SI VIVE UNA VOLTA SOLA? FALSO! SI VIVE TUTTI I GIORNI. SI MUORE UNA VOLTA SOLA.

Dal ricordo, ormai lontano, della «Balena bianca» (intesa come egemonia politica della Democrazia cristiana)
alla contemporaneità preistorica della «più grande balena fossile mai scoperta al mondo»; più imponente perfino del «maggiore dei dinosauri conosciuti».

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Ora - buttandola sullo scherzo (ma neanche tanto) - si potrebbe dire che un lungo filo archeologico
unisce la Basilicata anni '70 del padre costituente Emilio Colombo alla Lucania di «Giuliana»,
com'è stato battezzato l'antico cetaceo scoperto nel 2006 nell'invaso artificiale di San Giuliano a Matera,
tornato alla ribalta grazie a un report pubblicato dalla rivista scientifica Biology Letters, che denuncia:
«I resti della balena Giuliana abbandonati in un deposito».

Le istituzioni locali non ne escono granché bene, ma questa non è una novità in una regione
che spesso assurge alla cronaca nazionale per scandali e disavventure giudiziarie di chi la rappresenta nei Palazzi che contano.

Nella terra dove in tempi remoti nuotava «Giuliana», la politica - oggi come in passato - sguazza in acque tutt'altro che limpide,
navigando tra clientelismi e interessi di bottega con le vele dispiegate al vento del potere per il potere.
Risultato: una pletora di voltagabbana che, spacciandosi per «il nuovo», ha mutuato il peggio del vecchio sistema
della Prima Repubblica e ne ha fatto il punto qualificante del proprio programma elettorale.

Da queste parti il 26 maggio si voterà per le amministrative, con la «balena Giuliana»
che potrebbe diventare la grande metafora di una Basilicata messa talmente male da rimpiangere addirittura l'epopea ormai inabissata della Balena bianca.

È significativo che una vicenda tragicomica come quella dello «scheletro di Giuliana chiuso in decine di casse
accatastate presso il Museo Ridola di Matera» riguardi proprio la città al centro, da mesi,
di uno stucchevole quanto vuoto esercizio retorico sull'esaltazione di «Matera, Capitale europea della cultura 2019».

Ma la verità - scomoda - è un'altra: anche questa di Matera Capitale della cultura si è rivelata per la Basilicata l'ennesima occasione persa,
come accaduto già in passato per altre opportunità di sviluppo perse nel nulla, prima fra tutte quella sulle enormi risorse petrolifere
che una classe politica inetta e disonesta è riuscita a trasformare da potenziale risorsa di rilancio economico e sociale in un fattore di ulteriore arretratezza e degrado.

Realtà fortunatamente ignote ai ricercatori di Biology Letters, i quali hanno concentrato il loro raggio d'azione sull'epoca del Pleistocene
(un milione e mezzo di anni fa, anno più anno meno...), sostenendo come la scoperta dei resti della
«balena Giuliana» possa anche servire a «riscrivere la paleogeografia del Mediterraneo».

Subito dopo la pubblicazione, sono partiti gli appelli a «liberare Giuliana» dalle casse
in cui il suo scheletro è suddiviso «con l'auspicio che possa essere reso fruibile».
Lo studio - precisa l'agenzia AdnKronos - è stato condotto dal Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Pisa,
dal Dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali dell'Università di Catania e
dal Directorate Earth and History of Life del Royal Belgium Institute of Natural Sciences di Bruxelles.

Ma, di tutto ciò, cosa dice il sindaco della Città dei Sassi, Raffaello De Ruggieri?
Il primo cittadino materano assicura di «aver preso contatti con il coordinatore del team di paleontologi per proporre una collaborazione».
In concreto? «La balena Giuliana - sottolinea il sindaco - racconta un pezzo di storia della nostra straordinaria città.
Il Comune ha impegnato 200mila euro per la promozione di questo prezioso bene che, crediamo fermamente, debba essere valorizzato e musealizzato».

Magari, nell'attesa, si potrebbe cominciare con l'aprire le casse dimenticate nel deposito: la prigionia di «Giuliana» è durata fin troppo.
 
L'articolo è molto lungo, ma è troppo bello. Sia per il contenuto che per le immagini.
Lo spezzo in più tronconi. Spero di far capire alla maggior parte di Voi, quasi la totalità credo,
che non conoscono questo genere di problema, come siamo messi male.


Pian di Spagna: Un parco dei cervi a cinque stelle (a spese degli agricoltori)

Nella riserva del Pian di Spagna, dove esistevano molte e fiorenti aziende zootecniche,
quasi 300 cervi stanno provocando gravi danni alle aziende rimaste.
Non solo a causa della perdita del raccolto di fieno (di per sé decine di migliaia di euro di danni)
ma anche per il concreto rischio sanitario legato alla fortissima densità dei cervidi,
all'imbrattamento del foraggio, alla pericolosa prossimità quando non presenza nelle pertinenze delle aziende.
Perché non è ancora partito un piano di controllo, pur ricorrendo tutti gli elementi per la sua attivazione?

Per "paura degli ambientalisti". E perché non c'è trasparenza nei mancati o ridotti indenni del danni?

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di Michele Corti


(02.05.19) Il Pian di Spagna è il risultato di alluvioni recenti e di interventi atti
a facilitare il deflusso delle acque nonchè a prevenire le conseguenze delle alluvioni dell'Adda.
Il Piano semplicemente non esisteva prima del medievo.
In epoca romana il bacino del Lario arrivava sino a Samolaco (Summo lacu).
Il corso attale dell'Adda è frutto della rettificazione e canalizzazione,
realizzate tra il 1853 e il 1858 dal governo lombardo-veneto.

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In precedenza l'Adda sfociava in prossimità dell'attuale Ponte del Passo (vedi qui la mappa asburgica dove è indicato il traghetto). Sino al 1520, anno di disastrose alluvioni, l'Adda si immetteva direttamente nel lago di Mezzola, con la foce prossima alla sponda rocciosa retica. Dopo il 1520 il fiume prese a dividersi in meandri che resero il Piano di Spagna paludoso e malarico. Tanto è vero che la guarnigione spagnola del Forte di Fuentes soffriva non poco per le febbri. La militarizzazione del piano, impedendo ogni intervento, contribuì all'impaludamento. Anche in precedenza si erano comunque verificate spaventose alluvioni. Dell'antico borgo romano e medievale di Olonio (sempre presso il Ponte del Passo) non restano che pochi ruderi in quanto l'abitato fu sepolto da spessi strati di depositi alluvionali.
Nel 1432 la Pieve venne trasferita a Sorico .
Gli unici resti a testimonianza della posizione di Olonio e della sua importanza strategica,
prima di recenti scavi, furono - sino ai primi decenni del novecento - quelli dell'antico castello,
caduto in rovina a seguito dell'alluvione del 1520, ma di cui si era conservata una torre (la Torre di Olonio).
Al miglioramento delle condizioni del Piano, come effetto della rettifica e canalizzazione dell'Adda del 1858, seguirono diverse iniziative di bonifica.

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Nel 1899, San Luigi Guanella (da tutti, in Valchiavenna, alto Lario, bassa Valtellina
ancora affettuosamente chiamato semplicemente "Don Guanella"),
inizia la bonifica che consentì la formazione del villaggio di Nuova Olonio,
dove furono realizzate opere assistenziali e il santuario della Madonna del lavoro.
Don Guanella, con la bonifica, eseguita con esperti lavoranti veneti e con i suoi "figli" (i disabili),
voleva offrire ai contadini alternative all'emigrazione in America,
che allora pareva minacciare di spopolare queste come altre zone di agricoltura povera.
Egli, in anticipo sulle teorie pedagogiche moderne, vedeva nel lavoro agricolo
anche uno strumento terapeutico per la cura della disabilità.
Il Pian di Spagna restava ancora però una delle "classiche" zone malariche d'Italia.
Alle bonifiche guanelliane seguirono quelle di epoca fascista (1927-29)
e quelle degli anni cinquanta (su oltre un centinaio di ettari). La malaria allora divenne un ricordo.


Riassumendo: in epoca romana c'è solo l'acqua del lago di Como;
tra la tarda antichità e il medioevo si forma una piana che diviene oggetto di coltivazione,
tanto da rendere prospero il comune di Sorico con la produzione agricola.
Tra il 1520 e il 1858 tutta l'area si impaluda ed è preda della malaria;
l'unico sfruttamento possibile è con il pascolo. Tra il 1858 e il 1954 il Piano viene bonificato e sottoposto a intensa coltivazione agricola.

E i cervi ? La presenza attuale è, a parte la densità abnorme, un fatto "naturale",
che rispecchia una realtà antica?

Vero è che le basse valli alpine erano, in tempi preistorici, oggetto dello svernamento invernale
di grandi raggruppamenti di cervi. Così in Valcamonica, dove essi migravano stagionalmente
tra il Tonale e le sponde del lago d'Iseo e così probabilmente avveniva anche nel Piano di Chiavenna.
Nel medioevo, però, vi era una transumanza ovina importante tra l'alta Valchiavenna
e la Valbregaglia e il Piano di Chiavenna, che fa ritenere improbabile la presenza di cervi,
sia qui che nel Pian di Spagna.
Con l'intensificazione del popolamento della montagna, che raggiunse il massimo
prima della peste nera del XIV secolo, la coltivazione dei versanti e dei maggenghi
conobbe un'estensione che non fu più eguagliata nemmeno nel XIX secolo
anche in relazione a un ottimo climatico (faceva più caldo di oggi).

Gli ungulati selvatici vennero spinti in alto.
Il camoscio, adattandosi, divenne un animale rupicolo, il cervo gradualmente diminuì,
sino a scomparire tra XVII e XVIII secolo.
Ben diversa la situazione in alta Valtellina dove, forse, non è mai scomparso.
 
Con gli anni sessanta il mondo cambia: nelle città il ceto medio-alto,
dimenticate presto le ristrettezze alimentari della guerra
(che non avevano risparmiato neppure fasce relativamente benestanti),
inizia a ragionare in termini ambientalisti e le paludi che avevano rappresentato,
sino al giorno prima, cause di tanta miseria umana diventano "aree naturalistiche pregiate".

Nel 1971 l'Italia firma la convenzione di Ramsar per la tutela dell'avifauna migratoria
e si impegna a conservare gli habitat propizi.
La convenzione veniva ratificata nel 1976 e, come conseguenza, vengono istituite alcune aree protette,
tra cui la Riserva del Pian di Spagna e del lago di Novate Mezzola,
individuata quala sitio di importanza internazionale per la sosta degli uccelli di passo,
al crocevia delle principali rotte migratorie e in considerazione della localizzazione strategica
a ridosso dei punti di valico delle Alpi.
Scopo pricipale della Riserva, istituita nel 1981, era, e rimane,
la conservazione di un ambiente idoneo alla sosta e alla nidificazione dell'avifauna migratoria.
Per assicurare questa finalità essa ha il compito di tutelare e mantenere le caratteristiche naturali
e paesaggistiche dell'area umida, un compito che viene svolto "disciplinando" le attività antropiche.

Va subito precisato che la Riserva è anomala rispetto alle altre aree protette che ne condividono la tipologia,
in quanto decisamente più ampia, tanto da assumere i connotati di un "piccolo parco".


Si riscontra una anomalia: la Riserva è troppo grande per essere una vera riserva
e troppo piccola per essere considerata Parco.

La pianificazione dovrebbe limitare la riserva alla Poncetta, alla foce dell’Adda,
a poche aree nelle quali neanche il visitatore possa entrare (come in una vera riserva),
mentre l’attuale perimetro potrebbe essere ampiamente allargato, purché sottoposto alle normative dei Parchi,
incentivando le attività turistiche ed i progetti che potrebbero ottenere finanziamenti (1).


La Riserva del Pian di Spagna si stende su due provincie (Como, con il 59% dell'area)
e Sondrio, su tre comunità montane e su cinque comuni, Gera, Sorico
(che fa la parte del leone con il 42%) Verceia, Novate Mezzola e Dubino.
Per quanto importante la superficie di massimo rispetto, di valore naturalistico (fascia R1),
è molto limitata (la si osserva nella carta sotto, indicata in verde).
Gran parte della superficie della riserva è agricola.

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Mappa: M.Corti su dati vettoriali della cartografia regionale

Esclusi gli specchi d'acqua e l'alveo fluviale del Mera, la superficie è di 1.000 ha,
di cui la gran parte a prato stabile, con complessivi 693 ha (compresi quelli con presenza arborea).

I "boschi", prendendo per buona la definizione ufficiale (che attribuisce questa categoria a quattro piante),
rappresentano solo 61 ha, i seminativi 37 (quasi tutti a mais, per quanto molto diminuito).
La vegetazione palustre 13 ha.

Questi dati sono essenziali per capire il problema del danno arrecato dai cervi
alle attività zootecniche della Riserva. Per avere un'idea realistica di questa "area incontaminata"
e dimenticare di essere a una Yellowston in miniatura, è bene anche ricordare
che nel perimetro della Riserva vi sono ben tre ex discariche di scorie tossiche (cromo esabalente)
della ex Falk di Novate Mezzola, l'impianto di Telespazio, elettrodotti, il depuratore di Nuova Olonio,
campeggi, una linea ferroviaria.

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In anni recenti la Riserva è diventata anche ZPS (zona di protezione speciale)
ai fini della tutela dell'avifauna e ZSC (sito di interesse comunitario)
per via della presenza di diversi habitat prioritari riconducibili alle aree umide (codici 3150, 6410, 6510, 91E0).

Il tutto nel contesto della Rete Natura 2000.
Tutte queste "qualifiche" portano alla Riserva importanti risorse
(il Piano Natura 2000 2010-2020 della Riserva prevede azioni per un milione di euro).
Poi, però, per gli indennizzi dei danni della fauna all'agricoltura non ci sono soldi.

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Già nel 2014 gli agricoltori protestavano con forza. I cervi erano 180
 
Ultima modifica:
Le aziende agricole "intrappolate" in una Riserva con rigorosi vincoli
In un'area protetta che è in larghissima misura agricola, le attività agro-zootecniche che, come abbiamo visto, sono state possibili - a partire dalla metà dell'Ottocento -
grazie a un duro lavoro di bonifica, si sono trovate "intrappolate" in un contesto fortemente vincolistico che limita le utilizzazioni del suolo alle modalità tradizionali
(il che potrebbe anche risultare comprensibile), ma che impedisce anche ogni nuova edificazione.
Il processo di concentrazione delle aziende zootecniche, imposto dalle condizioni di mercato e dalla stessa politica agricola europea,
ha comportato una forte contrazione del numero di aziende zootecniche, qui - almeno sino a pochi anni fa - tutte ad indirizzo da latte.

Da 50 aziende nel 2010, con 1100 capi, oggi siamo scesi a 4-5 aziende con sede nella riserva più una quindicina di aziende piccole e medie
che utilizzano i prati per la produzione del foraggio ma hanno sede fuori dalla riserva, in comune di Dubino.
Vi sono poi diversi coltivatori con piccole estensioni di terreno senza animali.

Dentro la riserva oggi vi sono stalle per solo 700 capi da latte e un centinaio da carne mentre, nel 2001 vi erano 1700 capi da latte e 600 da carne (2).

L'esigenza di costruire nuove stalle ha portato a dei contenziosi e la proibizione minaccia il futuro delle aziende dove, almeno in alcuni casi, non mancano le giovani leve.
Tra i vincoli e i disagi imposti dalla riserva va citato il restringimento del calibro delle strade campesti in carico alla Riserva (peraltro in pessimo strado) a soli 2,0 m.

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Non va dimenticato, ad uso di chi vive solo di "valori naturalistici", che il Pian di Spagna ha grandi tradizioni zootecniche che risalgono al periodo tra le due guerre mondiali.

L'area era, insieme alla Valsassina, la più zootecnicamente avanzata della montagna comasca nella selezione del bestiame da latte
e una vera fonte di torelli di razza bruna, che trovavano collocazione in ambito regionale.

La tradizione allevatoriale risale però a tempi remoti, precedenti le bonifiche del Piano.
Qui, a dispetto della superficie livellata e della modesta quota altimetrica, vi sono radici montanare, c'è una forte tradizione d'alpeggio che è continuata sino ad oggi.
Prima del risanamento delle paludi, con la canalizzazione dell'Adda del 1858, qui scendevano a svernare in inverno con i loro armenti, come molti secoli prima,
i montanari della val San Giacomo (alta valle Spluga o alta Valchiavenna che dir si voglia).

Il Gioia, all'inizio del XIX secolo, osservava:
In alcune comuni, come nella valle S.Giacomo, il cui raccolto [di cereali per l'alimentazione umana]
non basta per due mesi all’anno, quasi tutto il popolo esce dal paese,
e ad imitazione d’Abramo e di Lot cacciando avanti il bestiame, va errando per le comuni vicine,
e gran parte ne viene sul territorio Lombardo (2).

Per “territorio lombardo” si devono intendere le zone dell’alto lago di Como
attualmente in provincia di Como e di Lecco, ovvero il Pian di Spagna e il Piano di Colico.

La Valchiavenna, infatti era allora un territorio ex-Grigione e la sua unione alla Lombardia
fu sancita solo nel 1814 con il Congresso di Vienna.

Vale la pena osservare che, mentre oggi l'alpeggio assume i contorni di una "salita"
di allevatori del piano essa, storicamente, rappresentava una discesa, una "transumanza inversa":
dall’alta valle al piano, come indica la stretta affinità linguistica
(il "dialetto del brì", con forti connotati lombardo-alpini (3) tra le comunità dell’alta valle
(Madesimo, in particolare), e quelle di alcuni centri dei suddetti piani (4).

Prima delle bonifiche, la sosta in piano era relativamente breve e le scorte di fieno prodotte in montagna,
per quanto limitate, si consumavano sul posto.
Dopo le bonifiche è stato possibile aumentare grandemente la potenzialità foraggera:
da pascoli umidi a buoni prati permanenti, poco soggetti a siccità per via dell'alto livello della falda,
in grado di fornire quattro tagli di fieno all'anno.

Così , gradualmente, il baricentro dell'attività delle famiglie si è spostato al piano
e in montagna si prese a salire solo per i tre mesi estivi.
Il legame con l'alta valle è però ancora molto stretto, anche per il tipo di proprietà
(condominio indiviso) degli alpeggi.
Anche chi non ha più bestiame conserva la baita sui pascoli degli Andossi e di Montespluga
e la utilizza come residenza secondaria estiva.

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Foto Carlo Borlenghi, si ringrazia per la concessione

Il cervo nella riserva oggi rappresenta un danno all'ambiente


La riserva del Pian di Spagna è finalizzata alla salvaguardia dell'avifauna migratoria,
la protezione dei cervi non solo non ha quindi nulla a che fare con questa finalità ma,
al contrario, è in aperto contrasto con essa.

I cervi utilizzano, specie in alcune stagioni, il canneto (fragmiteto e megacariceto)
per riposare e, quando i carici sono in stadio vegetativo precoce, anche per l'alimentazione.

Ne deriva un cospicuo effetto di sentieramento, calpestameno e spargimento di deiezioni
in un'area di massima tutela (R1), dove è proibito il pascolo di qualsiasi specie animale
sia per la presenza del terreno allagato o impregnato di acqua che dei nidi.

Il fatto che il cervo sia selvatico (ma nelle condizioni della Riserva del pian di Spagna ciò è opinabile,
configurandosi più una forma di semi-allevamento), non toglie che la sua presenza,
sempre più ingombrante disturbi l'avifauna nidificante e provochi degli impatti.

Fondamentale per la Riserva dovrebbe essere la tutela degli habitat di svernamento
e riproduzione del Tarabuso (Botaurus stellaris) e della Moretta tabaccata (Aythya nyroca),
oltre che di altre specie di uccelli che trovano nei canneti un luogo adatto alla nidificazione.

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Difficile sostenere che i cervi non disturbino l'avifauna


Provocando danni significativi all'attività zootecnica, non solo per perdita di foraggio ma
- come vedremo oltre - per trasmissione orizzontale di patologie che danneggiano la produzione
e la riproduzione e compromettendone quindi la sostenibilità economica,
l'abnorme presenza di cervi potrebbe anche danneggiare i valori ambientali della riserva
a seguito di una riduzione/cessazione delle attività agrozootecniche.

Va infatti precisato che, tra gli habitat prioritari del SIC/ZPS, inseriti nell’Allegato I della Direttiva 92/43/CEE,
vi sono: 6410 = Praterie con Molinia su terreni calcarei, torbosi o argilloso-limosi (Molinion caerulae)
e 6510: Praterie magre da fieno a bassa altitudine (Alopecurus pratensis-Sanguisorba officinalis).

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Re di quaglie
Crex crex
Ordine
Gruiformes
Famiglia
rallidae
Africa meridionale. Eurasia. Vulnerabile a livello globale
Specie oggi poco conosciuta, eppure strettamente dipendente da un ambiente costruito dall’uomo, quello dei prati-pascoli da cui si ricava il fieno per il bestiame

Nelle praterie da fieno, regolarmente sfalciate e concimate, trova il suo habitat il Re di quaglie (Crex crex),
esponente dell'avifauna alpina, in grave declino come la Coturnice, la Pernice bianca,
il Francolino di Monte.

Il Re di quaglie frequenta i fondovalle e i prati regolarmente utilizzati dei versanti.
Con l'abbandono della fascia intermedia della montagna e l'avanzata del bosco
il suo habitat si è fortemente ristretto.

La demagogia ambientalista evita di fare riferimento alle condizioni della tipica avifauna alpina
perché essa soffre per la riduzione delle attività pastorali.
La sua situazione contraddice il fondamentalismo ambientalista che imputa al "disturbo antropico"
la causa di ogni male, che vede nella rinaturalizzazione, nel rewinding la soluzione per i problemi planetari,
previa estensione a buona parte del globo delle aree protette dove ripristinare la mitica "natura incontaminata"
e scacciare gli esseri umani (considerati in numero eccessivo).


Tutto ciò non ha nulla a che fare con l'ecologia,
come dimostra l'opposizione feroce opposta dal WWF al piano di controllo del cervo
nel Parco dello Stelvio, anche di fronte all'evidenza della grave degenerazione della popolazione
e al venir meno del rinnovamento naturale dei boschi.

I verdi vorrebbero, ancora oggi, limitare il prelievo venatorio degli ungulati alpini
quando cervi e camosci sono in aumento esponenziale.

Il cervo ha conquistato il versante orobico valtellinese e, sulla sponda retica,
produce danni enormi ai vigneti, il camoscio in Valtellina scende nella fascia dei boschi
e forma branchi di grosse dimensioni.

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Foto Carlo Borlenghi, si ringrazia per la concessione


La tipica avifauna alpina, invece, si sta estinguendo sulle Alpi lombarde
e gli ambientalisti non fanno nulla in concreto per chiudere la caccia.

Perché tutto ciò?

Perché il WWF vive di demagogia ed è una formidabile macchina da soldi su scala mondiale.

Bambi, ormai irrimediabilmente confuso da generazioni con quello di Walt Disney
(ma vale anche per l'orso Yoghi), strappa le lacrime, colpisce l'emotività,
fa scattare le firme degli appelli alle istituzioni, fa aprire il protafoglio.

Il pubblico degli ambientalisti da salotto, da Greta, non sa neanche cos'è la Pernice bianca, il Re di quaglie.

Gli uccelli sono troppo diversi da noi mammiferi per mandarci segnali etologici
tali da suscitare istinti parentali o generica empatia.

Siamo programmati per commuoverci davanti agli occhioni di Bambi. Ed è giusto così.

Ma la gestione delle aree protette (come del territorio aperto alla caccia)
dovrebbe tenere conto di altre considerazioni.

La distorta e superficiale cultura naturalistica dovrebbe essere corretta e disincentivata,
invece viene incoraggiata dalle istituzioni che finiscono per compiere scelte
(più spesso per restare inerti) per "paura degli ambientalisti".

Vale per i politici, i tecnici e gli amministratori della Riserva e degli Enti che dovrebbero intervenire.

Chiariamo poi che gli "ambientalisti", a livello locale, hanno una presenza insignificante
se confrontata a quella delle città e che i rappresentanti sono persone miti.

La "paura" riguarda perciò non una componente sociale reale,
ma l'anatema lanciato dalle organizzazioni a livello regionale e nazionale
senza precisa cognizione delle specifiche realtà.

Per partito preso, per demagogia.

Come può questo giustificare la mancata adozione, sino ad oggi, di un piano di controllo del cervo?

Tecnici e politici (non importa se i secondi delegano a occhi chiusi ai primi)
ne portano tutta la responsabilità.
 
Una crescita dei cervi incompatibile

Oggi si stimano "oltre 200 cervi".
Gli allevatori ne hanno contati 275, ma sono in arrivo i nuovi cerbiatti che nascono a maggio.

La crescita della "colonia" di cervi della Riserva è stata impressionante.
Dieci anni fa erano 10-15.

Erano capi che scendevano dalle montagne circostanti in tempo di caccia.
In epoche in cui la fauna selvatica era in declino, o in faticosa ripresa
(i cervidi sulle Alpi lombarde sono tornati spontaneamente a differenza dell'Appennino e delle Alpi occidentali),
chiudere alla caccia tutte le aree protette e farne aree di rifugio e irradiamento poteva essere sensato.

Da decenni, ormai, non è più così e il divieto di caccia generalizzato nelle aree protette
ha portato alla proliferazione dei cinghiali e di altre specie, determinando squilibri e impatti inaccettabili.

Vale così anche per i cervo quando si rinuncia a gestirlo.

Gradualmente i cervi del Pian di Spagna hanno iniziato a non risalire più ai quartieri estivi.
Qui, nel Pian di Spagna, c'è tutto: l'acqua sempre presente (molto apprezzata dal cervo),
il ricaccio dei prati (coltivati) a marzo.
La dieta dei cervi della riserva è basata largamente sull'erba di prato stabile.
Del resto questo è perfettamente confacente con le esigenze di una specie di grande ruminante
dal comportamento alimentare molto simile a quello dei bovini che, in primavera e in estate,
consuma normalmente oltre il 70% di erba.


Per sfamarsi i cervi consumano circa il 10% della produzione dei prati
(ma c'è anche l'effetto del calpestamento e dell'imbrattamento).

Il danno, però, non si distribuisce uniformemente nel territorio della Riserva.
Buona parte del carico animale insiste sui settori di Nord-Ovest (Poncetta) per due evidenti motivi:
qui (vedi la mappa sopra) sono concentrate le aree a vegetazione palustre
e l'accesso all'acqua e qui i cervi sono "confinati" dalla recinzione temporanea elettrificata,
in fregio alla "direttissima" tra la rotonda di Nuova Olonio e il Ponte del Passo.

Vero che i cervi continuano ad attraversare la strada (ponendo seri problemi di sicurezza per gli automobilisti),
ma è anche vero che il "muro" riesce comunque a limitarne la presenza a Sud della strada.

La zona della sponda del Lago di Mezzola, per via della presenza degli uccelli e del valore naturalistico,
è anche la più sorvegliata (anche da telecamere collocate sul Sasso di Dascio).
Di conseguenza il grosso del carico si concentra su 100-150 ha (1 cervo/ha).
Anche se si tiene conto di tutta la superficie a prati, a canneti e a "bosco" (804 ha),
la densità dei cervi risulterebbe di 34 cervi/100 ha.

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Semi-allevamento

Il cervo è animale oggetto di allevamento zootecnico, anche intensivo
(tanto da essere alimentato con silomais come i bovini) in varie parti del mondo
ed è quindi considerato semi-domestico, se non domestico tout court.

Del resto esso, nella preistoria, è stato forse oggetto di tentativi di domesticazione,
poi abbandonati in quanto capre e pecore erano molto più convenienti.
Carri trainati da cervi sono frequenti in varie mitologie e, anche nella realtà,
non sono mancati personaggi eccentrici che viaggiavano su carrozze trainate da cervi.
Il cervo è una di quelle specie che ci consentono di comprendere che la domesticità
o la selvaticità non sono caratteri intrinseci e immutabili.

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La densità biologica massima per i cervi è considerata pari a 10 capi per 100/ha (0,1 cervi/ha)
ma quelle che vanno osservate ai fini gestionali sono le DAF (densità agroforestali)
che risultano sempre più basse di quelle biologiche.

Queste ultime indicano la densità massima compatibile con la salute e il benessere della popolazione
in un ambiente naturale mentre le DAF indicano le densità massime per evitare
che il danno agroforestale diventi insostenibile, nel caso di un bosco che
venga impedita la rinnovazione naturale.

Nel Pian di Spagna i cervi sono mantenuti a spese delle aziende zootecniche,
ovvero di una sistematica perdita di prodotto agricolo del valore di diverse decine di migliaia di euro.

Non siamo di fronte a un "danno", che è qualcosa di difficilmente prevedibile,
ma a una sistematica sottrazione di prodotto agricolo che consente di mantenere
un branco di cervi in condizioni di semi-allevamento.

Una situazione che appare palesemente lesiva dei diritti di proprietà e della libertà di impresa
e che, nel contesto di una Riserva, mette a carico degli amministratori evidenti responsabilità
per le omissioni che l'hanno determinata.

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Un semi-allevamento a fini naturalistici?

No perché la densità non è naturale e perché essa provoca danno e disturbo
alla nidificazione dell'avifauna che la Riserva dovrebbe prioritariamente tutelare.
Un semi-allevamento che differisce da un allevamento vero e proprio solo perché
chi alimenta il cervo non ne può utilizzare il prodotto (la carne) e perché i cervi
della Riserva non sono registrati nel registro della fauna selvatica allevata
e, ovviamente, non portano la marca auricolare dell'anagrafe zootecnica.

E allora?

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Allora si deve concludere che la presenza dei cervi nella Riserva ha finalità estetiche,
ornamentali, promozionali. Estranee o comunque marginali e incongrue rispetto alle finalità istituzionali.

Come dimostra l'attenzione per la cerva albina Biancaneve (sopra) divenuta una vera attrazione.
Solo che in quel tipo di Parchi (privati) alla Zoo-safari, per ammirare e fotografare gli animali "selvatici"
si paga il biglietto e con questo il proprietario o conduttore copre le spese di gestione.

Nella Riserva del Pian di Spagna lo spettacolo lo pagano gli allevatori.
Qualcuno potrebbe pensare che, dopo tutto, la Riserva indennizzerà per i danni subiti dalle aziende agricole.

Purtroppo ciò avviene in misura minima.
Innanzitutto, nella storia della Riserva, i risarcimenti per i danni provocati dalla fauna
sono stati liquidati a fase alterne, con una lunga interruzione nel passaggio delle ultime gestioni
(passaggi di presidenti e direttori).

Non pochi proprietari dei fondi oggi rinunciano a perdere tempo con le richieste di risarcimento,
chi lo fa si è visto corrispondere importi ridotti rispetto a quelli emersi in sede di valutazione danni
e che escludono a priori il danno al prato stabile che è quello più rilevante.

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I danni sono riconosciuti per gli erbai (mais, loiessa, triticale) e per il mais da granella o le patate,
ma non per il prato stabile che rappresenta la stragrande maggioranza dei danni.

Motivo?

Sulla carta la difficoltà di stima, dovuta ai fattori di variabilità della produttività e dell'asportazione.

Che ci sia variabilità è ovvio: ci sono zone meno interessate alla presenza dei cervi,
ma che nei casi peggiori ci sia un danno significativo è altrettanto incontestabile.
Chiaro che è più facile stimare il danno di un campicello di mais o di un erbaio vernino.

In questi casi se i cervi entrano (in autunno quando altre risorse vengono meno
la fame spinge a forzare le recinzioni, anche se i fili sono elettrificati, e a far man bassa).

Le osservazioni sul conflitto intorno alla presenza dei cervi confermano quanto noto più in generale:

Le principali cause del conflitto sembrerebbero attribuibili soprattutto alla scarsa trasparenza
nelle procedure di risarcimento/indennizzo dei danni, all’eccessiva soggettività nella loro valutazione,
alla scarsa applicazione di misure di prevenzione e alla scarsa efficienza delle misure di controllo
della fauna selvatica.(5)


La Riserva, in definitiva, non riconosce i danni al prato stabile semplicemente
perché dovrebbe corrispondere troppi soldi.

Sarebbe interessante sapere, però, quanto è stato corrisposto dalle origini della riserva ad oggi
a professionisti e consulenti.

Ma alla fine non è quest'ultimo il vero scopo di queste "istituzioni ambientali"?

Il bello è che i miglioramenti ambientali sostanziali li realizzano gli agricoltori quando
- con tutti i limiti del caso, ovvero rispettando criteri stagionali e di rotazione -
praticano il taglio dei cariceti, con vantaggio degli stessi uccelli,
che non necessitano solo di un canneto fitto, ma anche con finalità di prevenzione
dell'interramento delle superfici umide e quindi del graduale restringimento dell'area dei canneti
(e degli stessi specchi d'acqua).

Curiosi personaggi questi naturalisti che deprecano il "disturbo antropico"
(come se loro fossero puri spiriti), quel "disturbo" che impedisce l'evoluzione naturale,
con il ritorno alla copertura boschiva, l'interramento delle paludi,
salvo poi dichiarare preziosi per la biodiversità e quindi da tutelare gli habitat che,
senza l'esercizio dell'agricoltura, scomparirebbero.


Non solo perdita di foraggio

Al di là dei danni che non vengono indennizzati (ma che potrebberlo esserlo),
le aziende del Pian di Spagna subiscono anche altre conseguenze.
La Riserva fornisce in comodato d'uso gratuito i paletti di plastica,
il filo elettrico e le batterie ma le ore di lavoro per stendere le recinzioni (chilometri) chi le paga?

E chi paga le ore necessarie per tagliare, ogni quindici giorni, l'erba per impedire che,
a contatto con l'acqua di rugiada, il filo più basso scarichi la batteria?

Per non contare la difficoltà di manovra con i mezzi agricoli nell'immettersi nella "direttissima".

Non è finita: per poter produrre formaggi dop, o con il marchio della montagna,
la latteria sociale Valtellina, alla quale viene conferito il latte della zona,
richiede agli allevatori l'utilizzo del 60% del foraggio locale nella razione delle lattifere.

Questo per quanto riguarda la filiera zootecnica.

Gli agricoltori poi parlano di patate seminate troppo presto per evitare la devastazione da parte dei cervi ,
di fieno "rubato" direttamente in azienda, di spighe di mais appese alle lobbie "pasturate" dai cervi,
di balle di fienosilo ("fasciato") lacerate, di una sfacciata invadenza dei cervi che,
da generazioni ormai, vivono nella piena intoccabilità della Riserva.

Il foraggio imbrattato dalle feci, abbondantemente rilasciate sui prati,
risulta poi poco gradito al bestiame ma, soprattutto, pone forti preoccupazioni
sulla biosicurezza del suo consumo.

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Forse, il danno più grave provocato dai cervi alle aziende zootecniche del Pian di Spagna,
è proprio quello legato alle conseguenze di patologie trasmesse attraverso il foraggio,
contaminato con gli escrementi dei cervidi, ma, probabilmente, anche attraverso altre vie più dirette,
legate alla presenza dei cervi sin all'interno delle pertinenze delle aziende.

Diversi allevatori, interrogati in proposito, denunciano la presenza di un tasso anomalo di abortività e,
almeno in un caso, è stata accertata un'elevata positività nella mandria a Neospora caninum
(i controlli atti a verificare la presenza del dna del protozoo nel sangue delle bovine
sono stati effettuati da un'azienda, di propria iniziativa e a proprie spese).

Vero è che la trasmissione potrebbe risultare verticale (da vacca a vitella)
ma è accertato che gli erbivori si infettano per ingestione degli oociti del parassita al pascolo
o ingerendo alimenti contaminati (6).

Considerato che le popolazioni italiane di cervi rappresentano un serbatoio con elevate positività (7)
e che la situazione del Pian di Spagna presenta al massimo le condizioni per il contagio orizzontale,
verrebbero da considerare fondate le preoccupazioni degli allevatori e da ritenere che sarebbe opportuno
disporre da parte dell'ATS (di propria iniziativa o sollecitata a ciò da parte della Riserva),
l'adozione di misure di biosicurezza.

Mi pare di poter condividere la preoccupazione degli allevatori anche rispetto ad altre patologie
oltre alla Neospora. Innanzitutto per la tubercolosi, per la quale è possibile la trasmissione oro-fecale
da cervo a bovino, e per la quale ci sono indicazioni di positività nella popolazione delle nostre montagne,
ma anche per la paratubercolosi (agente Mycobaterium avium subs. paratuberculosis),
per la quale si riscontrano alta positività nelle popolazioni di cervi,
e che viene trasmessa da feci infette che contaminano acqua, alimenti,
ambiente con il fattore alta densità dei raggruppamenti che tende ad aggravare i rischi.

Non è trascurabile neppure il rischio di verminosi dal momento che è stata accertata
la trasmissione da cervi a bovini per via di larve nel pascolo (o sul foraggio)
di nematodi resistenti agli antielmintici.

La normativa vigente (L.R. 26 del 1993, più volte modificata, prevede all'art.42 (ex 19) comma 2., che:

La Regione e la provincia di Sondrio per il relativo territorio, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico,
per la tutela del suolo, per motivi sanitari, per la selezione biologica, per la tutela del patrimonio storico-artistico,
per la tutela delle produzioni zoo - agro-forestali ed ittiche, provvedono al controllo delle specie di fauna selvatica o inselvatichita anche nelle zone vietate alla caccia.

Fatto salvo il principio che, ai fini dell'ottenimento dell'autorizzazione del Piano di controllo numerico da parte dell'ISPRA,
è necessario dimostrare che le azione di prevenzione o deterrenza (metodi ecologici) non siano risultate efficaci a risolvere i problemi determinati dagli squilibri:

La Regione e la provincia di Sondrio per il relativo territorio, per comprovate ragioni di protezione dei fondi coltivati e degli allevamenti,
possono autorizzare, su proposta delle organizzazioni professionali e agricole maggiormente rappresentative a livello regionale,
tramite le loro strutture provinciali, piani di abbattimento delle forme domestiche di specie selvatiche e delle forme inselvatichite di specie domestiche
attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle province stesse con la collaborazione dei proprietari o conduttori dei fondi
sui quali si attuano i piani medesimi e da operatori espressamente autorizzati dagli stessi enti, selezionati attraverso specifici corsi di preparazione alla gestione faunistica (comma 5).

E qui vengono le dolenti note perché:
1) le provincie hanno poche guardie,
2) i sele-controllori (i cacciatori esperti "selezionati"), sono stati messi in stand-by a seguito delle iniziative ambientaliste
(ricorso contro leggi di altre regioni) che hanno provocato una pronuncia in merito della Corte costituzionale
che tenderebbe a sancire l'incostituzionalità dell'impiego dei sele-controllori.

Inutile sottolineare l'irresponsabilità di chi, per puro furore ideologico anticaccia, mette - con l'appoggio della magistratura -
i bastoni tra le ruote alle, di per sé non facili, iniziative di contenimento della proliferazione della fauna problematica e nociva.

Ma questo è l'ambientalismo con il quale abbiamo a che fare: un ambientalismo che auspica l'ulteriore abbandono del territorio, da riconsegnare alla "natura selvaggia".

In presenza di un Piano di controllo autorizzato, per il quale vi sono tutti i presupposti di autorizzazione
(i censimenti sono già stati eseguiti e non è difficile aggiornarli), si otterrebbe, anche con abbattimenti limitati,
una migliore dispersione dei cervi all'interno come all'esterno della Riserva.
Le azioni ripetute di controllo selettivo su un ridotto numero di capi indurrebbero il branco a suddividersi,
a migrare all'esterno della Riserva, a riprendere lo spostamento stagionale verso i quartieri estivi.
Se l'iniziativa non parte dalla Riserva o dalle Provincie, sono le stesse OOPPAA che possono, come recita il comma di legge citato, proporre un Piano di controllo.

Protestare genericamente e scrivere lettere, invece, non serve a nulla.

Bisogna metterci la faccia, mettere gli enti competenti di fronte a una precisa sollecitazione che, oltretutto,
di fronte alla lobby ambientalista, da loro la possibilità di scaricare sulla parte agricola la responsabilità dell'iniziativa.
 
Report ????? Ahahahahah

Non ho particolare simpatia o antipatia per questo politico.
A pelle sembrerebbe una brava persona, comunque...Non voto nemmeno il suo partito.
Ma mi chiedo se si possa andare avanti così...

STIAMO INDAGANDO PER L'ACQUISTO DI UN CONDOMINIO....

E allora? Possono indagare su chiunque, anche inseguendo bufale.

Anzi lo fanno..... Domani ci diranno che INFORMAZIONI CONFIDENZIALI CI PORTANO A TRAFFICI INTERNAZIONALI DI CUI NON POSSIAMO PARLARE.... epperò...

Poi seguirà al solito qualcosa che riconduca al Messina Denaro suppongo.

Indagini dei RIS ROS RAS hanno appurato che fuma le stesse sigarette del Capo dei Capi...
La cosa avrà certo un significato, ovvio... Possono andare avanti PER ANNI.

Berlusconi - certo obiettivo assai più grosso - l'hanno messo sotto decine e decine di volte (quasi un centinaio o mi sbaglio?)

Si può fare, evidentemente...
 
Dei "poveri di contenuto neuronico" ho già scritto .......
Povero Porro.

È incredibile come le questioni ambientali possano “scaldare” gli animi.
Nei giorni scorsi ho scritto un articolo, se volete neanche troppo originale, sui conti della Tesla.

La società automobilistica americana che da anni brucia cassa e che nell’ultimo trimestre non solo ha venduto un terzo delle auto previste,
ma ha fatto anche segnare un rosso da 700 milioni, con dieci miliardi di debiti accumulati.
Roba che sanno più o meno tutti gli analisti del settore automotive.

Ho ricevuto, molte critiche, un sito di quelli verdi mi ha detto che ho scritto cose false (quali?),
molti lettori che possono sborsare almeno 40 mila euro si sono indignati per il presunto “fascismo” retrogrado
di non capire che Tesla sarebbe come Amazon, e questo deficiente qua sotto mi augura la morte.

Leggete il commento di Emanule Morsucci, che sull’altare della prossima fine del mondo si augura intanto una rapida fine della mia di vita.
Si tratta chiaramente di un cretino, non vale neanche la pena denunciarlo.


Leggete il suo post.

Emanuele Morsucci
[email protected]
80.117.12.182 Spero di non incappare più in un articolo del genere e di non capitare più su questo sito,perché non meritate un centesimo.
Spero che i “giornalisti” della sua pasta muoiano con le loro idee sigillate nella tomba, lei compreso.
Siete persone difettose e dannose per l’ambiente e per gli altri. Meritereste la galera per andare contro il buon senso.

Mi limito con un semplice vergognatevi!
Questo minus habens e i suoi simili (l’altro giorno mi hanno fatto un agguato radiofonico a Radio Radio
o come diavolo si chiama la radio di questo Fabio Duranti, e il giorno dopo sono stato sommerso da suoi ex dipendenti
che lamentavano l’ipocrisia del loro ex editore tanto green, quanto poco rispettoso dei loro diritti del lavoro)
sono come i talebani o i fondamentalisti islamici: non vogliono discutere, il loro avversario è il nemico e lo vogliono morto.

Dovrebbero invece esserci riconoscenti.

Siamo noi, siete voi che pagate le loro costose auto elettriche.

Leggetevi il pezzo di Telese su questo sito in cui spiega come il malus sul diesel sia una tassa sui poveri.

Siamo noi, siete voi, che paghiamo un assurda tassa del 22% medio delle nostre bollette elettriche
per incentivare ricchi signori che hanno istallato costosissimi e inefficienti pannelli solari e che godono di conti energia miliardari.


Ma di questo, in modo acceso, non si può parlare.
Dobbiamo morire, come ci consiglia Morsucci.
Vorrei vedere la faccia di questo sincero ambientalista.
 
C'è chi si riempe la bocca di parole....libertà, democrazia,
ma arrivano dal pulpito sbagliato.
Carla Nespolo è stata insegnante e parlamentare del Partito Comunista Italiano
Il giorno 3 novembre 2017, dopo esserne stata a lungo vice-presidente, è stata eletta Presidente nazionale dell'associazione anpi,
primo presidente eletto a questa carica a non aver fatto il partigiano e prima donna.
Che pena. Ahahah insorgono pure loro.

Dopo le dimissioni di Christian Raimo che aveva denunciato e criticato la presenza dello stand
della casa editrice vicina a Casapound, continuano le polemiche sul Salone del libro, diventato ora un caso politico.

E, mentre il direttore Nicola Lagioia assicura che non ci sono incontri in cui si parla di fascismo, i partigiani (CHI ???) disertano il Salone torinese per protesta.

La presidente nazionale dell'Anpi, Carla Nespolo, ha infatti annullato la sua partecipazione per
"l'intollerabile presenza al Salone della casa editrice Altaforte che pubblica volumi elogiativi del fascismo
oltreché la rivista Primato nazionale, vicina a CasaPound e denigratrice della Resistenza e dell'Anpi stessa".

Stessa decisione presa anche dal fumettista Zerocalcare:
"Mi è davvero impossibile pensare di rimanere 3 giorni seduto a pochi metri dai sodali di chi ha accoltellato i miei fratelli,
incrociarli ogni volta che vado a pisciare facendo finta che sia tutto normale", ha confermato su Facebook,
"Non faccio jihad, non traccio linee di buoni o cattivi tra chi va e chi non va, sono questioni complesse
che non si esauriscono in una scelta sotto i riflettori del Salone del libro e su cui spero continueremo a misurarci perché la partita non si chiude così.
Sono contento anche che altri che andranno proveranno coi mezzi loro a non normalizzare quella presenza, spero che avremo modo di parlare anche di quello".

Eppure anche a sinistra qualcuno fa notare che non si può impedire a nessun editore di partecipare alla manifestazione pagando lo spazio espositivo.

"Al di là dei miei giudizi personali, cioè che non gradisco la presenza di quella casa editrice al Salone del Libro, altro conto è impedirle di esercitare un suo diritto",
spiega pure il governatore del Piemonte, Sergio Chiamparino, a PoliticaPresse,
"Le manifestazioni che possono ricordare l'apologia del fascismo non sono poche così come quelle che facciano pensare che si stia lavorando per ricostituire il partito fascista.
Sarebbe semmai il caso che le autorità preposte si pronunciassero, e questo potrebbe avere ripercussioni anche sulla vicenda del Salone.
Il libro, per definizione, deve segnalare la massima apertura. Nulla vieta che si possano esprimere giudizi.
Ma credo non ci sia nulla di peggio che utilizzare argomenti amministrativi per impedire la presenza di una casa editrice, per quanto la stessa sia discutibile".

Insorgono anche tre consiglieri torinesi del Movimento 5 Stelle, che chiedono di cacciare la casa editrice dal Salone:
"La nostra città, medaglia d'oro al valor militare per la Resistenza", sottolineano Damiano Carretto, Maura Paoli e Daniela Albano,
"Non può e non deve accettare che vengano diffusi messaggi di chiaro stampo fascista all'interno del più importante evento culturale cittadino.
Non riteniamo che venga leso alcun diritto costituzionale nel voler sancire in modo chiaro e netto che chi si adopera per diffondere ideali
che non dovrebbero più trovare spazio nel nostro Paese, non può trovare spazio in un evento della Città di Torino".
 
"Altro che libertà d'espressione, l'antifascismo è il vero male".

Francesco Polacchi, numero uno della casa editrice AltaForte accusata di essere troppo vicina a Casapound
e per questo al centro delle polemiche sul Salone del Libro di Torino, commenta così chi chiede a gran voce l'esclusione dello stand dalla manifestazione.

"Quanto sta avvenendo è allucinante, noi abbiamo solo intervistato il ministro dell'Interno", dice l'editore all'agenzia Adnkronos
, "A leggere certi commenti sulla libertà di espressione mi viene da ridere.
Ora c'è chi si ritira dal Salone: a sinistra, quando qualcuno viene da un altro contesto culturale, dicono 'mi ritiro sull'Aventino'...
È gravissimo quello che ha fatto la sinistra negli anni: l'occupazione di ogni tipo di spazio pubblico possibile,
dalla scuola alla magistratura, all'informazione. L'egemonia di gramsciana memoria, un retroterra culturale che è ancora proprio della sinistra di oggi:
hanno paura di perdere terreno nei confronti del populismo e così cercano di tenere gli altri ai margini".

Polacchi considera poi lo scrittore Christian Raimo - primo a "denunciare" la presenza della casa editrice di destra al Salone - "il mandante morale di ciò che potrebbe accadere a Torino".

"C'è il rischio di essere attaccati dai centri sociali", spiega l'editore, "Si prevede un contesto burrascoso.
Io non indietreggio ma con questo clima di caccia alle streghe temo ci siano rischi per la sicurezza e l'ordine pubblico".
"Ci hanno scritto che dobbiamo morire a testa in giù, che ci stermineranno", aveva già rivelato al Corriere,
"Abbiamo ricevuto e-mail con minacce di tirare le molotov dentro le librerie. Si è trattato di un vero furore mediatico. E poi i violenti siamo noi?".
 

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