Titoli di Stato Italia Trading Titoli di Stato "volume V" (Gennaio 2013 - Dicembre 2013)

...Inoltre dobbiamo recuperare il 14% in + di inflazione rispetto ai tedeschi, che abbiamo cumulato dal 2000 circa che, ci fa perdere competitività per cui, siamo costretti ad abbassare il costo del lavoro ma, non attraverso una minore tassazione! Ma comprimendo i salari, quindi impoverimento. In questo modo ridurremo i consumi ulteriormente, soprattutto se ci sarà l'aumento dell'Iva, con beneficio per il ns. deficit. Il debito pubblico è un'altra storia e, per ridurlo penso che sia utopia, ammesso di riuscire ad esportare ancora di più. Utopia, perchè se non si inventano qualcosa dal prossimo anno dovremo fare i conti col fiscal compact.
 
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Angela Merkel



Politiche di crescita finanziate in deficit? Meglio togliersele dalla testa, almeno fino a quando sarà in vigore il Fiscal Compact, il vincolo europeo che obbliga i Paesi al pareggio strutturale del bilancio e a riportare il rapporto tra il debito ed il Pil vicino alla soglia del 60% con una riduzione dell'eccedenza di un ventesimo l'anno.
Cosa questo possa significare, in termini concreti, lo ha provato a spiegare l'Istat nella sua Relazione sulla situazione del Paese appena data alle stampe. L'Istituto di Statistica non cita esplicitamente il caso dell'Italia, ma uno degli esempi riportati nel documento, quello di un Paese con un rapporto debito-Pil al 130%, che paga interessi sul debito pari al 4% e che ha una crescita nominale dell'economia dell'1%. Un identikit, insomma, che assomiglia molto a quello di Roma.
Per rispettare la regola del pareggio di bilancio, spiega l'Istat, questo ipotetico Paese avrebbe bisogno di un avanzo primario (la differenza tra le entrate dello Stato e le spese al netto degli interessi sul debito) del 5%. Ma la vera strettoia, dice sempre l'Istituto, è la regola del debito. Per poterla rispettare, un Paese con un debito del 130% deve riuscire a garantire un avanzo primario de 7%, che nei momenti di recessione deve salire addirittura al 9% per poter scendere al 2,5% se l'economia dovesse, al contrario, galoppare. E comunque per raggiungere l'obiettivo del debito-Pil ci vorrebbero 80 anni.
"Esaminando l’andamento del saldo primario, i risultati confermano che gli spazi per l’attuazione di politiche di bilancio discrezionali per la correzione del ciclo economico", scrive l'Istat, "risultano inesistenti nel caso dell’applicazione stretta della regola del pareggio di bilancio strutturale". Inoltre, aggiunge l'Istituto, "risulta che la regola di riduzione del debito può portare a una politica fiscale prociclica, annullando l’effetto di stimolo degli stabilizzatori automatici durante le fasi recessive".
 
...E ancora, siamo sicuri che ci sarà crescita dell'inflazione nel mondo? le materie prime crollano, i paesi emergenti, con lo spauracchio del rallentamento del QE3, stanno soffrendo la fuga degli investitori con grande svalutazione delle loro valute, in primis nei confronti del $. Cina, India,Brasile e Russia, stanno frenando parecchio. Dov'è l'inflazione? Se continua così, un eventuale rialzo dei tassi da parte della FED, metterebbe in ginocchio il mondo!
 
eran tutti pronti per andare all'inferno ed invece clamoroso il dato del manufacturing index di philadelphia. quindi adesso devono pensarci bene.
 
Ecco perché annullare l’avanzo primario

Pubblicato da keynesblog il 14 giugno 2013 in Economia, Europa, Italia

di Riccardo Realfonzo Il Sole 24 Ore, 13 giugno 2013
Le prospettive economiche per l’Italia restano gravissime, al punto che secondo le ultime previsioni il 2013 si chiuderà con una ulteriore contrazione di circa due punti del Pil (qui e in seguito dati Ocse). Il ministro Saccomanni afferma che la crisi è “peggiore di quella del ‘29” ma continua a ripetere che il governo deve rispettare il vincolo del deficit pubblico al 3% del Pil. Ne segue che per quest’anno sono ormai possibili solo manovre a saldo zero e anche nel 2014 ci saranno ben pochi margini di intervento, limitati alla differenza tra il deficit tendenziale e il vincolo del 3%: circa mezzo punto di Pil, non più di 8 miliardi. Risorse che non sarebbero più nemmeno disponibili se dovessimo dare corso al Documento di Economia e Finanza che – in linea con Six Pack e Fiscal Compact – si pone l’obiettivo di azzerare il deficit (in termini strutturali) mediante nuovi progressivi innalzamenti dell’avanzo primario sino a un valore record di fine legislatura del 5,7% del Pil (90 miliardi di euro).

Insomma, nonostante l’emergenza in cui ci troviamo, il governo sembra avere le mani legate e prospettarci ancora austerità. Ma è ormai acclarato che questo tipo di politiche frena la crescita e non assicura il riequilibrio dei conti pubblici. Lo abbiamo sperimentato in Italia, dove gli interventi restrittivi non hanno dato gli effetti previsti né in termini di crescita (le previsioni del precedente esecutivo per il 2013 erano di un + 0,5%, mentre il Pil si riduce al ritmo del 2%) né in termini di finanze pubbliche (il rapporto debito e Pil, stimato in diminuzione, continua ad aumentare). E lo abbiamo sperimentato in Europa, dove il Fondo Monetario Internazionale ammette che sono stati ampiamente sottostimati gli effetti deleteri delle politiche di austerità. Il punto è – come ho già sottolineato mesi fa su queste colonne – che i modelli previsionali adottati dalle principali istituzioni internazionali hanno introiettato la “teoria dell’austerità espansiva”, attribuendo ai moltiplicatori della politica fiscale, che misurano l’impatto delle politiche espansive sul Pil, valori negativi o prossimi allo zero. In realtà, i moltiplicatori si sono rivelati molto più grandi ed è ormai innegabile che una politica restrittiva (un aumento del saldo tra prelievo fiscale e spesa pubblica) riduce il Pil in misura almeno equivalente, con retroazione negativa sulle entrate fiscali.
Per questo, proseguire con il rigore è a dir poco rischioso, e occorrerebbe imprimere una svolta alla politica economica nazionale, smettendola di considerare i vincoli europei alla stregua di “tabù”, come ormai riconoscono gli stessi campioni dell’austerità. La nuova strada da battere consisterebbe nell’azzeramento dell’avanzo primario, oggi pari a 2,4 punti di Pil. Ciò significherebbe disporre di oltre 35 miliardi di euro da utilizzare per ridurre la pressione fiscale sul mondo della produzione e promuovere politiche industriali. L’impatto sulla crescita di un intervento di questo tipo può essere analizzato alla luce delle nuove stime del moltiplicatore della politica fiscale. Alcuni studi relativi all’Italia mostrano che in condizioni recessive il moltiplicatore della spesa pubblica supererebbe il valore di 2 (ma esistono anche stime di moltiplicatori pari a 3). Qui, molto più prudentemente, consideriamo il valore medio (pari a 1,3) dell’intervallo calcolato dal capo economista del Fondo Monetario Internazionale, Olivier Blanchard. Sotto questo assunto, l’azzeramento del nostro avanzo genererebbe una crescita del Pil di oltre 45 miliardi di euro, 3 punti di Pil, fornendo la spinta di cui abbiamo oggi tanto bisogno. Ed entro 9-15 mesi, raggiunto il picco espansivo, anche gli effetti immediati di incremento di deficit e debito risulterebbero in buona misura compensati da due fattori: l’aumento stesso del Pil, che naturalmente abbatte i rapporti significativi di finanza pubblica, e la crescita delle entrate fiscali, che trainate dalla ripresa incrementerebbero di almeno un punto di Pil.
Insomma, andare oltre il vincolo europeo sul deficit conviene, perché può permetterci di rilanciare l’economia italiana. Inutile sottolineare che sarebbe eccellente concordare a livello europeo una simile discontinuità, magari prima di procedere a più complessi interventi di riassetto delle istituzioni europee e del palinsesto macroeconomico. Infatti, al di là delle motivazioni più squisitamente politiche, una azione espansiva portata avanti di concerto dai membri dell’eurozona, e trainata da quelli che hanno i conti più solidi, darebbe ulteriore impulso alla crescita e gioverebbe agli equilibri della bilancia commerciale; e con una Banca Centrale Europea accomodante anche le possibili tensioni sugli oneri del debito risulterebbero efficacemente arginate. Ma se l’Europa continuasse a tergiversare e trascurare il baratro dentro cui stiamo scivolando, dovremmo considerare la possibilità di una azione unilaterale. Certo, si tratterebbe di una strada estremamente ardua, ma potrebbe finire con l’essere l’unica via che resta prima di arrenderci al declino o essere costretti a decisioni che metterebbero a repentaglio ancora maggiore la tenuta della zona euro.
Fonte: riccardorealfonzo.it
 
20/06/2013 16.08
Eurozona: Indice Fiducia Consumatori a giugno si attesta a -18,8 punti, meglio del previsto

La Commissione Europea ha reso noto che il valore preliminare dell'Indice di Fiducia dei Consumatori in giugno si e' attestato a -18,8 punti dai -21,9 punti di maggio, a fronte di attese pari a -21,5 punti.
(CC)

(FTA Online News)
 

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