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Forumer storico
Le modifiche per far diventare lo Stato azionista di Intesa
Risarcimenti ai vecchi soci, 38 sindaci al governo: «Sfruttiamo la bad bank»
Un anno dopo, col senno di poi di chi ha visto la fine della storia, risolta con la liquidazione delle due banche e un salvataggio di reti e attivi di Intesa pagato a caro prezzo dallo Stato, sarebbe troppo facile cavarsela con l’irrisione. Ma ripercorrere l’anno di Atlante è comunque utile, almeno per sollevare una tema rimosso nelle prime giornate concitate del post-decreto: la gestione di Atlante ha responsabilità su quanto accaduto? Sono stati commessi errori nel salvataggio di due banche, comunque ricapitalizzate per 3,5 miliardi di euro? Domande a cui è difficile rispondere, certo, anche perché una controverifica non c’è. Eppure un anno dopo è impossibile non notare, almeno, quanto suonino stridenti le premesse di partenza.
«Finalmente possiamo operare senza interessi di parte o locali che ci condizionino», dice Penati sempre alla presentazione di Atlante. «Dimostreremo che anche in Italia si possono fare ristrutturazioni rapide e di successo - aggiunge a giugno al Festival dell’Economia di Trento - Nominiamo in Bpvi un cda degno e lo appoggiamo in una ristrutturazione di 18-24 mesi».
Parole che forse mostrano una sottovalutazione della situazione. Specie se confrontate con le dichiarazioni di otto mesi dopo dello stesso Penati, che descriverà le ex popolari come una horror story, accusando di aver falsato i dati degli aumenti di capitale. Quasi bastasse, dopo la ricapitalizzazione, nominare un buon cda indipendente, che taglia i ponti col passato, per vedere tornare soci e depositi, dopo il drammatico azzeramento delle azioni ai 10 centesimi.
Penati mette nero su bianco le promesse nella lettera ai soci in vista dell’assemblea di Bpvi,il 6 luglio, che insedia il cda guidato da Gianni Mion. Un anno dopo, la distanza degli esiti è abissale. «Popolare di Vicenza è tra le banche più solide in Italia - scrive il dominus di Atlante -. Ha i fondi per sostenere con tranquillità ristrutturazione e rilancio». E ancora: «Niente tagli indiscriminati di costi, ma efficienza, rilancio dei ricavi ed eliminazione di lussi e sprechi». Poi la promessa del warrant: «Mi impegno affinché i soci avranno in futuro diritto ad acquisire azioni a 0.10 euro, qualunque sarà il valore della banca». Da ultimo la linea sulla fusione Bpvi-Veneto Banca: «Prima di parlarne bisogna rifar camminare le due banche sulle proprie gambe».
Ora, del warrant si perdono subito le tracce. Senza che arrivi almeno una spiegazione, al di là di quella sottovoce che le difficoltà di capitale non lo permettono, altrettanto chiara sul perché non si va avanti rispetto a una promessa così solenne. E poi Atlante non tiene fede all’idea di uscire il prima possibile, ad esempio cogliendo le avances di Bper, che in più occasioni si mostra interessata a Veneto Banca. Certo, magari a prezzi deludenti. Ma un anno dopo la via alternativa costa l’azzeramento di Atlante.
Il problema è che la realtà si rivela fin da subito, già con le semestrali, ben più complicata del previsto. Nuove perdite che bruciano capitale e lo rendono appena sufficiente. E i clienti non tornano. Mion parla di «disaffezione», di «banca rifiutata dal territorio». Il punto è che il senso di tradimento per le azioni azzerate è profondissimo. Un punto sempre sottovalutato. Anche ora, con la soluzione della liquidazione, pietra tombale sui tentativi di risarcimento. Al punto da spingere ieri 38 sindaci trevigiani, guidati da quello di Montebelluna, Marzio Favero, a chiedere con una lettera-mozione al governo, un impegno di ristoro attraverso i recuperi della bad bank.
In più - per tornare ad Atlante - Penati a ottobre ribalta il rilancio che passa per rimettere sulle loro gambe le banche e sposa la fusione per tagliare i tempi. La linea di Vicenza e di Mion, rispetto a quella di Montebelluna e del suo presidente Beniamino Anselmi. Ma così facendo finisce in un angolo la linea dell’ex manager Cariplo di un recupero di clienti e di attività che va fatto in maniera urgente. Tagliando spese e lanciando sinergie tra le banche e salvando il posto ai dipendenti con pesanti contratti di solidarietà. E con un rimborso agli ex soci, partendo intanto anche solo dalle fasce più deboli, che va avviata a ottobre e chiusa a dicembre.
Anselmi se ne va. Di rilancio operativo non si parla più e i rimborsi partono solo a gennaio. Mentre la fusione presa in mano dal nuovo Ad di Vicenza, Fabrizio Viola, finisce nel vicolo cieco della trattativa con l’Europa. Atlante ha già mollato le due popolari. E dà anche una risposta piccata, il 30 maggio, alle sollecitazioni dei cda a mettere parte degli 1,2 miliardi privati pretesi dall’Ue. «Un azionista renitente», lo definisce Mion. Poi il disperato conto alla rovescia, fino al decreto del 25 giugno e all’arrivo di Intesa.
Poteva andare diversamente? Forse no, forse il verdetto era già scritto. Ma resta l’impressione di alcuni dati sparsi: i 58 milioni di euro di spese per servizi professionali a Vicenza nel 2016 e i 56 a Montebelluna, i costi operativi che lievitano di cento e passa milioni in Veneto Banca nel 2016, da 770 a 876 milioni, i 4,7 milioni costati a Vicenza l’uscita dei dirigenti, compresi quelli della squadra di Iorio. E i 7 miliardi di raccolta persi in un anno sotto la gestione Atlante.
- Il Fatto Quotidiano
- 9 Jul 2017
- CINQUE STELLE provano a trasformare il contributo dello Stato a banca Intesa Sanpaolo in qualcosa di diverso dal semplice regalo per “salvare” Popolare Vicenza e Veneto Banca prendendosi solo gli asset di valore. Due emendamenti presentati da M5s (a firma dei parlamentari Daniele Pesco, Carlo Sibillia, Alessio Mattia Villarosa, Ferdinando Alberti, Roberto Fico, Carla Ruocco e Domenico Pisano), puntano ad usare parte dei 5 miliardi del “dono” pubblico per acquistare azioni. In questo modo lo Stato entrerebbe nel capitale di Intesa. La seconda opzione raggiunge lo stesso scopo “dopo tre anni, con l'emissione di obbligazioni subordinate, con cedola all’1%, convertibili dall'emittente in azioni”. Emendamenti che si uniscono a quelli presentati da tutti i partiti al decreto e che fanno gelare il sangue al ministro dell’Economia, Pier Calo Padoan. Ministro che ha fatto sapere che se si toccano di una virgola i termini del contratto con Intesa, la prima banca italiana si sfilerebbe dall’operazione. I 5Stelle, in sostanza, chiedono che i 3,5 miliardi versati al San Paolo divengano un valore in mano allo Stato. Domani il testo sarà in Aula e martedì tornerà in Commissione Finanze per la votazione degli emendamenti.
Risarcimenti ai vecchi soci, 38 sindaci al governo: «Sfruttiamo la bad bank»
- Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
- 9 Jul 2017
- di Federico Nicoletti © RIPRODUZIONE RISERVATA
- VENEZIA «Ristrutturare, valorizzare, vendere. Prima usciamo e meglio è». E un obiettivo dichiarato: rendimenti del 6% l’anno. Si era presentato così, il 29 aprile 2016, Alessandro Penati, presidente della Sgr Quaestio, alla prima uscita di Atlante, il fondo d’investimento messo in piedi a tempo di record per avviare il mercato dei crediti deteriorati, e dirottato a salvare Popolare Vicenza e Veneto Banca, di fronte al fallimento degli aumenti di capitale per 2,5 miliardi.
Un anno dopo, col senno di poi di chi ha visto la fine della storia, risolta con la liquidazione delle due banche e un salvataggio di reti e attivi di Intesa pagato a caro prezzo dallo Stato, sarebbe troppo facile cavarsela con l’irrisione. Ma ripercorrere l’anno di Atlante è comunque utile, almeno per sollevare una tema rimosso nelle prime giornate concitate del post-decreto: la gestione di Atlante ha responsabilità su quanto accaduto? Sono stati commessi errori nel salvataggio di due banche, comunque ricapitalizzate per 3,5 miliardi di euro? Domande a cui è difficile rispondere, certo, anche perché una controverifica non c’è. Eppure un anno dopo è impossibile non notare, almeno, quanto suonino stridenti le premesse di partenza.
«Finalmente possiamo operare senza interessi di parte o locali che ci condizionino», dice Penati sempre alla presentazione di Atlante. «Dimostreremo che anche in Italia si possono fare ristrutturazioni rapide e di successo - aggiunge a giugno al Festival dell’Economia di Trento - Nominiamo in Bpvi un cda degno e lo appoggiamo in una ristrutturazione di 18-24 mesi».
Parole che forse mostrano una sottovalutazione della situazione. Specie se confrontate con le dichiarazioni di otto mesi dopo dello stesso Penati, che descriverà le ex popolari come una horror story, accusando di aver falsato i dati degli aumenti di capitale. Quasi bastasse, dopo la ricapitalizzazione, nominare un buon cda indipendente, che taglia i ponti col passato, per vedere tornare soci e depositi, dopo il drammatico azzeramento delle azioni ai 10 centesimi.
Penati mette nero su bianco le promesse nella lettera ai soci in vista dell’assemblea di Bpvi,il 6 luglio, che insedia il cda guidato da Gianni Mion. Un anno dopo, la distanza degli esiti è abissale. «Popolare di Vicenza è tra le banche più solide in Italia - scrive il dominus di Atlante -. Ha i fondi per sostenere con tranquillità ristrutturazione e rilancio». E ancora: «Niente tagli indiscriminati di costi, ma efficienza, rilancio dei ricavi ed eliminazione di lussi e sprechi». Poi la promessa del warrant: «Mi impegno affinché i soci avranno in futuro diritto ad acquisire azioni a 0.10 euro, qualunque sarà il valore della banca». Da ultimo la linea sulla fusione Bpvi-Veneto Banca: «Prima di parlarne bisogna rifar camminare le due banche sulle proprie gambe».
Ora, del warrant si perdono subito le tracce. Senza che arrivi almeno una spiegazione, al di là di quella sottovoce che le difficoltà di capitale non lo permettono, altrettanto chiara sul perché non si va avanti rispetto a una promessa così solenne. E poi Atlante non tiene fede all’idea di uscire il prima possibile, ad esempio cogliendo le avances di Bper, che in più occasioni si mostra interessata a Veneto Banca. Certo, magari a prezzi deludenti. Ma un anno dopo la via alternativa costa l’azzeramento di Atlante.
Il problema è che la realtà si rivela fin da subito, già con le semestrali, ben più complicata del previsto. Nuove perdite che bruciano capitale e lo rendono appena sufficiente. E i clienti non tornano. Mion parla di «disaffezione», di «banca rifiutata dal territorio». Il punto è che il senso di tradimento per le azioni azzerate è profondissimo. Un punto sempre sottovalutato. Anche ora, con la soluzione della liquidazione, pietra tombale sui tentativi di risarcimento. Al punto da spingere ieri 38 sindaci trevigiani, guidati da quello di Montebelluna, Marzio Favero, a chiedere con una lettera-mozione al governo, un impegno di ristoro attraverso i recuperi della bad bank.
In più - per tornare ad Atlante - Penati a ottobre ribalta il rilancio che passa per rimettere sulle loro gambe le banche e sposa la fusione per tagliare i tempi. La linea di Vicenza e di Mion, rispetto a quella di Montebelluna e del suo presidente Beniamino Anselmi. Ma così facendo finisce in un angolo la linea dell’ex manager Cariplo di un recupero di clienti e di attività che va fatto in maniera urgente. Tagliando spese e lanciando sinergie tra le banche e salvando il posto ai dipendenti con pesanti contratti di solidarietà. E con un rimborso agli ex soci, partendo intanto anche solo dalle fasce più deboli, che va avviata a ottobre e chiusa a dicembre.
Anselmi se ne va. Di rilancio operativo non si parla più e i rimborsi partono solo a gennaio. Mentre la fusione presa in mano dal nuovo Ad di Vicenza, Fabrizio Viola, finisce nel vicolo cieco della trattativa con l’Europa. Atlante ha già mollato le due popolari. E dà anche una risposta piccata, il 30 maggio, alle sollecitazioni dei cda a mettere parte degli 1,2 miliardi privati pretesi dall’Ue. «Un azionista renitente», lo definisce Mion. Poi il disperato conto alla rovescia, fino al decreto del 25 giugno e all’arrivo di Intesa.
Poteva andare diversamente? Forse no, forse il verdetto era già scritto. Ma resta l’impressione di alcuni dati sparsi: i 58 milioni di euro di spese per servizi professionali a Vicenza nel 2016 e i 56 a Montebelluna, i costi operativi che lievitano di cento e passa milioni in Veneto Banca nel 2016, da 770 a 876 milioni, i 4,7 milioni costati a Vicenza l’uscita dei dirigenti, compresi quelli della squadra di Iorio. E i 7 miliardi di raccolta persi in un anno sotto la gestione Atlante.