OGNI COSA HA LA SUA BELLEZZA, MA NON TUTTI LA VEDONO

Nonostante le “intuizioni” governative, non si ferma l’afflusso di clandestini sulle nostre coste.

Pare non sia servito chiudere gli ingressi aeroportuali ai passeggeri in arrivo dall’Asia con regolare biglietto,
poiché questi hanno trovato soluzioni assai più agevoli nei trafficanti, impegnati da anni nei trasporti sulle rotte marine
per raggiungere il sud Italia senza intoppi, per giunta con l’aperitivo di benvenuto,
e con l’aggravante dell’incognita Covid bypassata con le fughe dai centri protetti.


Chissà cosa avranno pensato il Presidente e il ministro degli Interni tunisini a fronte di un auto- invito del ministro Lamorgese
richiesto per un incontro urgente dopo l’arrivo di 800 clandestini proprio da Tunisi.

Al presidente Kais Sayed non pareva vero che, dopo l’amnistia promulgata nei confronti di centinaia di detenuti
in occasione del 63° anniversario della Repubblica di Tunisia, tra i quali 859 scarcerati a breve
e 213 al termine di pene ridotte al minimo, vi fosse un luogo alternativo dove liberarsi di tale pesante fardello umano
per renderlo inoffensivo per il suo popolo.

Ebbene sì, l’Italia di Conte c’è.


Peccato che i geni al lavoro si siano dimenticati delle migliaia di clandestini già nel nostro Paese,
degli altrettanti in arrivo e, in particolare, delle segnalazioni giunte dalla Libia che sottolineano l’arrivo in Italia
di oltre un migliaio di jihadisti partiti dalla Libia dove combattevano con la Turchia a sostegno del governo di al Sarraj.

Ma lo spiccato acume dei sedicenti governanti nostrani ha anche sorvolato sul fatto che jihadisti e clandestini comuni u
usufruiscono dei medesimi porti di imbarco di Zuwara e Sabratha sotto il controllo proprio del Gna, sostenuto dai nostri prodi e di quelli di Sfax in Tunisia.


Non c’è che dire, un capolavoro da parte di chi si fregia, senza alcun consenso elettorale, di rappresentare il nostro Paese nel mondo.


Ma l’utilizzo delle rotte clandestine da parte dei jihadisti non è notizia (o informazione) di oggi.

Noi e pochi altri, da anni segnaliamo il fenomeno.

Peccato che la problematica dei clandestini, e jihadisti viaggiatori, sia scomoda da affrontare con la giusta severità.


Non si sa bene a chi giovi questo atteggiamento del “buon idiota” palesato dalle menti pensanti di Roma,
se non ad accondiscendere ( o a sottostare) a più o meno velate minacce dei Paesi arabi di blocchi di forniture di combustibile
o a un’apertura generalizzata delle frontiere marine verso l’Italia.

Cosa che di per sé non rappresenterebbe certo una novità per chi da anni agevola il flusso dal nord Africa
e si fa garante degli sgraditi nuovi arrivati che furoreggiano nelle nostre strade certi di una totale impunità.

Farsi male da soli è solo questione di un attimo e in questo Tafazzi ha davvero fatto scuola. Complimenti !
 
T E R R I F I C A N T E......se fosse vero....
 
Ultima modifica:
“Quousque tandem abutere”, Europa,” patientia nostra?
Quamdiu etiam furori iste tuus nos eludet?
Quem ad finem sese effrenata iactabit audacia?”


(Fino a quando dunque, Europa, abuserai della nostra pazienza?
Quanto a lungo ancora codesta tua follia si prenderà gioco di noi?
Fino a che punto si spingerà la (tua) sfrenata audacia?).



Alla luce degli avvenimenti recentemente occorsi nel “tempio” della tecnocrazia europea,
mentre è ancora in corso il dibattito su un’ improvvida, ingiustificata e fuori legge, proroga di uno “stato di emergenza”,
sulla cui legittimità ab origine, specie quanto alla gestione, abbiamo già manifestato, come anche da più parti, dubbi più che fondati,
ci permettiamo di usare le parole di Cicerone, aggrappandoci alle nostre più solide Radici.


catilina4.jpg



I toni trionfalistici che hanno accompagnato la chiusura della seduta straordinaria dell’ultimo Consiglio Europeo,
ancor prima di entrare nel merito delle conclusioni rese, sembrano dimenticare un elemento fondamentale:

in forza all’art.15 del TUE “Il Consiglio europeo dà all’Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo
e ne definisce gli orientamenti e le priorità politiche generali. Non esercita funzioni legislative.”


In altri termini, il Consiglio europeo è solo un organo di indirizzo politico ed i suoi “atti”, stesi in forma di “conclusioni”,
esempio cosiddetto di soft low, non hanno valore vincolante, né nei rapporti tra Stati,
salva la spontanea applicazione tra essi del principio di leale cooperazione
(della cui violazione al livello europeo si è troppo spesso stati inermi testimoni e vittime, soprattutto in quanto cittadini),
né nei rapporti con i terzi, salva l’adesione volontaria.

E nel susseguente prefigurato iter attuativo, molti sono gli “spazi in bianco” lasciati alla discrezionalità degli organi e istituzioni comunitarie chiamati ad intervenire,
con rischi elevatissimi di trasformazione della celebrata vittoria in una rovinosa disfatta.

Questo quanto agli effetti giuridici impropriamente attribuiti, ad esito della riunione dell’organo in questione, dalla ridondante campagna mediatica.



Detto ciò, supposto che a tali “conclusioni” segua una calorosa cooperazione degli Stati europei ed una supina, presunta “volontaria”
(si conceda il beneficio del dubbio, visto il triste precedente greco), adesione, è palese, nell’architettura d’impianto che ne viene disegnata,
l’ideazione di un costrutto che rappresenta una chiara rivisitazione del MES, ritratteggiato nella forma e nel nome, ma non nella sostanza:

le condizionalità prefigurate sono talmente pervasive, da tradursi in una intrusività tale nella gestione del denaro,
che si ipotizzerebbe a disposizione, da devastare profondamente ogni residuo di sovranità e di residuo impianto ordinamentale costituzionale.
Il tutto attraverso un machiavellico e perverso paradigma che consolida ulteriormente, ed aggrava,
il modello del debito come chiave delle relazioni tra gli Stati membri, rafforzando maggiormente la posizione di alcuni tra essi
nel controllo della disciplina della gestione monetaria e di bilancio (i cosiddetti “frugali”), con aggravio della condizione di inferiorità di altri (tra cui l’Italia),
che diventa cronica ed irreversibile: tutto ciò è macroscopicamente comprovato da quanto prefigurato al punto “A19” delle conclusioni
e rimarcato nei poteri assicurati a quella che è stata definita in gergo “minoranza di blocco”.



Il sistema finanziario sia pubblico che privato non reggerà a lungo agli effetti di questa ennesima, provvida, crisi che,
complice l’impianto economico-monetario comunitario, sta infossando i paesi debitori dentro la spirale del debito,
inducendoli a consegnarsi alla trappola dell’assistenza finanziaria condizionata.


Il tutto, peraltro, con un escamotage intessuto attraverso un improprio, artificioso, utilizzo dei meccanismi ordinari comunitari,
piuttosto che con una necessaria, e dovuta, modifica dei trattati.

Ciò vale anche laddove si vorrebbe attribuire alla Commissione il potere di indebitamento sui mercati finanziari (punti “A3” – “A5”),
nonché un indebito autonomo potere di imposizione fiscale (punto “A29”) (destinato a finanziare il novellato potere di indebitamento sui mercati),
che andrebbe, oltretutto, a sommarsi alla già insostenibile pressione fiscale, e con conseguente indebita ed arbitraria assunzione, in capo all’Unione Europea,
delle prime caratteristiche di statualità, in totale spregio e violazione della legalità costituzionale, pesante compromissione dell’autonomia di organi costituzionali
e con indebita usurpazione di poteri di competenza esclusiva degli Stati.



Ci si augura, sul punto, non si voglia continuare a perseverare nell’indebita invocazione del tanto bistrattato art.11 della Costituzione.

In esso non si parla di “cessioni”, bensì di “limitazioni”.

La “limitazione” è di per sé un vincolo, che pur lasciando inalterata la titolarità di un diritto in capo al soggetto,
ne limita l’esercizio secondo le condizioni o gli ambiti stabiliti dalla limitazione stessa, ma non, e mai,
in modo così privativo da svuotare di contenuto il diritto stesso od il suo esercizio, specie nel suo contenuto essenziale:

il livello di passività ed inerzia con cui negli anni si è consentito uno svuotamento tale dell’integrità statuale,
da provocare una progressiva pesante compromissione dei cardini di funzionamento della democrazia nella forma repubblicana ex art.139 della Costituzione,
esige ora che a tutto questo venga posto un pesante argine.


In difetto, dignità e onore richiederebbero che si dichiarasse apertamente cosa è rimasto, se qualcosa ne è rimasto, della Repubblica e dell’Italia,
quantomeno per risparmiare l’ulteriore consunzione delle pareti dei sepolcri a coloro che per esse hanno versato il loro sangue.
 
Oggi in audizione davanti alla Commissione Bilancio di Borghi
il Ministro dell’Economia Gualtieri, con massima leggerezza, ha rivelato una informazione che, sinora, nessuno sapeva:

i prestiti del SURE e del RECOVERY FUND sono prestiti PRIVILEGIATI esattamente come quelli del MES.



Questo fatto è importantissimo e finora non era stato specificato in nessun documento,

Fosse vero, l’utilizzo di questi strumenti viene a classificare come Junior tutto il debito italiano sotto forma di BTP e di BOT.


E pensare che tutto era iniziato come domanda sulla voce, lanciata dal Sole 24 Ore,
che il ministro Gualtieri avesse parlato di “Tensioni di cassa” nella gestione delle finanze nazionali.

Ora il SURE è uno strumento di piccole dimensioni che è già stato finanziato,
ma il Recovery , nella sua componente RRF, è di ben 390 miliardi di cui un’ottantina, teoricamente, spettanti all’Italia.

Ora il ministro, bontà sua, afferma che il privilegio non abbia influito sulla definizione dei tassi.

A questo punto basta specificare che il privilegio NON viene riconosciuto a questi debiti, anche in ambito di conversione, ed abbiamo risolto il problema.

Altrimenti avremo, moltiplicato, l’effetto temuto dall’utilizzo del MES, cioè il declassamento implicito di tutto il nostro altro debito.


Se non pensate che sia importante, valutate la differenza fra un debito garantito da una prelazione o da una fidejussione ed uno senza garanzia, poi riparliamone.


Un fatto gravissimo, ignoto, che Gualtieri ci ha rivelato con la massima leggerezza.

Già questo indica come non sia in grado di valutarne i possibili danni.
 
Dopo la rivelazione un po’ a sorpresa sulla qualità privilegiata del debito SURE e RECOVERY FUND fatta oggi dal ministro Gualtieri,
che ha stupito anche perchè sulla parte di prestito del Recovery non si sa praticamente nulla,
grazie a @pippocamminadritto abbiamo fatto qualche ricerca, da cui è risultato quello che segue
e che potete vedere in questa immagine e che mostra rating e qualità dei debiti degli enti europei, che poi si ribalta sui fondi erogati.


sure-ed-emissioni-2.png




Qui sono elencate, sia le varie istituzioni europee ed il loro debito, per colonna, mentre per riga le condizioni.

Nella penultima riga come “Credit ranking” vi sono le condizioni.

Da questo capiamo che :
  • i debiti della commissione sono privilegiati;
  • EFSF non è privilegiato;
  • MES è privilegiato, ma nel caso spagnolo, di rifinanziamento verso il sistema bancario, non lo è stato.

Da questa tabella deduciamo che:
  • il debito SURE, per la cassa integrazione, al cui fondo noi contribuiamo con 8 miliardi di garanzie, è comunque privilegiato;

  • il debito MES potrebbe NON essere privilegiato, se fosse stato specificamente previsto.
  • Perchè non è stato così previsto in sede di Consiglio d’Europa?
  • Perchè Conte non ha imposto che il MES Light non fosse privilegiato e non lo ha fatto specificare?
  • Non è forse un così grande mediatore?
  • Oppure è una scelta voluta per dare uno status superiroe al MES?

  • il debito del Recovery sarà privilegiato se emesso dalla Commissione.
  • Se fosse emesso da un ente esterno bisognerebbe pensare ad un regolamento ad hoc per il debito stesso.

Quindi il SURE è privilegiato e ci sono enormi possibilità che lo sia anche quello del Recovery Fund.

Si va verso un MES 2.0.
 
il peggiore establishment della storia italiana fatto di una catena di comando criminale
riassunta in una chart di #ECB -

prima avete ammazzato migliaia di persone tra RSA ed ospedali

poi avete annientato un paese chiudendolo nella paura per coprire le vostre incapacità...


Immagine

9:38 AM · 19 giu 2020·Twitter Web App
 
Oggi al Senato è stata votata la risoluzione della proroga dello stato di emergenza fino al 15 ottobre,
con 157 a favore, 125 contrari e 3 astenuti, con 2 senatori 5S hanno votato in dissenso al loro gruppo, Crucioli e Ciampolillo.


Salvini nel suo intervento ha citato il costituzionalista Sabino Cassese che ad Agorà ha dichiarato:

“Si dichiara lo stato di emergenza ma la domanda è: siamo in uno stato di emergenza in questo momento?
Inoltre – aggiunge Cassese – viene data la spiegazione che bisogna comprare i banchi monoposto per le scuole e le mascherine.

Lo stato è in condizioni tali che ha bisogno di dichiarare lo stato di emergenza per acquistare banchi e mascherine?”


Seduta 245ª (XVIII legislatura)


Domani si vota alla Camera. Facciamogli sentire tutto il nostro dissenso.


Qua il link della petizione


 
A gennaio Conte ha decretato lo Stato di Emergenza, in forza del quale hanno disposto tutte le ben note limitazioni alla libertà e ai diritti della persona.

Adesso vogliono prolungarlo fino al 15 ottobre

Perché?

Ci sono i presupposti?

E soprattutto, ti hanno mai raccontato che in Italia lo Stato di Emergenza non esiste, perché la Costituzione non lo prevede?

Esiste – questo sì – un’emergenza legislativa, ma è prevista dal Codice di Protezione Civile
ed è pensata per quelle situazioni dove la differenza tra una decisione presa o non presa la fanno una manciata di secondi.

Si tratta di una norma pensata per i cataclismi, per stanziare risorse e fondi al fotofinish.

Per qualunque altro stato di necessità ed urgenza, c’è il Decreto Legge, che produce i suoi effetti anche in 24 ore,
il tempo della riunione del Consiglio dei Ministri e della firma del Presidente della Repubblica.


Ma allora, se lo Stato di Emergenza non esiste, e se l’articolo 24 del Codice della Protezione Civile è pensato per eventi calamitosi di origine naturale
o derivanti dall’attività dell’uomo che richiedono immediatezza di intervento, perché Conte vuole prorogare una condizione di privazione dei diritti per tutti gli italiani?

Lo Stato di Emergenza è il paradiso del potere
, un’occasione irripetibile per sovvertire l’ordine costituzionale ed impedire – ad esempio –
ai cittadini stanchi, sfibrati dalla crisi e non più disposti a tollerare oltre misure eccessive e irragionevoli, di protestare e manifestare nelle piazze, il prossimo autunno.

Un modo per blindarsi a Palazzo Chigi e rendere il Governo una fortezza inespugnabile.

Forse anche un modo – come suggerisce qualcuno – di rendere il processo di appaltazione, molto rapido e conveniente per qualcuno.

La Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, all’articolo 15, dice che i diritti della persona sono derogabili solamente in caso di guerra
o di pericolo pubblico che minacci la vita della nazione, ma anche così è necessario seguire una precisa procedura,
dove carte alla mano si dimostrano in sede europea le reali necessità di questa richiesta.

Procedura a cui il Governo Conte non si è attenuto.

Per questi motivi è necessario scongiurare il prolungamento dello Stato di Emergenza.

È necessario che una larga maggioranza di cittadini manifesti e certifichi la sua contrarietà,
firmando la petizione che un nutrito gruppo di coraggiosi intellettuali, giuristi, avvocati e docenti hanno stilato per noi.

Chi dorme in democrazia, si sveglia in dittatura!
 
Qualcuno propone anche questo.
Visitare i pazienti attraverso un video, per evitare la diffusione dei virus come il Covid-19,
per aiutare ad eliminare le liste di attesa e ridurre gli accessi al Pronto soccorso e i ricoveri impropri,
per raggiungere i pazienti più lontani, quelli che hanno difficoltà a deambulare, a muoversi in maniera autonoma.

Quando può essere d’aiuto e in che circostanze la telemedicina?

Il termine telemedicina identifica un variegato insieme di opportunità che l’ammodernamento tecnologico mette a disposizione dei cittadini e dei malati.
Ad esempio è telemedicina il consulto con la trasmissione a distanza di immagini TC da presidi ospedalieri privi di guardia medica radiologica
verso ospedali di riferimento con la possibilità di una diagnosi altrimenti più difficile da ottenere.
Pensiamo alle difficoltà operative nei piccoli presidi di montagna o nei presidi sanitari ubicati nelle piccole isole quali quelle pontine.
È telemedicina la trasmissione dell’Ecg eseguito a bordo di un ambulanza diretta verso l’ospedale.
La lettura dell’elettrocardiogramma da parte dello specialista cardiologo ospedaliero può consentire al paziente
di non passare attraverso il pronto soccorso per essere direttamente accompagnato in una sala di emodinamica
dove in caso di infarto è possibile procedere ad intervento di rivascolarizzazione.


Può effettivamente una visita medica essere sostituita dal sistema telematico?


La visita medica è un atto complesso e inizia con la raccolta della storia clinica del paziente,
la cosiddetta anamnesi che almeno per i medici della mia generazione resta un primo atto insostituibile.

Prosegue poi ad esempio con l’esame obiettivo, l’auscultazione del torace, la palpazione dell’addome.

Confesso che ho sempre avuto grande difficoltà quando ho provato a mettere il fonendoscopio sullo schermo di un personal computer per ascoltarne il battito.


Che tipo di diagnosi si possono fare con la telemedicina?


Personalmente ritengo che la diagnosi non sia una deduzione che si possa ricavare dalla semplice visione di referti, analisi, immagini.

La diagnosi si inserisce all’interno di un processo dinamico che comporta una elevata sensibilità e particolare delicatezza specialmente in quelle patologie,
spesso a prognosi infausta, dove il sapere del medico non può manifestarsi nella semplice comunicazione di una malattia e di una o più opzioni terapeutiche.

C’è la necessità di interagire, di comprendere cosa il paziente ed i familiare hanno realmente compreso di quanto è stato detto.

C’è necessità di verificare se c’è consapevolezza della malattia.

C’è necessità di capire cosa gli altri hanno realmente capito. E non è un gioco di parole.

Ci siamo riempiti la testa di parole come compliance, di concetti quali l’empatia, di tecniche di comunicazione verbale e non,
ed ora affidiamo il momento dialogativo al filtro del freddo schermo di un computer?

E badi bene, in tutto questo non ho voluto di proposito fare riferimento alla possibile insorgenza di problematiche medico legali che tuttavia esistono e sono sempre incombenti.


L’art. 24 del Codice di deontologia medica recita:
“Il medico è tenuto a rilasciare al cittadino certificazioni relative al suo stato di salute che attestino dati clinici direttamente constatati e/o oggettivamente documentati”.

Quindi il medico non può rilasciare delle certificazioni, qualora non avesse constatato di persona i fatti,
perché a seconda delle situazioni ci potrebbero essere delle ripercussioni sul professionista e il paziente si potrebbe rivalere su di lui.


Il Codice di deontologia medica
, insieme alla pratica clinica quotidiana, ai testi di medicina, e mi permetta insieme anche ai Codici civile e penale,
dovrebbe essere la stella polare di riferimento per chi esercita la professione di medico chirurgo.

Prima ancora della ipotesi di rivalsa di un paziente nei nostri confronti dovremmo seriamente interrogarci sul reale significato dell’atto medico
la cui insostituibilità parte dalla visita medica per approdare alla diagnosi, alla terapia e alle successive certificazioni
comprese quelle aventi lo scopo di fare ottenere al paziente eventuali benefici di legge.

Ormai col personal computer e col telefonino abbiamo perso la capacità di fare anche le più semplici operazioni aritmetiche.

Andando avanti di questo passo a farla da padrone sarà l’autodiagnosi magari col supporto del dottor Google.


E saranno guai seri non certo per la mia categoria di camici bianchi ma per le troppe persone non capaci di filtrare in maniera adeguata
l’impressionante quantità di informazioni, e di bufale, presenti sulla rete.

Se questo è il futuro che ci aspetta allora il nostro Codice di deontologia può svolgere una funzione salvifica.

Altrimenti si salvi chi può.
 
Già conosciamo bene il Governo Conte, nato e sopravvissuto per gestire potere e occupazione gramsciana della società,
elargire posizioni istituzionali e di sottobosco governativo, nominare commissari di chiara matrice politica, far nascere “gruppi di lavoro” a iosa,
il tutto senza dare al Paese alcuna soluzione di problemi reali e sviluppo economico e sociale.


Ma ora, ed a conferma di questo, l’interrogazione parlamentare presentata dal senatore Maurizio Gasparri (Senato, n. 4-03893-2020)
scoperchia nuovamente il vaso di Pandora dell’Enea, ente che da quando ha di fatto rinunciato alla ricerca in campo nucleare,
non ha più trovato la bussola nel sistema di ricerca italiano, ed in compenso si è imbattuta in diversi avventurieri
pronti a mungere una vacca ormai atrofica, prendersi lauti compensi e farsi un po’ di curriculum.


Ultima e recentissima, a leggere l’interrogazione, la manovra sprint di questo misconosciuto professore di Verona, tal Federico Testa,
che, assieme ad un manipolo di beneficiati dalla sorte, in particolare i signori Libè, Mizzi, e Miglietta, con repentine mosse negli ultimi Consigli di amministrazione di Enea,
approfittando dell’emergenza Covid-19 che ha prorogato incarichi ormai scaduti nella Pubblica amministrazione e negli Enti,
e temendo di non essere rinnovati, si sono autonominati in diversi consorzi e fondazioni private di competenza Enea-Mise, come presidenti e direttori, con laute prebende al seguito.


In particolare, all’Enea nella calda estate Covid-19 del 2020, il plurinominato presidente Testa, presidente Enea in scadenza,
ed allo stesso tempo professore ordinario a Verona, quindi già in conflitto di interessi e duplice stipendio pubblico,
dopo essersi nominato remunerato presidente del Consorzio Scarl Dtt (Divertor Tokamak Test),
si nomina il giorno 8 luglio 2020 anche remunerato presidente della Fondazione di diritto privato Enea Tech.

E sono quattro incarichi al posto di uno, bingo!

Approfittando del Decreto legge n. 34 del 19 maggio 2020, cosiddetto Decreto Rilancio,
grazie al suo trascorso politico Pd e al più recente avvicinamento ai 5 Stelle,

fa scaltramente inserire all’articolo 42 la costituzione di una Fondazione di diritto privato con cui “gestire” l’ingente dotazione finanziaria di 500 milioni di euro
messa a disposizione dal Mise per favorire start‐up e trasferimento tecnologico, e assegnare all’Enea ulteriori 17,5 milioni di euro
per i connessi costi di gestione necessari all’avvio e alla operatività della Fondazione.


Sembrerebbe una operazione illuminata e lungimirante.

Ma attenzione, ora arriva il bello.

A questo punto, preparato l’assist, il gol è facile: senza neanche aspettare la conversione in legge del Decreto Rilancio,
utilizza un Cda Enea in proroga per deliberare la Fondazione con tanto di Statuto, definizione degli organi di indirizzo politico e gestionali e relativi emolumenti.

E indovinate chi nomina presidente? Ovviamente se stesso.


Eppure, il Cda Enea, ripetiamo da tempo scaduto ed in proroga ex lege per l’emergenza sanitaria,
ha voluto nella proposta inoltrata al Mise, ben prima della conversione finale del Decreto in legge,
anticipare la storia, in un caldo pomeriggio di luglio, in gran segreto e senza che i lavoratori dell’Enea,
il rappresentante appena eletto dalla comunità scientifica, nonché componente del prossimo Cda dell’Enea,
e le rappresentanze sindacali ne avessero la minima informazione.

Sorprende poi che in base ad uno Statuto non ancora emanato dal ministero deputato ad adottarlo
(il Mise appunto, come da articolo 42 del Decreto Rilancio) e di una Fondazione che quindi ancora non esiste,
il pluri-incaricato professor Federico Testa, già presidente e direttore generale dell’Enea e presidente del Consorzio Dtt,
sia stato nominato anche alla presidenza della stessa Fondazione.

Non si ricorda nulla di simile seppur in una tormentata storia come quella dell’Enea.

Anche perché il Consiglio, nella sua attuale composizione, è stato dichiarato “superato” dalla Corte dei conti e dallo stesso Mise,
vista l’assenza del rappresentante elettivo della comunità scientifica interna ai sensi del Decreto legislativo 218/2016,
come ribadito dalla sentenza del Tar n. 06134/2018 del 4 aprile 2018 (tra l’altro l’Enea ha impiegato ben due anni per ottemperare alla sentenza)
ed a nostro avviso, dovrebbe svolgere la sola “ordinaria amministrazione”.


Peraltro le delibere del Consiglio di amministrazione non vengono mai pubblicate, contravvenendo così al principio di trasparenza dell’azione amministrativa.


Purtroppo aumentano le situazioni anomale all’interno dell’Enea, ente governato in violazione del principio di separazione
fra i compiti di indirizzo politico‐amministrativo, propri della presidenza, e quelli gestionali, che solitamente si affidano alla direzione generale.

Non si capiscono le ragioni di tanta fretta e perché mai un’operazione di tale portata sia stata condotta in gran segreto,
come se la Fondazione Enea Tech potesse essere considerata una cosa privata.

Su tutta questa vicenda merita che sia fatta piena luce e che i ministeri vigilanti, il Mise e il Mattm, debbano assumersi le responsabilità che competono loro.

Si spera, ma non ci si crede troppo, che i ministri vigilanti Stefano Patuanelli e Sergio Costa, che dovrebbero tenere all’onestà,
ai principi di trasparenza e buona amministrazione, correttezza e buona fede, spesso declamati ed invocati dalla forza politica a cui fanno riferimento,
si possano occupare in modo serio e puntuale di questa questione scandalosa, relativa alla nascita aumm aumm della Fondazione Enea Tech,
del suo Statuto e dei suoi organi, dove l’interesse del ritorno personale prevale di gran lunga sul bene comune e lo sviluppo della ricerca e del Paese.
 

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