Franco52
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La secessione ‘dolce’ del Nord Est
analisi
GIUSEPPE TURANI
Venti anni fa il Nord Est era tutto chiaro. Umberto Bossi lo girava in lungo e in largo con un vecchio impermeabile grigio e una Citroen tutta rotta (che poi negli anni gli è anche stata rubata). Arrivava nei paesini alle 11 di sera, faceva il suo comizio. E poi si infilava in qualche disco — bar di un amico a mangiare rane fritte o vitello tonnato, e intanto giù con «Roma Ladrona». Magari fino alle sei di mattina.
Ogni tanto si fermava e mi chiedeva, fra una rana e l’altra: «Che cosa pensano di me Agnelli e Pirelli?».
Intorno, il paesaggio industriale era far west puro. Ogni giorno i carabinieri trovavano tre o quattro laboratori clandestini (cantine), piene di cinesi. Si lavorava sempre, festività comprese, anche durante la messa.
A scuola non ci andava quasi nessuno E i figli di quelli che ce l’avevano fatta, che avevano messo insieme abbastanza soldi, più che altro spaccavano Porsche e Bmw e lasciavano conti da far paura in discoteca.
Già allora, poiché l’Italia è sempre stata un paese di studiosi, si era detto che il Nord Est, a conti fatti, era una specie di sottoscala maleodorante del Centro Europa, e che quindi avrebbe avuto vita molto breve perché troppo imbarazzante e pochissimo futuro.
Vent’anni dopo di quel mondo non c’è rimasto più niente. Bossi gira sempre per il Nord Est, ma meno di prima, non va più di notte a mangiare rane fritte e, semmai, conta i ministeri che gli toccano in base ai voti. E poi ormai è una specie di Santo, gli portano anche i bambini da toccare.
Di Porsche e Bmw tutte rotte nei fossi non se vedono più. E anche le cantine con dentro i cinesi sono sparite. Anche perché i cinesi sono diventati imprenditori in proprio.
Non solo. Esce qualche studio serio e si scopre che il 65 per cento del valore aggiunto del Quarto Capitalismo, cioè delle medie imprese (che oggi sono il vero asse, nasce qui, lungo la direttrice MilanoVenezia, insomma lungo la Serenissima, che una volta la si faceva di notte per andare a vedere un po' di Far West notturno.
Poi uno percorre l'asse MilanoVenezia di giorno e lo trova pieno di belle fabbriche (dal museo del Kilometro Rosso a Bergamo del mio amico Bombassei), di centri logistici e di cantieri. E si domanda da dove esce tutta questa roba? Non certo dalle cantine con i cinesi dentro e nemmeno dai ragazzi sfascia Porsche.
In realtà è successo tutto per caso. Mentre Bossi girava con il suo impermeabile grigio e la Citroen scassata, impegnato a incitare i suoi sfruttatori di cinesi contro Roma Ladrona, nel mondo andava in crisi la fabbrica fordista. Espressione che a molti non dirà niente. Ma la fabbrica fordista era (e è) la fabbrica con la catena di montaggio, per fare le automobili e poche altre cose, detta fordista perché inventata da Henry Ford a Chicago.
Questa cosa va in crisi e si scopre che i nuovi prodotti vanno costruiti in fabbriche postfordiste: piccole, a misura d'uomo, flessibili, pronte a passare dalle scarpe ai jeans. E il Nord Est, che è una specie di Far West e che è alla ricerca di un destino, capisce che è arrivata la sua occasione. E comincia a tirare su un alluvione di fabbriche postfordiste.
A vent'anni di distanza, scopre che è pieno di medie imprese, che produce il 65 per cento del valore aggiunto del Quarto Capitalismo. E scopre che non è più nemmeno il sottoscala maleodorante del Centro Europa. Anzi. L'elenco dei paesi dove esporta ormai è lunghissimo è c'è dentro di tutto.
E un vi può capitare di andare a un convegno a Verona e di scoprire che la "seconda generazione" (il figlio di Giovanni Rana, per citarne uno) parla come uno che ha appena finito il master ad Harvard e è molto preciso nei suoi giudizi. E tutti riescono persino a scherzare su se stessi. Hanno scelto come emblema il cubo di Rubik e spiegano: "Sappiamo che ci sono 34 miliardi di miliardi di combinazioni e una sola soluzione giusta. Anche noi abbiamo miliardi di soluzioni possibili, ma sappiamo che una sola è quella giusta. Il cubo lo teniamo qui con noi per ricordarci sempre che la vita è complicata".
E mentre prendete il caffè, il presidente della Camera di Commercio viene lì e vi spiega (con un certo orgoglio) che fra le altre cose hanno aumentato l'export della scarpe del 20 per cento. Non verso l'Albania o il Turkmenistan, ma verso le Francia. Più tardi proietteranno anche una bella foto di Carlà Sarkozy con chitarra e senza scarpe, in attesa evidentemente di un paio di ballerine in arrivo da Verona.
Alla fine, si riprende la Serenissima per tornare a casa e ci si chiede, come è ovvio, ma dove va questo Nord Est?
Anche la risposta è ovvia. Questo Nord Est, questo delle scarpe di Carlà e delle migliaia di fabbriche postfordiste è già Baviera.
Certo, amministrativamente sta in Italia. Ma i suoi clienti, i suoi riferimenti (forse anche le sue scuole) sono dall'altra parte, i suoi interessi, i suoi destini sono bavaresi.
Non so se alla fine Bossi insisterà con la secessione (comincia a avere anche lui i suoi anni). E' probabile piuttosto che accada quella che l'Aldo Bonomi (uno dei pochi studiosi che ha capito tutto di questa parte dell'Italia) chiama la "secessione dolce". Insomma, se ne vanno poco alla volta. Oggi giorno si scoprono un po' più diversi dall'Italia e un po' simili ai loro amici Bavaresi o della Westfalia. Una fabbrica in più di là, due uffici commerciali a Praga e a Mosca, e via.
Non delocalizzano più tanto. Perché ormai fanno roba buona, che si esporta a Parigi come a New York, e non si va in Romania a fare queste cose raffinate.
Anzi, si sta qui, lungo l'asse Milano Venezia perché qui ci stanno i clienti con i soldi e con il gusto migliore. Solo che questa, via via, diventa solo una base logistica.
E Bossi? Bossi e la sua Lega prendono tanti voti, ma c'è da dubitare che riescano a comprendere la vastità di questo movimento, la rivoluzione della fabbrica postfordista che nasce per stare a ridosso del consumatore ovunque nel mondo.
Per il resto del sistema politico questo Nord Est è un problema. Già oggi è un'altra cosa dal resto d'Italia e lo sarà sempre di più.
E' come avere un pezzo di te che cresce e va avanti. E ti lascia indietro. A perdere tempo con gli ospedali siciliani e la mafia di Partinico.
Qui, questa è la verità, sono già cinque anni avanti. Al punto che gli svizzeri della grande banca Ubs sono già arrivati a aprire i loro uffici. Poi arriveranno anche le altre. E, ripeto, questo territorio, si scoprirà sempre più diverso, migliore rispetto al resto del paese. Fino al punto che un giorno non ci si riconoscerà più. E si domanderà che cosa ci sta a fare in un posto in cui per avere una licenza edilizia ci vogliono otto anni e per una di esportazione quattro.
Quel giorno saranno guai. Con Bossi, forse, andremo di nuovo a mangiare le rane (in ricordo dei vecchi tempi). Ma sarà tutta un’altra storia. Il giovane Rana ci sorvolerà con il suo jet, diretto magari a Hong Kong, e penserà che siamo proprio vecchi.
analisi
GIUSEPPE TURANI
Venti anni fa il Nord Est era tutto chiaro. Umberto Bossi lo girava in lungo e in largo con un vecchio impermeabile grigio e una Citroen tutta rotta (che poi negli anni gli è anche stata rubata). Arrivava nei paesini alle 11 di sera, faceva il suo comizio. E poi si infilava in qualche disco — bar di un amico a mangiare rane fritte o vitello tonnato, e intanto giù con «Roma Ladrona». Magari fino alle sei di mattina.
Ogni tanto si fermava e mi chiedeva, fra una rana e l’altra: «Che cosa pensano di me Agnelli e Pirelli?».
Intorno, il paesaggio industriale era far west puro. Ogni giorno i carabinieri trovavano tre o quattro laboratori clandestini (cantine), piene di cinesi. Si lavorava sempre, festività comprese, anche durante la messa.
A scuola non ci andava quasi nessuno E i figli di quelli che ce l’avevano fatta, che avevano messo insieme abbastanza soldi, più che altro spaccavano Porsche e Bmw e lasciavano conti da far paura in discoteca.
Già allora, poiché l’Italia è sempre stata un paese di studiosi, si era detto che il Nord Est, a conti fatti, era una specie di sottoscala maleodorante del Centro Europa, e che quindi avrebbe avuto vita molto breve perché troppo imbarazzante e pochissimo futuro.
Vent’anni dopo di quel mondo non c’è rimasto più niente. Bossi gira sempre per il Nord Est, ma meno di prima, non va più di notte a mangiare rane fritte e, semmai, conta i ministeri che gli toccano in base ai voti. E poi ormai è una specie di Santo, gli portano anche i bambini da toccare.
Di Porsche e Bmw tutte rotte nei fossi non se vedono più. E anche le cantine con dentro i cinesi sono sparite. Anche perché i cinesi sono diventati imprenditori in proprio.
Non solo. Esce qualche studio serio e si scopre che il 65 per cento del valore aggiunto del Quarto Capitalismo, cioè delle medie imprese (che oggi sono il vero asse, nasce qui, lungo la direttrice MilanoVenezia, insomma lungo la Serenissima, che una volta la si faceva di notte per andare a vedere un po' di Far West notturno.
Poi uno percorre l'asse MilanoVenezia di giorno e lo trova pieno di belle fabbriche (dal museo del Kilometro Rosso a Bergamo del mio amico Bombassei), di centri logistici e di cantieri. E si domanda da dove esce tutta questa roba? Non certo dalle cantine con i cinesi dentro e nemmeno dai ragazzi sfascia Porsche.
In realtà è successo tutto per caso. Mentre Bossi girava con il suo impermeabile grigio e la Citroen scassata, impegnato a incitare i suoi sfruttatori di cinesi contro Roma Ladrona, nel mondo andava in crisi la fabbrica fordista. Espressione che a molti non dirà niente. Ma la fabbrica fordista era (e è) la fabbrica con la catena di montaggio, per fare le automobili e poche altre cose, detta fordista perché inventata da Henry Ford a Chicago.
Questa cosa va in crisi e si scopre che i nuovi prodotti vanno costruiti in fabbriche postfordiste: piccole, a misura d'uomo, flessibili, pronte a passare dalle scarpe ai jeans. E il Nord Est, che è una specie di Far West e che è alla ricerca di un destino, capisce che è arrivata la sua occasione. E comincia a tirare su un alluvione di fabbriche postfordiste.
A vent'anni di distanza, scopre che è pieno di medie imprese, che produce il 65 per cento del valore aggiunto del Quarto Capitalismo. E scopre che non è più nemmeno il sottoscala maleodorante del Centro Europa. Anzi. L'elenco dei paesi dove esporta ormai è lunghissimo è c'è dentro di tutto.
E un vi può capitare di andare a un convegno a Verona e di scoprire che la "seconda generazione" (il figlio di Giovanni Rana, per citarne uno) parla come uno che ha appena finito il master ad Harvard e è molto preciso nei suoi giudizi. E tutti riescono persino a scherzare su se stessi. Hanno scelto come emblema il cubo di Rubik e spiegano: "Sappiamo che ci sono 34 miliardi di miliardi di combinazioni e una sola soluzione giusta. Anche noi abbiamo miliardi di soluzioni possibili, ma sappiamo che una sola è quella giusta. Il cubo lo teniamo qui con noi per ricordarci sempre che la vita è complicata".
E mentre prendete il caffè, il presidente della Camera di Commercio viene lì e vi spiega (con un certo orgoglio) che fra le altre cose hanno aumentato l'export della scarpe del 20 per cento. Non verso l'Albania o il Turkmenistan, ma verso le Francia. Più tardi proietteranno anche una bella foto di Carlà Sarkozy con chitarra e senza scarpe, in attesa evidentemente di un paio di ballerine in arrivo da Verona.
Alla fine, si riprende la Serenissima per tornare a casa e ci si chiede, come è ovvio, ma dove va questo Nord Est?
Anche la risposta è ovvia. Questo Nord Est, questo delle scarpe di Carlà e delle migliaia di fabbriche postfordiste è già Baviera.
Certo, amministrativamente sta in Italia. Ma i suoi clienti, i suoi riferimenti (forse anche le sue scuole) sono dall'altra parte, i suoi interessi, i suoi destini sono bavaresi.
Non so se alla fine Bossi insisterà con la secessione (comincia a avere anche lui i suoi anni). E' probabile piuttosto che accada quella che l'Aldo Bonomi (uno dei pochi studiosi che ha capito tutto di questa parte dell'Italia) chiama la "secessione dolce". Insomma, se ne vanno poco alla volta. Oggi giorno si scoprono un po' più diversi dall'Italia e un po' simili ai loro amici Bavaresi o della Westfalia. Una fabbrica in più di là, due uffici commerciali a Praga e a Mosca, e via.
Non delocalizzano più tanto. Perché ormai fanno roba buona, che si esporta a Parigi come a New York, e non si va in Romania a fare queste cose raffinate.
Anzi, si sta qui, lungo l'asse Milano Venezia perché qui ci stanno i clienti con i soldi e con il gusto migliore. Solo che questa, via via, diventa solo una base logistica.
E Bossi? Bossi e la sua Lega prendono tanti voti, ma c'è da dubitare che riescano a comprendere la vastità di questo movimento, la rivoluzione della fabbrica postfordista che nasce per stare a ridosso del consumatore ovunque nel mondo.
Per il resto del sistema politico questo Nord Est è un problema. Già oggi è un'altra cosa dal resto d'Italia e lo sarà sempre di più.
E' come avere un pezzo di te che cresce e va avanti. E ti lascia indietro. A perdere tempo con gli ospedali siciliani e la mafia di Partinico.
Qui, questa è la verità, sono già cinque anni avanti. Al punto che gli svizzeri della grande banca Ubs sono già arrivati a aprire i loro uffici. Poi arriveranno anche le altre. E, ripeto, questo territorio, si scoprirà sempre più diverso, migliore rispetto al resto del paese. Fino al punto che un giorno non ci si riconoscerà più. E si domanderà che cosa ci sta a fare in un posto in cui per avere una licenza edilizia ci vogliono otto anni e per una di esportazione quattro.
Quel giorno saranno guai. Con Bossi, forse, andremo di nuovo a mangiare le rane (in ricordo dei vecchi tempi). Ma sarà tutta un’altra storia. Il giovane Rana ci sorvolerà con il suo jet, diretto magari a Hong Kong, e penserà che siamo proprio vecchi.