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L'hai fatta fuori dal buco ? ....ora, pulisci. Ahahahah

Dietro il clamoroso risultato del «Nuovo Fronte Popolare»
che porta all'Assemblea Nazionale ai 181 deputati e s'impone come prima formazione
si celano i circa settanta seggi «marci» conquistati dagli uomini di Melenchon.

In questo pallottoliere i 166 seggi dei macroniani uniti al centinaio di voti del «Nuovo Fronte Popolare»
ripuliti dagli impresentabili di Melenchon non basterebbero a raggiungere la maggioranza assoluta.

Il tutto in un'Assemblea dove la France Insoumise a sinistra
e il Rn a destra saranno garanzia d'opposizione spietata.

Per non parlare dell'enigmatica posizione di un Mélenchon
che da una parte reclama la guida del governo
e dall'altra promette una guerra a tutto campo a Macron.

«È sconfitto ora basta scuse. Siamo pronti a governare
i francesi hanno votato secondo coscienza e abbiamo vinto».


Ora però il problema non è l'aritmetica, ma la politica.

Dal punto di vista istituzionale Macron è costretto ad affidare al «Nuovo Fronte Popolare» la formazione del nuovo governo.

Il problema è però chi sia veramente il leader di quella formazione.
E soprattutto quale sia la vera natura dell'alleanza che ha coagulato i voti della sinistra francese.
 
Dietro l'immagine moderna e rassicurante dell'intellettuale socialista Raphael Glucksmann, leader di facciata di Nfp,
si nascondono le posizioni filo-Hamas e tendenzialmente antisemite di Melenchon e dei suoi.

Una pattuglia dell'estremismo di sinistra con cui Macron ripete di non poter convivere.

«Melenchon non può fare il primo ministro»,
ha ripetuto ieri sera il ministro degli esteri in carica Stephane Sejourné, fedelissimo del Presidente.

E lo stesso Glucksmann avrebbe, probabilmente, seri problemi a concordare un programma comune con l'alleato.

«L'assemblea è divisa, comportiamoci da adulti», ha detto ieri sera il leader socialista.

Dunque all'Eliseo ci si prepara a settimane di negoziati
il cui obbiettivo è una coalizione di unità nazionale
capace di far convivere i socialisti di Glucksmann,
i Repubblicani su posizioni tradizionalmente golliste
e i deputati di Ensemble fedeli al presidente.


L'eccezionale ritiro di oltre 200 candidati macroniani e di sinistra
che rischiavano di neutralizzarsi a vicenda, ha fermato il Rassemblement National.
 
Vorrei conoscere gli autori della direttiva Ue 904 del 2019,
che ha imposto dal 2024 i tethered cap per i contenitori in plastica monouso inferiori ai tre litri.

Non si tratta di berretti legati, bensì di tappi.

Codesti euroscemi non sanno che nessuno costringe alla solitudine il tappo,
essendo fondamentale, dopo aver schiacciato il polietilene tereftalato,
per la meno ingombrante possibile raccolta differenziata.

I lettori più disturbati dal tappo inchiavardato alla bottiglietta di acqua minerale o di altri liquidi diranno:
fai questa richiesta perché, dopo averli legati come i tappi, li vuoi sbattere al muro;
ebbene, aggiungi altri sacrosanti spintoni, cazzotti e calci a nome nostro.

Rispondo di “no”, io non sono violento:
non sono di sinistra e nemmeno filopalestinese.

E il medico mi raccomanda: più pepe che Salis.

Tanto meno mi associo alla ra-Gaza nazicomunista, ben accolta dal Partito democratico, che ha proclamato:

“Odio tutti gli ebrei, odio tutti gli israeliani, dal primo all’ultimo, odio tutti quelli che li difendono,
tutti tutti, tutti i giornalisti, tutti i politici, tutti i paraculi. Vi odio perché mi avete rovinato la vita, la fiducia, la speranza…
Spero di vederli tutti impiccati! Giuro che sarò la prima della fila a sputargli addosso!”.

Meritandosi l’anonimato della svergognata, cancello nome e cognome della ra-Gaza sputacchiona.
 
A parte il delirio,
la mia mancata associazione all’assassina seriale a colpi di scatarri
scaturisce anche dall’analfabetismo di ritorno evidenziato da “sputargli addosso”
in luogo di “sputar loro addosso”.

Altri lettori, allora, obietteranno:

dovevi aggiungere che non sei neanche fascista,
visto che si programmano tante trasmissioni televisive sull’allarme melonian-squadrista.

No, non sono nero e pur da coetaneo di Joe Biden,
neppure la prima vicepresidente nera degli Stati Uniti.

Non ho difficoltà a tirarmi fuori dal manganello fascista
ma, diversamente dagli aspiranti storici alla Aldo Cazzullo,
non ignoro che il marxista Georges Sorel (confronta Riflessioni sulla violenza),
teorico del bastone, del pugnale, del revolver contro il capitalismo e contro i borghesi,
ispirò Antonio Gramsci, Benito Mussolini rosso, Giacinto Menotti Serrati
e anche anarchici, socialisti massimalisti, anarcosindacalisti e quanti altri bulli, maneschi internazionalisti.

La “settimana rossa”, nel giugno del 1914, realizza i cattivi pensieri del cattivo maestro Sorel:

i sovversivi sparano, picchiano, sequestrano, vandalizzano, incendiano chiese, distruggono sedi istituzionali,
bloccano ferrovie, danneggiano canali di comunicazioni, impediscono la distribuzione dei giornali.
Non sono capaci di fare la rivoluzione, ma si dimostrano provetti nello sfascio.
 
L’anarchico Errico Malatesta scrive (vedi Volontà, 12 giugno 1914):

“La Romagna è in fiamme… da Terni ad Ancona il popolo è padrone della situazione…
A Roma il Quirinale è sfuggito, per ora, all’invasione della massa insorta, ma è sempre minacciato.
A Parma, a Milano, a Torino, a Firenze, a Napoli agitazioni e conflitti”.

Le violenze del 1914 si ripetono per anni, sino alla follia di esercitarle contro i reduci della Grande guerra,
gli unici veri e disgraziati proletari, in gran parte contadini morti di fame,
chiamati a combattere per una Patria ingenerosa.

Nel cosiddetto Biennio rosso (1919-1920) ci furono tumulti, saccheggi, spese proletarie,
occupazione di terreni, aziende distrutte, scioperi, ferimenti, omicidi, attentati, bastonature di “padroni” e di “crumiri.

Tutto culminato, nel settembre del 1920, in nome dell’autogestione,
con l’occupazione delle grandi fabbriche del Nord.

L’autogestione, più che una utopia, è una corbelleria comiziesca.

E, infatti, finisce nel nulla come tutte le fregnacce.
 
Vogliono fare come in Russia, inneggiano al bolscevismo e a Lenin,
cioè al terrore e ai lavori forzati come forma progressista di Governo.

Intanto, resi psicotici dall’ideologia, sfasciano l’Italia e preparano la loro disfatta sociale, morale e politica.

Nel 1921, voluto e finanziato dal Cremlino, nasce il Partito comunista d’Italia,
che teorizza ogni sorta di violenza per l’avvento della dittatura.

Lenin, capo di un partitino, tipo Brigate rosse, non sopporta i grandi partiti socialisti di massa
come Spd, Psf, Psi, dove si annidano i riformisti.

Perciò fomenta le scissioni (vedi Giancarlo Lehner con Francesco Bigazzi, Lenin, Stalin, Togliatti.
La dissoluzione del socialismo italiano
, Milano, Mondadori 2014
).

Nel programma del Pcd’I sta scritto:

“Il proletariato non può organizzarsi in classe dominante che con la distruzione dell’apparato statale borghese
e con la instaurazione dello Stato basato sulla sola classe produttiva ed escludendo da ogni diritto politico la classe borghese”.

Oggi, Elly Schlein direbbe: non furono per nulla inclusivi.

Non è un caso che il fascismo veda la luce nel 1919
- in pieno violentissimo, caotico, sfascista Biennio rosso –
come reazione, in primo luogo, agli sputi, agli insulti e alle aggressioni contro i fanti contadini.

Appena usciti dalla trincea, trovano non i ringraziamenti,
ma il pugno chiuso e le botte degli squadristi rossi: pacifisti col manganello.
 
Il fascismo, invero, scaturisce dal socialismo più intransigente,
dalla sinistra anarcoide, dall’antigiolittismo, dall’illiberalità,
dall’antiparlamentarismo, dal grillismo di allora.

E dalla ottusità di quanti, sognando la marcia verso Mosca,
finirono per preparare il terreno alla marcia su Roma.

I “fratelli in camicia nera”, poco originali, si limiteranno a cassare la “s” allo sfascismo rosso
e ad aggiungere al manganello, già social-comunista, damigiane di olio di ricino.

Col senno di poi, lo stesso Gramsci e, in ispecie, Angelo Tasca
ammisero che l’avvento del fascismo fu il frutto conseguente
degli errori e degli orrori del movimento operaio e dei rivoluzionari parolai.


Insomma, da cosa nasce cosa: da falce e martello scaturisce il fascio littorio,
così come dagli eurobischeri proviene il berretto, pardon, il tappo congiunto.
 
Ecco i dati ufficiali :

1720427731346.png
 
Alla luce di questi risultati
è impossibile decretare un vincitore delle elezioni Francia 2024:
nessuna coalizione ha ottenuto la maggioranza,
mentre è da escludere ogni possibile accordo tra la sinistra e Macron.

Quello che potrà accadere nei prossimi giorni al momento è un’autentica sciarada,
con il primo ministro macroniano Gabriel Attal che a breve si dimetterà
e il leader della sinistra Jean-Luc Mélenchon che ha invocato un mandato
senza però avere i numeri per formare una maggioranza di governo.


Nel frattempo in tutta la Francia si sono verificati scontri con protagonisti gruppi di estrema sinistra.
 
A proposito, ieri ho dimenticato di ricordare questo agli "amici" di sinistra,
quelli che difendono la democrazia e lottano per la pace

Il massacro si compie di notte, quella tra il 6 e il 7 luglio del 1945.

La guerra è ormai finita ma il tempo della vendetta, dei fratelli contro, è appena iniziato.

A Schio vecchi odi, ferite mai rimarginate e invidie si mischiano in nome della giustizia.

Sangue chiama sangue.

Anche dopo il 25 aprile quando, almeno sulla carta, l’Italia è un Paese in pace.


A Schio i partigiani vogliono eliminare i fascisti del posto.
O, almeno, quelli che reputano tali.

La divisione più attiva è quella comunista
Ateo Garemi che decide, in quella notte di estate,
di eliminare i detenuti politici presenti all’interno del carcere cittadino.

Dietro le sbarre ci sono sia uomini sia donne
e qualche anima pia chiede che quest’ultime vengano risparmiate.

Ma non c’è nulla da fare.

“Gli ordini vanno eseguiti”, dice il partigiano Valentino Bortoloso, detto “Teppa”
che, qualche anno dopo, riceverà anche una medaglia (poi revocata) della Liberazione.


Anche le donne, quindi, vengono messe in fila e falciate dai fucili.

Rimangono a terra 54 persone.
Le scale dell’edificio si riempiono di sangue.
È una vera e propria mattanza.



Tanto che il generale Dunlop, governatore del Veneto che aveva seguito le indagini, dirà:

“Non è libertà, non è civiltà che delle donne vengano allineate contro un muro
e colpite al ventre con raffiche di armi automatiche a bruciapelo”.

Non era libertà quella.

Era l’inizio di una ferita che non si è ancora rimarginata,
nonostante i parenti delle vittime abbiano firmato un patto di concordia civica
con l’Associazione nazionale partigiani d’Italia (Anpi).

Parlare di quanto successo in quella notte non è affatto facile,
come ci racconta un parente di una vittima, che preferisce restare anonimo:

“Non sono mai stato minacciato ma sono “segnato col dito”.
Qua a Schio la sinistra ci guarda con un certo malessere:
non puoi mai dire una parola fuori posto, non puoi mai dire ‘io la penso diversamente da te’”.

Ci racconta la storia della sua parente.
Era una donna e non aveva colpe, se non quella di fare l’amore, come dicevano i suoi genitori, con la persona sbagliata.


"Purtroppo qui a Schio c'è una grande intolleranza verso chi non la pensa come loro. Se lo fai sei ‘morto’”.


È il passato che non passa.

Quel passato fatto di sangue e odio che una certa sinistra continua ad alimentare.
 

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