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L’utilizzo di civili palestinesi come scudi umani non sarebbe un comportamento vigliacco e feroce dei terroristi di Hamas
ma un luogo comune colonialista.

Che schifo!

Che disgusto!

A noi il 7 ottobre è marchiato a fuoco nella mente e nel cuore.

Ci siamo sentiti fragili, e in qualche modo sporchi.

Ci siamo chiesti se fosse stata anche un po’ colpa nostra,
della nostra scarsa attenzione al grido di dolore che da troppi anni risuonava inascoltato dalle terre d’Israele.

Ci siamo sentiti un po’ complici, sì ma delle bestie terroriste per il solo fatto di aver chiuso gli occhi
quando fiumi di denari europei affluivano copiosi a Gaza e con quei denari Hamas comprava armi e costruiva cunicoli.

Siamo stati un po’ complici quando abbiamo visto che nelle scuole di Gaza
si insegnava ai bambini che tra il fiume Giordano e il mare vi fosse un buco sulla carta geografica perché il niente si chiama Israele.

Per la signora Albanese invece il 7 ottobre ha rappresentato un altro film:

Dopo il 7 ottobre 2023, la maggior parte dei leader occidentali ha ripetuto acriticamente le narrazioni israeliane,
diffuse dai media statali e aziendali, ripetendo affermazioni di cui è stata dimostrata la falsità,
e cancellando le distinzioni fondamentali fra combattenti e civili
”.


Cioè, il massacro sarebbe stato un fake.
 
Questa è la signora Albanese,
una connazionale di cui ci vergogniamo profondamente
mentre la sinistra la porta in giro come una madonna pellegrina, detentrice di verità.


Ha detto bene l’ambasciatore italiano all’Onu, Maurizio Massari, riguardo al report presentato dalla Albanese:

completamente privo di credibilità e di imparzialità. Come Italia, non ne siamo sorpresi”.

Come a dire: l’Albanese? È carta nota.

Sarà, ma non è una bella cosa che a rappresentare l’Italia in un consesso internazionale sia un personaggio del genere.

Questa volta non basta una scrollatina di spalle e via.

C’è una Farnesina che dovrebbe sapere tutto di ciò che si muove nel mondo.

Allora si dia da fare per capire come ci sia finita l’Albanese all’Onu.

Quali siano stati i percorsi per la sua presa in carico; sponsorizzati da chi.

Vi erano altri profili, ritenuti meno idonei del suo, candidati a ricoprire quel ruolo?

E poi, lo stimato economista Massimiliano Calì, marito della signora Albanese,
ha avuto un qualche ruolo nell’ingresso della signora di Ariano Irpino all’Onu, dal portone principale?


Lui, oltre a essere stato Senior country economist per la Banca mondiale in Tunisia,
nel 2011 ha svolto una consulenza per il Ministero delle Finanze dell’Autorità palestinese,
in collaborazione con l’Undp, il Programma delle Nazioni unite per lo sviluppo.

Un dettaglio che la signora Albanese avrebbe omesso di citare nel curriculum.

Non che questa puteolente vicenda debba scuoterci più del dovuto.

Resta tuttavia il retrogusto sgradevole generato dalla convinzione – quasi certezza –
che questa signora ce la ritroveremo a breve a scorrazzare sulla scena politica nostrana
– magari sotto le accoglienti insegne della sinistra radicale – con chi sa quali altre idee gloriose da spacciare.
 
Informarsi. Conoscere.Trarre le conclusioni.

Maurizio Massari . Il rappresentante italiano all’Onu
ha bocciato il report della relatrice speciale delle Nazioni Unite sui Territori palestinesi occupati, intitolato “Un genocidio internazionale”.

Per Massari, si tratta di un dossier

“totalmente privo di credibilità e imparzialità, come Italia non ne siamo sorpresi.
Il contenuto del rapporto oltrepassa palesemente il mandato specifico del Relatore speciale,
che non comprende indagini su presunte violazioni commesse da altri Stati o entità,
né giudizi sulla cooperazione tra Paesi terzi e la Corte penale internazionale”.

Per l’ambasciatore Massari,

“ancora più preoccupante è la completa inosservanza, in particolare negli ultimi mesi,
del codice di condotta per gli Special Rapporteur, che comprende principi di senso comune
come l’integrità, l’imparzialità e la buona fede”.

Questo codice di condotta chiede che i Rapporteur

“assicurino che le loro opinioni politiche non pregiudichino l’esecuzione della loro missione ed esercitino moderazione e discrezione”.

A suo avviso, “ci sono ampie prove online e nelle sue interviste che come Special Rapporteur
la signora Albanese non può essere considerata imparziale”.
 
Albanese ieri ha presentato, in collegamento da Città del Capo,
all’Assemblea Generale dell’Onu il rapporto “Il genocidio di Gaza: un crimine collettivo”,
un rapporto di 24 pagine in cui esamina il ruolo di 63 stati nelle azioni di Israele sia a Gaza che in Cisgiordania.

Tra questi Paesi, gli Stati Uniti, il Regno Unito, e Paesi della Ue, tra i quali l’Italia.

“Il genocidio in corso a Gaza è un crimine collettivo, sostenuto dalla complicità di Paesi Terzi influenti
che hanno consentito violazioni di lungo periodo del diritto internazionale da parte di Israele”

si afferma nel rapporto in cui si denuncia il

“diretto sostegno, l’aiuto materiale, la protezione diplomatica e, in alcuni casi, la partecipazione attiva” di questi Paesi Terzi.
Attraverso azioni illegali e deliberate omissioni, troppi stati hanno armato, finanziato e protetto l’apartheid militarizzato di Israele,
permettendo alla sua impresa coloniale degli insediamenti di metastatizzare in genocidio, il massimo crimine contro il popolo della Palestina”.


L’ambasciatore israeliano all’Onu, Danny Danon, ha definito Francesca Albanese “una strega”.
 
Se li conosci ....li eviti.

Rita De Crescenzo approda in tivù.
Qualche sera fa la tiktoker napoletana è stata intervistata da Francesca Fagnani
in quello spazio perverso che risponde al nome di Belve.

Perché, in fin dei conti, quel programma non è che un circo ottocentesco
che ogni tanto espone al pubblico eccitato qualche fenomeno da baraccone.


Sull’intervista alla De Crescenzo, come al solito, l’Italia non può che dividersi:
se da una parte ci sono i difensori del grottesco, che danno a quella donna il diritto di sedere sulla poltrona di Belve,
dall’altra c’è chi ritiene che su un canale di Stato non possa arrivare così tanto trash.


Una persona come lei porta milioni di spettatori, e i numeri servono.

Ma il problema non è lei.

Il problema siamo noi.

Il problema è il nostro sistema sociale, e poi televisivo,
che si trasforma in un’arena virtuale pronta a esporre le belve agli applausi o agli scherni.


I social sono incubatori di mostruosità, che noi alimentiamo e teniamo in vita.
 
La invitano alle feste, ai battesimi, alle inaugurazioni.

Arriva in macchina, cammina scortata come un magistrato,
acclamata da folle tremanti che con gli stessi decibel pregano San Gennaro.

Il suo cabaret a domicilio funziona, e capitalizza.

Siamo diventati consumatori paganti di un folklore clandestino, patetico, grottesco.

Arriva a Roccaraso con migliaia di persone, e una tranquilla località – comunque turistica – diventa teatro di una rievocazione storica.
Guardando le immagini dei pullman carichi di fan provo il terrore che sentivano gli egizi all’arrivo delle cavallette.

Chi ha repulsione per questo mercato del trash sappia che siamo soltanto all’inizio.


Rita De Crescenzo funziona perché incarna alla lettera il manuale dell’antropologia contemporanea
e TikTok – da valido laboratorio della perversione –
gode nel mettere quotidianamente in scena spettacoli rivoltanti per un pubblico di schiavi culturali.

Ci siamo soltanto noi, che, a quanto pare, non riusciamo a stare lontani dai richiami ancestrali,
che sguazziamo nel tirare su qualche scemo del villaggio, e quando il villaggio è ormai saturo
finiamo col colonizzare qualche altra terra vergine.


Il suo tempo finirà, ma ci sarà già un degno sostituto.
 
Ma le tasse (che brutta parola), le pagherà ?


Prima di quella popolarità improvvisa,
per avere Rita De Crescenzo come ospite servivano circa 2.300 euro.

Il prezzo è poi salito a 3.500 euro per uno spettacolo di 40-45 minuti,
comprensivo di canto, selfie con gli ospiti e video.

Per un’ora di show, invece, il cachet raggiunge i 5.000 euro.


Questi erano i dati di qualche mese fa.
 
Riuscite ad immaginare cosa resterà dell'italia fra 3 max. 5 anni ? E tutti si cagano addosso ........

Un gruppo di giovani “maranza” ha organizzato una spedizione punitiva contro un maestro elementare
nel quartiere torinese di Barriera di Milano.

L’uomo è stato seguito, circondato e minacciato fuori dalla scuola in via Vestignè.

A guidare l’aggressione sarebbe stato Don Alì,
influencer di origini marocchine cresciuto a Torino,
che ha ripreso tutto in video e pubblicato le immagini su Instagram,
scatenando una gogna mediatica.

Nella clip, il gruppo affronta il maestro accusandolo — senza prove — di aver “alzato le mani su un bambino”.


«Ci è stato riferito che hai picchiato un bambino», si sente dire nel video,
mentre uno dei ragazzi lo ammonisce: «La prossima volta passiamo ai fatti».

Il docente, visibilmente scosso, tenta di spiegarsi ma viene zittito.


Dalla scuola elementare è arrivata una nota di condanna per l’accaduto, ma nessun commento nel merito:

«Si tratta di un episodio increscioso».

La Polizia sta valutando eventuali denunce per minacce e diffamazione aggravata.

Il post dell’influencer, intanto, è stato rimosso
dopo centinaia di commenti divisi tra chi plaude all’azione e chi difende l’insegnante.
 
Dimostrazione plastica di…



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