Titoli di Stato area Euro Paesi Baltici ed Est Europa: news, info, analisi

Lettonia

" LA SBORNIA DELLA LETTONIA". EDITORIALE PUBBLICATO DA " DIE ZEIT".

La Lettonia, che ha avuto a lungo il tasso di crescita più alto in tutta l'Unione europea, è ormai sull'orlo del collasso. Ha tagliato la spesa abbassando i salari, ma diversi altri problemi e di salari più bassi, ma diversi problemi devono ancora essere risolti, se non si vuole svalutare la propria moneta.

"In passato non abbiamo avuto una volontà politica, né una visione
economica o imprenditoriale, e il governo ha fatto molti errori. Oggi ci troviamo di fronte all'interrogativo: la Lettonia riuscirà a sopravvivere?"

Queste affermazioni sono state fatte da Valdis Zatlers, il presidente lettone, davanti al parlamento a Riga.

I deputati avevano appena votato delle misure economiche molto rigide: riduzione del 20 per cento dello stipendio dei funzionari statali e del 10 per cento delle pensioni. Scelte obbligate per permettere alla Lettonia di ricevere ancora gli aiuti finanziari del Fondo monetario internazionale (Fmi) e dell'Ue - un aiuto senza il quale lo Stato sarebbe ridotto al fallimento entro il mese di luglio.

Come si è potuti arrivare a questa situazione? Come è possibile che un'economia che per anni ha avuto il più alto tasso di crescita dell'Ue si ritrovi oggi sull'orlo della bancarotta?

La risposta è semplice: i debiti. In nessun altro paese dell'Unione europea il credito è stato concesso in modo così generoso e ha provocato un tale surriscaldamento dell'economia. Oggi lo Stato si trova a pagare le conseguenze di questa politica. E poiché il boom economico lettone si basava quasi solamente sul credito, il paese ha risentito in pieno dalla crisi internazionale.

Nel dicembre 2008 l'Fmi e l'Ue aveva già dovuto iniettare 7,5 miliardi di euro in Lettonia, perché il paese non riusciva più a ottenere prestiti sul mercato internazionale.

Chi o che cosa potrà cambiare la situazione? Di certo non i consumatori e le imprese, tutti molto indebitati. E neppure lo Stato, che davanti a sé ha ancora due anni di dure economie per soddisfare i criteri chiesti dall'Fmi. Non deve stupire quindi se all'estero - e in particolare in Svezia, che mantiene stretti rapporti con la Lettonia - si pensi a una soluzione alternativa. Una soluzione che sembra inconcepibile anche agli stessi lettoni, la svalutazione del lat. Oggi la moneta nazionale lettone è legata all'euro, intorno al quale oscilla con un margine di fluttuazione dell'1 per cento. Una svalutazione farebbe diventare i prodotti lettoni meno cari all'estero e renderebbe il settore dell'esportazione più competitivo. Ma al tempo stesso rappresenterebbe un problema per molti lettoni, poiché è stata proprio la forza del lat a far ritrovare la stabilità dopo l'inflazione dei primi anni Novanta.

Ma contro la svalutazione vi sono anche altre motivazioni. In questo caso infatti la Banca centrale europea non permetterebbe l'introduzione dell'euro in tempi relativamente rapidi in Lettonia. Inoltre chi può garantire che la svalutazione darà risultati positivi e non provocherà una simile a quella argentina, con un crollo totale della moneta? Difficile dire se una tale iniziativa provocherà la corsa agli sportelli degli istituti di credito, visto che molti lettoni possono scambiare i loro lat in valute estere con un semplice clic del loro mouse. In ogni caso questa svalutazione potrebbe comportare problemi anche ad altri paesi dell'Europa dell'est legati all'euro, come l'Estonia, la Lituania e la Bulgaria.

Oggi la Lettonia si sforza di aumentare la propria competitività riducendo gli stipendi. Una cosa del genere sarebbe impossibile in Germania a causa della potenza dei sindacati, ma in Lettonia le organizzazioni di lavoratori non hanno alcun potere.

Il problema è sapere se queste riduzioni degli stipendi saranno sufficienti e se faranno effetto abbastanza rapidamente. Infatti la Lettonia, a causa della crisi, è ridiventata un paese in cui la manodopera è abbondante e a buon mercato, ma gli imprenditori locali sono ancora molto reticenti nell'investire

Per vincere queste incertezze il paese deve conquistare una nuova credibilità e per questo motivo è fondamentale che rispetti le esigenze dell'Fmi. Se ci riuscirà, la Lettonia avrà meritato di entrare a far parte del club dei paesi dell'euro. ( Fonte: presseurop)
 
Lettonia

Ancora brutti report sulla Lettonia che pare essere il paese più danneggiato dell'area



La Lettonia fa lo sgambetto all'Est
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Il Paese è a un passo da default. E potrebbe trascinarsi dietro i suoi vicini europei.


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07/07/09 Prima di investire in est Europa, meglio osservare quello che succede in Lettonia. Da lì, avvertono infatti gli operatori, potrebbe partire una crisi che contagerebbe l’intera regione. Più o meno la stessa cosa che è successa nel 1997 in Asia quando il collasso della moneta in Tailandia ha dato il via a quello dell’intera area.


Gli investitori sembrano aver annusato qualcosa, visto che in un mese (fino al 7 luglio e calcolato in euro) l’indice Msci dell’Europa dell’est ha perso quasi il 10%. E’ vero che, come altre aree emergenti, sta pagando il ritorno di volatilità delle ultime settimane che spinge gli investitori ad abbandonare i mercati considerati più a rischio. Ma altre zone in via di sviluppo stanno soffrendo meno. L’indice del Brasile, ad esempio, in un mese è sceso del 2%. L’Asia (Giappone escluso) si è lasciata dietro lo 0,9%, mentre la Cina ha guadagnato quasi l’1%.

A lanciare l’allarme su un possibile crollo legato alla Lettonia è stato per primo Christopher Rosenberg, responsabile del Fondo monetario internazionale (FMI) per il Centro Europa e il Baltico. “Una crisi del Paese avrebbe una pesante ripercussione sull’intera regione, anche alla luce delle difficoltà a reperire finanziamenti a livello internazionale”, ha scritto in un report di aggiornamento sulla situazione dell’area. “Inoltre la potrebbe deteriorare la fiducia del mercato nei confronti di quelle banche che hanno operazioni nell’area”.

Ma qual è il problema della Lettonia? All’inizio del secolo il Paese era uno dei più interessanti per gli investitori, grazie soprattutto alla sua crescita annuale che, spesso, superava il 10%. Il boom, però, è stato accompagnato da profondi squilibri. In particolare, da un deficit che ora si avvicina al 25% del Prodotto interno lordo (uno dei maggiori al mondo) e un debito con l’estero che ha superato il 140% del Pil. Ribilanciare questa situazione sarebbe stato difficile in ogni situazione, ma è diventato particolarmente complesso con la crisi finanziaria degli ultimi due anni che ha portato al diradarsi degli investimenti stranieri e alla difficoltà a reperire finanziamenti dalle istituzioni finanziarie internazionali.

A peggiorare le cose c’è il fatto che la moneta locale (il lat) è legato all’andamento dell’euro con una possibilità di fluttuazione, in alto o in basso, dell’1%. Questo rende complicato utilizzare lo strumento della svalutazione per rendere competitivi i beni locali (così come avevano fatto l’Italia con la lira e l’Inghilterra con la sterlina nel 1992).

L’economia lettone, al momento è in stato comatoso. Nonostante un pacchetto di aiuti da parte dell’FMI e dell’Unione europea da 7,5 miliardi di euro il governo locale prevede una contrazione dell’economia, per il 2009 del 18%. Una delle performance peggiori a livello mondiale. Il Paese dovrebbe ricevere altri 1,7 miliardi alla fine di giugno. Il problema è che gli accordi originari prevedono che la Lettonia raggiunga, entro quella data un deficit pari al 5% del Pil. Un obiettivo che, oggi, appare quanto mai irrealizzabile, anche se il governo locale ce la sta mettendo tutta. Ad esempio, tagliando drasticamente i salari nel settore pubblico. Se il Fondo monetario e l’Ue non cambieranno le condizioni del prestito, il default appare quindi solo una questione di tempo.

A quel punto, primi Stati ad essere contagiati potrebbero essere Estonia e Lituania, i principali partner commerciali lettoni. Il virus, poi, potrebbe passare a Romania e Ungheria. “E’ vero che questi due Paesi non hanno grandi legami commerciali con la regione Baltica e sono più legati all’Eurozona”, spiega uno studio di Roubini Global Economics. “Anche loro, tuttavia, hanno dovuto chiedere un aiuto al Fondo monetario internazionale. Il fallimento di un progetto di sostegno per la Lettonia verrebbe letto come il fallimento del piano di soccorso dell’intera regione dell’est Europa. La conseguenza sarebbe un ulteriore allontanamento degli investitori”.

La più preoccupata per quello che sta succedendo in quella parte del continente è l’Austria. Le banche del Paese, infatti, sono fra le più esposte con prestiti a imprese e privati. Non a caso la banca centrale austriaca ha condotto degli stress test (simili a quelli effettuati in Usa) per verificare la solidità degli istituti di credito in caso di un collasso dell’Europa dell’est. Il risultato è che il sistema finanziario austriaco è sufficientemente capitalizzato per resistere a una depressione della regione che duri fino al 2010 Un problema analogo riguarda le banche svedesi, anche loro, molto forti nell’area.

Cattive notizie arrivano anche dalla Russia. L’economia del Paese nel primo trimestre ha subito una contrazione del 9,8%, mentre la produzione industriale, a maggio, è scesa del 17,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Nel frattempo la disoccupazione ha raggiunto livelli che non si vedevano da otto anni e le aziende fanno fatica a pagare i dipendenti. In questa situazione, ha avvertito la Higher School of Economics di Mosca, si potrebbe arrivare a delle dimostrazioni di piazza simili a quelle viste negli anni ’90.





Marco Caprotti è Redattore di Morningstar in Italia.
 
Il punto sulle economie dell’Europa dell’Est

07 Jul 2009 A cura di Rocki Gialanella

La recessione continua a mettere sotto pressione le fragili economie dell’area e minaccia di estendersi all’UE

Doveva essere la nuova locomotiva del Vecchio Continente, quella che con i suoi mercati quasi vergini e tutti da esplorare, dopo decenni di economia comunista, aveva il difficile compito di liberare i mercati maturi dal torpore accumulato negli ultimi anni. E invece l’Europa dell’Est sta accusando gli effetti della crisi internazionale con maggiore intensità rispetto alle attese.

Con economie ancora molto fragili a causa della loro breve storia semi-capitalista, i paesi del vecchio blocco socialista stanno cercando di liberarsi dalla morsa di una crisi che, per alcuni, potrebbe tradursi in bancarotta. Quasi tutti i paesi della regione o sono già in recessione o stanno per entrare in una fase di arretramento, le imprese stanno chiudendo, la disoccupazione non cessa di crescere e gli investimenti esteri sono in caduta libera.

Il pericolo si estende oltre le frontiere di questi stati, coinvolgendo quei paesi che hanno destinato all’area ingenti flussi di capitali ( Austria, Germania, Svezia e Italia). Dopo alcuni mesi di calma relativa, i segnali di allarme si susseguono dal Baltico. La Lettonia, che fino a un anno fa rappresentava un paradiso per molti investitori in ragione di tassi di crescita del Pil a due cifre, si trova ai bordi del collasso. L’economia lettone sarà uno dei malati gravi del 2009, con una contrazione del Pil vicina al 18%. La disoccupazione sfiora il 20% e il debito pubblico del paese equivale al 150% del Pil. Allo stesso tempo, lo Stato affronta difficoltà crescenti nel collocare i suoi titoli di debito, le riserve di valuta estera hanno subito una contrazione del 40% e la divisa nazionale (il Lat) sembra ormai prossimo ad una svalutazione che comporterebbe una serie di problemi per numerosi paesi europei.

Tra gli operatori inizia a trovare spazio il parallelismo tra l’attuale crisi delle economie dell’Est e la crisi asiatica del 1997, causata dal crollo del Bath tailandese. Ma quale livello di contagio sarebbe in grado di innescare la svalutazione della divisa della piccola Lettonia? L’effetto negativo potrebbe trovare un moltiplicatore nel crollo della fiducia che il mercato ripone negli istituti di credito che hanno investito con forza nei paesi baltici. La svalutazione avrebbe effetti molto negativi anche sulle divise dei paesi baltici e dell’Europa dell’Est ( in prima linea l’Estonia, la Lituania e la Bulgaria) che adottano un tasso di cambio fisso. Tuttavia, partendo dal presupposto che nei momenti di crisi i mercati non guardano molto ai fondamentali, alcuni analisti si spingono ad ipotizzare che altre vittime potenziali potrebbero essere la Romania e alcuni paesi industrializzati del calibro di Austria e Svezia.

Fino a questo momento, la sola minaccia della svalutazione della divisa lettone ha provocato svalutazioni nelle divise dei paesi vicini (Polonia e Repubblica Ceca), le cui economie sembrano essere più solide e stabili. La caduta delle quotazioni delle divise domestiche è spesso disastrosa per due ragioni: 1) il debito denominato in euro diventa più caro: 2) peggiorano i deficit pubblici.

Secondo l’economista Nouriel Roubini, la dipendenza dei soci più giovani dell’UE dal finanziamento estero potrebbe costituire il tallone d’Achille. Durante l’ultimo decennio, i flussi di investimenti provenienti dall’estero sono stati uno dei fattori chiave per lo sviluppo di questi paesi, che risultavano molto interessanti agli occhi degli investitori stranieri in virtù degli elevati tassi di crescita e della sicurezza fornita dall’appartenenza al club europeo.

La crisi ha invertito il trend. L’euforia degli investitori è svanita. I flussi di capitali privati destinati alle cinque grandi economie dell’area ( Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Bulgaria e Turchia) accuseranno una contrazione di circa 60.000 mln di Usd (43.000 mln di Euro) nel 2009, meno della metà di tutto il denaro calamitato nel 2008. In Polonia, l’economia più robusta dell’area, gli investimenti diretti esteri hanno raggiunto i 1.250 mln di euro nel primo trimestre del 2009 rispetto ai 1780 mln del trimestre precedente e ai 3.440 mln di un anno addietro. Fino a questo momento non si è verificata una fuga massiccia dei capitali, ma molti imputano questo trend al fatto che gli istituti di credito occidentali sono costretti a rimanere nell’area per evitare problemi maggiori.

I prossimi mesi non saranno facili. Tra il 2003 e ilo 2007, questi paesi hanno coperto quasi la totalità del proprio deficit con gli investimenti esteri. Nel 2008 tale ratio è sceso al 58%. L’alternativa: indebitarsi di più per finanziare il deficit. La conseguenza: un’ulteriore crescita del debito. Liberarsi da questa spirale non sarà un compito facile. Attualmente, il settore bancario è quello maggiormente interessato dalla crisi. Le entità finanziarie occidentali hanno accumulato un’esposizione nell’area per 1,3 bln di Euro. I maggiori creditori sono l’Austria (con crediti equivalenti al 60% del Pil), la Germania, l’Italia e la Francia. Nel caso dei paesi baltici, è la Svezia ad assumere il ruolo di primo creditore. La Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo calcola che il 20% del totale del debito non sarà mai recuperato. In primis perché saldarlo sta diventando sempre più oneroso –sono stati contratti in Euro e le divise nazionali si stanno continuamente svalutando- e in secondo luogo perché il crollo del mercato immobiliare ha trasformato in spazzatura molte ipoteche.

Le perdite potrebbero essere enormi. La Danske Banh sostiene che lo scenario più benevolo comporta una perdita di 1.600 mln di Usd ( il 3,5% del Pil austriaco) per le banche austriache e di 10.000 mln di Usd ( il 2% del Pil) per quelle svedesi. La banca danese calcola che nello scenario più avverso le perdite potrebbero raggiungere l’11% del Pil austriaco e il 6,1% di quello svedese.

La salvezza passa per una collaborazione crescente tra il FMI, l’Esecutivo comunitario, i Governi nazionali e le Banche centrali. Il Fondo Monetario Internazionale sta agendo su due fronti: prevenzione della crisi (concessione di una linea di credito di 21.000 mln di Usd alla Polonia) ed erogazione di aiuti urgenti (come accaduto con Lettonia, Ungheria e Romania). Un’altra misura considerata chiave dagli economisti è l’iniezione di liquidità concessa dalla BCE alle banche esposte nell’area.

Nonostante gli interventi, la Lettonia attraversa un momento difficile: il Governo ha optato per un taglio del 20% degli stipendi dei funzionari pubblici e del 10% delle pensioni). Alcuni esperti credono che la valuta lettone subirà una svalutazione pari o superiore al 30%, trascinando le divise dell’area ancorate ad un tasso di cambio fisso. Una svalutazione non controllata può sfociare in un collasso della divisa (come accaduto in Argentina ed Islanda).
 
Pessime notizie e pessimi report dal Baltico 1

LITUANIA : L' ECONOMIA CEDE IL 22,4 % NEL SECONDO TRIMESTRE .

L’economia delle Lituania ha subito una contrazione record del 22,4% nel secondo trimestre del 2009, mentre la peggiore recessione dai tempi dell’indipendenza (nel 1990) si sta abbattendo come un macigno sulla produzione industriale e sui consumi.
Quello registrato dalla repubblica baltica è il peggior declino dell’Unione europea, decisamente peggiore rispetto ai primi tre mesi dell’anno, quando il prodotto interno lordo aveva subito un calo del 13,3%. E più pesante anche rispetto alle previsioni degli analisti, che avevano ipotizzato una contrazione contenuta entro un 17,7%. Ad ufficializzare la performance è stato l’ufficio statistico di Vilnius, in un comunicato pubblicato questa mattina nel quale si sottolinea anche come, nello stesso periodo del 2008, l’economia fosse cresciuta del 5,2%.
Un segnale ulteriore di come le tre repubbliche baltiche (insieme alla Lituania, anche la Lettonia e l’Estonia) stiano subendo fortemente le conseguenze della crisi economica, con l’esplosione di un’enorme bolla nel real-estate, il crollo del credito e la glaciazione delle esportazioni provocata dal calo record della domanda globale.
Nel frattempo, ad aggravare la crisi ci sono le condizioni del sistema bancario: la SEB AB, il più importante istituto di credito in Lituania, e la Swedbank AB, la più grande banca in Estonia e Lettonia, stanno incontrando difficoltà crescenti a causa della forte crescita dei prestiti inesigibili. Entrambi gli istituti hanno infatti registrato perdite nel secondo trimestre e annunciato un’ulteriore contrazione del credito nell’area. Un vero e proprio circolo vizioso. ( Fonte: valori.it)
Redazioneonline- Osservatorio Internazionale
 
Pessime notizie e pessimi report dal Baltico 2

SCENARIO/ Dall’Europa alla Cina, dove portano le nuove mosse della geo-finanza?


Mauro Bottarelli


giovedì 6 agosto 2009
Dopo lo “Shanghai surprise” della scorsa settimana, ecco ora arrivare il “Baltic blast”. Ad annunciarlo, dalla pagina dei commenti del Financial Times, Gideon Rachman, uomo che certamente non può essere tacciato di pessimismo. Difficilmente lancia segnali dall’allarme ingiustificati. Ma quando lo fa, purtroppo, è perché ha toccato con mano e visto con i propri occhi cosa sta per accadere.

E l’ultimo viaggio compiuto in Lettonia la scorsa settimana lo ha convinto di una cosa: i paesi baltici, entro la fine dell’anno, rischiano di saltare e innescare una profonda crisi non solo nei vicini paesi dell’Est ma all’interno della stessa eurozona. I lettori di queste colonne sono informati ormai da settimane della disastrosa situazione in cui versano Lettonia, Lituania ed Estonia, ma ora la questione sta assumendo un peso diverso, più politico che economico. E questo deve spaventarci.

Prima, qualche dato. La scorsa settimana la Lituania ha annunciato una contrazione della propria economia del 22,4% quest’anno: detto fatto, secondo prestito d’emergenza in otto mesi da parte del Fondo Monetario Internazionale. La questione, ora, è come gestire il rifinanziamento di quel prestito: svalutare la divisa locale, di fatto sganciandosi dal meccanismo di fluttuazione fissa con l’euro - il cosiddetto peg - o restare fedeli al patto europeo e infliggere nuove, pesanti misure alla popolazione? Le paghe di chi lavora nel settore pubblico sono già state tagliate di un terzo e il Fmi ha chiesto un ulteriore taglio del 10%. Il tasso di disoccupazione è ufficiosamente all’11% ma ha già sfondato il 16% e viaggia spedito verso il 20%. Le bollette del riscaldamento, al contrario, sono destinate a salire in vista del gelido inverno baltico.

E, in situazioni di potenziale tensione sociale come queste, tagliare - come è stato fatto - del 30% le paghe dei poliziotti potrebbe non essere stata la migliore delle idee. Perché non svalutare allora, come chiede il Fmi e garantirsi un ritorno con l’export visto che oggi, parola del presidente lituano Dalia Grybauskaite, «sia il confine russo che quello tedesco sono chiusi alle nostre esportazioni»? Il perché è chiaro: l’Ue teme effetti dumping sui mercati e soprattutto fluttuazioni selvagge dopo l’uscita dal peg, un qualcosa che potrebbe destabilizzare gli equilibri monetari non solo della regione ma di un’ampia fetta della “nuova Europa” e portare a pericolosi collassi bancari.

Quale ricetta scegliere? Al momento sull’argomento vige il silenzio agostano ma come ricordava Rachman, «così facendo i difensori ad oltranza del peg stanno creando le condizioni per un nuovo schiaffone economico per la fine di quest’anno».
 
Pessime notizie e pessimi report dall'Est Europa

lunedì 3 agosto 2009

La prossima ondata di crisi in arrivo dall'Europa dell'Est

DI F. WILLIAM ENGDAHL (globalresearch.ca)_

Le banche europee sono di fronte ad un’ondata completamente nuova di perdite per i mesi a venire che non sono ancora state calcolate in nessun piano di aiuti al settore bancario da parte dei governi. A differenza delle perdite delle banche americane che provengono originariamente dalle loro esposizioni in un mercato immobiliare subprime di bassa qualità e in altre forme di cartolarizzazione dei prestiti, i problemi delle banche dell’Europa Occidentale, soprattutto in Austria, Svezia e forse Svizzera nascono dagli enormi volumi di prestiti erogati durante il periodo 2002-2007 con tassi di interesse internazionali estremamente bassi a clienti nei paesi dell’Europa Orientale.
I problemi nell’Europa dell’Est che stanno emergendo solo ora con piena forza sono, se si può dire, una conseguenza indiretta delle politiche monetarie libertine della Fed di Greenspan dal 2002 al 2006, il periodo in cui ha iniziato ad avere successo lo schema Ponzi di Wall Street di cartolarizzazioni garantite da beni.

La pericolosità di questi prestiti all’Europa dell’Est sta ora venendo alla luce mentre la recessione economica globale sia nell’Europa Orientale che in quella Occidentale sta obbligando le banche occidentali a fare marcia indietro, rifiutando di rinnovare i prestiti e i crediti e lasciando migliaia di mutuatari con debiti impagabili. La dimensione della crisi emergente dei prestiti dell’Europa Orientale fa impallidire qualunque altra cosa sia stata concepita prima. Nelle prossime settimane obbligherà ad un punto di vista radicalmente nuovo di tutta l’intera questione della nazionalizzazione delle banche, indipendentemente dalle belle speranze che nutrono i politici di qualunque schieramente politico.
Il servizio di valutazione di Moody’s ha appena annunciato che “potrebbe” declassare un certo numero di banche dell’Europa Occidentale con ampie esposizioni nell’Europa Orientale. Sul rapporto, l’euro è sceso ai minimi da due mesi e mezzo nei confronti del dollaro.

Il rapporto di Moody’s accenna principalmente alle banche nell’Europa dell’Est di proprietà delle banche dell’Europa Occidentale, tra cui specificatamente Raiffeisen Zenetralbank Österreich e Swedbank. La diffida pubblica di Moody’s ora obbligherà le banche occidentali che hanno delle consociate nell’Europa Orientale a restringere fortemente le condizioni dei prestiti all’Est proprio nel momento in cui c’è bisogno del contrario per impedire che la crescita economica precipiti scatenando una reazione a catena di insolvibilità dei prestiti. Le banche occidentali sono state catturate in un buco nero.

Secondo le mie fonti ben informate a Londra, le nuove preoccupazioni sulle esposizioni bancarie nell’Europa Orientale determineranno la prossima ondata della crisi finanziaria globale, un’ondata che potrebbe essere ancor più devastante del crollo delle cartolizzazioni americane subprime che ha scatenato l’intera crisi di fiducia.
Come risultato alla diffida di Moody’s, le banche dell’Europa Occidentale probabilmente ora saranno esigenti nell’aiutare le proprie consociate. Il rapporto di Moody’s ha fatto notare che “le banche nei paesi associati con rischi sistemici più elevati potrebbero avere un’assistenza ridotta.” I governi dell’Europa Occidenale potrebbero anche stabilire delle regole per assicurare che le banche ricevano gli aiuti statali, che sono attualmente proibiti, per aiutare le consociate all’estero. Le cose stanno già così per quanto riguarda le banche greche e il governo greco. Il risultato sarà quello di peggiorare una situazione già critica.

La dimensione dei rischi è sconcertante

L’ammontare dei prestiti potenzialmente a rischio coinvolge perlopiù banche italiane, austriache, svizzere, svedesi e, si pensa, anche tedesche. Quando i paesi dell’ex Unione Sovietica e del patto di Varsavia dichiarono la loro indipendenza all’inizio degli anni ’90 le banche dell’Europa Occidentale si precipitare ad acquistare a buon mercato le più importanti banche dei paesi da poco divenuti indipendenti. Mentre i tagli dei tassi di interesse negli Stati Uniti dopo la crisi azionaria del 2002 spinsero i tassi di interesse in tutto il mondo verso nuovi minimi, il credito facile condusse a prestiti oltreconfine a più alto rischio in valuta straniera. In paesi come l’Ungheria, le banche austriache e svizzere hanno sostenuto i mutui ipotecari sulla casa espressi in franchi svizzeri, sui quali il tasso di interesse era decisamente inferiore. L’unico rischio all’epoca era che la valuta ungherese doveva essere svalutata, obbligando i proprietari di casa ungheresi a ripagare talvolta una somma doppia in franchi svizzeri. Questo è quello che è accaduto negli ultimi 18 mesi mentre le banche e i fondi occidentali hanno drasticamente ridotto i loro investimenti speculativi nei paesi dell’Est per riportare in patria il capitale dove la casa madre ha avuto dei gravi problemi causati dalla catastrofe bancaria americana. Nel caso dello zloty polacco, negli ultimi mesi la valuta è scesa del 50%. Non si conosce il volume dei mutui ipotecari in valuta straniera presenti in Polonia ma Londra stima che potrebbe essere enorme.

Nel caso delle banche austriache, il paese si trova di fronte ad una replica della crisi del 1931 della Vienna Creditanstalt in cui una reazione a catena si diffuse alle banche tedesche e portò il Vecchio Continente alla crisi economica del 1931-33. Nel recente incontro tenutosi a Bruxelles dei ministri delle finanze dell’Unione Europea, il ministro delle finanze austriaco Josef Pröll, stando a quanto si dice, ha supplicato i suoi colleghi di arrivare ad un pacchetto di salvataggio da 150 miliardi di euro per le banche dell’Europa Orientale. Solo le banche austriache hanno prestato 230 miliardi di dollari, l’equivalente del 70% del PIL del paese. La più grande banche austriaca, Bank Austria, a sua volta di proprietà dell’italiana Unicredito insieme alla tedesca Hypo Vereinsbank, sta fronteggiando quella che la stampa locale definisce una “Stalingrado monetaria” sulla sua esposizione dei prestiti all’Est. Ironia della sorte, Bank Austria ha acquistato da qualche anno Vienne Creditanstalt nella sua ventata di fusioni.
Secondo le stime pubblicate dalla stampa finanziaria di Vienna, se nei prossimi mesi soltanto il 10% dei prestiti austriaci all’Est dovesse risultare insolvente, “porterebbe al crollo del sistema finanziario austriaco.” La Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS) a Londra stima che i debiti scadenti all’Est supereranno il 10% e “potrebbero toccare il 20%”.

Il ministro delle finanze tedesco Peer Steinbrück, a quanto si dice, ha scartato categoricamente qualunque fondo di salvataggio europeo per l’Est, sostenendo che non si tratta di un problema tedesco. Potrebbe presto rimpiangere quanto detto mentre la crisi si diffonde alle banche tedesche e ha costi maggiori sul consumatore tedesco. Uno degli aspetti che più colpisce della crisi attuale che si è sprigionata per la prima volta nell’estate del 2007 è la sempre maggior incompetenza dei più importanti ministri delle finanze e dei banchieri centrali, da Washington a Bruxelles a Parigi a Francoforte, per affrontare con decisione la crisi.

La sede londinese della banca americana di investimenti Morgan Stanley ha pubblicato un rapporto nel quale si stima il numero totale delle banche dell’Europa Occidentale che erogano prestit all’Est. Secondo questo rapporto, l’Europa Orientale ha preso a prestito un totale di 1.700 miliardi di dollari, prevalentemente da banche dell’Europa Occidentale. In buona parte si tratta prestiti a breve termine della durata inferiore ad un anno. Nel 2009 le banche dell’Est devono ripagare o rinnovare qualcosa come 400 miliardi di dollari, il 33% del PIL totale della regione. Mentre le recessione globale si aggrava stanno diminuendo dopo giorno giorno le possibilità che questo possa avvenire. Ora le banche occidentali si stanno rifiutando di rinnovare quei prestiti, sotto pressioni politiche e finanziarie interne. La finestra del credito all’Est, che solo due anni fa era la fonte di un boom di utili per le banche dell’Europa Occidentale, ora si è chiusa di colpo. Persino la Russia, che un anno fa aveva più di 600 miliardi di dollari di riserve in valuta straniera, si trova in una situazione difficile. Quest’anno le grandi aziende russe devono ripagare o rinnovare 500 miliardi di dollari. Da agosto, la Russia ha subìto un salasso del 36 per cento delle proprie riserve straniere per difendere il rublo.

In Polonia, il 60% di tutti i mutui ipotecari è in franchi svizzeri. Lo zloty polacco è diminuito di metà del proprio valore nei confronti del franco svizzero. L’Ungheria, i Balcani, i Paesi baltici e l’Ucraina stanno tutti soffrendo delle varianti della stesso problema. Come atto di follia collettiva – sia per chi chiede un prestito e sia per chi lo concede – si può paragonare alla débâcle dei subprime americani. Questa crisi, per le banche europee, svetta sulle perdite avute nei titoli del mercato immobiliare americano. E’ la prossima ondata della crisi che è pronta a colpire. Quasi tutto il debito del blocco orientale deve essere ripagato all’Europa Occidentale, soprattutto a banche austriache, svedesi, greche, italiane e belghe. Gli europei incidono per un sorprendente 74% per l’intero portafoglio da 4.900 miliardi di dollari di prestiti ai mercati emergenti. Sono cinque volte più esposti a quest’ultima crisi rispetto alle banche americane e giapponesi, e stanno utilizzando una leva del 50 per cento superiore secondo il FMI.

Anche se occorreranno mesi, o solamente alcune settimane, il sistema finanziario europeo sta ora affrontando una prova importante e la situazione è complicata dal fatto che quando le regole della Banca Centrale Europea sono state perfezionate alla fine degli anni ’90, i governi non hanno convenuto nel cedere il potere totale di centralità bancaria alla nuova BCE. Come risultato, in questa prima prova della BCE in una crisi sistemica, la banca non è in grado di agire allo stesso modo, per esempio, della Federal Reserve e ricoprire il ruolo di prestatore di ultima istanza o di inondare i mercati con degli incentivi di emergenza. Secondo alcune stime la banca Centrale Europa ha già bisogno di portare i tassi a zero e poi acquistare in blocco obbligazioni e Pdfandbriefe. E’ frenata dalla geopolitica – un veto tedesco-olandese – e dal Trattato di Maastricht. La BERS stima che l’Europa dell’Est ha bisogno di almeno 400 miliardi di euro di aiuti per coprire i prestiti e sostenere il sistema creditizio.

I governi europei stanno peggiorando le cose. Alcuni di loro stanno facendo pressioni sulle loro banche per fare marcia indietro, vendendo sottocosto le loro consociate nell’Europa Orientale. Atene ha ordinato alle banche greche di ritirarsi dal Balcani. Le somme necessarie vanno oltre i limiti del FMI, che ha già tirato fuori dai guai Ungheria, Ucraina, Lettonia, Bielorussia, Islanda e Pakistan – e prossimamente la Turchia – e sta rapidamente esaurendo la sua riserva da 155 miliardi di euro, obbligandolo a vendere le proprie riserve d’oro per aumentare la liquidità.
Il recente salvataggio del FMI da 16 miliardi di dollari in Ucraina si è districato. Il paese – che sta subendo una contrazione del 12 per cento del PIL dopo il crollo dei prezzi dell’acciaio – si sta avviando verso l’insolvenza, lasciando Unicredit, Raffeisen e ING di fronte al disastro. Il governatore della banca centrale della Lettonia ha dichiarato la sua economia “clinicamente morta” dopo essere diminuita del 10,5 per cento nel quarto trimestre. I manifestanti hanno causato danni al Tesoro e preso d’assalto il Parlamento.

Forse l’aspetto più allarmante è che le istituzioni dell’Unione Europea non abbiano nessuna struttura per far fronte a tutto questo. Il giorno in cui decideranno di non salvare uno di questi paesi sarà l’innesco di una gigantesca crisi che si diffonderà in tutta l’Unione Europea.

Al momento, è chiaro che per meschine ragioni politiche Berlino non trarrà in salvo Irlanda, Spagna, Grecia e Portogallo mentre il crollo delle loro bolle del credito porterà all’aumento delle insolvenze, o non trarrà in salvo l’Italia accettando dei piani per le “obbligazioni dell’Unione” se i mercati del debito dovessero boicottare il debito pubblico italiano che sta ormai esplodendo, e che raggiungerà il 112% del PIL il prossimo anno, da poco corretto al rialzo dal 101%.


F. William Engdahl

Fonte: http://globalresearch.ca
Link articolo originale: http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=12339
 
Lituania:Latvia's GDP Drops 19.6% in Second Quarter

In un trimestre la Lituania perde un quinto del proprio PIL...

RIGA, Latvia -- Latvia's economy shed nearly one-fifth of its value in the second quarter compared with the same period last year, official data showed Monday, signaling a deepening of the Baltic state's recession.

Gross domestic product fell 19.6% from a year earlier in the April to June period, the national statistics agency announced, led by a 28% slump in retail and a 19% drop in industrial production. The restaurant and hotel sector plunged 35% year-to-year.

The fall is the sharpest since Latvia began keeping records in 1996.

Latvia's economy is undergoing a major correction after years of impressive growth after joining the European Union in 2004. The global economic recession has compounded its woes, as Latvia has seen demand for its exports weaken sharply.

Despite the data, Latvians can take heart that their economy is no longer the worst in the 27-member EU.

Last week Lithuania, Latvia's neighbor, announced that its economic output declined 22.4% in the second quarter compared with the same period in 2008.

Also, consumer prices continue to fall in Latvia, which for years was plagued by the highest inflation in the EU due to unrestrained consumption.

The statistics agency announced Monday that prices fell 0.6% in June. The annual inflation rate, meanwhile, amounted to 2.5% in June, down from 9.8% in the beginning of the year.

Government officials have forecast that GDP this year will fall approximately 18%, which would be the worst result since Latvia gained independence in 1991
 
S&P taglia rating Estonia ad 'A-', Lettonia a 'BB'
lunedì 10 agosto 2009 18:12

MILANO, 10 agosto (Reuters) - Standard & Poor's ha abbassato il rating dell'Estonia ad 'A-' da 'A', e quello della Lettonia a 'BB' da 'BB+'.

Lo riferiscono due note dell'agenzia di rating, precisando che per entrambe le repubbliche baltiche l'outlook è negativo.

Nel caso dell'Estonia, riferisce il comunicato, l'azione riflette l'idea che difficoltà in aumento per l'economia estone risultino dal bisogno di sostanziose correzioni economiche atte a ridurre la dipendenza da finanziamenti esteri, un processo che rischia di ritardare il programma d'ingresso dell'Estonia nell'Unione monetaria europea.

Per quanto riguarda la Lettonia, il downgrade rispecchia le sfide economiche e politiche che il paese si trova ad affrontare per via della rapida contrazione dei redditi reali e nominali e delle associate pressioni sulle finanze pubbliche.
 
Sarà così ma le obbligazioni dei paesi dell'est sono tutte alla pari o quasi segno che il default al momento non è previsto, perfino la lettonia, dopo la seconda tranche del prestito, è passata dai 79 agli 89 (il bond 2014).

Bisognerebbe vedere i cds sui singoli stati per farsi un'idea più chiara. I rating oggi non contano niente.
 

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