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Francesco Saverio Garofani, segretario del Consiglio supremo di Difesa e consigliere del capo dello Stato,
si è lasciato andare in confidenze a una cena tra vecchi amici romanisti.

Il tentativo di queste ore di Luca Di Bartolomei, figlio del mitico capitano della Roma, Agostino Di Bartolomei,
di ridimensionare il “complotto”, rivela però un retroscena ancor più grave:

Garofani, pur nel suo delicatissimo ruolo, è un grande chiacchierone.
 
Per ben due volte le parole di Francesco Saverio Garofani si sono fatte scudo del suo ruolo al Quirinale.

E già per questo - ma anche per altro - la premier Giorgia Meloni
e il capogruppo di Fratelli d'Italia alla Camera, Galeazzo Bignami,
fanno bene a chiedere conferma dell'imparzialità non del capo dello Stato, ma della sua corte a palazzo.

Messa in mezzo da Garofani come fosse, appunto, una House of cards all'italiana.
 
Della cena oggi si conoscono il giorno e il luogo:
giovedì 13 novembre, ristorante alla Terrazza Borromini, vicino a piazza Navona a Roma.

Dopo la pubblicazione dell'articolo di Maurizio Belpietro su La Verità dal titolo “Il piano del Quirinale per fermare la Meloni”,
Francesco Saverio Garofani replica con le seguenti parole:

“Sono molto amareggiato per me e per i miei familiari.
Ma quel che soprattutto fa male è l'impressione di essere stato utilizzato per attaccare il presidente”.


Avrebbe invece dovuto dire ciò che gli aveva chiesto Bignami per conto di Giorgia Meloni:

“Smentisco quanto Belpietro e i suoi giornalisti hanno scritto”.

Oppure, in caso contrario:

“Scusate, ho detto delle gravi fesserie e il mio atteggiamento ha danneggiato il presidente”.


Via di mezzo non ce n'è. O è l'una o è l'altra.

Invece, con un quirinalizio stropicciarsi di mani, si è limitato ad amareggiarsi “per me e per i miei familiari”.

Mi spiace tirarla in ballo, ma non si capisce cosa c'entri la famiglia Garofani in questa sua vicenda personale.

Evidentemente gli serviva uno scudo ancor più largo.
 
Il secondo sgarbo, al ruolo sopra le parti del presidente Mattarella, arriva con un'altra dichiarazione,
contenuta nell'intervista a Monica Guerzoni sul Corriere della Sera:

“Era una chiacchierata in libertà tra amici”.

Cioè il consigliere del capo dello Stato conferma che in un luogo pubblico,
tanto che viene ascoltato da terzi, davanti a più persone,
ha pronunciato frasi che coinvolgevano se stesso e, inevitabilmente,
l'istituzione che gli paga lo stipendio:


nell'auspicio che da qui alle prossime elezioni (2027)
un “qualcosa” possa fermare l'attuale successo politico di Giorgia Meloni.

E così anche la possibilità che la sua maggioranza possa esprimere il futuro presidente della Repubblica (2028).
 
Queste affermazioni le può tranquillamente pronunciare la segretaria del Pd
o l'esponente di qualsiasi partito, di opposizione o di maggioranza.

Ma non possono essere dette da chi collabora con l'arbitro supremo delle nostre regole democratiche.

Perché le regole devono valere per tutti.

Anche per il centrosinistra, di cui Garofani fa culturalmente parte come ex parlamentare del Pd.

E se gli uffici del Quirinale continuano a difendere il loro consigliere,
allora sì, Meloni e Bignami fanno benissimo ad andare avanti con la loro pretesa di chiarimenti.

Proprio in difesa dei principi costituzionali che devono valere per tutti.

L'infallibilità è, per fortuna nostra, un dogma papale e non è estensibile alla corte del Quirinale.
 

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