Quale Banca?

Texas Ratio
Il Texas Ratio è un indice messo a punto dagli analisti di RBC Capital Markets ed in particolare da Gerard Cassidy per analizzare la crisi delle banche del Texas, da cui il nome, durante la recessione degli anni ’80.

Il Texas Ratio si calcola come il rapporto tra i prestiti “non performanti” (non-performing loans) e la somma di “capitale netto tangibile” cioè il valore del capitale netto diminuito dell’importo delle immobilizzazioni immateriali in aggiunta delle riserve per perdite su crediti.

I prestiti non-performanti sono i prestiti in default, in genere sono considerati tali quelli il cui pagamento è in ritardo di 90 giorni, o comunque quandunque vi siano valide ragioni per ritenere che non saranno completamente onorati.

Quando il Texas Ratio raggiunge il valore 100% la banca ha elevate probabilità di fallire.

Ad esempio la Banca IndyMac aveva un Texas Ratio del 140% prima che fosse dichiarato il suo fallimento.

Articolo registrato in: http://www.unionetradersitaliani.it/texaxratio.htm

 
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Banche, problema sistemico
Piano Ue salva-banche o saranno guai
«Una cosa è chiara, le banche hanno bisogno di essere ricapitalizzate», serve un fondo da 150 miliardi per salvare gli istituti di credito. Tutte le alternative sarebbero più costose sul lungo periodo. A dirlo è David Folkerts-Landau, capo economista di Deutsche Bank.
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«DB is too big to fail», è troppo grande per fallire, salterebbe l’intero sistema finanziario del pianeta. Vede, se la Deutsche non fosse stata tedesca, si sarebbe già trasformata in un oggetto narrativo, protagonista di film, libri e documentari. Ma la Germania la salverà e finalmente finirà la stupida retorica sul divieto agli aiuti di Stato». Da “DB, troppo grande per fallire

Il problema è sistemico, l’Italia è solo un anello della catena. È un avvertimento che gli analisti ripetono da tempo come un mantra. Questa volta, però, accade che di «Europa malata» parli la Germania. «Una cosa è chiara, le banche hanno bisogno di essere ricapitalizzate», serve un fondo da 150 miliardi per salvare gli istituti di credito. Tutte le alternative sarebbero più costose sul lungo periodo. A dirlo è David Folkerts-Landau, capo economista di Deutsche Bank. Ha 67 anni ed è uno degli analisti più influenti della Germania. Ma è anche uno dei più pessimisti, fa notare la Welt am Sonntag. «L’Europa è gravemente malata e ha bisogno di fronteggiare molto velocemente i problemi esistenti, o andrà a schiantarsi», presagisce. Tutto questo suona come una profezia, ma Folkerts-Landau fa presto a scollarsi di dosso qualsiasi etichetta: «Non sono un profeta di sventure, sono realista».
E ancora: «Il declino delle banche è solo un sintomo di un problema molto più grande. L’Europa soffre, la crescita è debole, gli Stati hanno debiti enormi».

Il capo economista di Deutsche Bank non fa nessuna allusione alle preoccupazioni per DB o alle tossine finanziarie che porta in pancia. Nessun riferimento al vero tallone d’Achille di DB: non la liquidità, bensì il capitale. Nessun cenno alle preoccupazioni degli ultimi mesi, alle indagini per market manipulation, legata alla vendita di sette miliardi di titoli di Stato italiani nel 2011. Niente nemmeno riguardo al parere dell’Fmi che ha bollato DB come «fragile». «Al momento il problema non sono le singole banche, l’intero settore è sotto pressione. Se uno dei giocatori fallisce, per gli altri non c’è nessun vantaggio. Mette l’intero sistema sotto stress», dice Folkerts-Landau. Preferisce spostare l’accento sull’Italia: «Richiede particolare attenzione. Le banche sono indebolite e il referendum costituzionale d’autunno porterà maggiore incertezza politica». Evidentemente, però, anche le banche tedesche avrebbero bisogno del salvagente europeo.

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Scomoda addirittura i marziani: «Se adesso qualcuno tornasse sulla terra dopo un viaggio di diversi anni su Marte, sarebbe sorpreso di quanto piccola sia l’azione scatenata da una politica monetaria espansiva. Finché l’economia crescerà così lentamente, la questione banche non andrà via. Non mi fraintenda. Non mi aspetto una seconda crisi finanziaria come nel 2008. Le banche oggi sono molto più stabili, nonostante tutto. Hanno maggiore capitale proprio». Ma adesso, a detta di Folkerts-Landau, siamo rimasti avvitati «in una spirale verso il basso. In Europa le istituzioni sono sedute su crediti in sofferenza pari a due mila miliardi di euro».

Ancora una volta, tutto questo suona come una profezia: «Non abbiamo tempo da perdere. L’Europa ha una società molto frammentata e c’è il rischio che i movimenti populisti vadano al potere».

«La Germania continua a credere di poter regnare, quasi in incognito, sull’Europa, imponendo le sue regole e la sua way of life, incurante degli altrui usi e costumi. Non che abbia tutti i torti, anzi, ma avendo rimosso le conseguenze politiche ed economiche della Prima e della Seconda guerra mondiale, adesso cerca, più o meno inconsciamente, quella rivincita che non ha mai avuto e che ancora una volta è probabile le sfuggirà, non senza aver prima prodotto un altro disastro per sé e per gli altri». Da “I diavoli” (Rizzoli, 2014)
 
FINE DEL SOGNO: tornano a salire le sofferenze bancarie
Scritto il 20 luglio 2016 alle 09:00 da Danilo DT
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Il report mensile dell’ABI illustra un passo indietro dell’economia italiana. Infatti tornano a salire i crediti deteriorati, diminuiscono le concessioni dei crediti anche se i tassi sono ai minimi storici. La crisi, ora è chiaro per tutti, non è certo finita. Altro che #LaVoltaBuona…

E fu così che l’Italia si risvegliò da quello che era un sogno per molti, o quantomeno lo era per chi si ostinava a voler sognare quando la realtà era sotto gli occhi di tutti. Non è nemmeno il caso che mi metta a citare i discorsi fatti da Padoan e Renzi sulla fantomatica crescita economica italiana. Una crescita che era guidata dalla ripartenza dei mutui e dei finanziamenti, grazie anche alla mano della BCE che con il suo generoso QE ha generato liquidità a josa.
Ma ovviamente qualcosa non tornava ed adesso, ahimè, i nodi vengono al pettine.

Tassi sui mutui a nuovi minimi, prestiti stagnanti e sofferenze in crescita.

Ok, basterebbe questa frase per chiudere il post e salutare tutti. Tassi sui mutui ai nuovi minimi: per carità, un buon segnale per chi deve e vuole indebitarsi peccato che le banche danno i soldi con il contagocce a causa dell’alto tasso di insolvenza. E se poi alla fine concedono un prestito, è pur sempre denaro che all’istituto di credito garantisce ritorni risibili con un rischio rimborso che non è trascurabile.
Prestiti stagnanti: è un po’ la conseguenza di quanto detto prima. Le banche concedono poco e a dire il vero, le aziende chiedono nemmeno troppo, visto che l’incertezza regna ed investire nella propria azienda non offre sufficienti garanzie.
Sofferenze in crescita: ma il trend non si era invertito? Invece no, tornano a crescere. Cosa significa? Che forse la crisi è tutt’altro che finita e che le banche si ritroveranno con nuovi NPL. Ma che bello. Ed ovviamente tutto questo genera ulteriori remore nella concessione del credito a chi non dà la massima garanzia di solvibilità (quindi si tratta di quei clienti che NON hanno bisogno di prestiti, tanto per intenderci).



Non voglio dilungarmi troppo e non mi va di annoiarvi. Però se volete approfondire la questione, CLICCATE QUI per visionare direttamente il report dell’ABI.

Danilo DT

(Clicca qui per ulteriori dettagli)
 
Come Scegliere una Banca Sicura in Italia (Difendersi dal Bail-In, Terzo Trim. 2016)
Di FunnyKing , il 15 novembre 2016 21 Comment
Aggiorniamo i dati al terzo trimestre 2016, per giudicare la nostra banca “sicura” in Italia.

Commento preliminare: questa storica guida ha dimostrato nel tempo di funzionare, e di farlo piuttosto bene. Alla fine tenersi alla larga da Banche con un Cet 1 basso e calante sia come correntisti che come investitori/obbligzionisti è stata già di per se una ottima idea. Andare poi a guardare quotazioni e notizie sui giornali completa il quadro e di certo evita sorprese.
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Il percorso del Bail-In (fortunatamenete) è tracciato e come noto è probabile che Banca Monte dei Paschi, dopo l’orrendo esperimento fatto con le 4 banchette piddine del centro italia, possa essere il primo esempio di applicazione della direttiva BRRD in Italia.

Tuttavia il Cet 1 non dide tutto (dice molto) e dunque vorrei che poneste l’attenzione su 6 situazioni a mio avviso critiche, per porre l’attenzione intendo che non lo prescrive il medico di lasciarci i soldi dentro… per capirci:

  1. Banca Monte dei Paschi: allo stato attuale cerca 5 miliardi di euro e ammesso che li trovi, non è detto che bastino. L’esito probabile è una conversione obbligatoria e non volontaria delle obbligazioni subordinate, o almeno parte di esse. Tuttavia le ipotesi di “continuità aziendale” poggiano su una valutazione dei crediti in sofferenza un “filo” ottimistiche.
  2. Carige: senza troppo clamore sulla stampa nostrana Carige si è permessa di contravvenire esplicitamente ad una raccomandazione della BCE sualla copertura ( o alienazione ) dei suoi crediti non performing. La vicenda è tutt’altro che chiusa e il titolo viaggia costantemente ai minimi storici. Ci sarà un motivo e lo scopriremo presto.
  3. Le 4 banchette piddine del centro italia: anche qui emergono nuovi crediti deteriorati non abbastanza abbattuti attraverso l’annullamento delle subordinate e l’utilizzo del fondo atlante, allo stato attuale la cessione di queste banche non pare avere pretendenti. Almeno non ai prezzi sperati e comunque sarà necessaria una nuova due diligence.
  4. Pop. Vicenze e Veneto Banca: i conti reali di queste due banche sono avvolti dal mistero, dopo il salvataggio atlante e tosatura degli azionisti in realtà pare che ci sia ancora una massa di crediti deterioriati tali per cui servono altri soldi, e molti.
  5. Popolare di Bari: forse avrete notata qualche spot pubblicitario (zitti zitti …sono DIETRO di voi) della Popolare di Bari, operazione di immagine per nascondere l’ira degli azionisti che hanno qualche fondato timore di finire come quelli Veneti. Si trova ampia cronaca sui giornali.
  6. Unicredit: circolano voci di ogni tipo su Unicredit, da aumenti di capitale fino a 13 miliardi di euro, a cessione di asset importanti fino alla fusione con BNP Paribas. Il punto è che il livello di capitale di Unicredit è troppo basso. Non credo che la banca sia veramente a rischio tuttavia darei un occhio di attenzione.
Buona lettura:

Come Scegliere una Banca Sicura in Italia
Non è più una economia per vecchi.
Fin dalla culla siamo stati abituati a pensare che tutte le banche sono uguali, se ci pensate bene l’espressione “avere i soldi in banca” è neutra e ispira(va) sicurezza. Oggi non è più così. Dopo il caso Cipro, in cui i correntisti sono stati chiamati a ripianare i debiti di due grandi banche, dobbiamo prendere atto che il sistema di utilizzare anche i soldi dei correntisti per tappare i buchi creati da gestioni bancarie allegre è diventato un sistema consolidato, legale e codificato dalle norme europee per i salvataggi bancari.

Ne consegue che diventa fondamentale attuare delle strategie per selezionare la propria banca, meglio se queste strategie sono semplici, comprensibili e in passato hanno dimostrato di funzionare.

In questo vi mostrerò 3 semplici modi per sapere se la vostra banca italiana è sicura e come fare a cercare una alternativa valida. E lo farò con dati reali e aggiornatissimi in modo da darvi già una traccia per prendere una decisione.

Passo 1: Il Controllo del Patrimonio di Vigilanza
Il criterio comunemente accettato che definisce il rischio bancario inteso come quantità di investimenti fatti da una banca rispetto al suo patrimonio è il CORE TIER 1 (RATIO), ovvero il rapporto fra investimenti bancari ponderati per il loro rischio e il capitale proprio della banca ( definizione precisa ).

Recentemente il Core Tier 1 Ratio, è stato sostituito da un nuovo coefficiente redatto secondo i criteri di Basilea 3, Ovvero il CET1 Ratio Ovvero il Core Equity Tier 1 Ratio (definizione precisa).

Le norme di Europee prevedono come “minimo” (sindacale) un CET1 Ratio del 10% , il che significa che una banca “regolamentare” può effettuare investimenti ponderati per il rischio superiori a 10 volte il suo capitale proprio. Il che non pare una garanzia di sicurezza “estrema”.

Dunque un primo criterio per scegliere la nostra banca italiana è quella di controllare il suo Cet1 Ratio, e siccome questo è Rischio Calcolato:

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Passo 2: Il Confronto delle Performance Relative in Borsa
Il prezzo di una azione in borsa è il risultato delle decisioni di acquisto e di vendita degli investitori. Gli investitori si comportano più o meno razionalmente sulla base delle informazioni in loro possesso.

C’è una speciale categoria di investitori che influenza in maniera determinante le quotazioni, ovvero gli investitori istituzionali. Ovvero quei soggetti che dispongono di grandi quantità di denaro da impiegare e che si muovono secondo logiche professionali.

Tra gli investitori istituzionali ci possono essere soggetti che hanno informazioni privilegiate e dunque si muovono di conseguenza.

Per questa ragione il Prezzo di una azione, se osservato in un arco temporale e con un semplice accorgimento non troppo breve contiene di per se una informazione importante: Come sta andando la società, la banca in questo caso, rispetto alla media del suo settore.

Diciamo che il prezzo dell’azione non può rappresentare in assoluto lo stato di salute di una banca, esso è troppo influenzato dal sentimento generale su un certo settore (quello bancario appunto), ma se confrontiamo il prezzo di una banca con il valore di una media dei prezzi dell’intero settore bancario di una nazione scopriamo cosa pensi il mercato, ed in particolare gli investitori istituzionali che spesso hanno informazioni privilegiate, su quella singola banca.

Ed in pratica nel 100% dei casi un fallimento bancario è stato sempre preceduto da un crollo dei valori azionari rispetto all’indice di riferimento, mesi se non anni prima dell’evento infausto.

In Italia esiste un indice chiamato FTSE Banche, facilmente confrontabile in termini percentuali con l’andamento dei prezzi dei singoli titoli delle banche quotate.

Vi faccio due esempi di banche agli opposti,

Banca Carige:
Fin dalla culla siamo stati abituati a pensare che tutte le banche sono uguali, se ci pensate bene l’espressione “avere i soldi in banca” è neutra e ispira(va) sicurezza. Oggi non è più così. Dopo il caso Cipro, in cui i correntisti sono stati chiamati a ripianare i debiti di due grandi banche, dobbiamo prendere atto che il sistema di utilizzare anche i soldi dei correntisti per tappare i buchi creati da gestioni bancarie allegre è diventato un sistema consolidato, legale e codificato dalle norme europee per i salvataggi bancari.

Ne consegue che diventa fondamentale attuare delle strategie per selezionare la propria banca, meglio se queste strategie sono semplici, comprensibili e in passato hanno dimostrato di funzionare.

In questo vi mostrerò 3 semplici modi per sapere se la vostra banca italiana è sicura e come fare a cercare una alternativa valida. E lo farò con dati reali e aggiornatissimi in modo da darvi già una traccia per prendere una decisione.

Passo 1: Il Controllo del Patrimonio di Vigilanza
Il criterio comunemente accettato che definisce il rischio bancario inteso come quantità di investimenti fatti da una banca rispetto al suo patrimonio è il CORE TIER 1 (RATIO), ovvero il rapporto fra investimenti bancari ponderati per il loro rischio e il capitale proprio della banca ( definizione precisa ).

Recentemente il Core Tier 1 Ratio, è stato sostituito da un nuovo coefficiente redatto secondo i criteri di Basilea 3, Ovvero il CET1 Ratio Ovvero il Core Equity Tier 1 Ratio (definizione precisa).

Le norme di Europee prevedono come “minimo” (sindacale) un CET1 Ratio del 10% , il che significa che una banca “regolamentare” può effettuare investimenti ponderati per il rischio superiori a 10 volte il suo capitale proprio. Il che non pare una garanzia di sicurezza “estrema”.

Dunque un primo criterio per scegliere la nostra banca italiana è quella di controllare il suo Cet1 Ratio, e siccome questo è Rischio Calcolato:

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Fin dalla culla siamo stati abituati a pensare che tutte le banche sono uguali, se ci pensate bene l’espressione “avere i soldi in banca” è neutra e ispira(va) sicurezza. Oggi non è più così. Dopo il caso Cipro, in cui i correntisti sono stati chiamati a ripianare i debiti di due grandi banche, dobbiamo prendere atto che il sistema di utilizzare anche i soldi dei correntisti per tappare i buchi creati da gestioni bancarie allegre è diventato un sistema consolidato, legale e codificato dalle norme europee per i salvataggi bancari.

Ne consegue che diventa fondamentale attuare delle strategie per selezionare la propria banca, meglio se queste strategie sono semplici, comprensibili e in passato hanno dimostrato di funzionare.

In questo vi mostrerò 3 semplici modi per sapere se la vostra banca italiana è sicura e come fare a cercare una alternativa valida. E lo farò con dati reali e aggiornatissimi in modo da darvi già una traccia per prendere una decisione.

Passo 1: Il Controllo del Patrimonio di Vigilanza
Il criterio comunemente accettato che definisce il rischio bancario inteso come quantità di investimenti fatti da una banca rispetto al suo patrimonio è il CORE TIER 1 (RATIO), ovvero il rapporto fra investimenti bancari ponderati per il loro rischio e il capitale proprio della banca ( definizione precisa ).

Recentemente il Core Tier 1 Ratio, è stato sostituito da un nuovo coefficiente redatto secondo i criteri di Basilea 3, Ovvero il CET1 Ratio Ovvero il Core Equity Tier 1 Ratio (definizione precisa).

Le norme di Europee prevedono come “minimo” (sindacale) un CET1 Ratio del 10% , il che significa che una banca “regolamentare” può effettuare investimenti ponderati per il rischio superiori a 10 volte il suo capitale proprio. Il che non pare una garanzia di sicurezza “estrema”.

Dunque un primo criterio per scegliere la nostra banca italiana è quella di controllare il suo Cet1 Ratio, e siccome questo è Rischio Calcolato:

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Passo 2: Il Confronto delle Performance Relative in Borsa
Il prezzo di una azione in borsa è il risultato delle decisioni di acquisto e di vendita degli investitori. Gli investitori si comportano più o meno razionalmente sulla base delle informazioni in loro possesso.

C’è una speciale categoria di investitori che influenza in maniera determinante le quotazioni, ovvero gli investitori istituzionali. Ovvero quei soggetti che dispongono di grandi quantità di denaro da impiegare e che si muovono secondo logiche professionali.

Tra gli investitori istituzionali ci possono essere soggetti che hanno informazioni privilegiate e dunque si muovono di conseguenza.

Per questa ragione il Prezzo di una azione, se osservato in un arco temporale e con un semplice accorgimento non troppo breve contiene di per se una informazione importante: Come sta andando la società, la banca in questo caso, rispetto alla media del suo settore.

Diciamo che il prezzo dell’azione non può rappresentare in assoluto lo stato di salute di una banca, esso è troppo influenzato dal sentimento generale su un certo settore (quello bancario appunto), ma se confrontiamo il prezzo di una banca con il valore di una media dei prezzi dell’intero settore bancario di una nazione scopriamo cosa pensi il mercato, ed in particolare gli investitori istituzionali che spesso hanno informazioni privilegiate, su quella singola banca.

Ed in pratica nel 100% dei casi un fallimento bancario è stato sempre preceduto da un crollo dei valori azionari rispetto all’indice di riferimento, mesi se non anni prima dell’evento infausto.

In Italia esiste un indice chiamato FTSE Banche, facilmente confrontabile in termini percentuali con l’andamento dei prezzi dei singoli titoli delle banche quotate.

Vi faccio due esempi di banche agli opposti,


Banca Carige:
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Banca Intesa San Paolo:

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Le differenza sono evidenti, la sottoperformance di Banca Carige indica una sfiducia del mercato e dunque anche di eventuali insider sulla gestione e la patrimonializzazione dell’istituto di credito, al contrario il mercato sta premiando il Gruppo Intesa.

Forse avrete sentito parlare non troppo bene di Banca Carige negli ultimi tempi……

Ad ogni modo, purtroppo questo metodo non è utilizzabile se non con banche che hanno azioni quotate sul mercato ufficiale, ma se la vostra banca lo fosse, vi consiglio di confrontarne il prezzo con l’indice FTSE Banche.

E… tanto per fare un esempio celebre, guardate un pochino cosa accadde in borsa a Lehamn MESI anzi 2 ANNI prima del crac:

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Passo 3: la lettura della cronaca giudiziaria (anche attraverso internet)
Paradossalmente questo terzo metodo, per quanto richieda un minimo di attenzione da parte del correntista è allo stesso tempo il più sicuro ed il più semplice. Il fatto è che non è mai esistito un singolo fallimento bancario che non sia stato preceduto da MESI se non da ANNI di articoli polemici e allarmanti in cronaca economica e giudiziaria.

Ne Lehaman, ne Man Financial, ne le nostre Banca Itallease, Banca Marche, Banca Spoleto, Banca Etruria sono veramente state fulmini a ciel sereno. Prima dell’evento c’è sempre e dico SEMPRE nel 100% dei casi un gigantesca storia di cronaca sui giornali mainstream.

Faccio qui un esempio:

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Quello che vedete è solo un flusso di notizie apparse su varie testate su Bnaca Etruria in vari momenti del 2014, si parla di ispezioni della Banca d’Italia, sofferenze, necessità di ricapitalizzazione, appelli alla solidarietà.

Possiamo dire che lo scandalo di Banca Popolare Etruria e Lazio sia venuto fuori dal nulla?: no, non possiamo.

Le banche italiane per la maggior parte hanno una connotazione territoriale e vengono “raccontate” nei dettagli dagli organi di stampa locali, ad esempio le vicissitudini di Carige sono attualmente materia quotidiana di articoli, interviste e analisi del locale Secolo XIX, tutti a Genova sanno che Carige ha gravi problemi di bilancio e di crediti dati senza garanzie. Ove dovesse esserci un problema NESSUNO potrebbe dirsi innocenten per non avreci pensato prima.

In Sintesi: e’ dovere di ciascuno fare un minimo di controllo sulla propria banca, si tratta in fondo del luogo a cui affidiamo la gran parte dei nostri soldi.

ABBIAMO FINITO!

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spazio ai 20 miliardi stanziati dal Governo Gentiloni. Una cifra che dovrebbe essere anche più generosa di quanto necessario proprio perchè parte di tale importo servirà per “proteggere” il resto del sistema bancario italiano.

Però tale cifra, solo per la cronaca e per farvi capire la dimensione del problema, potrebbe non bastare. E ce lo ricorda Bloomberg. Il fabbisogno per rimettere un po’ in sesto il sistema bancario italiano sarebbe quantomeno pari a 52 miliardi di Euro.

Italian banks need at least 52 billion euros ($54 billion) to clean up their balance sheets, much more than the rescue package proposed Monday by the government.
The shortfall is an estimate of how much lenders would have to increase loan-loss provisions to allow for the sale of bad debt, according to data compiled by Bloomberg. It includes the 8 billion euros of provisions UniCredit SpA has said it will add before selling 18 billion euros of its worst loans and uses that ratio as a proxy for the gap at other banks. The total also includes the 5 billion euros Banca Monte dei Paschi di Siena SpA has been struggling to raise in recent months. (Source)
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Il conteggio che fa Bloomberg è di quelli “realistici”, tenendo conto di quelle che dovrebbero essere le logiche coperture per gli NPL. Ma come già vi ho detto più volte, in bilancio noi italiani, gli NPL li valutiamo ancora in modo troppo positivo. Onde evitajavascript:void(null);re voragini di bilancio.
Ma la realtà è sotto gli occhi di tutti. MPS è in crisi,
Unicredito dovrà fare un altro importante sforzo, e con lei i vecchi azionisti,
a fine giugno le banche italiane avevano sofferenze pari a 356 miliardi di Euro, coperti per meno della metà (165 miliardi).

Ecco perchè alla lunga i 20 miliardi non bastano, ecco perchè la strada da fare è ancora lunga, ecco perchè MPS rappresenta la prima grande urgenza e ne seguiranno delle altre, ecco perchè la nazionalizzazione di MPS rischia di essere da tempo l’unica soluzione.
E per altre banche ci sarà il rischio del bail-in.
No, per carità, mi fermo qui. Siamo a Natale e siamo tutti più buoni. E spero vivamente di sbagliarmi anche se, alla fine, i numeri …sono numeri.

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VAFFANBANKA! I "BIDONISTI" DELLE BANCHE SONO 572 GRANDI AZIENDE CHE NON RIPAGANO PRESTITI PER 23 MILIARDI DI EURO! - A PATUELLI, CHE CHIEDE DI TIRARE FUORI I NOMI DELLE IMPRESE, REPLICANO I SINDACATI CHE CHIEDONO DI AFFIANCARE LA 'BLACK LIST' DEI BANCHIERI CHE HANNO FORAGGIATO GLI AMICI DEGLI AMICI
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Francesco De Dominicis per "Libero Quotidiano"



patuelli

I nomi dei «bidonisti» delle banche sono custoditi nel cervellone della Banca d' Italia. Si chiama «Centrale dei rischi» ed è il gigantesco database che raccoglie, tra altro, i dati sull' andamento dei rimborsi dei prestiti. È il sistema che viene compulsato, a esempio, dagli stessi istituti di credito quando devono verificare, prima di deliberare nuovi «affidamenti», se un cliente è un buon pagatore oppure uno abituato a rifilare «pacchi».

L' idea di pubblicare una lista nera delle imprese che hanno inguaiato i bilanci delle banche salvate dallo Stato è stata lanciata domenica da Libero e contemporaneamente avallata dal presidente dell' Abi, Antonio Patuelli. I fari sono puntati soprattutto sul Monte dei paschi di Siena per il quale il Tesoro, prelevando denaro dalle tasche dei contribuenti, spenderà grosso modo 6 miliardi e mezzo di euro.

Chi ha messo nei guai Mps ha chiesto il numero uno dell' Associazione bancaria? Chi ha provato il buco nei conti della ex banca del Pd tappato a spese della finanza pubblica? Di qui l' invito di Patuelli, di fatto in tandem con questo giornale, a rendere noti i nomi dei «soloni» per colpa dei quali il governo di Paolo Gentiloni ha creato il fondo da 20 miliardi proprio per risolvere le emergenze bancarie. Accedere a quei dati sembra impossibile, anche se ieri il Garante della privacy, ha aperto un varco ampio spiegando che dal 2011 le imprese non hanno alcuna tutela per quanto riguarda la riservatezza dei dati personali. Superare le resistenze per rendere noti quei nomi, tuttavia, non sarà facile.

A spulciare le carte di Bankitalia, comunque, salta fuori qualche tabella assai interessante.
A esempio quella che fotografa le categorie dei «soloni». Si scopre, tanto per cominciare, che sono 572 i peggiori: soggetti, ai quali sono stati concessi finanziamenti superiori a 25 milioni, che non versano le rate.

Clienti - si tratta senza dubbio di grandi aziende, vista l' entità del denaro prestato - che non onorano le scadenze e hanno creato «sofferenze» per 22 miliardi e mezzo su un totale che sfiora i 200 miliardi. Insomma, ai contribuenti italiani viene chiesto (senza possibilità di rifiutarsi) di salvare le banche per colpa di pochi paperoni che non restituiscono i quattrini presi allo sportello.

Altri 43 miliardi di finanziamenti in perdita sono «colpa» di appena 5.257 clienti ai quali sono stati erogati quattrini tra i 5 e i 25 milioni. In effetti, sono davvero pochissimi i soggetti che hanno messo nei guai gli istituti: basta pensare che, in totale, sono un milione e 267mila di clienti «problematici». Ma di questi, ben 775mila (più della metà del totale) hanno ricevuto piccoli finanziamenti, tra i 250 euro e i 30mila euro: è il credito al consumo (destinato ad acquistare tv, smartphone ed elettrodomestici) al quale sono legate sofferenze per poco più di 5 miliardi.

Insomma, «i colpevoli non vanno cercati tra pmi e famiglie» ha detto ieri il vicepresidente di Unimpresa, Claudio Pucci. Secondo il sottosegretario all' Economia, Pier Paolo Baretta, «è molto grave» se nei primi 100 debitori insolventi di Mps ci sono anche «grandi imprenditori perché noi abbiamo bisogno di un clima di fiducia per rilanciare il Paese e certamente la fiducia non la si costruisce con situazioni nelle quali si vede che c' è chi paga e chi la fa franca».

In attesa di capire che fine farà la campagna sui «bidonisti», vale la pena analizzare un altro aspetto, sollevato ieri dalla Fabi, il principale sindacato del settore bancario. Chi ha autorizzato quelle sciagurate linee di credito che oggi stanno mettendo in ginocchio il settore? Il segretario generale, Lando Maria Sileoni, punta il dito contro i vertici delle banche, osservando che «il 78% dei prestiti trasformatisi in sofferenze sono stati deliberati dai vertici degli istituti di credito ossia dalle direzioni generali, dai consigli di amministrazione e dai consigli di gestione».

banche credito imprese

Accanto alla lista dei cattivi pagatori, dunque, per completare il quadro informativo, potrebbe essere utile aggiungere il nome del banchiere che ha autorizzato il prestito trasformatosi in perdita. In ballo, ha spiegato ancora Sileoni, ci sono i «crediti deteriorati frutto di finanziamenti agli "amici degli amici" che vengono poi scaricati, nei piani industriali, sui lavoratori in termini di recupero dei costi e di riduzione ed esuberi del personale». Il sindacalista aggiunge un elemento di peso: come avvangono le nomine nei ponti di comando degli istituti? Il sospetto è che ci siano rapporti perniciosi tra le aziende e i cda bancari.

C' è poi un'altra questione, messa sul tavolo da tutte le organizzazioni sindacali. Che hanno chiesto al ministro dell' Economia, Pier Carlo Padoan, di «ridurre drasticamente gli stipendi del top management di Mps» che sta per essere nazionalizzato. In teoria, le regole europee, per questi casi, stabiliscono il tetto a 500mila euro. Il primo taglio dovrebbe riguardare la retribuzione dai 1,5 milioni dell' amministratore delegato, Marco Morelli. In teoria.
 

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