Titoli di Stato Italia Trading Titoli di Stato IV° (Gennaio 2012 - Dicembre 2012)

Possiedo ancora 2 computer Olivetti che sono rimasti in solaio, l'M240 e l'M290, digitando M24 (da collezione) ho trovato questa pagina che spiega come funzionava a quei tempi l'Olivetti e non solo essa.

Olivetti M24: quando l’hardware parlava italiano
di Alessio Di Domizio - venerdì 21 marzo 2008












Si narra di un tempo in cui dalle parti di Cupertino, Steve Jobs, con un manipolo di progettisti hardware e designer, sbirciava nella vicina sede della Olivetti per carpire i segreti di un’azienda che, oltre a rappresentare una punta di diamante mondiale nell’innovazione tecnologica, era un punto di riferimento assoluto anche per il design industriale.
Proprio nella prima metà degli anni ’80, dal genio del R&D Olivetti, nacque il glorioso e vendutissimo M24, primo PC totalmente IBM compatibile in un mercato popolato di quasi-compatibili; un computer che rappresenta secondo molti l’ultima pietra miliare che l’industria informatica italiana sia riuscita a imporre in un settore di lì in poi monopolizzato dai produttori americani ed estremo orientali.

In vendita dal 1984, l’M24 raccoglieva l’eredità del precedente M20 (1982), un computer molto avanzato – anche dal punto di vista del design, curato da Ettore Sottsass – ma di scarso successo commerciale, a causa dell’impiego di un’architettura hw/sw proprietaria (CPU Zilog Z-8001, OS PCOS di Olivetti), che lo escludevano dal sempre più ricco parco software per IBM.
Memore dell’insuccesso dell’M20, Olivetti sviluppò il successivo M24 con l’obiettivo di essere al 100% compatibile con i PC IBM: detto fatto, il sistema – assemblato presso lo stabilimento di Scarmagno (TO) – garantiva piena compatibilità con le applicazioni Lotus 1-2-3 e MS Flight Simulator, forche caudine per gli altri “compatibili”.
La dotazione hardware prevedeva una CPU Intel 8086 a 8Mhz, più potente del misero 8088 a 4.77Mhz che equipaggiava il più costoso IBM XT, in quanto capace di operare su un bus a 16bit; completavano il quadro ben 7 slot di espansione contro i 3 dell’XT, interfacce seriale e parallela di serie, una tastiera più completa (102 tasti contro gli 83 della tastiera standard IBM), risoluzione video più elevata (fino a 640×400), memoria di 128kb espandibile a 640, 2 floppy da 5 e 1/4 e la possibilità di collegare due hard disk da 10Mb, uno interno e uno esterno.
Complessivamente l’M24 era in grado di lasciare nella polvere la concorrenza sul fronte prestazionale (si parla di prestazioni circa doppie rispetto all’IBM XT), restando nel contempo capace di soddisfare le esigenze del segmento corporate in termini di compatibilità con le applicazioni e gli OS più diffusi: oltre al “classico” MS-DOS 2.11, era infatti supportato il CP/M 86, il semi-sconosciuto UCSD P-System basato sul Pascal, e il PCOS di Olivetti. Tutto questo in un’epoca in cui la rivoluzione informatica era in pieno corso, le aziende italiane iniziavano a sentire il bisogno di strumenti più potenti per la gestione dei processi interni e lo stato garantiva, complici anche delle pratiche di appalto non proprio trasparenti, una forte domanda interna.
Il successo di M24 non fu tuttavia solo italiano: una partnership con AT&T ne permise l’esportazione nel più evoluto mercato statunitense – sotto il nome di AT&T PC-6300 – dove il computer vendette bene, al punto da rendere per qualche tempo la Olivetti secondo produttore al mondo di PC.
Forse seduta sugli allori degli appalti facili, di certo mal gestita da un management politicizzato e inadatto alla competizione internazionale, ai tempi dell’M24 la Olivetti era tuttavia già uscita dal suo periodo d’oro. Un rafforzamento della concorrenza sul mercato PC e la successiva crisi economica nazionale, avrebbero ben presto relegato al ruolo di bel ricordo quel tempo in cui, per individuare lo stato dell’arte del mondo tecnologico, bisognava guardare anche in Italia.
 
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Possiedo ancora 2 computer Olivetti che sono rimasti in solaio, l'M240 e l'M290, digitando M24 (da collezione) ho trovato questa pagina che spiega come funzionava a quei tempi l'Olivetti e non solo essa.

Olivetti M24: quando l’hardware parlava italiano
di Alessio Di Domizio - venerdì 21 marzo 2008












Si narra di un tempo in cui dalle parti di Cupertino, Steve Jobs, con un manipolo di progettisti hardware e designer, sbirciava nella vicina sede della Olivetti per carpire i segreti di un’azienda che, oltre a rappresentare una punta di diamante mondiale nell’innovazione tecnologica, era un punto di riferimento assoluto anche per il design industriale.
Proprio nella prima metà degli anni ’80, dal genio del R&D Olivetti, nacque il glorioso e vendutissimo M24, primo PC totalmente IBM compatibile in un mercato popolato di quasi-compatibili; un computer che rappresenta secondo molti l’ultima pietra miliare che l’industria informatica italiana sia riuscita a imporre in un settore di lì in poi monopolizzato dai produttori americani ed estremo orientali.

In vendita dal 1984, l’M24 raccoglieva l’eredità del precedente M20 (1982), un computer molto avanzato – anche dal punto di vista del design, curato da Ettore Sottsass – ma di scarso successo commerciale, a causa dell’impiego di un’architettura hw/sw proprietaria (CPU Zilog Z-8001, OS PCOS di Olivetti), che lo escludevano dal sempre più ricco parco software per IBM.
Memore dell’insuccesso dell’M20, Olivetti sviluppò il successivo M24 con l’obiettivo di essere al 100% compatibile con i PC IBM: detto fatto, il sistema – assemblato presso lo stabilimento di Scarmagno (TO) – garantiva piena compatibilità con le applicazioni Lotus 1-2-3 e MS Flight Simulator, forche caudine per gli altri “compatibili”.
La dotazione hardware prevedeva una CPU Intel 8086 a 8Mhz, più potente del misero 8088 a 4.77Mhz che equipaggiava il più costoso IBM XT, in quanto capace di operare su un bus a 16bit; completavano il quadro ben 7 slot di espansione contro i 3 dell’XT, interfacce seriale e parallela di serie, una tastiera più completa (102 tasti contro gli 83 della tastiera standard IBM), risoluzione video più elevata (fino a 640×400), memoria di 128kb espandibile a 640, 2 floppy da 5 e 1/4 e la possibilità di collegare due hard disk da 10Mb, uno interno e uno esterno.
Complessivamente l’M24 era in grado di lasciare nella polvere la concorrenza sul fronte prestazionale (si parla di prestazioni circa doppie rispetto all’IBM XT), restando nel contempo capace di soddisfare le esigenze del segmento corporate in termini di compatibilità con le applicazioni e gli OS più diffusi: oltre al “classico” MS-DOS 2.11, era infatti supportato il CP/M 86, il semi-sconosciuto UCSD P-System basato sul Pascal, e il PCOS di Olivetti. Tutto questo in un’epoca in cui la rivoluzione informatica era in pieno corso, le aziende italiane iniziavano a sentire il bisogno di strumenti più potenti per la gestione dei processi interni e lo stato garantiva, complici anche delle pratiche di appalto non proprio trasparenti, una forte domanda interna.
Il successo di M24 non fu tuttavia solo italiano: una partnership con AT&T ne permise l’esportazione nel più evoluto mercato statunitense – sotto il nome di AT&T PC-6300 – dove il computer vendette bene, al punto da rendere per qualche tempo la Olivetti secondo produttore al mondo di PC.
Forse seduta sugli allori degli appalti facili, di certo mal gestita da un management politicizzato e inadatto alla competizione internazionale, ai tempi dell’M24 la Olivetti era tuttavia già uscita dal suo periodo d’oro. Un rafforzamento della concorrenza sul mercato PC e la successiva crisi economica nazionale, avrebbero ben presto relegato al ruolo di bel ricordo quel tempo in cui, per individuare lo stato dell’arte del mondo tecnologico, bisognava guardare anche in Italia.


anche se allepoca non ero ancora nato...
mi vien da piangere a pensare che eravamo quasi stati i primi a creare un pc all'avanguardia, e che adesso non resta più niente.

Pier Giorgio Perotto: Nel 1991 ha ricevuto il Premio Leonardo da Vinci per aver realizzato il primo personal computer del mondo.
http://it.wikipedia.org/wiki/Pier_Giorgio_Perotto
 
Ultima modifica:
La Montecatini Edison S.p.A., dal 1966 al 1969, abbreviata poi in Montedison S.p.A., è stata un grande gruppo industriale e finanziario italiano, conosciuto con questo nome fino al 2002; attivo prevalentemente nella chimica, aveva però interessi in numerosi altri settori (farmaceutica, energia, metallurgia, agroalimentare, assicurazioni, editoria).
Costanti della sua storia sono stati il dualismo con il polo chimico pubblico dell’ENI, l’influenza da parte di Mediobanca ed un capitale sociale frammentato, spesso privo di un azionista di controllo e soggetto a frequenti scalate in Borsa.
Nel 1975 la Montedison aveva un fatturato di 5,41 miliardi di dollari e 150.555 dipendenti.[1] La parabola della Montedison, nata come uno dei maggiori gruppi chimici mondiali e gradualmente ridimensionata, è stata vista da molti commentatori come esemplificativa del declino industriale dell'Italia, incapace di esprimere multinazionali di dimensioni adatte a competere sui mercati mondiali.
Indice  [nascondi] 
1 Storia
1.1 Origini: Montecatini ed Edison
1.2 Il dopoguerra e la fusione
1.3 Gli anni Settanta
1.4 Gli anni Ottanta
1.5 La nascita di Enimont
1.6 Gli anni Novanta
1.7 L’OPA di EDF e la fine della Montedison
2 Le attività ex-Montedison
3 Aree ex-Montedison
4 Storia del logo
5 Presidenti
6 Voci correlate
6.1 Personaggi
6.2 Luoghi
6.3 Aziende del gruppo Montedison
7 Note
8 Bibliografia
Storia [modifica]

Origini: Montecatini ed Edison [modifica]
La Montedison nacque nel 1966 dalla fusione tra Montecatini ed Edison; la Montecatini fu costituita nel 1888 a Montecatini Val di Cecina (PI) per lo sfruttamento delle locali miniere di rame; negli anni dieci del XX secolo entrò nel settore chimico e nei decenni successivi diventò, a colpi di brevetti e di acquisizioni, la maggior azienda chimica italiana, pressoché monopolista in alcune produzioni come l’acido solforico, i concimi, i coloranti (tramite la controllata ACNA); nel 1936, in collaborazione con l’AGIP, costituì l’Anic (Azienda Nazionale Idrogenazione Carburanti), con lo scopo di produrre benzina sintetica, e che sarebbe stato il primo nucleo dell’industria petrolchimica italiana. La Edison nacque nel 1895 a Milano e fu una delle prime aziende a sfruttare in Italia quell’energia idroelettrica che fu alla base della prima industrializzazione italiana, costruendo dighe lungo l’arco alpino, in particolare in Lombardia; già ai primi del ‘900 la Edison era uno dei gruppi industriali dominanti in Italia, suddividendosi il controllo del mercato elettrico nell’Italia del Nord con la SIP - Società Idroelettrica Piemontese, concentrata in Piemonte e Liguria, e la SADE, forte nel Nord Est.
Il dopoguerra e la fusione [modifica]
Già nell’immediato dopoguerra in Italia si ipotizzava la nazionalizzazione dell’industria elettrica, fino ad allora in mano ad aziende private come la stessa Edison; la prospettiva di subire un esproprio delle proprie attività indusse le aziende elettriche a diversificare: la Edison scelse di investire prevalentemente nella petrolchimica, attratta anche dagli incentivi concessi dallo Stato. Negli anni ’50 così gli interessi della Edison entrarono in collisione con quelli della Montecatini, in difficoltà finanziarie per i forti investimenti richiesti dalla costruzione del polo petrolchimico di Brindisi, ma all’avanguardia nella ricerca sui nuovi materiali (il polipropilene isotattico), grazie all’industrializzazione dei brevetti derivanti dalle ricerche del chimico Giulio Natta, premio Nobel nel 1962. Nel 1962, con la costituzione dell’Enel, la nazionalizzazione dell’industria elettrica ebbe effettivamente luogo; le aziende private dovettero conferire i loro impianti al neonato ente elettrico, ricevendo in cambio dei cospicui indennizzi. La stessa Montecatini nel 1963 acquisì l’ex azienda elettrica SADE, con il solo scopo di appropriarsi degli indennizzi; ma il dissesto finanziario della Montecatini trovò soluzione solo il 7 luglio 1966 con la fusione per incorporazione di Montecatini - Società generale per l'Industria Mineraria e Chimica in Edison, anch’essa forte degli indennizzi ricevuti dallo stato in seguito alla nazionalizzazione; la fusione fu progettata da Mediobanca, che affidò la guida della Montedison ai dirigenti della “vecchia” Edison. Nel 1968, sempre con la supervisione di Mediobanca, la Sogam (finanziaria a controllo congiunto IRI-ENI) rastrellò in borsa un pacchetto di azioni pari al 15-20% del capitale, sufficiente a garantire la qualifica di azionista di riferimento.
Gli anni Settanta [modifica]
Nel 1971 Eugenio Cefis, già presidente dell’ENI, fu nominato presidente della Montedison, carica che avrebbe mantenuto fino al 1977; la stampa dell’epoca vedeva la Montedison più come uno strumento di Cefis per realizzare non meglio precisati disegni politici (anche di tipo golpistico)[2] che non come un gruppo industriale collegato con l’ENI, che ne deteneva congiuntamente all’IRI il pacchetto di controllo. Il sospetto era avvalorato dall’acquisizione del quotidiano Il Messaggero e dalle mire di Cefis sul Corriere della Sera: i quotidiani sarebbero dovuti servire per aumentare il peso politico di Cefis e del suo referente politico Amintore Fanfani[3]. A prescindere da ciò, negli anni ’70 la Montedison infilò una lunga serie di bilanci in rosso, appena mitigati da proventi finanziari ricercati proprio con lo scopo di “abbellire” i risultati fiaccati dal cattivo andamento della gestione industriale[4]. Nonostante la presenza dell’ENI nel capitale, la Montedison ne era di fatto autonoma, comportandosi con l’ente petrolifero come un concorrente, entrandovi in collisione specialmente per l’assegnazione dei cospicui aiuti pubblici che in quegli anni erano erogati a fronte degli investimenti industriali nel Mezzogiorno. All’IRI Montedison poté cedere alcune aziende alimentari (come la Pai e la Pavesi) acquistate dalla Edison nel decennio precedente, mentre approfittò della creazione dell’EGAM per cedergli le poco redditizie attività minerarie ereditate dalla Montecatini[5].
Gli anni Ottanta [modifica]
Nel 1981 ebbe luogo la “riprivatizzazione” della Montedison: sotto la regia di Mediobanca un consorzio partecipato dai gruppi Agnelli, Pirelli, Bonomi e Orlando acquisì il pacchetto di controllo in mano agli enti pubblici. Grazie anche ad una congiuntura favorevole i conti della Montedison andarono migliorando, ed il presidente Mario Schimberni se ne avvantaggiò perseguendo una politica di autonomia dai maggiori azionisti, compiendo operazioni come l’acquisizione della compagnia assicurativa Fondiaria, nonostante il parere contrario di Mediobanca. Anche per questo i maggiori soci uscirono progressivamente dall’azionariato, mentre vi entrarono gruppi “emergenti” come il gruppo Varasi (vernici), la Inghirami (abbigliamento), la Maltauro (costruzioni) ed il gruppo Ferruzzi (agroalimentare); quest’ultimo, guidato da Raul Gardini, venne ad assumere una posizione via via predominante tramite gli acquisti in Borsa e nel 1987 deteneva più del 40% del capitale, diventando il socio di comando. Il disegno imprenditoriale del gruppo Ferruzzi, attivo soprattutto nel settore agro-alimentare, non sembrava del tutto coerente con le attività della Montedison: secondo alcune interpretazioni la Ferruzzi aveva cominciato ad intuire le potenzialità della “chimica verde” (ad esempio nei biomateriali o nelle bioenergie)[6], intravvedendovi possibili sbocchi di mercato per le materie prime agricole.
La nascita di Enimont [modifica]
Nel 1988 ENI e Montedison conferirono alla joint venture Enimont (40% ENI, 40% Montedison, 20% flottante) le proprie attività chimiche: si realizzava così quell’alleanza tra chimica pubblica e chimica privata che molti auspicavano da anni. La vita di Enimont fu breve e travagliata: nel 1989 la Montedison sembrò in un primo momento mirare alla maggioranza assoluta del capitale, ma già nel 1990 finì col cedere la totalità delle attività chimiche all’ENI, ricevendone in cambio 2.805 miliardi di lire[7], un prezzo valutato in seguito come esorbitante; in seguito intorno alla gestione ed alla trattativa per la cessione di Enimont emersero episodi di corruzione[8].
Gli anni Novanta [modifica]
Con l’uscita quasi totale dal settore chimico e con la riorganizzazione del gruppo Ferruzzi, la Montedison era diventata una semplice holding di partecipazioni che controllava (attraverso complesse architetture societarie) aziende come la Eridania Beghin Say (zucchero), la Fondiaria (assicurazioni), la Cereol (semi oleosi) e la Carapelli (olio d’oliva), nonché la “nuova” Edison, capogruppo per le attività nell’energia ricostituita nel 1991 per sfruttare le opportunità prospettate dalle tendenze emergenti verso la liberalizzazione dei mercati energetici. Nel 1993 Montedison si trovava con un indebitamento insostenibile che costrinse i Ferruzzi a cedere il controllo del gruppo alle banche creditrici, capeggiate dalla “solita” Mediobanca. Il decennio fu caratterizzato dal risanamento societario e dalle cessioni e riorganizzazioni finalizzate alla riduzione dell’indebitamento. Artefice di questa rinascita è il "chimico" Enrico Bondi, che avrà poi modo di confermare le sue grandi qualità nel salvataggio di altre realtà scricchiolanti, ultima delle quali Parmalat.
L’OPA di EDF e la fine della Montedison [modifica]
Ancora una volta gli azionisti “di controllo” della Montedison non avevano forza per proteggere la società da scalatori di borsa. Nella primavera del 2001 furono il finanziere Romain Zaleski e l’ente elettrico di stato francese EDF a rastrellare azioni Montedison; EDF arrivò a detenere il 30% circa del capitale, ma il governo italiano si oppose alla presa di potere del colosso di stato francese, adducendo la mancanza di “reciprocità” per le aziende italiane di scalare le aziende energetiche francesi. In effetti ciò che interessava ad EDF erano le centrali elettriche e le quote di importazione per il gas di Edison, nella prospettiva di liberalizzazione del mercato energetico italiano. Lo stallo che si era creato fu risolto con la costituzione della holding Italenergia, partecipata da Fiat, EDF e Zaleski e che controllava la maggioranza di Montedison, che nel 2002 mutò nome in Edison e cedette tutte le partecipazioni ereditate dalla vecchia Montedison, diventando a tutti gli effetti un gruppo energetico.
Le attività ex-Montedison [modifica]

A partire dalla vicenda Enimont e proseguendo con la crisi finanziaria del gruppo Ferruzzi, la Montedison cedette molte attività, ciascuna delle quali seguì destini diversi; negli anni Duemila vi sono tuttora alcune aziende che portano nel nome la loro precedente appartenenza al gruppo Montedison:
Edison: scomparsa dopo la fusione del 1966, la denominazione fu ripresa nei primi anni ’90 come filiale della Montedison per le attività energetiche, e sostituì la SELM; dopo avere assorbito le attività elettriche nel gruppo Falck, nel 2001 era diventato l’asset più importante del gruppo ed era ciò a cui in realtà mirava EDF quando scalò la Montedison. Ha ereditato dalla “vecchia” Edison la sede storica di Foro Buonaparte a Milano.
Tecnimont: operante nel settore dell’ingegneria civile ed industriale, nel 2005 è stata ceduta dalla Edison al gruppo Maire Engineering (già Fiat Engineering), dando origine a Maire Tecnimont.
Novamont: con sede a Novara, è un’azienda specializzata nella produzione di bioplastica a partire dal mais, che ha ottenuto riconoscimenti a livello internazionale per la sua produzione di materiali biodegradabili.[9]
Montefibre: nome del vecchio raggruppamento Montedison attivo nella produzione di tecnofibre; conferita alla Enimont passò successivamente all’EniChem; nel 1997 la proprietà fu rilevata dal gruppo tessile Orlandi. L’azienda porta ancora il vecchio nome ed è quotata in Borsa.
Altre attività sono state invece cedute e quindi assorbite da altri gruppi industriali, da cui il cambio della denominazione. La maggior parte delle attività chimiche “tradizionali” in effetti passarono all’EniChem nel 1991, dopo la vicenda Enimont; non così però le attività tecnologicamente più avanzate, come quelle raggruppate in Ausimont ed Himont, che rimasero “in pancia” a Montedison fino al 2002, quando l’azienda completò il processo di rifocalizzazione sull’energia:
Agrimont (già Fertimont): la società dei prodotti per l’agricoltura è stata conferita nel 1991 all’EniChem, la quale conferirà a sua volta le attività alla controllata EniChem Agricoltura:
-il ramo agrofarmaci (insetticidi, erbicidi, fungicidi) è stato ceduto nel 1992 ad una società neocostituita, la Isagro, tuttora attiva e quotata in Borsa;
-il ramo fertilizzanti fu ceduto alla Norsk Hydro nel 1996;
Montedipe e Montepolimeri: anche queste società specializzate nelle produzioni chimiche di base e nelle materie plastiche passarono nel 1991 all’EniChem, che mantenne parte delle attività (oggi facenti capo a Syndial ed a Polimeri Europa) e ne dismise invece altre (come la Vinavil, rilevata poi dal gruppo Mapei).
Ausimont: specializzata nella chimica del fluoro e delle tecnoplastiche, rimase controllata dal gruppo Montedison fino al 2002, quando fu ceduta ed assorbita dal gruppo chimico Solvay.
Himont: joint-venture tra Montedison e l’americana Hercules, l’azienda, che produceva polipropilene, era considerata uno dei “gioielli” tecnologici del gruppo, che infatti non volle conferirla ad Enimont al momento della sua costituzione; subentrata alla Hercules la Shell (da cui la denominazione Montell), la Montedison la cedette completamente nel 1997. Successivamente, dopo l'entrata di BASF nel 2000 divenne Basell). Nel 2005, sia Basf sia Shell vendettero l'azienda ad una cordata di aziende, tra cui Access Industries e Chatterjee Group per circa 4,4 miliardi di euro[10]. Attualmente (Dicembre 2007), dopo l'ennesima fusione (stavolta con l'americana Lyondell) ha acquisito il nome di LyondellBasell.
Farmitalia: neanche il polo farmaceutico della Montedison entrò nell’affare Enimont, ma fu comunque ceduto pochi anni dopo alla Pharmacia (oggi Pfizer); Montedison ne conservò però il ramo aziendale denominato Antibioticos, specializzato nella sintesi di principi attivi antibiotici, che fu venduto alla Fidia Farmaceutici solo nel 2003.
Singoli stabilimenti specializzati in produzioni di nicchia sono stati assorbiti da aziende chimiche emergenti come quello di Pallanza (già Montefibre), che tuttora produce PET e che venne rilevato nel 1989 dal gruppo Mossi & Ghisolfi, o quello di Novara (già Montedipe), che produce principalmente fibre poliammidi e che passò invece al gruppo Radici.
Aree ex-Montedison [modifica]

L'avventura industriale della Montedison non ha però lasciato solo attività produttive, ma anche numerosi impianti che sono stati chiusi o notevolmente ridimensionati, creando aree "ex-Montedison" in tutta Italia:
Milano: l'area situata nel quartiere di Rogoredo, dove fino al 1970 si produceva l'insetticida Rogor. Nel 1987 era in progetto su quest'area un ipermercato Euromercato del gruppo Standa che all'epoca era di proprietà Montedison. Attualmente è in fase di riqualificazione come area residenziale (quartiere Santa Giulia); un'altra area ex-Montedison si trova in zona Sempione, dove è prevista la costruzione di un grattacielo da 24 piani. Il grattacielo di largo Donegani che ospitava la sede della Montecatini è oggi sede della Finelco, società a cui fanno capo le emittenti radiofoniche nazionali Radio 105, Radio Montecarlo e Virgin Radio.[11]
Polo chimico di Ferrara
Porto Recanati
Mantova
Bussi (Pescara)
Assisi
Crotone
Castellanza
Brindisi
Orbetello
Porto Empedocle: l'area, situata alla periferia del comune agrigentino, verrà completamente bonificata grazie ad un progetto di rilancio finanziato dal CIPE. Nell'area industriale ormai dismessa verranno collocati un auditorium, diverse attività culturali e il nuovo impianto sportivo dove la Fortitudo Agrigento, maggiore squadra di pallacanestro di Agrigento, disputerà le partite casalinghe.
Marghera
Casteltermini
In ognuno di questi siti la cessazione dell’attività ha determinato per le popolazioni difficoltà occupazionali e la complessa ricerca di soluzioni per destinare a nuovi usi le enormi aree dismesse, che richiedono anche interventi di bonifica dall’inquinamento di origine industriale.
Storia del logo [modifica]

Esistono varie versioni sull'origine del logo che identificava la Montedison e le sue filiali:
il sito della Edison ([2]) riporta che fu creato appositamente dalla società statunitense Landor nel 1972 per identificare la Montedison e tutte le altre società del gruppo;
un'altra versione sostiene che il logo sia stato realizzato casualmente: scarabocchiando l'interno di un fermaglio per fogli in vari punti, un grafico notò il suo alto valore comunicativo e pensò che potesse essere quello il logo per rappresentare la Montedison;
una terza versione sostiene che il logo del gruppo Montedison, fu disegnato durante una riunione generale nel Petrolchimico Nord di Porto Marghera dall'ingegner Cesare Niero (classe 1925), responsabile d'impianto dei fertilizzanti azotati e dell' acido nitrico (Dipa: Agrimont, Fertimont, Montecatini, Azotati (ex FIAT), disegnando 4 fermagli da fogli, disposti a 45 gradi quasi ad indicare "un'aquila che spicca il volo", ricordata poi come L'aquila (il più regale tra i volatili) della Montedison, la più regale industria nel settore chimico e di raffineria.


Logo Standa nel periodo Montedison usato dal 1973 al 1988
Nel 1992, quando la Montedison era già nei suoi ultimi anni, il suo logo era riportato sulla fiancata de Il Moro di Venezia, la barca di Raul Gardini, prodotta presso Tencara che arrivò fino alla finale dell'America's Cup.
Inoltre esso servì per alcuni anni a identificare la Standa, quando essa fu di proprietà Montedison.
Presidenti [modifica]

Giorgio Valerio (1966-1970)
Cesare Merzagora (1970)
Pietro Campilli (1970)
Eugenio Cefis (1971-1977)
Giuseppe Medici (1977-1981)
Mario Schimberni (1981-1987)
Raul Gardini (1987-1991)
Giuseppe Garofano (1991-1992)
Arturo Ferruzzi (1993)
Guido Rossi (1993-1995)
Luigi Lucchini (1995-2001)
Umberto Quadrino (2001-2002)
Voci correlate [modifica]
 
Penso che il popolo italiano, dopo l'illusione durata qualche anno di essere diventato più ricco con la
crescita esponenziale dei prezzi immobiliari,grazie all'€ e ai tassi bassi, adesso abbia altro a cui pensare.
Purtroppo siamo solo un popolo e abbiamo poco o nulla di nazione, come i francesi o i tedeschi ad esempio.
Ti porto l'esempio odierno di Berlusconi che dice:AGI.it - Berlusconi: "Torno in pista per salvare il Pdl". Il leader Pd: "Agghiacciante"
Non ha detto di voler tornare per salvare l'Italia! Meno male aggiungo io.
La parola Patria l'ho letta solo dal dal buon g.ln. e non la sento da quando facevo le elementari.
A questo punto, meglio essere temuti secondo me, se può aiutarci a mantenerci in equilibrio sulla cresta del burrone.

..alle elementari la storia si imparava tenendo sempre presente da dove arrivavamo..purtroppo è da troppo tempo che questi vergognosi politici in tutti i modi tentano di cancellare la storia e i sacrifici del Risorgimento culminato con la vittoria nella sanguinosa e controversa Prima Guerra Mondiale (quando alle elementari venivano a raccontare capitoli di storia vissuta i reduci di quella tremenda realtà) con quel vergognoso ventennio (fascista) che purtroppo trova nell'oggi molte similitudini..la perdita di valori morali,etici e soprattutto civili...tutto a discapito di quell'identità che i nostri Nonni,compreso il mio,hanno difeso con la propria Vita.
 
Ultima modifica:
Buongiorno a tutti.
Si riparte con i Future indecisi tendenti al basso.
Ho un ptf il 41i a 62 ma resto fermo, e mi aspetto almeno un rimbalzo.
Vedremo..................
 
Buongiorno a tutti.
Si riparte con i Future indecisi tendenti al basso.
Ho un ptf il 41i a 62 ma resto fermo, e mi aspetto almeno un rimbalzo.
Vedremo..................

Il FBUND ma anche il FBTP non ha ancora rotto il trend che dovrebbe vedere un cambio di direzione anche nei tds.
Però siamo in boarder line quindi occhi aperti, sopratutto sul BUND
 

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