Sharnin 2
Forumer storico
Caro-greggio: la causa è la speculazione
Alfonso Tuor
Poco più di un mese fa la guerra in Georgia e soprattutto la conseguente sospensione delle forniture di petrolio azero avrebbero dovuto spingere il prezzo del greggio verso nuove vette. Invece il prezzo dell’oro nero, che aveva superato la soglia dei 147 dollari il barile, è sceso lo scorso 12 agosto sotto i 113 dollari e, anche calcolando il leggero rialzo degli ultimi giorni, registra un calo del 20% circa rispetto al massimo toccato in luglio. Questo ribasso è stato una delle cause che ha favorito il rimbalzo del dollaro che si è negli ultimi giorni apprezzato sia nei confronti del franco svizzero sia nei confronti della moneta unica europea. È dunque legittimo interrogarsi sulle ragioni che hanno provocato la discesa.
La spiegazione che va per la maggiore è che da un canto si è ridotta la fame di greggio di Europa e Stati Uniti e che dall’altro l’Opec, con in testa l’Arabia Saudita, ha aumentato la produzione. Quindi il gioco combinato di una domanda in calo e di un’offerta in aumento ha spinto al ribasso il prezzo del greggio. Questa spiegazione, apparentemente incontestabile, non soddisfa per diverse ragioni. Innanzitutto, nell’ultimo mese non vi è stato alcun avvenimento di rilievo tale da determinare un’inversione dell’andamento del prezzo del petrolio. Il rallentamento dell’economia europea ed americana e dunque il calo della loro domanda di greggio è un dato di fatto conosciuto da tempo. Così come la decisione dell’Arabia Saudita di aumentare la propria produzione di petrolio: era stata infatti annunciata alla vigilia del vertice tenutosi a Gedda a metà luglio. Questi dati non erano però riusciti finora a modificare le aspettative del mercato e quindi a frenare la corsa al rialzo del prezzo del greggio.
Questa spiegazione appare dunque quanto meno insoddisfacente. È quindi legittimo avanzare un’altra ipotesi, che è suffragata sia dall’andamento dei mercati sia da dati sempre più numerosi. Il prezzo del petrolio tende indubbiamente al rialzo, da un canto, per l’aumento della domanda complessiva dovuta anche alla fame di energia di India e Cina e, dall’altro, per l’incremento dei costi di estrazione dei giacimenti petroliferi. Questa tendenza è stata esasperata dalla speculazione finanziaria, che ha creato una vera e propria bolla.
Quello che oggi sembra l’inizio dello scoppio di questa bolla è stato determinato dalla volontà politica del Congresso americano di intervenire per chiudere le porte di accesso a questo mercato agli operatori non direttamente coinvolti nell’acquisto e nella vendita di petrolio, ossia agli Hedge Funds, ai fondi di investimento, alle banche, ecc. Il provvedimento di legge, che sta seguendo il suo normale iter parlamentare, ha provocato il «risveglio» della Commodity Futures Trading Commission, che è la commissione incaricata di sorvegliare il mercato e che è stata fortemente criticata dai senatori americani per la sua inazione. Lo scorso mese di luglio la Commissione ha cominciato a riclassificare alcuni operatori come «speculatori non commerciali», a tal punto da spingere il «Wall Street Journal» a scrivere che «i dati che emergono sugli operatori nei mercati delle materie prime mostrano che gli speculatori rappresentano una percentuale ben più ampia di quanto si pensasse prima» e ad aggiungere che «questi dati cambiano la percezione da un mercato del petrolio diversificato ad uno con una forte concentrazione di operatori finanziari che fanno grandi scommesse sul prezzo del petrolio». Il risveglio dal letargo della Commissione ha provocato l’esclusione da ogni attività sul mercato delle materie prime di alcuni grandi operatori e il fallimento di altri (come l’americana SemGroup, accusata oggi anche di frode e comportamenti non appropriati). Alcuni specialisti ritengono che il recente calo del prezzo del greggio sia proprio originato dal fatto che questi operatori sono stati costretti a chiudere le loro posizioni in fretta e furia. La stessa Commissione è consapevole di essere solo all’inizio della sua opera, poiché è molto complicato differenziare tra operatori commerciali, che usano il mercato dei derivati per difendersi dalle variazioni di prezzo, e speculatori finanziari. Anzi, spesso sono contemporaneamente speculatori e operatori commerciali.
L’offensiva politica del Congresso americano comincia comunque a produrre risultati concreti. Il primo è quello di aver messo in luce che l’influenza della speculazione finanziaria sul prezzo del petrolio è nettamente maggiore di quanto si pensasse. Il secondo è di aver probabilmente fatto scoppiare la bolla speculativa che si era formata nel mercato delle materie prime.
Ciò non vuol dire che il prezzo del petrolio ritornerà ai livelli dell’inizio di questo decennio, ossia attorno ai 20 dollari il barile, ma che potrebbe scendere sotto i 100 dollari. In ogni caso i guai economici provocati dall’impennata del prezzo del greggio non possono essere sanati dall’attuale trend, che per di più non è certo sia duraturo. In ogni caso gli effetti benefici del calo del greggio sull’inflazione non saranno immediati. Anzi occorrerà tempo, poiché la corsa del greggio ha cominciato a provocare un aumento generalizzato dei prezzi. Quindi neppure il ribasso del greggio basta a mutare sostanzialmente le prospettive poco rosee delle economie dei paesi di vecchia industrializzazione.
21/08/2008 23:39
Alfonso Tuor
Poco più di un mese fa la guerra in Georgia e soprattutto la conseguente sospensione delle forniture di petrolio azero avrebbero dovuto spingere il prezzo del greggio verso nuove vette. Invece il prezzo dell’oro nero, che aveva superato la soglia dei 147 dollari il barile, è sceso lo scorso 12 agosto sotto i 113 dollari e, anche calcolando il leggero rialzo degli ultimi giorni, registra un calo del 20% circa rispetto al massimo toccato in luglio. Questo ribasso è stato una delle cause che ha favorito il rimbalzo del dollaro che si è negli ultimi giorni apprezzato sia nei confronti del franco svizzero sia nei confronti della moneta unica europea. È dunque legittimo interrogarsi sulle ragioni che hanno provocato la discesa.
La spiegazione che va per la maggiore è che da un canto si è ridotta la fame di greggio di Europa e Stati Uniti e che dall’altro l’Opec, con in testa l’Arabia Saudita, ha aumentato la produzione. Quindi il gioco combinato di una domanda in calo e di un’offerta in aumento ha spinto al ribasso il prezzo del greggio. Questa spiegazione, apparentemente incontestabile, non soddisfa per diverse ragioni. Innanzitutto, nell’ultimo mese non vi è stato alcun avvenimento di rilievo tale da determinare un’inversione dell’andamento del prezzo del petrolio. Il rallentamento dell’economia europea ed americana e dunque il calo della loro domanda di greggio è un dato di fatto conosciuto da tempo. Così come la decisione dell’Arabia Saudita di aumentare la propria produzione di petrolio: era stata infatti annunciata alla vigilia del vertice tenutosi a Gedda a metà luglio. Questi dati non erano però riusciti finora a modificare le aspettative del mercato e quindi a frenare la corsa al rialzo del prezzo del greggio.
Questa spiegazione appare dunque quanto meno insoddisfacente. È quindi legittimo avanzare un’altra ipotesi, che è suffragata sia dall’andamento dei mercati sia da dati sempre più numerosi. Il prezzo del petrolio tende indubbiamente al rialzo, da un canto, per l’aumento della domanda complessiva dovuta anche alla fame di energia di India e Cina e, dall’altro, per l’incremento dei costi di estrazione dei giacimenti petroliferi. Questa tendenza è stata esasperata dalla speculazione finanziaria, che ha creato una vera e propria bolla.
Quello che oggi sembra l’inizio dello scoppio di questa bolla è stato determinato dalla volontà politica del Congresso americano di intervenire per chiudere le porte di accesso a questo mercato agli operatori non direttamente coinvolti nell’acquisto e nella vendita di petrolio, ossia agli Hedge Funds, ai fondi di investimento, alle banche, ecc. Il provvedimento di legge, che sta seguendo il suo normale iter parlamentare, ha provocato il «risveglio» della Commodity Futures Trading Commission, che è la commissione incaricata di sorvegliare il mercato e che è stata fortemente criticata dai senatori americani per la sua inazione. Lo scorso mese di luglio la Commissione ha cominciato a riclassificare alcuni operatori come «speculatori non commerciali», a tal punto da spingere il «Wall Street Journal» a scrivere che «i dati che emergono sugli operatori nei mercati delle materie prime mostrano che gli speculatori rappresentano una percentuale ben più ampia di quanto si pensasse prima» e ad aggiungere che «questi dati cambiano la percezione da un mercato del petrolio diversificato ad uno con una forte concentrazione di operatori finanziari che fanno grandi scommesse sul prezzo del petrolio». Il risveglio dal letargo della Commissione ha provocato l’esclusione da ogni attività sul mercato delle materie prime di alcuni grandi operatori e il fallimento di altri (come l’americana SemGroup, accusata oggi anche di frode e comportamenti non appropriati). Alcuni specialisti ritengono che il recente calo del prezzo del greggio sia proprio originato dal fatto che questi operatori sono stati costretti a chiudere le loro posizioni in fretta e furia. La stessa Commissione è consapevole di essere solo all’inizio della sua opera, poiché è molto complicato differenziare tra operatori commerciali, che usano il mercato dei derivati per difendersi dalle variazioni di prezzo, e speculatori finanziari. Anzi, spesso sono contemporaneamente speculatori e operatori commerciali.
L’offensiva politica del Congresso americano comincia comunque a produrre risultati concreti. Il primo è quello di aver messo in luce che l’influenza della speculazione finanziaria sul prezzo del petrolio è nettamente maggiore di quanto si pensasse. Il secondo è di aver probabilmente fatto scoppiare la bolla speculativa che si era formata nel mercato delle materie prime.
Ciò non vuol dire che il prezzo del petrolio ritornerà ai livelli dell’inizio di questo decennio, ossia attorno ai 20 dollari il barile, ma che potrebbe scendere sotto i 100 dollari. In ogni caso i guai economici provocati dall’impennata del prezzo del greggio non possono essere sanati dall’attuale trend, che per di più non è certo sia duraturo. In ogni caso gli effetti benefici del calo del greggio sull’inflazione non saranno immediati. Anzi occorrerà tempo, poiché la corsa del greggio ha cominciato a provocare un aumento generalizzato dei prezzi. Quindi neppure il ribasso del greggio basta a mutare sostanzialmente le prospettive poco rosee delle economie dei paesi di vecchia industrializzazione.
21/08/2008 23:39