Sono senza parole e uno squarcio nell'anima.....secondo atto (1 Viewer)

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Dopo gli attentati terroristici a Taba
L'ipoteca integralista sull'Egitto
di Magdi Allam
Per l'Egitto è il colpo più duro dal tragico 17 novembre 1997, quando sei terroristi islamici falcidiarono a raffiche di mitra una sessantina di turisti occidentali e una decina di poliziotti nella Valle delle Regine a Luxor e poi si suicidarono. Per circa un anno il turismo, che costituisce la locomotiva trainante dell'economia, si arrestò. Le conseguenze furono assai pesanti sul piano dell'occupazione, della svalutazione della sterlina e del calo sostanziale del tenore di vita della popolazione. L'uscita dalla crisi si ebbe grazie alla drastica repressione dell'estremismo islamico e alla militarizzazione delle strutture turistiche. Ebbene gli attentati terroristici nel Sinai di giovedì notte indicano che questa soluzione è stata quantomeno lacunosa.

Considerando l'insieme dell'ondata terroristica che si è abbattuta prima e dopo l'11 settembre 2001, emerge che i Paesi musulmani più colpiti dal terrorismo sono quelli che tollerano una presenza significativa degli integralisti islamici, i cui regimi si barcamenano tra la repressione delle frange più estremiste e il contenimento della società civile laica e liberale.
Non è un caso che l'Egitto, al pari di Iraq, Arabia Saudita, Turchia, Pakistan, Afghanistan, Yemen, Kuwait, Sudan, Indonesia, Iran, Algeria, Giordania e Marocco, sia tra i Paesi a rischio. Da quando il 6 ottobre 1981 Mubarak uscì miracolosamente indenne dall'attentato, costato la vita al presidente Sadat, ha fatto della stabilità interna la massima priorità. A tal fine ha ricucito i rapporti con i Fratelli musulmani, espressione di un Islam integralista apparentemente

Soccorritori israeliani ed egiziani al lavoro a Taba (Ap)


legalitario, tollerandone la crescente attività e influenza registratasi nonostante il movimento sia formalmente fuorilegge. Sempre con l'occhio rivolto al fronte interno, Mubarak ha patrocinato una politica estera all'insegna di un panarabismo anacronistico e controproducente, spesso contrassegnata dall'opposizione agli Stati Uniti.

È un dato di fatto che l'Egitto ha fatto fallire il progetto americano avviato a Casablanca nel 1993 per dare vita a una unione economica tra i Paesi del Medio Oriente, così come si è opposto alla recente proposta di Bush di un Grande Medio Oriente, che includesse anche Turchia, Iran e quel Pakistan, legato alla Nato. Né è un mistero che Mubarak, insieme al re saudita Fahd, non ha incoraggiato il leader palestinese Arafat a sottoscrivere un accordo di pace con Barak a Camp David nell'estate del 2000. Ebbene questi veti egiziani alla strategia americana si giustificano con una radicata diffidenza nei confronti di Israele, di cui si teme la possibile egemonia regionale sul piano economico, politico e della sicurezza. Il risultato è che il clima interno in Egitto è saturo di una propaganda anti-israeliana che spesso culmina nell'aperto antisemitismo.

L'ostilità a Israele è il collante ideologico che cementa il fronte interno, dall'estrema sinistra marxista all'estrema destra islamica. Non si può escludere che i terroristi suicidi del Sinai possano aver goduto di complicità in seno alle forze di sicurezza egiziane. È difficile immaginare che possano aver impunemente violato un'area rigidamente militarizzata. Viene alla mente il massacro di sette israeliani, di cui quattro bambini, compiuto da un soldato egiziano sempre nel Sinai il 5 ottobre 1985. La vicenda venne prontamente archiviata dopo l'arresto e l'annuncio del suicidio del soldato, definito uno psicolabile. Ma che l'esercito fosse stato infiltrato dagli estremisti islamici era ben noto dato che lo stesso assassino di Sadat, Khaled al Islambuli, era un ufficiale.
Ed è sempre l'ostilità a Israele ciò che determinò nell'aprile del 1996 il fallimento di un vertice internazionale contro il terrorismo svoltosi a Sharm el Sheikh, alla presenza di Clinton, Eltsin, Peres, Arafat e Ciampi. I partecipanti non si misero d'accordo neppure sulla definizione del terrorismo. Gli arabi, capeggiati da Mubarak, insistettero affinché venisse annoverata come terrorismo anche la repressione militare israeliana. Il contrasto di fondo fece sì che l'evento fu chiamato in modo generico «vertice dei costruttori della pace». Una pace che in realtà resta un miraggio.

Probabilmente bisogna ripartire proprio dalla tragedia di Taba. Facendo tesoro dell'immagine altamente simbolica della collaborazione tra i soccorritori egiziani e israeliani in mezzo alle macerie dell'Hotel Hilton. Una collaborazione su cui investire per dar vita a una seria ed efficace conferenza internazionale contro il terrorismo, da intendersi come ogni azione promossa da gruppi e individui che disconoscono sul piano ideologico e religioso e violano sul piano concreto il valore della sacralità della vita. Gli attentati del Sinai dovrebbero dimostrare la vacuità delle distinzioni operate, anche in Occidente, tra resistenza e terrorismo, tra vittime lecite e illecite. Distinzioni ideologiche che non trovano riscontro nei massacri indiscriminati perpetrati da questo terrorismo islamico di natura aggressiva, che si fonda sulla legittimazione dell'uccisione di tutti i nemici, militari o civili, siano essi ebrei, cristiani o musulmani.


9 ottobre 2004 - Corriere.it
 

patt

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Taba, la razzia ha ritardato il riconoscimento di alcune vittime
"Abbiamo visto portafogli svuotati e cassaforti aperte"
Sciacalli tra le rovine dell'hotel
Rubati gioielli e soldi dalle stanze


TABA - C'è chi non si è fermato davanti all'orrore e alla morte. C'è chi ha frugato tra le macerie dell'hotel Hilton a Taba. Lo ha fatto subito dopo l' attentato di giovedi, quando i soccorritori israeliani erano ancora trattenuti al valico di confine per impedimenti burocratici.

Come riferito dai quotidiani Yediot Ahronot e Maariv, sono stati sistematicamente svaligiati il Casino dell'albergo, i negozi di gioielli all'entrata nonché le stanze delle vittime dell'attentato. Secondo Maariv, questi episodi di sciacallaggio hanno fra l'altro complicato il riconoscimento delle vittime, che nel frattempo erano state private di tutti i loro documenti, dei portafogli, di anelli o altri monili.

A Maariv alcuni membri delle squadre di soccorso israeliane hanno detto di aver trovato in un corridoio portafogli svuotati del loro contenuto. Hanno aggiunto di aver notato due agenti egiziani impegnati a mettere in moto la automobile Mazda di un turista israeliano rimasto ucciso, e portarla via. Analoghe informazioni sono pubblicate da Yediot Ahronot secondo cui gli ignoti saccheggiatori hanno anche forzato casseforti e asportato macchine fotografiche e carte di credito.


(10 ottobre 2004)
 

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IDENTIFICATI I CORPI DI GESSICA E SABRINA A TABA
Il responso sulla base del Dna arrivato dall'Italia. La Farnesina conferma. Ripartiti da Taba i genitori (a destra nella foto, il padre) delle due sorelle Jessica e Sabrina Rinaudo. Adesso non si scava più: 32 corpi recuperati e identificati nei luoghi dei tre attentati di giovedì. Ma ci sono altri dispersi

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patt

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L'obiettivo del kamikaze era un'accademia di polizia
Ma l'ordigno è esploso poco prima, una strage tra i passanti
Autobomba nel centro di Bagdad
almeno 17 morti, 7 sono donne
Su internet la rivendicazione degli uomini di Al Zarqawi
Scene raccapriccianti: gli infermieri accorsi si sono sentiti male

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Un padre piange
il figlio rimasto ucciso





BAGDAD - Donald Rumsfeld è in volo in gran segreto verso l'Iraq e nel centro di Bagdad scoppia l'inferno. Sono le 7 del mattino, le 5 in Italia, quando un'autobomba guidata da un kamikaze fa una strage nel centro della capitale irachena. L'obiettivo un'accademia di polizia. A quell'ora molti uomini facevano la fila per arruolarsi. Ma qualcosa è andato storto. L'autobomba è esplosa poco prima e ha disseminato la morte tra i passanti. Almeno diciassette i morti, sette le donne che hanno perso la vita nell'esplosione. Un'altra autobomba è esplosa nella capitale vicino a un piccolo mercato, nella zona del ministero della Cultura, ferendo un passante. Non è chiaro se obiettivo di questo secondo attacco fosse un convoglio militare americano. Attacchi rivendicati, su un sito internet, dal gruppo dell'integralista giordano Abu Mussa Al Zarqawi.

L'annuncio è stato fatto dal portavoce del ministero del Petrolio, la cui sede è a pochi passi dal luogo dell'attentato e che in un primo era sembrato il vero obiettivo. D'altra parte non sarebbe stata la prima volta che il ministero, guardato a vista dai soldati Usa, veniva colpito da razzi lanciati dai ribelli. Con attacchi del genere, molto frequenti, la guerriglia punta infatti a intimidire la popolazione per impedire che collabori con le autorità provvisorie filo-americane.

La deflagrazione ha scavato un cratere profondo un metro nella sede stradale di una delle più trafficate strade di Bagdad. Sulla via si trova anche il dicastero per il Commercio. L'onda d'urto è stata talmente potente da ridurre a brandelli i cadaveri delle vittime. Stando al racconto di testimoni oculari, la scena era così raccapricciante che gli infermieri intervenuti per i primi soccorsi si sono sentiti male.



E sempre oggi si è avuta notizia della morte di due iracheni, rimasti uccisi ieri sera mentre cercavano di piazzare una bomba sulla strada principale che porta a Baquba, a nordest di Bagdad. Quella strada è utilizzata dalle pattuglie della Guardia nazionale irachena e dal governatore della provincia. Baquba e la sua provincia, quella di Diyala, sono teatro di frequenti attacchi contro forze di polizia e militari americani.


(10 ottobre 2004)
 

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I tre errori dell'Occidente
di PAOLO GARIMBERTI

"Tutti gli italiani piangono Sabrina e Jessica". Nelle parole di Carlo Azeglio Ciampi non c'è cordoglio istituzionale, né pietà retorica. C'è la constatazione che le due sorelle di Dronero sono il simbolo di quella che si può definire l'universalità del terrorismo islamico. Che sceglie i suoi obiettivi con una minuziosa, quasi maniacale attenzione geopolitica, ma non si cura minimamente né della quantità, né dell'identità delle vittime. Per cui nessuno, oggi, può più sentirsi al riparo da questa immane minaccia, nessuno viene risparmiato: né chi è dedicato ad azioni umanitarie, né chi si proclama pacifista, ma neppure chi vive in una piccola cittadina di provincia e finisce nel tritacarne per l'avventura di una vacanza a basso costo.

L'Italia sotto questo aspetto è purtroppo un caso da laboratorio, ha avuto tutte le esemplificazioni possibili dei bersagli e delle vittime di questo terrorismo: dai militari di Nassirya a Quattrocchi, da Baldoni alle due Simone, le uniche scampate ai macellai di Al Qaeda, per finire con le sorelle Rinaudo. "Giovani vite barbaramente stroncate insieme con quelle di tanti innocenti di altre nazionalità": ancora nelle parole del capo dello Stato emerge questa universalità del terrore, che ci accomuna tutti e al tempo stesso ci interpella perché esige una risposta comune.

Anche in passato il terrorismo aveva compiuto stragi indiscriminate: basti pensare a quella dell'aereo esploso nel cielo di Lockerbie. Diceva il personaggio della "Tamburina", il romanzo di John Le Carré sulla lotta senza quartiere tra il capo dei servizi israeliani e un terrorista palestinese: "Il terrorismo è come una rappresentazione teatrale, se non coinvolge tutti gli spettatori finisce per fallire". Oggi, però, travolge anche gli spettatori involontari, lontani mille miglia per residenza, professione, interessi, stile di vita dal teatro globale della grande politica internazionale, della diplomazia e della guerra. È a partire dalla fine del secolo scorso che la nuova strategia, che unisce la qualità dell'obiettivo alla quantità indistinta delle vittime, ha preso corpo. Fu Bill Clinton il primo che si rese conto della pericolosità di Al Qaeda in quanto non "Stato canaglia", ma una multinazionale di "invidui canaglia". E cercò di decapitarla prima che crescesse ordinando il bombardamento dell'accampamento dove avrebbe dovuto essere bin Laden. Fallì e Al Qaeda divenne un'idra dalle molte teste.


Il presidente pachistano Pervez Musharraf ha detto recentemente che tra l'Occidente e il mondo islamico si sta "alzando una cortina di ferro". L'11 settembre 2001, con l'attacco alle Torri gemelle di New York, fu posato il primo reticolo di questa cortina di ferro. Di fronte a quella che nacque nell'immediato dopoguerra, e che Churchill individuò nel suo storico discorso di Fulton, in Missouri, nel 1946, l'Occidente seppe dare una risposta unita e univoca per opporsi alla minaccia del comunismo sovietico. Ora deve trovare una risposta delle stesso tipo e della stessa forza prima che la nuova cortina di ferro divida irrimediabilmente il mondo in due, realizzando lo scenario catastrofico dello scontro di civiltà ipotizzato da Samuel Huntington.

Finora la risposta dell'Occidente è stata sbagliata e inefficace soprattutto perché non è stata coesa: è stata imposta da alcuni, subita e contestata da altri. La guerra all'Iraq voluta da Bush e da Blair è stata un triplice errore. Primo perché Saddam Hussein non aveva le armi di distruzioni di massa, né i legami con Al Qaeda che sono stati il pretesto per l'attacco.
Il rapporto della commissione d'inchiesta del Congresso Usa, redatto da Charles Duelfer e diffuso mercoledì scorso, lo dice con assoluta chiarezza. Ha scritto il New York Times nel suo editoriale non firmato: "È fastidioso sentire Bush e il vice presidente Cheney continuare a giustificare l'invasione ancora questa settimana sulla base del fatto che dopo l'11/9 l'Iraq era chiaramente il posto migliore per i terroristi per procurarsi armi vietate. Anche se Saddam avesse voluto armarli - il che è discutibile - non avrebbe avuto nulla da dargli".

Il secondo errore consiste nel fatto che la guerra a Saddam ha distratto fondi, uomini, energie mentali e fisiche da quella, invece necessaria, a Osama bin Laden, ad Al Qaeda e a tutto quel terrorismo internazionale di stampo fondamentalista che per comodità ormai viene indicato con quel nome e quella sigla. E quella distrazione è stata così fatale che il terrorismo, anzi, ha proliferato e ha trovato l'acqua e i pesci proprio in Iraq, oltre che in Afghanistan (altra opera incompiuta) e nel resto del Medio Oriente dove già nuotava.

Terzo errore: il controllo dell'Iraq doveva, nelle intenzioni dei promotori della guerra, essere il prodromo del controllo del Medio Oriente e, dunque, della soluzione del conflitto israelo-palestinese. Scriveva ieri Eugenio Scalfari: "Per sconfiggere il terrorismo bisogna sfogliarlo foglia per foglia. La prima foglia da togliere è la Palestina, per evitare che vi attecchisca la malapianta del terrorismo globale e islamista". Invece la famosa "Road Map", il tracciato verso la pace mediorientale, è stato smarrito e poi del tutto abbandonato.

Bush non se ne è più curato, preso come era dalla tragedia del dopoguerra in Iraq, e ha finito per appiattirsi completamente su Sharon perdendo ogni credibilità di mediatore con i palestinesi. Cito ancora il presidente pachistano Musharraf, che nel suo discorso davanti all'assemblea delle Nazioni Unite, ha ammonito: "Possiamo anche vincere delle battaglie contro il terrorismo, ma rischiamo di perdere la guerra se il mondo non si impegna a risolvere le ingiustizie nel mondo musulmano: la tragedia della Palestina è una ferita aperta nella psiche di ogni musulmano e gli Stati Uniti devono riprendere il ruolo di giusto broker di pace". Bush, invece, è diventato, secondo il sarcastico columnist Nicholas Kristof, "il miglior reclutatore di Al Qaeda". Prima di lui lo aveva detto, in un convegno, l'ambasciatore inglese a Roma.

Ma oggi la critica agli errori diventa sterile se l'Occidente non è in grado di capire che la minaccia indiscriminata del terrorismo, che non risparmia neppure due ragazze come le sorelle Rinaudo, l'orrore senza fine dei suoi gesti, ripetuto ancora con la decapitazone di Kenneth Bigley, richiedono una risposta comune, unitaria e univoca, in cui le differenze di valutazione e di visione politica devono essere soltanto una base di discussione, non un fattore di divisione. Le risposte nazionali al terrorismo internazionale non funzionano, tantomeno per i fondamentalisti islamici esistono delle "eccezioni culturali". Lo ha riconosciuto anche Le Monde a proposito della insoluta odissea di Christian Chesnot e Georges Malbrunot: "Per le metastasi di Al Qaeda, che hanno trovato un terreno fertile nell'Iraq occupato dagli Stati Uniti, i francesi sono degli Occidentali come gli altri, dei discendenti dei crociati, dei nemici". Ha scritto molto bene il politologo francese Dominique Moisi, a proposito di Bigley e dei due giornalisti francesi ancora in ostaggio: "Di fronte alla disumanizzazione imposta a chi è preso in ostaggio la sola risposta è di denazionalizzare il suo caso: deve essere salvato, liberato non perché è francese, ma perché egli incarna un valore universale".

Di fronte all'universalità del terrorismo, che Ciampi ha evocato con le sue parole sulle vittime di Taba, l'Occidente deve essere capace di dare una risposta solidale, anche per impedire ai terroristi di diventare un fattore di influenza nelle scelte di politica interna dei singoli Stati. Non basta più proclamarsi tutti americani, come dopo l'11 settembre, o tutti spagnoli, come dopo l'11 marzo. Bisogna proclamarsi semplicemente tutti Occidentali.



(11 ottobre 2004)
 

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10:52 Autobomba a Mosul contro convoglio Usa, vittime

Una autobomba è stata lanciata oggi a Mosul, nel Nord dell'Iraq, contro un convoglio americano provocando diverse vittime. Lo hanno riferito testimoni oculari, secondo cui l'esplosione innescata dal kamikaze al volante ha investito sia semplici civili sia soldati, scavando nella sede stradale un profondo cratere largo un paio di metri. Gli americani hanno immediatamente reagito aprendo il fuoco con le armi di ordinanza. Mosul, situata 390 chilometri a nord di Baghdad, è spesso teatro di attacchi della guerriglia contro le truppe statunitensi.
 

franci

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Roma, 11 ott. (Adnkronos) - Tornano in Italia i corpi di Sabrina e Jessica Rinaudo, le due sorelle del cuneese vittime dell'attentato all'hotel Hilton di Taba. Il sindaco di Dronero, Giovanni Biglione, ha firmato stamattina l'autorizzazione al trasporto delle salme dopo che la richiesta e' pervenuta all'amministrazione comunale dall'ambasciata italiana di Tel Aviv. Nella comunicazione l'ambasciata richiedeva l'autorizzazione per il trasporto delle salme che prima di giungere nel paese natale dovrebbero sostare a Roma. E Un Boeing 707 del 14mo Stormo dell'Aeronautica Militare e' decollato alle 11 dalla base di Pratica di Mare alla volta di Tel Aviv.
Intanto, il primo cittadino, che ieri in tarda serata ha fatto visita ai genitori delle due giovani, ha manifestato alla famiglia la disponibilita' del consiglio comunale ad attivarsi per qualsiasi necessita'. ''Da parte nostra abbiamo predisposto ogni cosa per accogliere le due salme quando faranno rientro a casa -ha sottolineato Giovanni Biglione- Quindi pensiamo di allestire la camera ardente in Municipio, naturalmente se questo sara' nei desideri della famiglia''. Nel pomeriggio e' attesa una nota della famiglia che ieri, attraverso la Coldiretti di Cuneo, aveva chiesto agli organi di informazione di rispettare il loro dolore.


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Offensiva israeliana, i militari dicono stop, ma Sharon non si ferma
Israele, soldati denunciano ufficiale per violenze
Militari israeliani chiedono che venga rimosso un loro superiore accusato di aver mitragliato una bambina palestinese

Ancora sangue a Gaza (Emblema)
GERUSALEMME - I soldati di una brigata israeliana hanno chiesto che venga rimosso un loro ufficiale sospettato di aver infierito sul corpo di una bambina palestinese. E il procuratore capo dell’esercito israeliano, generale Avichai Mandelbleet, ha aperto un’inchiesta. Si tratta di un caso quasi senza precedenti. Decine di bambini palestinesi sono stati uccisi nel corso dei quattro anni della seconda Intifada ma l’esercito raramente apre le indagini su questo genere di incidenti. La notizia è venuta alla luce in seguito alla denuncia dei soldati ai giornali israeliani e alle tv.

L'ACCUSA - Il comandante israeliano è accusato dai suoi commilitoni di aver scaricato un intero caricatore contro una bambina palestinese di 13 anni per assicurarsi che fosse morta. Lo ha annunciato oggi una portavoce dell’esercito. I risultati dell'inchiesta saranno sottoposti al capo di Stato maggiore, Moshe Yaalon.

LE TESTIMONIANZE - Secondo quanto pubblicato dal quotidiano israeliano Yediot Ahronot prima che il comandante sparasse i commilitoni gli avrebbero intimato via radio: "Non spari, è una bambina". Invece, stando sempre alla versione riportata dal giornale, il comandante "l’ha crivellata di colpi". "Rimanemmo scioccati. Non potevamo credere a quello che aveva fatto. Come si può crivellare di colpi una bambina e da distanza ravvicinata?", hanno commentato i soldati. Iyman Hams, 13 anni, è stata massacrata di proiettili il 5 ottobre. Inizialmente l’esercito ha dichiarato che la bambina era stata uccisa dai soldati mentre piazzava un ordigno nei pressi di una postazione dell’esercito nel sud della Striscia di Gaza. Ma in seguito al racconto dei soldati, e alle diverse versioni di esso, è stata aperta un’inchiesta.
Il dottor Ali Musa, direttore dell’ospedale di Rafah, ha detto che Hams è stata colpita da almeno 15 proiettili, la maggior parte dei quali nella parte alta del corpo. Ihab Samir Hams, il fratello della bambina, ha raccontato che la sorella stava recandosi a scuola quando è stata colpita. Secondo il ragazzo i soldati non hanno permesso l’arrivo di un’ambulanza nella zona per almeno 70 minuti.


I MILITARI CONTRO SHARON - Intanto si ha notizia di contrasti tra i vertici dell'esercito israeliano e il premier Sharon al 13/esimo giorno consecutivo dell'operazione "Giorni di penitenza" lanciata da Israele a nord di Gaza per rimuovere la minaccia dei razzi palestinesi. Il primo ministro israeliano Ariel Sharon non intende porre fine all’operazione nonostante il parere contrario dei vertici dell’esercito che suggeriscono invece di ritirare i soldati israeliani dalla Striscia di Gaza. L’operazione quindi continuerà, annuncia Haaretz online. L’esercito israeliano ritiene che l’operazione, concentrata soprattutto contro il campo profughi di Jebaliya, nel nord della Striscia, abbia già raggiunto il suo obiettivo. E suggerisce un ritiro dei soldati israeliani.

ALTRI TRE PALESTINESI UCCISI - Stamane altri tre palestinesi sono stati uccisi da soldati israeliani mentre cercavano di infiltrarsi nella colonia di Kfar Darom, a sud di Gaza. La stampa israeliana cita fonti militari secondo cui nel corso della operazione sono rimasti uccisi almeno 114 palestinesi, due terzi dei quali «sicuramente» militanti armati della intifada.


11 ottobre 2004 - Corriere.it
 

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