Parmalat, una settimana per fermare Parigi - La Procura di Milano apre un'inchiesta sulla scalata
di GIuseppe Oddo
La prossima settimana si annuncia cruciale per le sorti della Parmalat. Una cordata italiana che volesse contrapporsi con un'operazione di mercato ai francesi della Lactalis, che detengono in totale il 29% del gruppo guidato da Enrico Bondi, dovrebbe rompere gli indugi e scendere in campo subito. Il 1° aprile – riflettono gli esperti di diritto societario – ciascun socio dovrà comunicare all'azienda con quanti titoli intende presentarsi all'assemblea degli azionisti; il che offrirà al management la fotografia dell'azionariato.
A quel punto Bondi avrebbe qualche giorno ancora (forse fino al 7 o all'8) per convocare il consiglio d'amministrazione in tempo utile per deliberare lo slittamento dell'assise dal 14 aprile al 30 giugno. Viceversa – dicono gli stessi esperti – se nella settimana successiva al 1° aprile il "cavaliere bianco" dovesse per qualche ragione dileguarsi, a Bondi non resterebbe che prenderne atto, presentarsi all'assemblea già convocata per il 14 e verificare solo in quella sede la possibilità o l'impossibilità di aggregare una maggioranza alternativa a quella di Lactalis.
Insomma, o c'è Ferrero o un gruppo di imprenditori made in Italy che mette sul piatto i miliardi necessari a lanciare un'offerta lampo sull'intero capitale della Parmalat oppure Bondi non avrà alcun interesse ad avvalersi del decreto appena emanato dal governo, che gli consente di fissare la data dell'assemblea «nel termine di 180 giorni dalla chiusura dell'esercizio 2010». A questo proposito, il banchiere d'affari Gianni Tamburi, numero uno di Tip e azionista forte di Prysmian, ha comunicato ieri a Intesa Sanpaolo la propria disponibilità a schierare gli investitori a lui vicini, con una somma nell'ordine di 350 milioni, a sostegno di un'eventuale cordata nazionale. Sui Ferrero, invece, circolano voci contrastanti. Accanto a chi pensa che la famiglia imprenditoriale piemontese potrebbe scommettere su una diversificazione nel latte, senza badare a spese, c'è chi dice che in realtà i Ferrero sarebbero molto titubanti, a meno che il governo non faccia decadere l'articolo immodificabile dello statuto che impedisce per i prossimi dieci anni, a chicchessia, di utilizzare non più del 50% degli 1,4 miliardi di liquidità presenti nelle casse di Parmalat.
Ciò non significa che i francesi hanno ormai la strada sgombra e sono a un passo dalla meta. Problemi di altra natura potrebbero sorgere nei prossimi giorni o addirittura nelle prossime ore. Problemi, per esempio, di comunicazione alla Commissione europea. L'elemento che potrebbe dare la stura a una contesa legale tra l'attuale consiglio della Parmalat e la Lactalis è quel pacco di azioni del 29% già in mano alla società transalpina, di cui il 15% detenuto in modo indiretto. Considerato che all'assemblea di Collecchio presenzia in media meno del 30% del capitale, con questa quota Lactalis potrebbero ottenere l'elezione di sette consiglieri su undici e avere dalla sua anche i 2-3 che potrebbero essere espressi dai fondi esteri da cui ha rilevato il 15% di Parmalat (MacKenzie, Skagen e Zenit). In questo caso Bondi avrebbe già perso la partita in partenza.
Gli eventi potrebbero però prendere tutta un'altra piega, avversa ai francesi. Dicono i soliti esperti: ipotizziamo che la partecipazione posseduta da Lactalis, ossia il 29% del capitale sociale di Parmalat, costituisca una concentrazione rilevante, il che le attribuirebbe il controllo esclusivo di fatto del gruppo italiano; ebbene, le norme della Commissione europea stabiliscono, in base ai comportamenti di voto osservati nelle passate assemblee, la probabilità che in casi del genere «l'azionista di minoranza abbia una maggioranza stabile dei voti» e che quindi «detto azionista detenga il controllo esclusivo». Se così fosse, Lactalis sarebbe stata tenuta a notificare all'istante l'operazione di concentrazione e a non esercitare i propri diritti di voto fino al via libera della Commissione.
La domanda è (ammesso che si sia di fronte effettivamente a un controllo esclusivo): è partita questa comunicazione nei tempi fissati dalla legge? L'indiscrezione che gira negli ambienti bancari è che non sia ancora stata inviata e che Lactalis potrebbe farlo solo dopo il 1° aprile, cioè dopo aver annunciato a Bondi con quante azioni vuol presentarsi in assemblea. I francesi punterebbero in altre parole a ottenere una deroga dalla Commissione: un'esenzione dall'obbligo di comunicazione preventiva. Anche se una misura del genere è stata accordata solo in rare occasioni, evidentemente Lactalis sa il fatto suo, forte anche dell'influenza che la Francia esercita sugli uffici della Commissione. La scelta di non inviare prima la segnalazione appare comunque comprensibile. Se fosse partita subito dopo l'acquisto del 29% di Parmalat, la società d'oltralpe avrebbe rischiato seriamente, per le lungaggini dell'antitrust, di arrivare all'assemblea del 14 aprile con i diritti di voto ancora congelati. Bisogna vedere come reagirà Bondi nel caso (per ora tutto teorico) in cui si configurasse una violazione dell'obbligo di comunicazione da parte di Lactalis.
C'è poi un'altra questione su cui Bondi potrebbe avere qualcosa da ridire. I tre fondi esteri hanno venduto ai francesi la loro quota in Parmalat, ma hanno tenuto in vita la loro lista di nomi da sottoporre all'assemblea per l'elezione dei consiglieri d'amministrazione. Ciò, pur essendo assolutamente legittimo, potrebbe prefigurare l'esistenza di un patto non dichiarato con i francesi, stipulato nel momento della vendita delle azioni. Gli osservatori rilevano che i tre fondi esteri hanno comunicato al mercato il 26 gennaio di aver stretto un patto comune di voto sulle azioni in loro possesso, prima che Bondi annunciasse durante il road show agli investitori istituzionali i risultati e i programmi d'investimento del gruppo.