Mafia in Lombardia: 110 condanne ai boss della ‘ndrangheta
Il processo, nato dall'operazione “Infinito”, sancisce l'espansione della criminalità organizzata al Nord. E dimostra che esiste una Cupola anche in Calabria
Pasquale Zappia, considerato il capo dei capi della 'ndrangheta in Lombardia
Il giudice per l’udienza preliminare di Milano, Roberto Arnaldi, ha condannato 110 presunti affiliati alla ‘ndrangheta a pene fino a 16 anni di reclusione, nel maxi-processo per le infiltrazioni della mafia calabrese al Nord, celebrato con rito abbreviato. Quasi mille anni in tutto. Appena otto le assoluzioni. Confiscati tutti beni sequestrati durante le indagini, per un valore superiore ai quindici milioni di euro. Saranno risarcite alcune amministrazioni comunali e la regione Lombardia, che si erano costituiti parte civile.
L’IMPIANTO ACCUSATORIO HA RETTO – Ha retto benissimo l’impianto accusatorio dei pm, Alessandra Dolci e Paolo Storari, e del procuratore aggiunto, Ilda Boccassini. Per quasi tutti è stata dimostrata l’accusa di associazione mafiosa, il 416 bis. La pena più pesante è stata inflitta ad Alessandro Manno. Il presunto boss, sulla scia di Carmelo Novello (ucciso perché aveva tentato di rendersi autonomo rispetto alle ‘ndrine albresi), si era distaccato dalla cellula di Milano, per fondare la sua cosca a Pioltello, dove controllava i traffici di droga.
LA LETTURA DEL VERDETTO – Gli imputati, seduti nelle gabbie nell’aula bunker di via Ucelli di Nemi, hanno accolto la lettura del dispositivo con applausi polemici e pesanti insulti, rivolti sia ai magistrati sia ai loro stessi avvocati. Erano arrivati a Milano dalle carceri praticamente di tutta Italia. Pasquale Zappia, il presunto capo dei capi della ‘ndrangheta in Lombardia, eletto nel famigerato summit tenuto a Paderno Dugnano (Milano) nel 2009 nel centro “Falcone-Borsellino”, è stato condannato a 12 anni di carcere. Il presunto boss ha avuto un malore in aula, dopo la lettura della sentenza, ed è stato portato via in ambulanza. Zappia, nel 2009, avrebbe sostituito come capo dei capi Pino Neri (che verrà processato con rito ordinario in un altro filone della stessa indagine, assieme ad altri 38 imputati). Cosimo Barranca, presunto capo della cellula di Milano, è stato condannato a 14 anni; Pasquale Varca a 15; Vincenzo Mandalari, presunto boss di Bollate arrestato dopo una lunga latitanza, a 14. Dodici anni per Salvatore Strangio, accusato di essere l’uomo della ‘ndrangheta nella Perego Strade, assegnataria di appalti pubblici (il suo titolare verrà giudicato con rito ordinario).
I POLITICI – Due i politici imputati nel maxi-processo: l’ex sindaco di Borgarello (Pavia), Giovanni Valdes, condannato a 1 anno e 4 mesi per turbativa di asta, e l’ex assessore al Turismo della provincia di Milano, Antonio Oliverio, assolto. L’ex primo cittadino, assieme a un imprenditore e a un commercialista, avrebbe consentito a Carlo Chiriaco di acquistare terreni per una speculazione edilizia. L’ex direttore sanitario della Asl di Pavia è tra i 39 imputati che verranno processati per gli stessi fatti, con rito ordinario.
L’OPERAZIONE “INFINITO” - Il maxi-processo riguardava 119 imputati, arrestati nel luglio del 2010 nell’operazione “Infinito”, contro presunti affiliati alla ‘ndrangheta in Lombardia. Il blitz, guidato dalla Dda milanese e condotto da 3.000 agenti, portò in carcere più di 170 persone. Le procure di Milano e Reggio Calabria avevano richiesto l’arresto di 304 persone. Le indagini hanno disvelato le infiltrazioni della mafia calabrese sul territorio lombardo, anche in ambito imprenditoriale e politico. Secondo il procuratore Ilda Boccassini, soltanto in Lombardia ci sono circa 500 affiliati alla ‘ndrangheta. La pubblica accusa aveva chiesto 118 condanne.
UNA SENTENZA STORICA - La sentenza ha un valore storico. Paragonabile quasi al verdetto del primo maxiprocesso contro la mafia siciliana istruito da Giovanni Falcone. Il processo non solo conferma l’irresistibile espansione al Nord della ‘ndrangheta. Ma sancisce per la prima volta il principio che la mafia calabrese si muove come un’entità unitaria e sotto una direzione unica. La cupola non c’è solo in Sicilia. I clan calabresi, un tempo allergici alla struttura verticale, si sono adeguati al modello siciliano. E ora si muovono compatti alla conquista dei mercati del Nord Italia. E del resto del mondo. Perché pecunia (spesso, quasi sempre) non olet.
Massimo Laganà