linguaggio felpato tipico dei diplomatici, ha scritto:
“C’è una forte disparità tra il tumulto internazionale che il governo britannico ha creato sul caso,
le azioni punitive collettive senza precedenti mosse contro la Russia
e la conclusione non definitiva che il governo britannico ha raggiunto sulla colpevolezza russa
quando Theresa May non è riuscita ad andare oltre l’affermazione che è “altamente probabile”
che la Russia sia dietro l’incidente”.

Un modo soft per dire: ma cosa state combinando?

Il caso Skipral potrebbe passare alla storia come l’ennesima fake news partorita dai governi occidentali e alimentata dal sistema dei media.

Una crisi internazionale che ha visto Europa e Stati Uniti aggredire con violenza inusuale la Russia di Putin,
generando un conflitto diplomatico senza precedenti, dietro un’accusa che oggi è tutta da dimostrare.

Il giornalismo democratico ha deciso di vendere la propria coscienza per l’ennesima volta
appiattendosi sulle veline partorite nelle stanze del MI6 e dei servizi d’intelligence.

I menestrelli dell’atlantismo militante dovrebbero iniziare a vergognarsi un po’
di aver trasformato i nostri paesi democratici in produttori di menzogne e manipolazioni.
 
Sapete che sono vecchio e i ricordi sono importanti.

Leggendo di siderurgia mi è venuto in mente quando, quasi sessant'anni fa, sono stato mandato per tre giorni in un laminatoio di tondo per cemento armato del bresciano. "M'eran compagni due giovinetti" da poco diplomati come me. Il direttore dello stabilimento ci fece un bel discorso sulla pericolosità della lavorazione e quindi sull'attenzione che avremmo dovuto avere in ogni momento, poi aprì una porta ed entrammo nel capannone. Proprio in quel momento una vergella di un rosso quasi bianco, sbagliò un imbocco e partì verso l'alto per ricadere sul pavimento e puntare velocemente verso di noi. Il direttore che aveva zoccoli di legno, appoggiò il tacco sul pavimento e la vergella sfilò via strisciando sulla suola con un odore di legno bruciato. Noi tre dietro al direttore ci appoggiammo atterriti alla parete, bianchi in volto dallo spavento, mentre gli operai ci guardavano sogghignando. Il posto ci sembrò un inferno, anche se era uno dei laminatoi più moderni dell'epoca. Gli operai erano in una buca con grosse pinze e dovevano afferrare la punta della vergella che usciva dal laminatoio, fare col corpo una rotazione di 180° e imboccare la punta nel laminatoio a fianco.
Il terzo giorno abbiamo chiesto di provare e ciascuno di noi è entrato nella buca per una mezz'oretta a sostituire un operaio. A quasi tutto ci si può abituare.
Qualche anno dopo sono stati introdotti dispositivi per automatizzare l'operazione ed eliminare i gravi rischi per gli operai.

andgui.
 
OCCHIO

Parte il primo luglio prossimo l'obbligo di pagamento degli acquisti di carburanti e lubrificanti con le modalità diverse dal contante,
per gli operatori Iva, al fine di poter detrarre l'imposta e dedurre le spese derivanti dall'acquisto.


Lo comunica l'Agenzia delle entrate in una nota.
È stato pubblicato sul sito il provvedimento che determina, oltre alle carte di credito/debito e prepagate,
gli ulteriori mezzi di pagamento per l'acquisto di carburanti e lubrificanti idonei a consentire la detraibilità Iva e la deducibilità della spesa da parte dell'operatore Iva.

"Dopo un ampio confronto con le associazioni di categoria -si legge nella nota-
il provvedimento attua le disposizioni introdotte dalla legge di Bilancio 2018,
che prevedono una serie di limitazioni alla detraibilità dell'Iva e alla deducibilità delle spese
relative all'acquisto di carburanti destinati ad aeromobili, natanti da diporto e veicoli stradali a motore".

Il provvedimento stabilisce che, ai fini sia della detraibilità Iva che della deducibilità della spesa,
l'acquisto di carburanti e lubrificanti può essere effettuato con tutti i mezzi di pagamento oggi esistenti diversi dal denaro contante:
bonifico bancario o postale, assegni, addebito diretto in conto corrente, oltre naturalmente alle carte di credito, al bancomat e alle carte prepagate.

Per preservare l'operatività attuale, il provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate specifica, inoltre,
che per l'acquisto dei carburanti è possibile continuare a utilizzare le cosiddette carte carburanti,
cioè quelle carte che vengono rilasciate agli operatori Iva dalla compagnia petrolifera a seguito di specifici contratti di netting,
che consentono il pagamento in un momento diverso rispetto alla cessione.
Sono anche valide le carte (ricaricabili o meno) e i buoni, che permettono alle imprese e ai professionisti
di acquistare esclusivamente i carburanti e lubrificanti (con medesima aliquota Iva).

L'uso di questi strumenti è possibile solo se i pagamenti vengono effettuati in una delle modalità previste dal provvedimento stesso.
 
Degrado pauroso. Nulla si muove....e questi trombano in continuazione.

Questi sono freschi freschi di ieri.

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Gossip


“Nel municipio di Jutiapa, due sicari armati giunti su un fuoristrada hanno raggiunto la piscina dell’hotel
facendosi largo tra gli ignari clienti e lì hanno svuotato i caricatori sul boss Ángel Adalberto Martínez Núñez, che è morto sul colpo.
Poi si sono dileguati approfittando del panico tra gli ospiti della struttura.
La vittima non ha avuto scampo: in un lago di sangue, il corpo crivellato da 19 colpi di pistola è rimasto a lungo riverso sulla schiena
a bordo piscina a pochi passi dalle stanze in cui riposano gli italiani.
Tutti illesi i componenti della troupe della trasmissione.
La sicurezza non è riuscita a identificare i killer né il veicolo con cui sono arrivati e la polizia brancola nel buio.

L’Honduras ha un altissimo indice di corruzione tra le forze dell’ordine e un tasso di omicidi superiore
persino a quello registrato in Afghanistan durante la guerra: per anni una sua città, San Pedro Sula,
è stata classificata come la più pericolosa del mondo.

La registrazione del reality non ha subito ritardi, e l’episodio non è stato divulgato, ma il clima è ovviamente teso e preoccupato”.
 
La rissa tra Fabrizio Corona e un’altra persona, ripresa in un video ieri sera, a Milano, sarebbe avvenuta con un suo ex collaboratore per ruggini pregresse.

Lo ha precisato il suo legale, Ivano Chiesa.
La rissa, ha riferito il suo avvocato, è avvenuta “verso le 20 di ieri sera e non di notte”
e l’ex agente fotografico “stava rientrando a casa all’interno delle prescrizioni dell’ affidamento,
perché può stare fuori dalla sua abitazione tra le 7 e le 20,30”.

Chiesa ha aggiunto anche di aver sentito sull’episodio Fabrizio Corona,
il quale gli ha riferito di essere stato “provocato da Luca Contin, suo ex collaboratore,
che, dopo che lui era tornato in carcere nell’ottobre 2016, si è appropriato di un suo Rolex.
Orologio che Fabrizio aveva portato a riparare”.

Nel marzo 2017 Corona, ha aggiunto il legale, “lo ha denunciato ed è possibile che la Procura abbia esercitato già l’azione penale nei suoi confronti e noi nel caso ci costituiremo parte civile”.

Il legale ha precisato che, stando a quanto riferito dallo stesso Corona,
“lui ha visto l’ex collaboratore fuori da quel locale verso le 20, c’è stato un alterco tra i due che non si vede in quel filmato,
Fabrizio ha reagito col suo carattere e gliene ha dette di tutti i colori”.

L’avvocato ha detto che non c’è stata un’aggressione fisica e che allo stato Corona non risulta denunciato per l’episodio.

Il legale ha voluto precisare che “la scorsa settimana il magistrato della Sorveglianza ha modificato le prescrizioni
dell’ affidamento terapeutico: ora può stare fuori dove vuole all’interno della Provincia di Milano tra le 7 e le 20,30 e poi deve rientrare a casa”.
 

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