FORTEBRACCIO
Forumer attivo
7 milioni di lavoratori sotto i mille euro
Un rapporto di Ires-Cgil sui salari reali negli ultimi cinque anni, dal 2002 al 2007, fotografa la situazione dei salariati.
Cinque anni che dimostrano quanto è vero ciò che spiegavamo 15 anni fa: la concertazione e la politica moderata del sindacato producono una sconfitta generalizzata ed un attacco frontale alle condizioni di vita dei lavoratori.
Tutti di dati emersi da quest’indagine condotta dalla struttura della Cgil vanno nella stessa direzione: in Italia la polarizzazione economica aumenta, la forbice tra i settori più ricchi e quelli più poveri e si allarga e il reddito si sposta sempre più verso le classi agiate.
Crollo dei salari
Il potere d’acquisto delle retribuzioni, secondo questa ricerca, è calato di circa 1.900 euro nel 2007 rispetto al 2002, per gli operai il calo ammonta addirittura a 2.600 euro circa.
Sono oltre 14 milioni i lavoratori che vivono con meno di 1.300 euro al mese e 7,3 milioni quelli che guadagnano meno di 1.000 euro al mese.
Già i “grandi numeri” appena citati danno un quadro terrificante, ma se scendiamo nei dettagli leggiamo una situazione ancora più drammatica.
Un apprendista fino ai 24 anni guadagna in media circa 735 euro al mese, un collaboratore occasionale entro i 34 anni percepisce in media 770 euro al mese e un co.co.co o co.co.pro della stessa età percepisce, senza diritti e con pochissime tutele, circa 890 euro al mese.
Le donne sono retribuite mediamente del 17,9% in meno di un lavoratore standard, un lavoratore del sud prende il 13,4% in meno e, in fondo alla scala dei lavoratori più poveri ci sono gli immigrati che sono retribuiti con un salario mediamente inferiore a quello di un dipendente standard del 26,9% e i giovani lavoratori con – 27,1%.
Tenendo presente che i dati che si riferiscono ai salari reali, prendono in considerazione un’inflazione ufficiale Istat, per questo periodo, di circa il 2,5% è facile capire quanto questi dati siano assolutamente sottostimati.
Anche un bambino sa che i prezzi, da quando è subentrato l’euro, sono cresciuti molto di più del 2,5% l’anno e che i dati ufficiali sull’inflazione sono una barzelletta!
Gli effetti della concertazione
In questa snervante gara a chi è più povero non partecipano imprenditori, lavoratori autonomi e dirigenti.
Le prime due categorie vedono crescere il proprio reddito rispetto a cinque anni fa di 12mila euro mentre la retribuzione dei dirigenti, nello stesso periodo, è cresciuta di 6 punti percentuali in più rispetto al lavoro dipendente.
In sostanza, nel 2007, ponendo il reddito familiare medio italiano pari a 100, il reddito delle famiglie di operai è pari a 72 mentre quello imprenditori e professionisti è pari a 205!
I profitti schizzano alle stelle.
Il modesto aumento della produttività creato negli ultimi 13 anni è andato per il 13% ai salari, per l’87% alle imprese.
Secondo il campione di Mediobanca (1.000 imprese con circa un milione di dipendenti), tra il 1995 e il 2006 i salari aumentano in media dello 0,4% annuo, i profitti dell’8,1%: oltre venti volte di più.
E c’è chi ha il coraggio di affermare che non esistono più le classi sociali!
Un quadro molto chiaro prodotto dalle politiche salariali come conseguenze degli accordi del luglio ’93.
Di fatto, dal ’93 ad oggi “l’inflazione programmata”, sulla quale si concordano gli aumenti contrattuali è stata sempre al di sotto dell’inflazione “reale” (o meglio “ufficiale”).
Inoltre, l’abolizione definitiva, sempre nel 1993, di ciò che era rimasto, del meccanismo della scala mobile ha fatto il resto.
Nel periodo 1993-2006, infatti, su 16,7 punti percentuali di crescita di produttività realizzati in Italia, in termini reali, al lavoro ne sono andati solo 2,2, vale a dire il 13%, mentre alle imprese 14,5, pari al 87%.
Se aggiungiamo i ritardi con cui sono firmati i contratti la frittata è fatta.
Mentre scriviamo più di 8 milioni di lavoratori, pari al 57,2% dei dipendenti in Italia, attende il rinnovo del contratto.
Nell’ottobre del 2006 erano il 38,9%.
I mesi di attesa per i dipendenti con un contratto scaduto sono 13,4 mentre un anno fa erano 10,7. L’attesa media distribuita tra tutti i dipendenti è di 7,7 mesi: erano 4,2 a ottobre 2006 (dati del Sole 24ore)
È davvero singolare che Montezemolo affermi che in Italia c’è un problema salariale. Il presidente di Confindustria fa finta di non sapere che i salari li pagano i padroni come lui e gli aderenti alla sua associazione industriale.
Ovviamente Montezemolo ha un suo fine strumentale quando dichiara ciò: usare il pretesto di ridiscutere del sistema contrattuale per preparare un nuovo attacco ai lavoratori.
“Bisogna semplificare il numero dei contratti, allungarne la durata e dare più peso al contratto aziendale” dicono i furboni di Confindustria.
Si profila, dunque, una trattativa sul sistema contrattuale che non porta nulla di buono per i lavoratori poiché su queste dichiarazioni c’è una grossa apertura da parte delle direzioni di Cgil-Cisl-Uil.
Se Cisl e Uil hanno sempre avuto come rivendicazione la richiesta di dare un peso maggiore al contratto aziendale, ai danni di quello nazionale, Epifani insiste con la richiesta di una “nuova politica dei redditi” senza chiudere la strada nemmeno ad un’ipotesi di allungamento della durata dei contratti. È proprio vero che al peggio non c’è mai fine!
Tra i dati emersi in questi giorni ce n’è uno significativo: la retribuzione di un lavoratore italiano del settore dei beni e servizi destinati alla vendita è inferiore del 45% a quella di un lavoratore britannico o tedesco e del 25% rispetto ad un lavoratore francese. Un ulteriore esempio di quanto i salari italiani siano indecenti e poveri.
L’assenza di conflitto è una delle principali cause che contribuiscono ad abbattere i salari.
In Italia, infatti, si sciopera di meno: nel periodo gennaio-agosto 2007 il numero di ore non lavorate per conflitti di lavoro è stato di 1,3 milioni, il 46,7% in meno rispetto allo stesso periodo del 2006 che pure non è stato di grandi mobilitazioni.
La proposta deve essere completamente alternativa a quella proposta oggi dalle direzioni sindacali.
Oltre ad un meccanismo di indicizzazione dei salari all’aumento reale del potere d’acquisto è necessario un salario minimo intercategoriale, come presente in molti paesi d’Europa che fissi per legge il salario al di sotto del quale nessun contratto nazionale di lavoro può scendere.
È partendo dalla richiesta di un salario minimo intercategoriale di mille euro che si può lanciare una campagna per la difesa dei salari.
Tale cifra, articolata anche su base oraria e per i part-time, deve diventare la base minima di qualsiasi rapporto di lavoro, dei contratti nazionali e deve essere indicizzata all’inflazione reale.
Che gli enormi profitti accumulati in questi anni vengano redistribuiti a coloro che ne sono i veri artefici: i lavoratori.
Che provino lor signori a vivere con meno di mille euro al mese e ci facciano sapere!
di Mario Iavazzi
Un rapporto di Ires-Cgil sui salari reali negli ultimi cinque anni, dal 2002 al 2007, fotografa la situazione dei salariati.
Cinque anni che dimostrano quanto è vero ciò che spiegavamo 15 anni fa: la concertazione e la politica moderata del sindacato producono una sconfitta generalizzata ed un attacco frontale alle condizioni di vita dei lavoratori.
Tutti di dati emersi da quest’indagine condotta dalla struttura della Cgil vanno nella stessa direzione: in Italia la polarizzazione economica aumenta, la forbice tra i settori più ricchi e quelli più poveri e si allarga e il reddito si sposta sempre più verso le classi agiate.
Crollo dei salari
Il potere d’acquisto delle retribuzioni, secondo questa ricerca, è calato di circa 1.900 euro nel 2007 rispetto al 2002, per gli operai il calo ammonta addirittura a 2.600 euro circa.
Sono oltre 14 milioni i lavoratori che vivono con meno di 1.300 euro al mese e 7,3 milioni quelli che guadagnano meno di 1.000 euro al mese.
Già i “grandi numeri” appena citati danno un quadro terrificante, ma se scendiamo nei dettagli leggiamo una situazione ancora più drammatica.
Un apprendista fino ai 24 anni guadagna in media circa 735 euro al mese, un collaboratore occasionale entro i 34 anni percepisce in media 770 euro al mese e un co.co.co o co.co.pro della stessa età percepisce, senza diritti e con pochissime tutele, circa 890 euro al mese.
Le donne sono retribuite mediamente del 17,9% in meno di un lavoratore standard, un lavoratore del sud prende il 13,4% in meno e, in fondo alla scala dei lavoratori più poveri ci sono gli immigrati che sono retribuiti con un salario mediamente inferiore a quello di un dipendente standard del 26,9% e i giovani lavoratori con – 27,1%.
Tenendo presente che i dati che si riferiscono ai salari reali, prendono in considerazione un’inflazione ufficiale Istat, per questo periodo, di circa il 2,5% è facile capire quanto questi dati siano assolutamente sottostimati.
Anche un bambino sa che i prezzi, da quando è subentrato l’euro, sono cresciuti molto di più del 2,5% l’anno e che i dati ufficiali sull’inflazione sono una barzelletta!
Gli effetti della concertazione
In questa snervante gara a chi è più povero non partecipano imprenditori, lavoratori autonomi e dirigenti.
Le prime due categorie vedono crescere il proprio reddito rispetto a cinque anni fa di 12mila euro mentre la retribuzione dei dirigenti, nello stesso periodo, è cresciuta di 6 punti percentuali in più rispetto al lavoro dipendente.
In sostanza, nel 2007, ponendo il reddito familiare medio italiano pari a 100, il reddito delle famiglie di operai è pari a 72 mentre quello imprenditori e professionisti è pari a 205!
I profitti schizzano alle stelle.
Il modesto aumento della produttività creato negli ultimi 13 anni è andato per il 13% ai salari, per l’87% alle imprese.
Secondo il campione di Mediobanca (1.000 imprese con circa un milione di dipendenti), tra il 1995 e il 2006 i salari aumentano in media dello 0,4% annuo, i profitti dell’8,1%: oltre venti volte di più.
E c’è chi ha il coraggio di affermare che non esistono più le classi sociali!
Un quadro molto chiaro prodotto dalle politiche salariali come conseguenze degli accordi del luglio ’93.
Di fatto, dal ’93 ad oggi “l’inflazione programmata”, sulla quale si concordano gli aumenti contrattuali è stata sempre al di sotto dell’inflazione “reale” (o meglio “ufficiale”).
Inoltre, l’abolizione definitiva, sempre nel 1993, di ciò che era rimasto, del meccanismo della scala mobile ha fatto il resto.
Nel periodo 1993-2006, infatti, su 16,7 punti percentuali di crescita di produttività realizzati in Italia, in termini reali, al lavoro ne sono andati solo 2,2, vale a dire il 13%, mentre alle imprese 14,5, pari al 87%.
Se aggiungiamo i ritardi con cui sono firmati i contratti la frittata è fatta.
Mentre scriviamo più di 8 milioni di lavoratori, pari al 57,2% dei dipendenti in Italia, attende il rinnovo del contratto.
Nell’ottobre del 2006 erano il 38,9%.
I mesi di attesa per i dipendenti con un contratto scaduto sono 13,4 mentre un anno fa erano 10,7. L’attesa media distribuita tra tutti i dipendenti è di 7,7 mesi: erano 4,2 a ottobre 2006 (dati del Sole 24ore)
È davvero singolare che Montezemolo affermi che in Italia c’è un problema salariale. Il presidente di Confindustria fa finta di non sapere che i salari li pagano i padroni come lui e gli aderenti alla sua associazione industriale.
Ovviamente Montezemolo ha un suo fine strumentale quando dichiara ciò: usare il pretesto di ridiscutere del sistema contrattuale per preparare un nuovo attacco ai lavoratori.
“Bisogna semplificare il numero dei contratti, allungarne la durata e dare più peso al contratto aziendale” dicono i furboni di Confindustria.
Si profila, dunque, una trattativa sul sistema contrattuale che non porta nulla di buono per i lavoratori poiché su queste dichiarazioni c’è una grossa apertura da parte delle direzioni di Cgil-Cisl-Uil.
Se Cisl e Uil hanno sempre avuto come rivendicazione la richiesta di dare un peso maggiore al contratto aziendale, ai danni di quello nazionale, Epifani insiste con la richiesta di una “nuova politica dei redditi” senza chiudere la strada nemmeno ad un’ipotesi di allungamento della durata dei contratti. È proprio vero che al peggio non c’è mai fine!
Tra i dati emersi in questi giorni ce n’è uno significativo: la retribuzione di un lavoratore italiano del settore dei beni e servizi destinati alla vendita è inferiore del 45% a quella di un lavoratore britannico o tedesco e del 25% rispetto ad un lavoratore francese. Un ulteriore esempio di quanto i salari italiani siano indecenti e poveri.
L’assenza di conflitto è una delle principali cause che contribuiscono ad abbattere i salari.
In Italia, infatti, si sciopera di meno: nel periodo gennaio-agosto 2007 il numero di ore non lavorate per conflitti di lavoro è stato di 1,3 milioni, il 46,7% in meno rispetto allo stesso periodo del 2006 che pure non è stato di grandi mobilitazioni.
La proposta deve essere completamente alternativa a quella proposta oggi dalle direzioni sindacali.
Oltre ad un meccanismo di indicizzazione dei salari all’aumento reale del potere d’acquisto è necessario un salario minimo intercategoriale, come presente in molti paesi d’Europa che fissi per legge il salario al di sotto del quale nessun contratto nazionale di lavoro può scendere.
È partendo dalla richiesta di un salario minimo intercategoriale di mille euro che si può lanciare una campagna per la difesa dei salari.
Tale cifra, articolata anche su base oraria e per i part-time, deve diventare la base minima di qualsiasi rapporto di lavoro, dei contratti nazionali e deve essere indicizzata all’inflazione reale.
Che gli enormi profitti accumulati in questi anni vengano redistribuiti a coloro che ne sono i veri artefici: i lavoratori.
Che provino lor signori a vivere con meno di mille euro al mese e ci facciano sapere!
di Mario Iavazzi