fo64
Forumer storico
Per il genietto barese dal carattere bizzoso, suggerirei un bel periodo di allenamento insieme a questi giovanotti
----------------------------------
da Repubblica.it:
Una giornata con la squadra neozelandese, la più celebre del mondo
Sabato a Roma al Flaminio giocheranno contro l'Italia
Vivere da All Blacks, il rugby come religione
di CORRADO SANNUCCI
ROMA - Quando gli dei del rugby hanno lasciato lo spogliatoio la porta è rimasta aperta e il magazziniere, Errol Collins, un piccolino nervoso, quindi un ex mediano di mischia, ha cominciato a riempire un gigantesco frullatore, buttando dentro latte, gelato alla crema, banane. Tornando dal campo i suoi ragazzi sarebbero stati affamati. Ma chi è che mangia di più? "Tutti, hanno sempre fame, tutto il tempo". In allenamento un All Black non si risparmia, avere questa maglia vuol dire entrare in un circolo che regala popolarità e prestigio ma anche esige tutto a un giocatore. E poi ci sono anche le telecamere che riprendono i movimenti, per spiegare dopo che cosa è stato fatto bene e cosa male. In allenamento, non in partita.
Lo sbarco degli All Blacks a Roma è fatto di leggenda, tradizione, semplicità e dedizione totale al rugby. Sulla porta del magazzino c'è lo slogan di una pubblicità: "Il nero è più scuro del sangue". Gli All Blacks sembrano vivere in un eterno set pubblicitario, ricordate lo spot in cui Lomu scavalcava banchi del pesce, tamponava una macchina pur di salvare un tonno nel porto di Auckland? Fuori dall'albergo il pullman non riusciva a fare manovra a causa di un'Alfa in seconda fila: sono scesi in quattro, l'hanno sollevata e spostata. Peccato non avere ripreso la scena.
C'è insieme la perfezione dei maestri e l'umiltà del pastore di pecore, anche se a vedere le facce e il colore dei capelli questa squadra ormai è la nazionale dell'oceano pacifico, piena com'è di tongani, figiani, samoani. "Questo riflette quella che è la Nuova Zelanda oggi, la nostra società" dice Wayne Smith, assistant coach con un passato in Italia negli anni '80 a fine carriera. "Ma tutti hanno l'orgoglio di essere All Blacks e neozelandesi". Ed è Tana Umaga, un maori, il capitano di una squadra così maori.
Sul prato battuto dalla tramontana sfilano i giocatori con le loro diverse movenze, con muscolature espanse ma compatte, asciutte. Joe Rokocoko, ala alta e sinuosa, che ha segnato 25 mete in 20 test match, delle quali due all'Italia ai mondiali scorsi, e che difficilmente si tratterrà dal farne un'altra sabato al Flaminio; Doug Howlett, ala dagli occhi magnetici, che ha fatto innamorare anche le hostess di Lazio-Siena; Daniel Carter, un centro che giocherà mediano di apertura, che al suo debutto contro il Galles si è presentato con 20 punti; Luke Mc Alister, uno dei protagonisti della vittoria neozelandese nel mondiale under 19 e poi under 21.
Sono All Blacks giovani questi, otto sono alla prima selezione. La Nuova Zelanda non vince il mondiale dall'87 ed è arrivata ultima nel Tri Nations. Vuole evitare un altro giorno di lutto nazionale come dopo la sconfitta in semifinale con l'Australia nell'ultimo mondiale. Dice Smith: "Abbiamo tre obiettivi: vincere le partite di questo Tour, formare un gruppo e tutti questi giovani ci devono dire se possono essere dei buoni All Blacks, lavorare in prospettiva del mondiale 2007".
Mentre centinaia di ragazzini dell'Unione Rugby Capitolina si avvicinano con carta e penne, i cantatori di haka intanto stanno finendo l'allenamento. Provano schemi d'attacco, mostrando una velocità di passaggio e una velocità di corsa che sono sconosciuti dalle nostre parti. A centro campo un gruppo striscia sul campo avanzando con i gomiti.
"E' una punizione" dice qualcuno, ma è solo una battuta. Dopo verranno i divertimenti, la tournée è lunga, bisogna anche distrarsi. C'è Byron Kelleher, mediano di mischia, l'addetto della squadra a inventare giochi. L'altro ieri era: fate sei-sette squadre, andate in giro per piazza Navona e il Pantheon, fatevi fotografare con una ragazza, vincerà chi ha trovato la più carina.
I giocatori escono, non c'è neanche un poliziotto a separarli dalla gente normale. "Fateci prima cambiare" dicono ai ragazzini più ansiosi. Sono dei che si mescolano ai mortali, come un calciatore non farebbe mai e forse neanche un rugbista inglese. "E' bello questo, sappiamo che qui conta solo il calcio" dicono sorridendo.
I ragazzini intanto guardano sui fogli le firme che non sanno decifrare, forse quella del pilone Saimone Taumoepeau. Stavolta invece è andata male per il tonno, finito in una ventina di scatolette che attendevano i giocatori sul tavolo dello spogliatoio. Ma perché gli All Blacks ne sono così ghiotti? "Tutte proteine" spiega convinto Collins.
(9 novembre 2004)
----------------------------------
da Repubblica.it:
Una giornata con la squadra neozelandese, la più celebre del mondo
Sabato a Roma al Flaminio giocheranno contro l'Italia
Vivere da All Blacks, il rugby come religione
di CORRADO SANNUCCI
ROMA - Quando gli dei del rugby hanno lasciato lo spogliatoio la porta è rimasta aperta e il magazziniere, Errol Collins, un piccolino nervoso, quindi un ex mediano di mischia, ha cominciato a riempire un gigantesco frullatore, buttando dentro latte, gelato alla crema, banane. Tornando dal campo i suoi ragazzi sarebbero stati affamati. Ma chi è che mangia di più? "Tutti, hanno sempre fame, tutto il tempo". In allenamento un All Black non si risparmia, avere questa maglia vuol dire entrare in un circolo che regala popolarità e prestigio ma anche esige tutto a un giocatore. E poi ci sono anche le telecamere che riprendono i movimenti, per spiegare dopo che cosa è stato fatto bene e cosa male. In allenamento, non in partita.
Lo sbarco degli All Blacks a Roma è fatto di leggenda, tradizione, semplicità e dedizione totale al rugby. Sulla porta del magazzino c'è lo slogan di una pubblicità: "Il nero è più scuro del sangue". Gli All Blacks sembrano vivere in un eterno set pubblicitario, ricordate lo spot in cui Lomu scavalcava banchi del pesce, tamponava una macchina pur di salvare un tonno nel porto di Auckland? Fuori dall'albergo il pullman non riusciva a fare manovra a causa di un'Alfa in seconda fila: sono scesi in quattro, l'hanno sollevata e spostata. Peccato non avere ripreso la scena.
C'è insieme la perfezione dei maestri e l'umiltà del pastore di pecore, anche se a vedere le facce e il colore dei capelli questa squadra ormai è la nazionale dell'oceano pacifico, piena com'è di tongani, figiani, samoani. "Questo riflette quella che è la Nuova Zelanda oggi, la nostra società" dice Wayne Smith, assistant coach con un passato in Italia negli anni '80 a fine carriera. "Ma tutti hanno l'orgoglio di essere All Blacks e neozelandesi". Ed è Tana Umaga, un maori, il capitano di una squadra così maori.
Sul prato battuto dalla tramontana sfilano i giocatori con le loro diverse movenze, con muscolature espanse ma compatte, asciutte. Joe Rokocoko, ala alta e sinuosa, che ha segnato 25 mete in 20 test match, delle quali due all'Italia ai mondiali scorsi, e che difficilmente si tratterrà dal farne un'altra sabato al Flaminio; Doug Howlett, ala dagli occhi magnetici, che ha fatto innamorare anche le hostess di Lazio-Siena; Daniel Carter, un centro che giocherà mediano di apertura, che al suo debutto contro il Galles si è presentato con 20 punti; Luke Mc Alister, uno dei protagonisti della vittoria neozelandese nel mondiale under 19 e poi under 21.
Sono All Blacks giovani questi, otto sono alla prima selezione. La Nuova Zelanda non vince il mondiale dall'87 ed è arrivata ultima nel Tri Nations. Vuole evitare un altro giorno di lutto nazionale come dopo la sconfitta in semifinale con l'Australia nell'ultimo mondiale. Dice Smith: "Abbiamo tre obiettivi: vincere le partite di questo Tour, formare un gruppo e tutti questi giovani ci devono dire se possono essere dei buoni All Blacks, lavorare in prospettiva del mondiale 2007".
Mentre centinaia di ragazzini dell'Unione Rugby Capitolina si avvicinano con carta e penne, i cantatori di haka intanto stanno finendo l'allenamento. Provano schemi d'attacco, mostrando una velocità di passaggio e una velocità di corsa che sono sconosciuti dalle nostre parti. A centro campo un gruppo striscia sul campo avanzando con i gomiti.
"E' una punizione" dice qualcuno, ma è solo una battuta. Dopo verranno i divertimenti, la tournée è lunga, bisogna anche distrarsi. C'è Byron Kelleher, mediano di mischia, l'addetto della squadra a inventare giochi. L'altro ieri era: fate sei-sette squadre, andate in giro per piazza Navona e il Pantheon, fatevi fotografare con una ragazza, vincerà chi ha trovato la più carina.
I giocatori escono, non c'è neanche un poliziotto a separarli dalla gente normale. "Fateci prima cambiare" dicono ai ragazzini più ansiosi. Sono dei che si mescolano ai mortali, come un calciatore non farebbe mai e forse neanche un rugbista inglese. "E' bello questo, sappiamo che qui conta solo il calcio" dicono sorridendo.
I ragazzini intanto guardano sui fogli le firme che non sanno decifrare, forse quella del pilone Saimone Taumoepeau. Stavolta invece è andata male per il tonno, finito in una ventina di scatolette che attendevano i giocatori sul tavolo dello spogliatoio. Ma perché gli All Blacks ne sono così ghiotti? "Tutte proteine" spiega convinto Collins.
(9 novembre 2004)