Grazie Prodi.....
http://www.icl-fi.org/italiano/spo/67/elezioni.html
e poi....
Un accordo di governo con l'Ulivo non può che riaprire una parabola simile a quella che si è realizzata nel '96-'98 con il primo governo Prodi, tanto più con dei ministri nell'esecutivo e in un contesto economico peggiore rispetto a quello degli anni '90. Ricordiamolo ai più giovani, in quel frangente il partito si è trovato a sostenere politiche antioperaie (Pacchetto Treu, Turco-Napolitano, Finanziarie '96-'97, ecc.) e a presentarle come degli avanzamenti. Il prezzo che si è pagato è stato alto in termini di influenza, di militanza, di capacità d'intervento.
E per finire....
Finanziaria 2007 - Microriforme e bocconi avvelenati
Scritto da Claudio Bellotti
Partito con roboanti proclami di “rigore”, il governo ha, dopo la consueta gestazione melodrammatica, partorito una legge finanziaria che è la risultante di tutte le sue debolezze e ambiguità, condite dalla immancabile furbizia.
Cominciamo subito col dire che i 33,4 miliardi complessivi sono tutt’altro che confermati. Vi rientrano, con virtuosismo degno di Giulio Tremonti, 4,6 miliardi di entrate previste dalla lotta all’evasione, che ovviamente è molto facile da dichiarare e assai più difficile da perseguire; vi rientrano anche ben 5 miliardi determinati dallo spostamento del Tfr (liquidazioni) dalle imprese all’Inps. Ora, se come ha scandito lo stesso ministro in parlamento, il Tfr sono soldi dei lavoratori, questi miliardi si possono considerare al massimo come un prestito, non certo come un’entrata.
Anche se sono state smentite le anticipazioni che parlavano di misure di macelleria sociale su vasta scala, e che avevano fatto infuriare i dirigenti sindacali particolarmente della scuola e del pubblico impiego, il governo non rinuncia a mettere il dito nell’occhio ai settori più deboli della popolazione.
I ticket della vergogna
La misura più vergognosa in questo senso è l’introduzione dei ticket sanitari: in pronto soccorso si pagheranno 23 euro per i codici bianchi e ben 41 sui codici verdi (esclusi avvelenamenti e traumi), non a caso i più numerosi, oltre a 10 euro per ogni ricetta specialistica.
Se i ticket sono la principale provocazione di questa finanziaria, va detto che altri punti sono altrettanto gravi anche se meno appariscenti. Questo vale soprattutto per i ben 4,3 miliardi di tagli agli enti locali, con tanto di sanzioni automatiche per i Comuni e le Province inadempienti. Si prepara il terreno per una serie di mini stangate a livello comunale, dato che i Comuni potranno innalzare l’aliquota Irpef a loro spettante nonché introdurre non meglio precisate “tasse di scopo” per finanziare opere pubbliche, oltre a una tassa di soggiorno (fino a 5 euro per notte per un massimo di cinque notti) rivolta prevalentemente ai turisti.
Come già aveva fatto il governo Berlusconi con la sua ultima finanziaria, si scarica su Regioni ed enti locali l’ingrato compito di operare tagli ai servizi sociali da essi gestiti e di aumentare le tasse, mentre lo Stato si limita a fissare le soglie da rispettare, lavandosene poi le mani delle conseguenze.
Il taglio del “cuneo fiscale” è un’altra nota dolente che nella versione definitiva è persino peggiore che nelle anticipazioni, dato che la parte che doveva essere restituita al lavoratore (40%) viene “spalmata” su tutti i contribuenti.
Infine è importante segnalare come le spese militari comprenderanno anche il rifinanziamento delle missioni militari all’estero, chiaro tentativo di blindare il dibattito su questo punto critico (successivamente il governo ha detto che si tratta di un “refuso” e che il dibattito sulle missioni verrà scorporato dalla finanziaria).
Dov’è la “svolta”?
I dirigenti della sinistra e dei sindacati esultano e parlano di “svolta”, di equità e giustizia sociale. Tanto entusiasmo appare come minimo ingiustificato a fronte di quanto detto sopra. È vero che il governo è stato ben attento a non mettere le mani sui temi più brucianti: soprattutto restano fuori dalla finanziaria le pensioni e la scuola (che dovrebbe assumere 150mila precari in tre anni). La rimodulazione della curva dell’Irpef e degli sgravi porterà un modesto aumento delle entrate per i redditi più bassi, mentre quelli sopra i 40mila e soprattutto sopra i 75mila euro all’anno verranno penalizzati.
A parte il fatto che in ogni modo i benefici saranno molto ridotti e facilmente fagocitati da altre voci (ticket, aumenti delle imposte locali), va detta la verità sull’impostazione di fondo della manovra: il governo ha rinviato lo scontro con i lavoratori su una serie di terreni decisivi (a partire dalle pensioni) non per amore della giustizia sociale, ma per un semplice ragionamento tattico. Se passa la finanziaria con il consenso dei sindacati (e così sarà, almeno nelle intenzioni) si creeranno migliori condizioni politiche per far passare in modo “concertato” quelle controriforme che il governo tiene nel cassetto ma che oggi non ha la forza per portare avanti e infatti a gennaio, non appena girato lo scoglio della finanziaria, è già prevista l’apertura del negoziato per mettere mano alle pensioni.
A questo si aggiunga, ed è un punto decisivo, che questa finanziaria non va neppure a sfiorare le vere, gigantesche ricchezze di questo paese. Insomma, si toccano i fuoristrada (e non spargiamo certo lacrime su questo), ma gli yacht dormono sonni tranquilli.
Della proclamata “lotta alla rendita” nella legge finanziaria non c’è neppure un euro, si aspetta il disegno di legge delega per la primavera, un progetto che comunque ruota attorno al concetto minimalista dell’aliquota unica del 20%, che mette nello stesso sacco il piccolo risparmio di un conto corrente con la grande speculazione immobiliare, borsistica ecc., che di “lotta” non ne contiene neppure un grammo.
Il governo non si azzarda a toccare il grande capitale, quel 10% delle famiglie che possiede il 43% della ricchezza netta totale del paese, va invece a provocare la reazione di categorie numerose come gli artigiani offrendo così una base di massa alla prevedibile campagna di proteste dei partiti di destra.
Lo scontro in parlamento
E qui infatti si presenta l’altra questione spinosa: nonostante le incaute previsioni di Prodi (“passerà indenne in parlamento”), la finanziaria farà da bersaglio per un fuoco di fila che per la gran parte proverrà dalle file della destra e che, questo è il fatto più grave, potrebbe trovare sponda in diversi settori della maggioranza, particolarmente al Senato. Già il radicale Capezzone ha fatto appello ai “liberali di entrambi gli schieramenti” affinché concordino emendamenti comuni, ed è facile capire quale ne sarebbe il tenore. Mastella ha già tuonato contro chi vuole “azzannare il ceto medio”, Rutelli si contorce nei suoi disagi e ampi settori degli stessi Ds guardano con preoccupazione quello che considerano un pericoloso sbilanciamento verso le richieste della sinistra dell’Unione. Questo può creare una situazione paradossale e pericolosa nella quale da un lato le incursioni della destra potrebbero avere successo, mentre la sinistra e i lavoratori si troverebbero nella situazione alquanto paradossale di doversi mobilitare non per ottenere che vengano aboliti gli aspetti iniqui della manovra (i ticket in primo luogo), ma per difendere una finanziaria che di progressista ha ben poco.
Il piccolo cabotaggio di questo governo ci porterà inevitabilmente al peggiore dei risultati: stuzzica le paure e la reazione dei nostri avversari, senza tuttavia colpirli realmente e senza quindi indebolirne la capacità di affermare contro di noi i loro interessi. Al tempo stesso la logica dell’“equità”, nell’interpretazione autentica di Prodi, implica distribuire colpi anche contro i lavoratori e lo Stato sociale, creando quindi frustrazione e confusione fra milioni di persone che hanno votato Unione con la ferma speranza di vedere un reale cambiamento nelle loro condizioni.
La miscela di mezze riforme, attacchi parziali, manovre dilatorie che ha portato a questa finanziaria ha le gambe corte e dobbiamo esserne coscienti. Da queste secche si esce non gridando nel deserto contro il governo, ma con un tenace lavoro di spiegazione e costruzione che si ponga sistematicamente l’obiettivo di riconquistare l’autonomia politica e d’iniziativa della sinistra e del sindacato, un’autonomia che ora è più che mai assente, come ha mostrato con chiarezza tutto il percorso fin qui seguito.
La vera svolta necessaria
Di svolta si potrà parlare non quando si daranno 50 o 100 euro all’anno di “risarcimento” ai lavoratori o ai pensionati, ma quando vedremo misure quali l’apertura dei conti di imprese, banche e finanziarie per andare a recuperare le vere ricchezze di questo paese; la nazionalizzazione di imprese come Telecom, regalate per due lire ai privati che le hanno saccheggiate, spolpate per poi spezzettarle e venderle all’asta; la fine del mare di precarietà che da un decennio avvelena la vita di milioni di lavoratori e nega ogni prospettiva di vita decente; la fine della corsa alla privatizzazione di tutto ciò che è pubblico; il riscatto di salari e pensioni (questa è l’unica via possibile per una vera “svolta egualitaria) massacrati da dieci anni di concertazione.
Diventa quindi ogni giorno più evidente l’urgenza che il movimento dei lavoratori, a partire dal sindacato, si mobiliti per definire una propria piattaforma generale, che esca dalla logica del “meno peggio”, del giocare di rimessa col “governo amico” o della “limitazione del danno”.
5 ottobre 2006