SE TI LASCI ANDARE, LE COSE ANDANO...

A proposito di sprechi ed incapaci.
Leggere bene......leggete bene TRECENTO ESPERTI


Sulla gestione della montagna di denari che dall’Europa (forse) pioveranno sull’Italia, proprio non ci siamo.

Giuseppe Conte, proponendo di affidare la gestione dei fondi del Next Generation Eu
a una diarchia formata da un organismo politico, composto da se stesso, dal ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri,
da quello dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli e dal ministro per gli Affari europei, Enzo Amendola,
e da un organismo tecnico, composto da 6 super-manager di sua fiducia,
punta a concentrare nelle proprie mani anche la costruzione del futuro modello di sviluppo italiano.


Come se decidere le linee di indirizzo sulle quali orientare i destini del Paese fosse affare privato del premier
e non un momento insuperabile di confronto tra istituzioni, corpi intermedi e cittadini.

Il premier, per la parte operativa della gestione dei fondi provenienti dall’Unione europea,

ha in mente di allestire una squadra di 300 esperti, coordinati dai 6 super-manager.



Si tratta di una mostruosità organizzativa pensata per mettere fuori gioco le competenze e le professionalità presenti all’interno dei vari ministeri.

Non è un’idea originale di Giuseppe Conte.

Un modello di sovrapposizione di funzioni e poteri lo abbiamo visto all’opera in alcune Regionirossedel Mezzogiorno,
al tempo dei fondi strutturali destinati dall’Unione europea alle regioni “Obiettivo 1” e inseriti nel bilancio comunitario pluriennale 2000-2006.


Si sa com’è finita: denari spesi male, quando non spesi affatto.


Cosa garantirà che con i 209 miliardi di euro del Next Generation Eu non accadrà altrettanto?

Conte pensa di fare da solo ma trascura un particolare di non secondaria importanza:
qualsiasi investimento dovrà essere proiettato sul territorio.

Ora, come pensa che possa funzionare se l’approccio della governance della gestione dei fondi
non è stata concepita per interagire, nella fase dell’articolazione progettuale, con le realtà locali, a cominciare dai livelli regionali?

I profili professionali presenti nelle strutture ministeriali avrebbero avuto il vantaggio di una consuetudine al dialogo
con gli apparati amministrativi degli enti locali e periferici dello Stato.

I 300 che verranno reclutati dalla presidenza del Consiglio dovranno partire, come si suole dire, ab urbe condita,
cioè dal procurarsi sedi efficienti e strumenti operativi adeguati, amalgamarsi fra loro per creare spirito di squadra,
di modo che i team assemblati remino nella stessa direzione.


Occorreranno anni di lavoro, ovviamente a spese dei contribuenti.


Poi c’è il concreto pericolo che la gestione dei fondi resti nel terreno di caccia dei cosiddetti esperti,
che presumibilmente saranno risorse provenienti dai ranghi della docenza universitaria.


Fantastico dal punto di vista della preparazione teorica, ma con l’esperienza che solo la pratica sul campo offre come la mettiamo?


Già qualcuno dei potenziali “esperti” mette il carro davanti ai buoi
preoccupandosi di ricercare i più efficaci modelli econometrici multisettoriali per la creazione di piani di riforme
i cui costi siano in linea con gli standard internazionali di spesa.


Ma prima degli algoritmi qualcuno ha pensato di schiodare le terga dalle poltrone in cui affondano

per farsi un giro nella realtà dei bisogni quotidiani della gente comune?



Perché un conto è collocare la coesione sociale, l’occupazione, la sostenibilità ambientale nel quadro programmatico virtuale dei modelli econometrici,
tutt’altra storia è chiedere alla casalinga di Voghera di cosa necessiti la sua famiglia per vivere meglio,
per usufruire di affidabili servizi pubblici, per dare una prospettiva di benessere ai propri figli
e per evitare di doversi procurare il pranzo e la cena alla Caritas pur avendo al proprio fianco un marito regolarmente occupato, ma mal pagato.

Non sono gli algoritmi, per quanto sofisticati, a dover scegliere gli obiettivi del piano d’investimenti, ma la politica.


E non la politica dei twitter e dei Decreti del presidente del Consiglio dei ministri

ma quella alta e nobile del confronto aperto tra forze partitiche, ancorché concorrenti.



Siamo di fronte a un tornante della storia che non può essere affrontato da una maggioranza parlamentare raccogliticcia
e tenuta insieme dalla somma delle proprie debolezze.

Se c’è da tracciare il futuro del Paese è giusto che a farlo sia un Governo di unità nazionale,
ampiamente rappresentativo dell’elettorato, non fosse altro per garantire la continuità nella realizzazione del piano pluriennale d’investimenti
anche quando, tra due anni, una nuova legislatura potrà nascere sotto un segno politico più aderente alla volontà della maggioranza degli italiani.


Per arrestare la torsione autocratica che il premier Conte sta imprimendo al suo mandato
è necessario che desista dall’insano progetto di accentrare a Palazzo Chigi la programmazione economica.


Ha ragione l’ex ministro dell’Economia, Giovanni Tria, che in un’intervista a Formiche.net
ha evidenziato l’inadeguatezza della struttura della presidenza del Consiglio
a incrociare la mole gigantesca di risorse finanziarie con la realizzazione di un vasto piano di rilancio infrastrutturale e produttivo.



Occorrono competenze e professionalità che il ministero dell’Economia possiede tra i suoi ranghi.

Perché non utilizzarle invece di montare un’organizzazione parallela di “esperti” che esautori il Mef dalla partita del Next Generation Eu?

A meno che non si abbia in mente di mettere in stand-by la democrazia.

Se fosse questa l’dea di Conte, andrebbe allontanato a viva forza dalla stanza dei bottoni.


Di un caudillo in sedicesima, portato al potere da una banda di improvvisati comandati da un comico, l’Italia non ne avverte il bisogno.

D’altro canto, se fosse assicurato il successo del piano d’investimenti qualche concittadino,
poco incline a difendere il principio democratico quale valore non negoziabile,
potrebbe essere tentato dal concedere una chance all’autocrate di Volturara Appula.

Ma guardiamo i risultati prodotti finora dai maldestri tentativi di Conte di espropriare la politica e le istituzioni dalle loro naturali prerogative.

C’è la stata la farsa del piano della commissione presieduta da Vittorio Colao “per un’Italia più forte, resiliente ed equa”.

Che fine ha fatto?

La ricetta miracolosa dei super-manager reclutati da Conte è finita in qualche fondo di cassetto.

E con la pandemia?

Tutto è stato messo nelle mani del super-commissario Domenico Arcuri.

Non sembra che le cose stiano andando benissimo.

Per non parlare dei mitici “esperti” del Comitato tecnico scientifico che, interferendo sugli stili di vita degli italiani,
hanno fatto litigare tutti e portato il Paese sull’orlo della rivolta popolare.



È giunto il momento di darci un taglio con l’iperfetazione delle task force
e di riportare la governance dei grandi piani d’investimento all’interno della Pubblica amministrazione che è una garanzia,
quando non emergono prove inoppugnabili di fattori corruttivi, di tenuta democratica della dinamica degli interventi statali.


E poi, non è che il numero 300 per la costituenda compagnia di esperti porti granché fortuna.

Alle Termopili, i 300 spartiati che seguirono Leonida furono eroici nel compimento del dovere ma finirono massacrati.

Stessa sorte è toccata ai 300 giovani che, nel 1857, seguirono Carlo Pisacane nella sfortunata impresa di Sapri.

Come testimonia l’incipit della toccante ode La spigolatrice di Sapri di Luigi Mercatini, che ne celebra il sacrificio:

Eran trecento, giovani e forti/ e sono morti!”.


È proprio sicuro Conte di voler nominare esattamente trecento “esperti” per la sua improbabile impresa?

Non è solo un problema politico, ma anche di iella.
 
La scorsa settimana guardavo una vecchia puntata di Big Bang THEORY e mi si è gelato il sangue nelle vene.
Una delle protagoniste, Penny impersonata dalla attrice Kaley Cuoco, informatrice farmaceutica, veniva contattata dal Bill Gates per promuovere un vaccino antinfluenzale a basso costo.
Insomma devono dirci cosa faranno, nelle televisioni o con seminari e ci ha già avvertito che la prossima pandemia sarà peggiore.
Evidentemente chiedono il nostro "tacito" consenso.
Spero che Trump, che ha in passato parlato di tratte di bambini riesca a vincere le elezioni.
Guardate il viso della ragazzina che suona il flauto....
EoJOnd_W8AMouSk.jpg
 
Il Federal Bureau of Investigation ha chiesto all’analista statistico di Donald Trump
di consegnare i dati da lui raccolti che dimostrerebbero la presenza di anomalie statistiche tali nel voto da dimostrare la presenza di frodi.


Update:
– The @FBI has proactively and directly requested from me the VIP findings that indicates illegal ballots.
– By Tuesday, we will have delivered to the agency all of our data, including names, addresses, phone numbers, etc.
— Matt Braynard (@MattBraynard) November 29, 2020







Braynard ha elaborato i dati elettorali dimostrando, ovviamente a suo dire,
che esisteva un’anomala distribuzione temporale dei voti dei Dem che,
al contrario di quanto accadeva per i voti del GOP e di quanto succede normalmente,
non si distribuivano in modo regolare nel tempo, ma mostravano una gobba “Statisticamente impossibile”.

Il consulente di SE sui temi statistici ci confermò che , se i dati seguivano effettivamente quella distribuzione, erano incredibilmente eccentrici.

Ora anche l’agenzia federale.


Naturalmente Braynard si prende le sue precauzioni ed ha affermato che
“tutto ciò che trasmetto alle forze dell’ordine locali / statali, ai contendenti, ai legislatori, ai giornalisti, ecc., È sempre una copia”

e che comunque “nonostante li condivida con individui di tutti quei gruppi, non è detto che siano capiti in modo produttivo. ”


Braynard e il suo team hanno riscontrato molte anomalie soprattutto nel voto postale ,
per cui mancherebbero dalle 89 mila alle 98 mila schede di voto postale non conteggiate e presumibilmente repubblicane.


La richiesta a Braynard è stata fatta dall””agente speciale dell’FBI Young Oh dell’FBI di Los Angeles Field Office” e lo scienziato sta collaborando in modo completo.


Questa richiesta, oltre a dare un peso alle prove statistiche delle frode, finora quasi ignorate,
stupisce perchè recentemente il presidente Trump ha indicato proprio l’Agenzia Federale fra i complici dei possibili brogli.

Che esistano due FBI diverse ?
 
Un piano pandemico, quello italiano, vecchio e mai aggiornato, fermo addirittura al 2006.

Nascosto, o meglio “modificato”, per non dare fastidio a un governo che nel frattempo,
erano gli inizi della prima ondata di coronavirus, veniva lodato in tutto il mondo per le modalità con cui stava affrontando l’emergenza sanitaria.


A riverarlo è un servizio di Report che chiama direttamente in causa Ranieri Guerra, direttore aggiunto dell’Oms, l’Organizzazione Mondiale della Sanità:
c’è la sua mano dietro la sparizione improvvisa di un report pubblicato e poi scomparso nel giro di sole 24 ore lo scorso maggio.


Il motivo?

Dando una semplice occhiata a quel documento, era possibile accorgersi di come il nostro Paese
fosse totalmente impreparato di fronte a una minaccia come quella del Covid-19.




Vogliamo la verita! Paghiamo l'Oms per nascondere i dossier che denunciano le responsabilità del governo?



E così il piano era stato nascosto, successivamente riproposto con una data diversa: “Ultimo aggiornamento 2016”.

Lo stesso Guerra avrebbe fatto pressione ai ricercatori dell’Oms affinché tutto fosse modificato per non dar fastidio all’esecutivo italiano,
sapendo che la trasmissione di Rai Tre stava per sollevare il caso:

“Non fatemi casino su questo – scriveva il coordinatore in una mail –

Stasera andiamo sui denti di Report e non possiamo essere suicidi (. .. )

Adesso blocco tutto (…). Così non può uscire.

Evitate cazzate.

Grazie e scusate il tono. Ranieri”.


Ma il testo, alla fine, era stato pubblicato senza cambiamenti.

E così era scattato l’ordine di ritiro immediato.



Il risultato finale, il rapporto “An unprecedented challenge – Italy’s first response to COVID-19”
a cura “di un team di ricercatori della divisione europea dell’Oms” è così un goffo tentativo di camuffare la realtà:

secondo un perito interpellato da Report, il pdf è in realtà sempre lo stesso documento del 2006.
A cambiare, soltanto il lik sul sito del ministero della Salute.
Tanto che, in maniera un po’ grottesca, all’interno si legge di un primo “stock di farmaci in arrivo entro il 2006”.

Guerra era stato tra l’altro direttore generale per la Prevenzione dal 2014 al 2017.


Dunque, avrebbe dovuto occuparsi lui dell’aggiornamento del piano pandemico italiano, rimasto invece fermo negli anni.

Da qui l’interesse, anche personale, a nascondere la verità.

Vogliamo la verita! Paghiamo l'Oms per nascondere i dossier che denunciano le responsabilità del governo?



Lo studio realizzato dai ricercatori Oms era stato, tra l’altro, finanziato anche grazie a 100 mila dollari provenienti dal Kuwait
e doveva servire, sulla carta, agli altri Paesi e agli stakeholders della sanità di tutto il mondo a trarre lezioni utili dal caso italiano,
capendo cosa aveva funzionato e cosa no nella prima fase della guerra al Covid-19.


Un testo poi sparito nel nulla, con buona pace di chi l’ha pagato, su indicazione precisa di Guerra.

Che, secondo una ricercatrice europea intervistata da Report e rimasta anonima, avrebbe fatto pressioni pesantissime:

“Disse all’autore del rapporto: O ritiri la pubblicazione o ti caccio dall’Oms”.

Oms che, teoricamente, dovrebbe essere organizzazione indipendente.

E che invece si era trasformata, si legge sempre in una mail, nella “consapevole foglia di fico del governo italiano”.
 
Cosa diranno ora Luigi Di Maio e Roberto Speranza a proposito del caso-Oms sollevato da Report?


I fatti emersi sono gravi, gravissimi: un dossier che evidenziava i ritardi dell’Italia sul fronte sanitario,
con il piano pandemico fermo addirittura al 2006 e mai aggiornato,
fatto sparire dal coordinatore dell’organizzazione Ranieri Guerra per non creare grattacapi all’esecutivo.

Il tutto in un momento in cui proprio il nostro Paese veniva indicato come modello da imitare
nell’affrontare il Covid-19 dagli altri Stati.


Senza che si sapesse, però, come stavano davvero le cose.




Di Maio e Speranza accettano il blocco dell'Oms alla giustizia italiana.



Ecco, allora, che il dossier “An unprecedented challenge – Italy’s first response to COVID-19”
a cura di un team di ricercatori della divisione europea dell’Oms era apparso e poi scomparso nel giro di 24 ore.

Su ordine preciso di Guerra stesso, che aveva nel frattempo fatto pressioni pesantissime
(con tanto di minacce di licenziamento agli autori del documento, come evidenziato da Report)
affinché il testo fosse modificato per nascondere la verità:

la nuova versione indicava che il piano pandemico italiano era stato “aggiornato nel 2016”.

Tutto falso.

Il pdf era in realtà lo stesso del 2006, “truccato” alla meno peggio per evitare di far fare una pessima figura al nostro esecutivo in un momento molto delicato per il Paese.




Di Maio e Speranza accettano il blocco dell'Oms alla giustizia italiana.



Guerra, come evidenziato dal servizio andato in onda su Rai Tre,
avrebbe minacciato direttamente il coordinatore dei ricercatori Oms Zambon per far modificare il documento nascondendo ogni magagna.

E si è rifiutato di rispondere alle domande dei giornalisti che chiedevano perché l’Oms,
teoricamente organizzazione indipendente, fosse diventata “la foglia di fico del governo italiano”,
espressione contenuta in una mail scritta dallo stesso Ranieri Guerra.

Un caso sul quale ha puntato ora i riflettori la Procura di Bergamo, che indaga per epidemia colposa.


E che però si è trovata a scontarsi con l’immunità di cui godono i ricercatori,

invitati tra l’altro dalla stessa Organizzazione Mondiale della Sanità a non testimoniare.



Di fronte ai tentativi dell’Oms di ostacolare il corso della giustizia,
la Procura ha così scritto direttamente ai ministri Di Maio e Speranza
per capire l’effettiva esistenza di questa immunità e se questa possa essere estesa
anche a dei semplici ricercatori dell’organizzazione.

Al momento, senza ricevere chiarimenti in merito.

A pensar male si farà anche peccato, ma viene naturale ipotizzare che la sparizione di quel famoso dossier
abbia fatto parecchio piacere all’esecutivo, che si risparmiò così un’ondata di critiche potenzialmente devastante.


Non è che, ancora oggi, è nell’interesse di tanti coprire l’accaduto?

Non è forse il caso che Di Maio e Speranza chiariscano ufficialmente la vicenda?


In un Paese normale, sarebbe anche il caso che il titolare della Salute prenda in considerazione l’ipotesi dimissioni.


In un Paese normale, appunto, dove i documenti”scomodi” non spariscono nel nulla.
 
A proposito di vaccino anticovid.

Il British Medical Journal, una delle più antiche e prestigiose riviste mediche del mondo,
ha pubblicato un interessante editoriale in cui getta ombre lunghissime sia sul vaccino di Astrazeneca che sui due americani, Pfizer e Moderna.


Accuse pesanti.


In primo luogo si denuncia la scarsissima trasparenza dei dati.

Al netto degli annunci roboanti su tempistica ed efficacia
(buoni per far salire la quotazione in borsa dei rispettivi titoli, immediatamente monetizzati)
pare, infatti, che dei vaccini che salveranno il mondo non si sappia praticamente niente.


Nessuna informazione sul campione di soggetti sottoposto a sperimentazione.

Nessuna informazione sull’efficacia nel medio/lungo periodo.

Nessuna sulla capacità dei vaccinati di contagiare o meno gli altri.


Il poco che si sa, invece, riguarda gli effetti collaterali alcuni dei quali, seppur di lieve entità, comparsi in fase tre sono considerati “gravi".


Difronte ad un fatto del genere ci sono da fare alcune, banalissime, considerazioni.


La prima è relativa al principio di autorità.
Io lo detesto.
Quindi neanche in questo caso prendo per oro colato quanto affermato dal BMJ.
Così come non lo farei in caso contrario.
Quello che qui interessa è la liceità dell’esercizio del dubbio.
Il diritto allo scetticismo, motivato dal semplice fatto che dietro al vaccino anticovid
c’è un giro di soldi talmente gigantesco che dubitare a priori è semplice buon senso.

Una precauzione che, invece, viene fatta passare per “negazionismo”

da un branco di lobotomizzati semicolti pronto a bersi qualunque cazzata,

purché propalata a reti unificate da un manipolo di sedicenti esperti.

E ripetuta all’infinito come avviene con le presunte “leggi economiche”.


La seconda considerazione è invece di natura più strettamente politica.
Perché quanto scritto nero su bianco dal BMJ è più o meno quanto sistematicamente affermato per screditare il vaccino russo.

In assenza totale di dati, quindi, si getta aprioristico discredito sul vaccino di Putin (cui invece guardano con interesse gli israeliani)
e si santificano quelli “nostri” degni di incondizionata fiducia.
Lasciando trasparire un’attitudine dogmatico fideistica più simile alla propaganda da guerra fredda che al metodo scientifico.

Perché quando si ha a che fare con la propria salute - o con quella ancor più importate dei propri figli -
quello che conta maggiormente è il consenso informato.

Un pilastro del diritto costituzionale applicato all’ambito sanitario.

E che non può limitarsi alle rassicurazioni del Burioni di turno.

Un consenso da esplicarsi partendo dal rigoroso controllo dei dati e soprattutto dalla piena trasparenza delle informazioni scientifiche
- in assenza delle quali un obbligo vaccinale diventa semplicemente un sopruso -
unici presupposti per aversi un dibattito pubblico serio e nell’esclusivo interesse della salute pubblica (e per questo aperto a tutti i cittadini).


E non di quel pezzo di mondo politico e scientifico a libro paga delle multinazionali del farmaco

che, grazie alla pandemia, già pregustano di arricchirsi spropositatamente sulla pelle dei cittadini.
 
Quant’è costata finora la pandemia?

Quanto nuovo debito è stato contratto per supportare il torrente di una caotica legislazione di cui, ancora oggi, non si vede fine?


C’è voluta una pazienza da certosino per recuperare il materiale di base e giungere ad una prima valutazione: che non potrà non stupire.

Il costo complessivo dell’intera operazione ammonta, finora, a 200 miliardi e 245 milioni.

Tanto è stato speso, solo quest’anno, per far fronte all’emergenza.

E senza considerare l’onere del decreto “ristori quater” (D.L. recante misure urgenti connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19)

ancora non giunto in Parlamento, per far fronte al quale era stato chiesto un ulteriore superamento del tetto di spesa per 8 miliardi
.


La conclusione sconfortante, quindi, è che l’Italia si è già giocata l’intero finanziamento del Recovery Fund,
di quella Next Generation Ue, che valeva 208,8 miliardi e che doveva essere destinato, come evoca il suo stesso nome,
a tracciare una linea per il futuro, per consentire alle nuove generazioni di far fronte al peso che quel debito avrebbe comportato.


Ed invece: cornuti e mazziati.

Dovranno farsene carico.

E per ben oltre i 127,4 miliardi nominali.

Poiché anche una buona metà degli 81,4 miliardi di sussidi a fondo perduto,
dovranno essere comunque restituiti a causa delle maggiori tasse europee o dagli aumenti dei contributi annuali al bilancio comunitario.



Ma fosse solo questo.

Una parte notevole dell’accresciuto indebitamento, per circa 60 miliardi di euro,
è stato coperto con modalità creative, da far invidia ai vecchi maneggi della Grecia, prima della grande crisi.


Per circa 33,4 miliardi si sono scontate le maggiori entrate che deriveranno dalla maggior crescita del biennio 2022/23.

Mentre per i restanti 27 miliardi e rotti, a valere sui fondi delle Next Generation Ue.


Trascurando, tuttavia, il piccolo particolare che nessuno è in grado di garantire che quei fondi ci saranno effettivamente.


Non tanto per il Recovery fund: perché alla fine è prevedibile che un accordo si troverà.

Ma per quello spendersi in anticipo i proventi di un tasso di crescita che nessuno è in grado di prevedere.

Evidentemente il vecchio proverbio “non dire gatto se non l’hai nel sacco” non è più di moda nelle austere stanze di Via XX settembre.


Ma almeno è un “debito buono”?

La lezione di Mario Draghi è stata compresa ed assimilata?

Oppure quella altro non è stata che una rinnovata “predica inutile” nel solco della tradizione di Luigi Einaudi?


Una disaggregazione dei dati può fornire una qualche indicazione.

Le spese correnti sono state pari a circa 130 miliardi.

Il 64 per cento del totale.

Quelle in conto capitale, pari a 55,4 miliardi: il 28 per cento.

Gli sgravi fiscali complessivi pari a 15,6 miliardi: il rimanente 8 per cento.


Non si può dire quindi che le preoccupazioni per un possibile futuro abbiano dominato.

Le somme destinate alle maggiori spese in conto capitale sono state, infatti, addirittura inferiori (55 contro 60 miliardi) alle coperture farlocche.




A questi dati, di per sé sconfortanti, c’è poco da aggiungere.

Il 50 per cento degli impegni sono relativi all’anno in corso, per un totale di oltre 100 miliardi di euro.

L’anno prossimo le decisioni già assunte peseranno per circa 56 miliardi e per altri 47,5 nel 2022.

Mentre per il 2023 si prevede un leggero surplus (le entrate dovrebbero essere maggiori delle spese) per circa 3,5 miliardi.

Chi vivrà, vedrà.

La legge di bilancio, come già detto, ipoteca una parte delle maggiori entrate derivanti dalla più robusta crescita prevista per il 2022 e 2023.

Se tutto andrà come dovrebbe andare, ma c’è da dubitarne, vale a dire secondo le previsioni della Nadef,
nel primo caso, l’ipoteca dovrebbe riguardare circa il 40 per cento delle maggiori entrate previste.

Mentre per l’anno successivo questa percentuale dovrebbe salire al 79 per cento.


Parlare di una manovra più che conservativa è fin troppo evidente.

Ma se dal puro aspetto quantitativo si passa ad un profilo più qualitativo, paradossalmente il giudizio negativo si rafforza.

Si consideri la sola partita fiscale: una cenerentola nella ripartizione delle possibili risorse,
con una percentuale pari ad appena l’8 per cento del totale disponibile: 15,6 miliardi di euro.

L’abolizione delle clausole di salvaguardia per l’Iva e le accise produrranno un minor gettito, nel 2022 e nel 2023, pari a 45,5 miliardi.

Un vantaggio che è stato quasi annullato dall’aumento di altre imposte e tasse, per un importo di quasi 30 miliardi.


Scelte che sono andate contro corrente rispetto alle richieste europee.


Nei vari documenti di analisi sulla situazione italiana,
la Commissione europea aveva più volte richiesto una riduzione del carico delle imposte personali,
soprattutto Irpef e cuneo fiscale, da compensare con un aumento delle imposte indirette sui beni e gli immobili.

Il governo, come si evince dai dati forniti, ha scelto invece la strada opposta.

Alla fine vi sarà comunque una piccola riduzione della pressione fiscale, ma sarà minimalista.


Secondo le proiezioni della stessa Nadef, dovrebbe diminuire dal 42,2 per cento del 2021 al 41,9 del 2023.

Un’inezia: con una ricaduta pari a zero sul possibile futuro tasso di crescita dell’economia.



Siamo quindi riusciti a ricostruire quel “quadro in cui gli obiettivi di lungo periodo
sono intimamente connessi con quelli di breve” come esortava Mario Draghi, nel suo intervento al meeting di Rimini?

La risposta la ritroviamo in un debito che non solo cresce a ritmi forsennati,
ma in Europa si colloca ormai ad una spanna da quello greco, che aumenta molto meno (14 punti).

Con una crescita di oltre 24 punti, rispetto al 2019, secondo sola alla Spagna, che vede aumentare il proprio debito, nello stesso periodo, di 28 punti.

Ma quello che da più da pensare è la sua cattiva qualità.

Nulla a che vedere con quel “debito buono”, che pure sarebbe auspicabile far aumentare.



Con i dati della Commissione europea, esiste da tempo una discrepanza.

Per la Nadef nel 2022 il rapporto debito-Pil, in Italia, sarà pari al 153,4 per cento. Per Bruxelles al 159,1.

Una differenza di valutazione che pesa per oltre 100 miliardi di euro.


Che sfiora l’importo a debito del Recovery fund: quei 127,4 miliardi che rappresentano la dotazione italiana.

Cui sommare, eventualmente, altri 37 dello Sme, qualora fosse gioco forza doverli richiedere.


Cosa, a questo punto, da escludere non per i condizionamenti impliciti, ma per evitare un appesantimento finanziario insostenibile.

In questo caso, infatti il debito italiano, salirebbe di oltre 9 punti sul Pil 2021.

Raggiungendo l’apice del 165 – 170 per cento, a seconda delle previsioni di base considerate.


Di nuovo l’orlo di un precipizio, verso il quale l’Italia, senza la minima consapevolezza, sembra destinata a correre.
 
Un piano pandemico, quello italiano, vecchio e mai aggiornato, fermo addirittura al 2006.

Nascosto, o meglio “modificato”, per non dare fastidio a un governo che nel frattempo,
erano gli inizi della prima ondata di coronavirus, veniva lodato in tutto il mondo per le modalità con cui stava affrontando l’emergenza sanitaria.


A riverarlo è un servizio di Report che chiama direttamente in causa Ranieri Guerra, direttore aggiunto dell’Oms, l’Organizzazione Mondiale della Sanità:
c’è la sua mano dietro la sparizione improvvisa di un report pubblicato e poi scomparso nel giro di sole 24 ore lo scorso maggio.


Il motivo?

Dando una semplice occhiata a quel documento, era possibile accorgersi di come il nostro Paese
fosse totalmente impreparato di fronte a una minaccia come quella del Covid-19.




Vogliamo la verita! Paghiamo l'Oms per nascondere i dossier che denunciano le responsabilità del governo?'Oms per nascondere i dossier che denunciano le responsabilità del governo?



E così il piano era stato nascosto, successivamente riproposto con una data diversa: “Ultimo aggiornamento 2016”.

Lo stesso Guerra avrebbe fatto pressione ai ricercatori dell’Oms affinché tutto fosse modificato per non dar fastidio all’esecutivo italiano,
sapendo che la trasmissione di Rai Tre stava per sollevare il caso:

“Non fatemi casino su questo – scriveva il coordinatore in una mail –

Stasera andiamo sui denti di Report e non possiamo essere suicidi (. .. )

Adesso blocco tutto (…). Così non può uscire.

Evitate cazzate.

Grazie e scusate il tono. Ranieri”.


Ma il testo, alla fine, era stato pubblicato senza cambiamenti.

E così era scattato l’ordine di ritiro immediato.



Il risultato finale, il rapporto “An unprecedented challenge – Italy’s first response to COVID-19”
a cura “di un team di ricercatori della divisione europea dell’Oms” è così un goffo tentativo di camuffare la realtà:

secondo un perito interpellato da Report, il pdf è in realtà sempre lo stesso documento del 2006.
A cambiare, soltanto il lik sul sito del ministero della Salute.
Tanto che, in maniera un po’ grottesca, all’interno si legge di un primo “stock di farmaci in arrivo entro il 2006”.

Guerra era stato tra l’altro direttore generale per la Prevenzione dal 2014 al 2017.


Dunque, avrebbe dovuto occuparsi lui dell’aggiornamento del piano pandemico italiano, rimasto invece fermo negli anni.

Da qui l’interesse, anche personale, a nascondere la verità.

Vogliamo la verita! Paghiamo l'Oms per nascondere i dossier che denunciano le responsabilità del governo?'Oms per nascondere i dossier che denunciano le responsabilità del governo?



Lo studio realizzato dai ricercatori Oms era stato, tra l’altro, finanziato anche grazie a 100 mila dollari provenienti dal Kuwait
e doveva servire, sulla carta, agli altri Paesi e agli stakeholders della sanità di tutto il mondo a trarre lezioni utili dal caso italiano,
capendo cosa aveva funzionato e cosa no nella prima fase della guerra al Covid-19.


Un testo poi sparito nel nulla, con buona pace di chi l’ha pagato, su indicazione precisa di Guerra.

Che, secondo una ricercatrice europea intervistata da Report e rimasta anonima, avrebbe fatto pressioni pesantissime:

“Disse all’autore del rapporto: O ritiri la pubblicazione o ti caccio dall’Oms”.

Oms che, teoricamente, dovrebbe essere organizzazione indipendente.

E che invece si era trasformata, si legge sempre in una mail, nella “consapevole foglia di fico del governo italiano”.
Due pagliaccetti..ho visto Report..se fossero onesti darebbero le dimissioni con scuse.. almeno. ma mi sa che tt faranno finta di niente
 
Sono ormai tutti nei posti di comando. L'agenda termina nel 2030. Non ci posso credere, ma temo che un giorno, penseremo che abbiamo sbagliato a non crederci.
En1EWnEXMAAd0UQ.jpg
En1EWnEXMAAd0UQ.jpg
 
Doverosa premessa: traggo i dati dalla devastante pagina che il Corriere della Sera (26.11.2020)
ha dedicato alla “grande beffa per i 2.700 navigator che ora rischiano di restare disoccupati”
ed alla prestazione del loro capo Domenico Parisi, “quasi una storia di fantascienza da Palazzo Chigi al Mississippi”,
a firma Lorenzo Salvia e Fabrizio Roncone, da elogiare come benemeriti della stampa e della patria.


Innanzitutto, una considerazione estrinseca, che però la dice lunga sulla stampa e sulla patria.

Benché devastante per il contenuto, la pagina non ha avuto pressoché nessun’eco od effetto.

Eppure costituisce una luminosa metafora della politica contemporanea,
dove imperano uomini politici che costruiscono carriere sull’improvvisazione.

Il re della categoria è Luigi Di Maio che, avendo dato prova della sua pericolosa evanescenza da ministro del Lavoro,

ministro dello Sviluppo economico, vicepresidente del Consiglio, è assurto o, meglio,

è stato elevato da suoi pari a ministro degli Esteri, la faccia dell’Italia nel mondo, nientemeno.



La vicenda dei navigator parte male già dalla parola latina stupidamente associata al web.

Infatti, traducendo “il marinaio nella rete”, il navigatore sembra lui bisognoso di aiuto piuttosto che in grado di aiutare altri.

Tuttavia allo sprovveduto inventore, pardon applicatore, del vocabolo (il geniale Di Maio in persona? Il guru italoamericano che egli ha scovato?),
adoperare la parola latina apparve oltremodo intelligente e efficace dal momento che la pronunciava all’inglese: navighaetor, oibò!


Stando ai numeri forniti da Lorenzo Salvia, i navigatori sono rimasti impaniati nella rete, com’era prevedibile.

Il risultato della loro infruttuosa navigazione non giustifica affatto il progetto di cui sono più vittime che colpevoli,
perché figli di un padre politico impreparato, che baldanzosamente prima li ha mandati alla deriva nel pelago elettronico
e poi con dappocaggine disconosciuti appena accortosi che la progenie non gli avrebbe assicurato il Nobel dell’economia.

I navigatori dovevano cercare i posti di lavoro che il ministro del lavoro immaginava soltanto.

Adesso i navigatori sono in un mare di guai perché il loro impiego sta per scadere.

I soldi per prolungarglielo non sono stati stanziati.

Viene prospettato il licenziamento, contro il quale i navigatori, costituitisi in sindacato, minacciano di ricorrere.


Il governo dovrà assumerli?


Impiegarli in un lavoro realmente produttivo?


Di Maio tace. Nessun mea culpa egli pronuncia, occupato com’è a studiare il modo di divulgare Dante tra i musulmani.


Mentre i poveri marinai navigano in cattive acque, il loro capo Domenico Parisi, detto Cowboy, solca i mari in ricchezza e sicurezza.

Grazie a chi?

A Di Maio che gliele garantisce con i soldi dell’erario, of course!


Fabrizio Roncone precisa: “Per lui l’incarico è guidare l’Anpal, Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro
(potenza delle sigle: c’è pure una politica passiva del lavoro, ndr), e realizzare quindi la parte finale del visionario progetto pentastellato”.



Il progetto non viene attuato.

Il capo Parisi “non è in grado di spiegare, con precisione, quanti posti di lavoro siano stati trovati dai navigator”.


Tuttavia chiede che a costoro siano prorogati i contratti e ne siano assunti altri.



Nonostante il disastro combinato da Di Maio e Parisi, è purtroppo impossibile che siano perseguiti dalla Corte dei conti per danno erariale.


Ma l’opposizione politica che aspetta a metterli sotto processo per incapacità, negligenza, dannosità?


Il fallimento complessivo del “progetto navigator”, sbandierato come la soluzione finale della disoccupazione
non comporta neppure una qualche diminuzione all’ideatore e realizzatore politico né al capo amministrativo.


Per molto meno, governanti e dirigenti si dimettono nelle nazioni serie.


In Italia, invece, Di Maio è salito più in alto sormontando le sue macerie

e Parisi se la gode standosene al riparo.


Gl’incapaci ascendono disfacendo.
 

Users who are viewing this thread

Back
Alto