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Piero Busetta: "Ponte sullo Stretto, non è lo Stato a pagare"
Pubblichiamo l'intervento del prof. Busetta sul quotidiano "La Sicilia" del 4 giugno
Domani pomeriggio a Messina si sfilerà per il Ponte. Si progetta una scippo ed i siciliani si mobilitano. Stufi di luoghi comuni come quello di non costruire "cattedrali nel deserto", scendono in piazza. Per bonificare il deserto piuttosto che per non costruire cattedrali.
La rete autostradale siciliana, con il completamento della Messina-Palermo, va verso un livello interessante ed una grande infrastruttura dà il senso di una discontinuità con un passato che vedeva la Sicilia come area di solo consumo. Ma il vero problema sarebbero le risorse. Nessuno si è mai chiesto perché nelle ultime Finanziarie non ci sia mai stato un euro per il Ponte?
La risposta è semplice: il piano finanziario per la realizzazione del Ponte non richiede contributi a fondo perduto da parte dello Stato. Ma allora perché si continua a parlare si soldi pubblici per il Ponte? Anche qui la risposta è facile. Gli azionisti della società "Stretto di Messina", chiamati a ricapitalizzare per 2,5 miliardi di euro, sono società a controllo pubblico (Fintecna, Anas, Rfi). E' qui che nasce l'equivoco. Infatti, le risorse che gli azionisti destinano al Ponte rappresentano un investimento imprenditoriale, basato su analisi di rendimento e prospettive di recupero e non un contributo a fondo perduto. Il vero impiego di risorse pubbliche si avrebbe qualora il progetto, secondo schemi già seguiti in passato, venisse finanziato in larga misura con contributi a fondo perduto. Mentre una società per azioni, seppure a controllo pubblico, investe in un progetto quando i parametri consentono di prevedere il recupero del capitale e la sua remunerazione.
E' superfluo dire che, come ogni iniziativa imprenditoriale, nessuno può assicurare il recupero del capitale investito e quindi anche gli azionisti pubblici, se l'operazione non dovesse andare a buon fine, perderebbero il loro capitale. Ma tale ipotesi sarebbe esclusa dal piano economico-finanziario elaborato dalla "Stretto di Messina" e validato da advisor competenti. D'altronde non si può dimenticare che opere pubbliche come l'Alta Velocità, le Metropolitane sono interamente a carico dello Stato.
L'aumento di capitale copre il 40% del valore dell'opera, il restante 60%, i 3,5 miliardi che ancora mancano all'appello saranno coperti attraverso finanziamenti di tipo project finance, contratti in più tranche sui mercati finanziari nazionali ed internazionali. In altre parole, senza garanzie da parte dello Stato.
I prestiti bancari e gli altri strumenti finanziari che verranno emessi, al momento opportuno, saranno sottoscritti da investitori istituzionali operanti sui mercati finanziari nazionali ed internazionali. Questi sono i famosi "privati" che molti si domandano dove siano e perché non sono stati coinvolti da subito.
La risposta è semplice: il denaro è una merce che ha un costo, ottenere oggi finanziamenti che serviranno più in là nel tempo sarebbe uno spreco. In ultima analisi sarà ancora il mercato a confermare la fattibilità economico finanziaria del Ponte secondo l'impostazione data.
Al punto in cui si è giunti, con l'appalto consegnato, parlare di altre priorità è solo un modo per far contenti gli illusi. Il nuovo vice ministro delle Infrastrutture, Angelo Capodicasa, intervenga per smorzare i toni prima, e poi arrivare ad una conclusione realizzativa. Anche se, per come si sono messe le cose, questa sembra una mission impossibile, che solo l'impegno combattivo della gente potrà portare ad una via d'uscita.
Peraltro è la credibilità del sistema Italia sui mercati che viene messa in discussione. Il Ponte è stato deciso con legge del 1971, più legislature ne hanno confermato la realizzazione, nelle gare internazionali sono state coinvolte circa sessanta aziende, per un terzo straniere. Oggi sono stati incaricati di realizzare l'opera italiani, giapponesi, statunitensi, danesi, spagnoli, canadesi. Quanto costa, in termini di credibilità del Paese, dire loro: "Signori, abbiamo scherzato"?
Piero Busetta*
*Ordinario di Statistica Economica alla facoltà di Economia dell'Università di Palermo, Presidente delle fondazione "Angelo Curella"
Pubblichiamo l'intervento del prof. Busetta sul quotidiano "La Sicilia" del 4 giugno
Domani pomeriggio a Messina si sfilerà per il Ponte. Si progetta una scippo ed i siciliani si mobilitano. Stufi di luoghi comuni come quello di non costruire "cattedrali nel deserto", scendono in piazza. Per bonificare il deserto piuttosto che per non costruire cattedrali.
La rete autostradale siciliana, con il completamento della Messina-Palermo, va verso un livello interessante ed una grande infrastruttura dà il senso di una discontinuità con un passato che vedeva la Sicilia come area di solo consumo. Ma il vero problema sarebbero le risorse. Nessuno si è mai chiesto perché nelle ultime Finanziarie non ci sia mai stato un euro per il Ponte?
La risposta è semplice: il piano finanziario per la realizzazione del Ponte non richiede contributi a fondo perduto da parte dello Stato. Ma allora perché si continua a parlare si soldi pubblici per il Ponte? Anche qui la risposta è facile. Gli azionisti della società "Stretto di Messina", chiamati a ricapitalizzare per 2,5 miliardi di euro, sono società a controllo pubblico (Fintecna, Anas, Rfi). E' qui che nasce l'equivoco. Infatti, le risorse che gli azionisti destinano al Ponte rappresentano un investimento imprenditoriale, basato su analisi di rendimento e prospettive di recupero e non un contributo a fondo perduto. Il vero impiego di risorse pubbliche si avrebbe qualora il progetto, secondo schemi già seguiti in passato, venisse finanziato in larga misura con contributi a fondo perduto. Mentre una società per azioni, seppure a controllo pubblico, investe in un progetto quando i parametri consentono di prevedere il recupero del capitale e la sua remunerazione.
E' superfluo dire che, come ogni iniziativa imprenditoriale, nessuno può assicurare il recupero del capitale investito e quindi anche gli azionisti pubblici, se l'operazione non dovesse andare a buon fine, perderebbero il loro capitale. Ma tale ipotesi sarebbe esclusa dal piano economico-finanziario elaborato dalla "Stretto di Messina" e validato da advisor competenti. D'altronde non si può dimenticare che opere pubbliche come l'Alta Velocità, le Metropolitane sono interamente a carico dello Stato.
L'aumento di capitale copre il 40% del valore dell'opera, il restante 60%, i 3,5 miliardi che ancora mancano all'appello saranno coperti attraverso finanziamenti di tipo project finance, contratti in più tranche sui mercati finanziari nazionali ed internazionali. In altre parole, senza garanzie da parte dello Stato.
I prestiti bancari e gli altri strumenti finanziari che verranno emessi, al momento opportuno, saranno sottoscritti da investitori istituzionali operanti sui mercati finanziari nazionali ed internazionali. Questi sono i famosi "privati" che molti si domandano dove siano e perché non sono stati coinvolti da subito.
La risposta è semplice: il denaro è una merce che ha un costo, ottenere oggi finanziamenti che serviranno più in là nel tempo sarebbe uno spreco. In ultima analisi sarà ancora il mercato a confermare la fattibilità economico finanziaria del Ponte secondo l'impostazione data.
Al punto in cui si è giunti, con l'appalto consegnato, parlare di altre priorità è solo un modo per far contenti gli illusi. Il nuovo vice ministro delle Infrastrutture, Angelo Capodicasa, intervenga per smorzare i toni prima, e poi arrivare ad una conclusione realizzativa. Anche se, per come si sono messe le cose, questa sembra una mission impossibile, che solo l'impegno combattivo della gente potrà portare ad una via d'uscita.
Peraltro è la credibilità del sistema Italia sui mercati che viene messa in discussione. Il Ponte è stato deciso con legge del 1971, più legislature ne hanno confermato la realizzazione, nelle gare internazionali sono state coinvolte circa sessanta aziende, per un terzo straniere. Oggi sono stati incaricati di realizzare l'opera italiani, giapponesi, statunitensi, danesi, spagnoli, canadesi. Quanto costa, in termini di credibilità del Paese, dire loro: "Signori, abbiamo scherzato"?
Piero Busetta*
*Ordinario di Statistica Economica alla facoltà di Economia dell'Università di Palermo, Presidente delle fondazione "Angelo Curella"