Nuova rubrica IQSF: Il Santo/la Santa del giorno

Il 19 agosto, la Chiesa abolizionista delle Sante martiri ricorda la discussa figura di Sua Eminenza Viscido quasi vergine. Nato da madre certa e da padre invece no, che poi forse era il sagrestano o forse il bidello dell'asilo (ma c'è chi sostiene fosse figlio di Don Gianangelo Cotaletta), Viscido era brutto più di Alvaro Vitali e nero peggio della mezzanotte.

Crescendo divenne anche peggio, tutto peloso e stortignaccolo, con un naso tipo quello di Bob Rock, per capirci. Era di indole malvagia ma non lo dava affatto a vedere tranne quando insultava, di nascosto, Amilcare lo zoppo che chiedeva la carità sotto il campanile del Duomo.

Perché lui, Viscido, era scaltro come una faina e sapeva nascondere benissimo i propri difetti e le malvagità come fanno Salvini e la Meloni. Ah no, loro no, vero.

Insomma cresceva e studiava poco ma si prendeva lodi e voti alti, fregando spesso il prof di matematica grazie ai bigliettini nascosti nella prominente gobba. Così Viscido imparava a ingraziarsi i potenti, dei quali era compiacente lecchino e servo, come Salvini e Meloni, per intenderci. Ah, questa volta è vero.

Faceva carriera come capoclasse e capochierichetto della parrocchia spiccando in fretta il volo verso lidi più consoni alla sua falsa morigeratezza e vera perfidia. In men che non si dica Viscido, dopo aver comprato la laurea su Amazon, divenne vescovo del Lido di Cataratta dove intrescava con l'avvenente perpetua Ludmila, da lui amorevolmente salvata dalla strada per occuparsi così della cura della casa e delle di lui pudenda.

Infame coi poveri e servile verso i potenti divenne ben presto candidato Papa ma venne fregato a causa di un biglietto per l'ingresso alla proiezione del film "Giovannona coscia lunga" che maldestramente Viscido aveva tenuto nella tasca della tonaca e dalla quale era ahi lui cascato fuori durante il conclave. Sparsasi ben presto la notizia, Viscido venne atteso al varco da alcuni seguaci della setta integralista "Pilloniani per Cristo" e lapidato seduta stante.
 
Oggi la Chiesa Sicula della Matre Bedda festeggia Sant'Iginio Pomodoro.
Nato a Pachino venne su a pane e cipolla perché i pomodori se li mangiava tutti Don Pinuccio Pastasciutta, il boss locale famoso anche per aver fatto in trancio, tipo tonno, il rivale Pippo Panza vendendolo poi a peso al mercato del pesce di Marzamemi. IGINIO era morigerato e frequentava Don Fefe' Frittomisto, parroco dei Santi Totano e Calamaro, che l'aveva fatto studiare e promosso a chierichetto d'oro del duomo locale.
Studiava e giocava a pallone, bravo in entrambe le cose a scuola eccelleva in geografia e individuava facilmente sulla cartina dove si trova Canicattì mentre a calcio era un difensore mastino e azzannava spesso il bottarello del sagrestano Vulvio che bestemmiava e veniva espulso da don Frittomisto arbitro.
A sedici anni, ormai destinato a prendere i voti, conobbe Malena Vucciria, tanto giovane e dolce ma anche assai prosperosa e birichina. Parlavano spesso di santi e di ex voto i due ragazzi ma Igino avvertiva con fastidio un certo languorino in basso, proprio sotto al prominente pancino, e la cosa non passava di certo inosservata agli occhi verdi di Malena, tanto credente ed osservante alla quale non sfuggiva niente. "Mi è caduto il libro di Sant Apollinare!" - diceva a lui Malena - "raccoglilo ti prego, sii gentile, poggiamelo tosto sulle cosce bianche ma attento a non guardare!"
Imbarazzato Iginio tutto rosso e tremolante raccoglieva il tomo e lo metteva sulle cosce della bella mora allieva di Ariosto e di Bramante che poi all'improvviso, con mossa repentina, apriva le sue gambe mostrando il paradiso a quel ragazzo stupefatto che con la bocca spalancata guardava il paradiso e pregava esterrefatto.
Furono fuoco e lampi e dardi di giovanil vigore ma Iginio non cedeva e andava dal dottore a chieder di fargli cessar subito quel duro impuro prescrivendogli una massiccia dose di bromuro.
Passati i giorni della tentazione Iginio dedicossi allo studio dell'antico testamento, prendendo presto i voti e l'abito talare e perseguendo il bene minacciava cosa nostra dall'alto dell'altare.
Mangiava finalmente pomodori e melanzane, si prodigava per i poveri che gli facevan pena ma, di tanto in tanto, non disdegnava d'incontrar in sagrestia la bella e prosperosa Suor Malena.
 
Oggi è San Ruud Gullit.
Originario di Groningen (Olanda) Ruud era un giovinetto agile, dinamico e molto razionale che amava giocare a tocco rialzo e far di conto. Già a otto anni sapeva contare fino a 113 ma se gli chiedevi la radice quadrata di 169 lui prima ti rideva in faccia e poi ti insultava, ma con garbo. La risposta però non te la dava.

A 13 anni i genitori Marco e Ricarda lo mandarono a scuola a Utrecht dove l'abate Van Basten lo crebbe a cruenti colpi di Bibbia e con la palla di stoffa, gioco nel quale Ruud si dimostrò ben presto essere una pippa. Perciò il ragazzetto, alto come un pioppo e largo come un baobab, si dedicò anima e corpo allo studio dell'algebra e alla manutenzione del grande giardino che i frati di San Giovanni Cruyff curavano fin dal medioevo.

Ce la metteva tutta Ruud ma le sue enormi mani, tipo vanga, male si adattavano al giardinaggio così che le peonie e i tulipani finirono col restare solo un lontano ricordo mentre l'abate Van Basten, ormai vecchio e decrepito, colpiva con calci sempre più smorbi la palla di stoffa finché un bel di crepo' di morte violenta nell'infausto tentativo di esibirsi in una improvvida rovesciata acrobatica sotto rete.

Al funerale Ruud pianse compostamente e disse parole bellissime ricordando il suo maestro: "Oh Abate mio caro, sei stato la mia guida Michelin, esempio fulgido e quasi santo anche se appresso alle gonnelle ti deliziavi di tanto in tanto, uomo buono e un po' irruento con quel mattarello che roteavi ben contento, certo che come centravanti eri proprio un tronco di abete che non gonfiava mai la rete!".

Gli anni passavano e il morigerato Ruud incanutiva, la panza gli cresceva, peonie e tulipani ormai li avea sterminati, gli rimanevan solo l'algebra, far di conto ed insegnar fiammingo ai derelitti che affollavano la chiesa e il refettorio in attesa di un pasto caldo e un po' di umana comprensione.

Finché, ormai vecchio e malandato, non uscendo ormai più da quel convento, restava giorni interi al buio della cella a ricordare quanto fosse stato bello il giuoco con la palla e alle gran risate fatte quando alla domanda "orsù dimmi quanto fa 13x8?", l'abate rispondeva ridacchiando "asino cotto!".

Ma stare sempre in clausura alla sua salute affatto a lui giovava che la prostata spesso gli bruciava, la gotta le caviglie gli ingrossava, lo scorbuto, la pellagra e le emorroidi grosse come chicchi d'uva, la colite spastica e il broncospasmo che il fiato gli toglieva e, alla fin della suonata, pure la cirrosi per tutto quel buon vin che si filtrava. Chiuso nella cella il fiato gli mancava, chiamava ore ed ore nel delirio padre, madre e l'abate caro e bricconcello, "portatemi con voi che siete in purgatorio o forse in paradiso, ma almeno donatemi la pace eterna e fangala il fiordaliso!" (altra pianta che non gli era mai riuscito di curare).
 
Oggi la chiesa Ebbra di Santo spirito festeggia San Pirlo, Santo bresciano

San Pirlo, prima di diventare santo, era un assiduo frequentatore di bettole e osterie di infima categoria.

Sbevazzava senza ritegno e limonava ogni bipede che gli passava nei paraggi, senza distinzione di sesso, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Insomma bastava che quello respirasse e lui, ciocco disfato già di primo mattino, gli balzava al collo e subito fraternizzava.

Solo che, stranamente, perchè lui era davvero tanto buono, spesso non veniva capito e così, ogni tre per due, finiva saccagnato lungo e disteso sul pavimento che era sempre impregnato di vino e di resti di cibarie.

Peccato che non venisse capito perché il suo era un messaggio di vero amore.

Pirlo prediligeva il vino, bianco rosso o rosé per lui era lo stesso, mentre la birra gli stava indigesta e gli procurava flautolenza.

Non avendo grandi disponibilità economiche (lavorava come spolveratore di mobili presso la Villa dei Conti Malibram) era costretto ad accontentarsi di vini derivanti da uvaggi mediocri come, ad esempio, il "Rosso Filisina" (che il suo nonno adorava dicendogli sempre quella celeberrima frase : "Filisina, dalla sera alla mattina!") oppure il bianco "Cantina di Bertolo" che ti ruga dentro e fatto di puro metanolo.

Non si scoraggiava Pirlo e, alquanto bravo nel giuoco del pallone (ma questa è un'altra storia), cercava di crescere e di migliorare come persona nell'amore per il sovrannaturale, parola della quale non conosceva affatto il significato ma che Don Cotaletta - prevosto di San Faustino - gli aveva detto essere significativa e allora lui, fingendo di capire, aveva fatto sua facendo sempre "si', si'" col capo e finendo per ingraziarsi così il prelato che lo nominò chierichetto capo della parrocchia schiudendogli le porte al vin santo della domenica.

Cresceva Pirlo, come uomo e come bevitore.

E con l'avvento dei moderni aperitivi intercalava il consueto e robusto consumo di vini sfusi e cabernet con queste nuove mescolanze fatte di succo d'uva e alcolici di nuova generazione, magari non troppo rispettosi della tradizione ma comunque utili a far da ponte tra le differenti generazioni e ad aprire il dialogo con tutti, italiani e migranti, belli e brutti, maritati e putti.

E quando in chiesa, durante la messa, passava tra i banchi a raccattar le offerte dei fedeli lui, il Pirlo che tutti conoscevan e rispettavan, tra un "hic hic hic" e un ruttino che sapeva di buon vino, riceveva grato l'affetto dei concittadini che avean capito che in quel ragazzo tanto buono dimorava davvero qualcosa di di-vino.
 
Oggi la chiesa Ebbra di Santo spirito festeggia San Pirlo, Santo bresciano

San Pirlo, prima di diventare santo, era un assiduo frequentatore di bettole e osterie di infima categoria.

Sbevazzava senza ritegno e limonava ogni bipede che gli passava nei paraggi, senza distinzione di sesso, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Insomma bastava che quello respirasse e lui, ciocco disfato già di primo mattino, gli balzava al collo e subito fraternizzava.

Solo che, stranamente, perchè lui era davvero tanto buono, spesso non veniva capito e così, ogni tre per due, finiva saccagnato lungo e disteso sul pavimento che era sempre impregnato di vino e di resti di cibarie.

Peccato che non venisse capito perché il suo era un messaggio di vero amore.

Pirlo prediligeva il vino, bianco rosso o rosé per lui era lo stesso, mentre la birra gli stava indigesta e gli procurava flautolenza.

Non avendo grandi disponibilità economiche (lavorava come spolveratore di mobili presso la Villa dei Conti Malibram) era costretto ad accontentarsi di vini derivanti da uvaggi mediocri come, ad esempio, il "Rosso Filisina" (che il suo nonno adorava dicendogli sempre quella celeberrima frase : "Filisina, dalla sera alla mattina!") oppure il bianco "Cantina di Bertolo" che ti ruga dentro e fatto di puro metanolo.

Non si scoraggiava Pirlo e, alquanto bravo nel giuoco del pallone (ma questa è un'altra storia), cercava di crescere e di migliorare come persona nell'amore per il sovrannaturale, parola della quale non conosceva affatto il significato ma che Don Cotaletta - prevosto di San Faustino - gli aveva detto essere significativa e allora lui, fingendo di capire, aveva fatto sua facendo sempre "si', si'" col capo e finendo per ingraziarsi così il prelato che lo nominò chierichetto capo della parrocchia schiudendogli le porte al vin santo della domenica.

Cresceva Pirlo, come uomo e come bevitore.

E con l'avvento dei moderni aperitivi intercalava il consueto e robusto consumo di vini sfusi e cabernet con queste nuove mescolanze fatte di succo d'uva e alcolici di nuova generazione, magari non troppo rispettosi della tradizione ma comunque utili a far da ponte tra le differenti generazioni e ad aprire il dialogo con tutti, italiani e migranti, belli e brutti, maritati e putti.

E quando in chiesa, durante la messa, passava tra i banchi a raccattar le offerte dei fedeli lui, il Pirlo che tutti conoscevan e rispettavan, tra un "hic hic hic" e un ruttino che sapeva di buon vino, riceveva grato l'affetto dei concittadini che avean capito che in quel ragazzo tanto buono dimorava davvero qualcosa di di-vino.

la Chiesa Ebbra di Vin Santo l'ha fondata Biavo :piazzista:
 

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