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domenica 16 dicembre 2012
GIURISTI E ECONOMISTI: CRONACHE DA UN FRONTE PER DIFENDERSI DALLA "PRE-COMPRENSIONE". OVVERO: IL PENSIERO RAZIONALE CHE RENDE ONORE ALLA GERMANIA
Vostra Eccellenza, che mi sta in cagnesco
per que’ pochi scherzucci di dozzina,
e mi gabella per anti-tedesco
perché metto le birbe alla berlina...
(Giuseppe Giusti: il "fatto" che ispira la nota poesia risorgimentale si svolge a Milano, ma il poeta era, non a caso, toscano, pistoiese...ciao Sil-viar!)
1- Premessa.
Sedetevi e mettetevi comodi perchè qui affronteremo un nodo fondamentale, "topico", della questione che ci porta a tanto "dibattere" sui blog(s) più disparati. E, necessariamente, non potrò essere troppo "sintetico".
Il problema, lo dico subito, è la "comunicazione" tra giuristi e economisti....italiani. E di quanto oggi si impone, più che mai di scambiarsi informazioni e l'accesso vicendevole alle rispettive tecniche di analisi.
Prendiamo le mosse da questo scambio di idee avvenuto tra il sottoscritto e il professor Piga.
Gustavo Piga, nel suo interessantissimo blog - che ha il merito di portare avanti un'analisi accuratissima dell'erroneità delle politiche di austerity, in quanto pro-cicliche, indicando al contempo le vere "riforme strutturali" a cui occorrerebbe porre mano in Italia- critica, con giusti argomenti, il "modo" in cui si sta realizzando la vigilanza BCE sul sistema bancario europeo.
Piga non me ne vorrà, anzi, conoscendone l'attitudine, spero apprezzerà, se riporto su questo libero blog ciò che è avvenuto sul suo libero blog (in fondo i "diritti di autore", in questo caso, sono "comuni" )
Ritenendo di "adiuvare" le tesi da lui sostenute, commento:
"Caro prof.,
ma lo sa che non è vero che la BCE, in base alla norme pattizie e di Statuto sue “proprie” (artt.127 TFUE e 2 Stat,protocollo 4 ai Tr.) deve SOLO far salva la “stabilità dei prezzi” ma DEVE anche “contribuire a realizzare gli obiettivi dell’Unione definiti nell’art3 del TUE, tra cui la “piena occupazione” (par.3)?
Che la sua missione le imponga un “contemperamento” di tali obiettivi e non una semplice incondizionata realizzazione del primo risulta dal criterio ermeneutico di “bone fide” e di rilevanza delle clausole alla luce della “causa” (cooperativa) e dei principi fondamentali (“sociali”, espressamente enunciati) del Trattato istitutivo.http://orizzonte48.blogspot.it/2012/12/per-chinon-guardasse-solo-google-e.html.
Quanto alle regole che Commissione, anzitutto, e BCE (comunque soggetta ai principi generali procedimentali dell’azione UE) si sono dettate in materia “controllo bancario”, va segnalato che tali autorità sono (auto)vincolate a emanarle previo “RIA” (regularoty impact assessment) http://orizzonte48.blogspot.it/2012/12/accertamento-dellimpatto-regolatorio.html
Pare, in definitiva, che gli organi comunitari usino una sospetta fretta che implica una “violazione” sistematica, nella lettera e nello Spirito, degli stessi trattati: ma lo sa che l’art.11 Cost, correttamente inteso secondo la più autorevole dottrina costituzionalista, imporrebbe al nostro governo di “denunciare” queste violazioni?"
Risposta del professore:
"In realtà lei ha ragione e torto: “Without prejudice to the objective of price stability”. Quindi preferenze lessicografiche che danno priorità alla lotta all’inflazione. Quindi un contempearmento condizionato.
Sull’AIR (aspetto su cui sono fissato) la ringrazio di cuore: è essenziale e leggerò con attenzione il suo post"
Replica del sottoscritto:
"Sì il problema lessicale me lo ero posto anche io.
Però, sul piano di una corretta tecnica di interpretazione, trascura che:
1) il testo in italiano (“fatto salvo l’obiettivo”) è giuridicamente equivalente e non subordinato al testo inglese (e d’altra parte la legge di ratifica è sulla traduzione in italiano);
2) per tradizione del diritto e anche dello jus cogens internazionale (che racchiude i principi comuni alle nazioni civili) nella “apparente” conflittualità tra due proposizioni normative, prevale l’interpretazione alla luce dello scopo fondamentale dell’accordo (cooperativo e comunque definito dal principio essenziale di cui al’art.3, par.3, richiamato continuamente anche nella sua dizione materiale nelle disposizioni del trattato) ;
3) dunque il contemperamento dei due principi si “impone” proprio in queste situazioni “congiunturali” di conflitto di obiettivi politici (altrimenti, come sta facendo ora la BCE, una clausola di principio fondante sarebbe “tam quam non esset”), cioè il contemperamento non può arrivare MAI all’ “incondizionato” prevalere, attuale, della stabilità dei prezzi, che è proprio, tra l’altro il problema economico che afflige il riequilibrio interno all’area;
4) gli strumenti del diritto non sono così facili e “scontati” da maneggiare, e servono proprio a trovare le vie d’uscita negoziali. Se li si ignora ci si arrende alla legge del “più forte costituito”, cioè all’asimmetria strutturale (De Grauwe).
Che i trattati correttamente intesi NON consentono"
3- La "precomprensione" e l'intepretazione dei testi giuridici. L'ausilio che ci viene dal pensiero tedesco.
La questione ora vista deriva in realtà da uno dei problemi più indagati dalla teoria generale del diritto. Sul quale si sono cimentati non solo i più illustri filosofi del diritto italiano (Betti, Calcaterra, Bobbio), ma che è stato decisivamente indagato dai pensatori tedeschi. Con conclusioni interessantissime, che partono da Aristotele, Cicerone, Ulpiano, e Leibniz (per citarne alcuni) e sono culminate nel concetto di "precomprensione", intesa come "anticipazione del senso" dell'interpretazione anteriore, cioè "pregiudiziale" alla stessa lettura del dato normativo.
Va da sè (per i più appassionati di linguistica e di psicanalisi) che il fenomeno di tale "anticipazione pregiudiziale del senso" lo si è anche indagato alla luce di...Freud e Lacan. Ma ovviamente vi risparmio questo interessantissimo versante.
Il concetto di "precomprensione" lo dobbiamo, in particolare a Gadamer, per alcune forme a Wittengstein, e a Viehweg. Come ci illustra questo interessantissimo studio non a caso intitolato "Ermeneutica e pluralismo":
"L’interpretazione in quanto tale non è mai un fine ultimo. Si interpreta al fine di comprendere. Ma a sua volta il comprendere, a differenza del conoscere puro e semplice, ha un carattere pratico, cosicché esso porta in sé le ragioni per cui si vuole comprendere. Anzi queste ragioni precedono il comprendere e contribuiscono a determinare e ad orientare la precomprensione.
L’interpretazione come attività acquista un senso proprio perché avviene all’interno di una preliminare comprensione, che è il vero e proprio luogo del «senso». Ogni attività ha un significato solo all’interno di una totalità di senso. Di conseguenza la comprensione precede e condiziona l’interpretazione che a sua volta la sviluppa, la corregge e la libera dai fraintendimenti."
Viehweg, nella sua fondamentale opera, "Topica e giurisprudenza" (Giuffrè, 1962; ed.originale in tedesco del 1953), aggiunge un tassello importante che ci fa capire come "l'anticipazione pregiudiziale del senso" delle norme, e questo è il caso dei trattati, discendendo da un condizionamento politico, psicologico, sociale - inteso come riflesso degli assetti dominanti sulle "ragioni del comprendere" del singolo interprete- sia particolarmente pericolosa perchè l'interpretazione giuridica, cioè delle norme, è "al fondo collegata ad un problema perenne che è quello della giustizia".
Cioè, la precomprensione, mascherata in operazioni apparentemente logiche, può condurre a interpretazioni che "vulnerano" la giustizia, l'equità (giustizia del caso concreto), la verità dinamica la cui ricerca dà senso al diritto.
A queste premesse culturali, i tedeschi sono molto attenti, tanto che come evidenziato in questo studio già citato (pag.162 e nota 853), la loro Corte costituzionale, aderendo oggettivamente al movimento di pensiero detto del "neo-costituzionalismo", che nasce dall'esigenza di dare risposte certe al problema proprio del "centralismo europeista" che rischia di stravolgere la portata delle Costituzioni nazionali, afferma, a partire dal noto caso Lutz:
i) la garanzia costituzionale dei diritti individuali non si restringe a applicazioni dei diritti difensivi clássici (cioè include anche i "diritti sociali" ndr). Essa ingloba un ordine oggettivo di valori;
ii) i valori (o i princípi) rinvenuti nei diritti costituzionali si applicano in "tutte le aree del diritto" (includendo chiaramente anche quello europeo, ndr), producendo un effetto "radiante" su tutto il sistema legale;
iii) i princípi tendono a collidere. Le collisioni si risolvono attraverso la ponderazione (balancing).
Dunque MAI attraverso l'incondizionato prevalere di un principio, anche allorchè tale prevalere è suggerito da una lettura linguistica che, pervenendo a una soluzione rimozionale di uno dei principi confliggenti, denota in sè il pericolo della "precomprensione".
E questo MAI vale a maggior ragione per la BCE.
3- Un problema che non si può più "nascondere" a noi stessi.
Ora è chiaro che il problema non è sul "singolo argomento" (importantissimo e "sintomatico") del modo di intendere la "mission" della BCE alla luce degli artt 127 TFUE e 2 del suo Statuto.
Ma coinvolge tutta la ambigua e, sicuramente difettosa, impalcatura dei trattati, come abbiamo cercato di dire in questo post, tra i più letti...in questo blog (migliaia di lettori: grazie!).
Dunque: se non ci si decide a leggere i trattati in modo sistematico, "causale"(alla luce dello scopo essenziale che si prefiggono) e secondo "buona fede" (cioè tenendo conto delle ragionevoli attribuzioni di significato che le altre parti possono prevedibilmente attribuirgli), si rischia che le analisi economiche "correttive" delle distorsioni che si vogliono evitare partano in salita e perdano di forza "politica", dato che il diritto è il vero correttivo all'arbitrio della politica, inteso come "legge del più forte".
E questo tipicamente può orientare proprio la "precomprensione" nella successiva lettura dei trattati e, a sua volta, condizionare anche l'intepretazione economica dei fatti, conducendo entrambe, così intrecciate nel caso dei trattati UE-UEM, al di fuori di una possibile "riconduzione a giustizia" dello stesso quadro dei rapporti tra aderenti ai trattati stessi.
Che poi, metodologicamente, l'interpretazione dei trattati debba procedere nel modo da me indicato, non lo dice la mia modesta persona, ma lo dice la fonte fondamentale che vincola quasi tutti gli Stati civili (che l'hanno ratificata) e certamente gli Stati europei, cioè la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati.
Riporto le norme della Convenzione in rilievo:
Articolo 31
Regola generale di interpretazione
1. Un trattato deve essere interpretato in buona fede seguendo il senso ordinario da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto e alla luce del suo oggetto e del suo scopo.
2. Ai fini dell'interpretazione di un trattato, il contesto comprende, oltre al testo, il preambolo e gli allegati ivi compresi:
ogni accordo in rapporto col trattato e che è stato concluso fra tutte le parti in occasione della conclusione del trattato;
ogni strumento posto in essere da una o più parti in occasione della conclusione del trattato e accettato dalle parti come strumento in connessione col trattato.
3. Si terrà conto, oltre che del contesto:
di ogni accordo ulteriore intervenuto fra le parti in materia di interpretazione del trattato o della applicazione delle sue disposizioni;
di qualsiasi prassi successivamente seguita nell'applicazione del trattato attraverso la quale si sia formato un accordo delle parti in materia di interpretazione del medesimo;
di qualsiasi regola pertinente di diritto internazionale applicabile nei rapporti fra le parti.
4. Un termine verrà inteso in un senso particolare se risulta che tale era l'intenzione delle parti.
Articolo 32
Mezzi complementari di interpretazione
Si può fare ricorso ai mezzi complementari di interpretazione, e in particolare ai lavori preparatori e alle circostanze nelle quali il trattato è stato concluso, allo scopo, sia di confermare il senso che risulta dall'applicazione dell'art. 31, sia di determinare il senso quando l'interpretazione data in conformità all'articolo 31:
lascia il senso ambiguo o oscuro; oppure
conduce ad un risultato che è manifestamente assurdo o irragionevole.
Articolo 33
Interpretazione dei trattati autenticati in due o più lingue
1. Quando un trattato è stato autenticato in due o più lingue, il suo testo fa fede in ciascuna di queste lingue, a meno che il trattato non disponga o che le parti non convengano che in caso di divergenza prevalga un testo determinato.
2. Una versione del trattato in una lingua diversa da una di quelle in cui il testo è stato autenticato sarà considerata come testo autentico solo se il trattato lo prevede o se le parti si sono accordate in tal senso.
3. Si presume che i termini di un trattato abbiano lo stesso significato nei diversi testi autentici.
4. Salvo il caso in cui un testo determinato sia destinato a prevalere ai sensi del paragrafo 1, quando il raffronto dei testi autentici fa apparire una differenza di senso che l'applicazione degli articoli 31 e 32 non permette di eliminare, si adotterà il senso che, tenuto conto dell'oggetto e del scopo del trattato, permette di meglio conciliare i testi in questione.
Ora è chiaro che i criteri sopra enunciati paiono darmi ragione nella querelle interpretativa col professore (cioè non avrei la parte di "torto" che mi attribuisce), se non altro perchè il sottoscritto (essendo principi interpretativi sostanzialmente comuni a quelli seguiti nel nostro ordinamento e che utilizzo per mestiere da circa 30 anni) avrebbe un indubbio vantaggio professionale che sarebbe "sleale" fa pesare nella "disputa" (ma preferisco vederla come un "chiarimento" dialettico).
C'è una chiara gerarchia di criteri interpretativi e quello dell'art.31, primo comma, è con certezza il più importante (lo dice lo stesso ordine espositivo e la tradizione plurisecolare dell'ermeneutica negoziale).
Però, siccome non sono abituato a "darmi ragione", ma a dare ragione a...chi la ha, pongo l'accento sul "contesto" e sulla "prassi": sussiste il rischio che, se non ci si basa rigorosamente e coerentemente sulla buona fede e sul criterio dello scopo essenziale, uno Stato parte di un trattato consenta, contro il proprio chiaro ed obiettivo interesse, prassi che possono dar luogo ad un contesto asimmetrico.
Che è, per definizione, contrario all'art.11 della Costituzione, come abbiamo visto in questo post
Ed è esattamente quello che sta accadendo in questa fase storica rispetto ai trattati UE-UEM!
4- La "duplice" precomprensione" di giuristi ed economisti e i suoi effetti alteranti la sostanza di "giustizia" del diritto europeo.
Ma come ciò (che abbiamo visto al par. precedente) può accadere? Cioè che uno Stato non sappia fare i propri interessi nella applicazione di un trattato così importante per la sua stessa "sopravvivenza democratica"?
Nonostante taluni (non consapevoli dei termini giuridici della questione e non "familiari" con le tecniche del diritto) mi accusino di essere complottista, la mia spiegazione è invece, credo, rigorosamente tecnico-giuridica, agganciandomi peraltro alle più autorevoli voci della teoria generale dell'interpretazione giuridica cioè alle teorie di Gadamer e di Viehweg e all'affermarsi del "neocostituzionalismo".
Il fatto, è che, ripeto, le "ragioni del comprendere" sono affette da precomprensione sia da parte degli economisti, che non conoscono e non sono tenuti a conoscere, e quindi non è una "colpa", le corrette (e complesse) operazioni interpretative stabilite dalle disposizioni giuridiche, nazionali e internazionali, sia da parte dei giuristi, che non si accostano all'applicazione di questi principi interpretativi (che conoscono molto bene) con la consapevolezza dei problemi economici evidenziati dagli economisti. E anche qui non è una colpa.
In questo gap di reciproca comunicazione finisce per crearsi uno spazio di precomprensione, per cui:
1) i giuristi credono che le ragioni economiche dei trattati siano solo quelle che "politicamente", e "non" nei trattati stessi (nelle loro concrete disposizioni, come abbiamo visto), sono enunciate, e cioè una presunta armonizzazione delle economie e ed il perseguimento cooperativo del benessere comune dei popolo aderenti ai trattati (che è esattamente ciò che fin dall'inizio era problematico e che ora si sta manifestando come semplicemente non vero, in fatti drammaticamente inoppugnabili);,
2) mentre gli economisti tendono (in prevalenza) a leggere i trattati sulla base della "precomprensione" che le Costituzioni da una part, e le norme e le prassi europee, dall'altra, non possano collidere e se collidessero, bisogna adattare l'intepretazione esclusivamente alla versione propugnata dalle istituzioni europee, partendo da questa (fallace) sicurezza per finire in una (eventuale) critica molto più difficile da sostenere, perchè non supportata dal diritto e dalla coessenziale ricerca della giustizia.
5- La "precomprensione sul versante giuridico".
Ho parlato della precomprensione rispetto a un caso suscitato da un economista, ma ora è giusto che esemplifichi come il pericolo, collettivamente, lo corrano in concreto anche i giuristi.
Su questo blog mi ha scritto, commentando, Luigi Maruotti, senza alcun nickname, con la consueta civiltà e limpidezza d'animo che contraddistingue la sua grande figura di alto magistrato.
Ma mi hanno scritto pure (nell'ordine significativo che loro conoscono ...), swing-wing, quarantotto-bis -)), grumpy1893 e, last but not least, Luca Cestaro.
Voi non lo potete sapere, ma ve lo dico io: si tratta, per tutti i nomi e nickname ora citati, del "Gotha" (e non esagero) del pensiero giuridico-giurisprudenziale italiano.
La loro attenzione mi onora e il loro contributo scientifico è il meglio che si può avere per la democrazia costituzionale.
Ora, Luigi mi ha posto un problema in questi termini:
"...Personalmente, mi sono spesso chiesto quale sia il 'nocciolo duro' dei diritti fondamentali (in un ordinamento 'multilivello'), nelle dinamiche che inevitabilmente sorgono quando le risorse economiche scarseggiano.
Il dibattito in corso, dunque, mi interessa moltissimo.
Per il momento, mi limito a riflettere sui contributi finora da tutti voi forniti e mi riservo di tornare sull'argomento.
Cari saluti a tutti.
Luigi Maruotti (amico e collega di Luciano Barra Caracciolo)"
Al che ho risposto:
"Caro Luigi, sai qual'è il punto cruciale: ma chi lo dice che le risorse scarseggiano?
Scarseggiano solo in una impostazione incostituzionale della gestione delle risorse dello Stato e accettata con strana "leggerezza" a partire dallo SME e dallo strettamente connesso divorzio tesoro-banca d'Italia. V.qui per capire un pò meglio:
Il debito pubblico italiano. Da dove viene fuori?
Per una visione più d'insieme, v. il libro di Alberto Bagnai "Il tramonto dell'euro".
Poi ne riparliamo: in effetti solo i vincoli monetari e la follia ideologica delle politiche degli ultimi 20 anni ci hanno portato in questa condizione. Ma l'Italia avrebbe risorse e capacità imprenditoriali per eccellere, checchè ne dicano questi strani "soggetti", ma naturalmente al di fuori di questa gabbia UEM-euro-banca centrale indipendente dalla democrazia, ma dipendente dal sistema bancario (su cui infatti vigila per modo di dire dato che le regole cui si attiene considerano solo la posizione dei "vigilati"...e da domani la BCE farà ancora peggio).C'è assoluto bisogno che gente come te comprenda questi fattori allucinanti ed esca da "Matrix"... PS: anche l'ultimo post ti da' un frammento di queste nozioni"
La precomprensione, che ripeto non è una colpa, di fronte all'enorme sforzo che impone una effettiva conoscenza interdisciplinare, che qui auspichiamo, risiede nel fatto che si dia per scontato che "le risorse economiche scarseggiano" anche se si vede la consapevolezza che ciò sia collegato a un ordinamento multilivello.
Ma il punto è allora questo: è legittimo, alla luce dell'art.11 Cost., che un "ordinamento multilivello" conduca a una situazione per cui, IN ASSENZA DEL SUO INFLUIRE SULL'ASSETTO DEL NOSTRO STATO, le risorse NON scarseggerebbero?
E' evidente infatti che le risorse "non scarseggerebbero", al netto di 30 anni di vincoli valutari, - e cioè:
a) prima di tassi di sconto che "bankitalia indipendente" ha tenuto alti per sostenere un livello di cambio (SME) che ha provocato l'ammontare "eccessivo" dell'attuale debito pubblico quasi esclusivamente a causa degli interessi passivi (che tutti noi paghiamo con tasse crescenti);
b) poi del successivo obiettivo di raggiungere gli obiettivi di Maastricht, che ha vincolato al costante avanzo primario del pubblico bilancio, che in sè comprime risparmi e investimenti privati e pure quelli pubblici e quindi la crescita stessa.
Tanto più che l'indipendenza della politica monetaria dal governo democraticamente rappresentativo e la fissazione dei tassi del debito lasciata alle dinamiche dei mercati (cioè dei creditori) costituisce un intrinseca limitazione da cui, poi, è difficile uscire, perchè assimila lo Stato a un qualsiasi cliente del sistema bancario, esponendolo alla stima di solvibilità prima e alla tendenza speculativa di breve periodo (per definizione) che compiono gli investitori finanziari, quindi assoggettandolo a logiche che sono estranee al programma di realizzazione di valori-obiettivi che sono propri della Costituzione. Come ben sa il Giappone.
E, preliminarmente, in assenza di livelli di cambio "innaturali" e immodificabili, l'Italia avrebbe avuto, come comprovano le serie storiche della bilancia dei pagamenti, un ("almeno" più frequente) attivo delle partite correnti e una connessa crescita che avrebbero senz'altro abbassato il rapporto debito/PIL.
Tutto ciò non è controfattuale, cioè ipotetico, perchè basta guardare ai fondamentali economici italiani successivi all'uscita dallo SME nel 1992 (peraltro compressi dal coevo irrompere di Mastricht) e al rientro nello stesso nel 1997, in vista dell'adozione dell'euro, per capire che l'Italia avrebbe potuto crescere in base al semplice schema della "legge", o meglio, del modello di crescita di Thirlwall .
Conclusione che dal punto di vista economico è, adesso più che mai, dopo i dati (quantomeno scoraggianti) di 14 anni di euro, scienticamente attendibile.
E a cui aggiungo questo link alla rivista economica Bloomberg, per chi se lo fosse perso e a giovamento di Luigi, dove tutte queste premesse economiche spingono verso l'opportunità di un vantaggioso abbandono dell'euro per l'Italia.
E' non si tratta di teorie isolate, nel quadro europeo, tanto che oggi più che ormai in Francia se ne parla apertamente su Le Monde.
Ma in conclusione, spero che Luigi si legga questo post e che riesca a trovare il tempo per guardarsi pure ciò che è contenuto nei links.
Perchè Luigi non è uno qualsiasi. E' un autentico "maestro" del pensiero giuridico italiano degli ultimi decenni, come sanno i suoi molti allievi che oggi siedono nei posti più alti delle funzioni giurisdizionali e, non solo, ma in generale "istituzionali", dell'ordinamento italiano.
Quarantotto a 17:17
GIURISTI E ECONOMISTI: CRONACHE DA UN FRONTE PER DIFENDERSI DALLA "PRE-COMPRENSIONE". OVVERO: IL PENSIERO RAZIONALE CHE RENDE ONORE ALLA GERMANIA
Vostra Eccellenza, che mi sta in cagnesco
per que’ pochi scherzucci di dozzina,
e mi gabella per anti-tedesco
perché metto le birbe alla berlina...
(Giuseppe Giusti: il "fatto" che ispira la nota poesia risorgimentale si svolge a Milano, ma il poeta era, non a caso, toscano, pistoiese...ciao Sil-viar!)
"Chi vuol comprendere un testo è anzitutto disposto a farsi dire qualcosa da esso:
una conoscenza ermeneuticamente educata deve pertanto essere sin dall'inizio sensibile all' "alterità del testo". Una tale sensibilità non presuppone però
nè una obiettività neutrale, nè tantomeno un oblio di sè,
ma include e tematizza l'acquisizione dei propri presupposti e pregiudizi."
(H.G.Gadamer - )
una conoscenza ermeneuticamente educata deve pertanto essere sin dall'inizio sensibile all' "alterità del testo". Una tale sensibilità non presuppone però
nè una obiettività neutrale, nè tantomeno un oblio di sè,
ma include e tematizza l'acquisizione dei propri presupposti e pregiudizi."
(H.G.Gadamer - )
1- Premessa.
Sedetevi e mettetevi comodi perchè qui affronteremo un nodo fondamentale, "topico", della questione che ci porta a tanto "dibattere" sui blog(s) più disparati. E, necessariamente, non potrò essere troppo "sintetico".
Il problema, lo dico subito, è la "comunicazione" tra giuristi e economisti....italiani. E di quanto oggi si impone, più che mai di scambiarsi informazioni e l'accesso vicendevole alle rispettive tecniche di analisi.
Prendiamo le mosse da questo scambio di idee avvenuto tra il sottoscritto e il professor Piga.
Gustavo Piga, nel suo interessantissimo blog - che ha il merito di portare avanti un'analisi accuratissima dell'erroneità delle politiche di austerity, in quanto pro-cicliche, indicando al contempo le vere "riforme strutturali" a cui occorrerebbe porre mano in Italia- critica, con giusti argomenti, il "modo" in cui si sta realizzando la vigilanza BCE sul sistema bancario europeo.
Piga non me ne vorrà, anzi, conoscendone l'attitudine, spero apprezzerà, se riporto su questo libero blog ciò che è avvenuto sul suo libero blog (in fondo i "diritti di autore", in questo caso, sono "comuni" )
Ritenendo di "adiuvare" le tesi da lui sostenute, commento:
"Caro prof.,
ma lo sa che non è vero che la BCE, in base alla norme pattizie e di Statuto sue “proprie” (artt.127 TFUE e 2 Stat,protocollo 4 ai Tr.) deve SOLO far salva la “stabilità dei prezzi” ma DEVE anche “contribuire a realizzare gli obiettivi dell’Unione definiti nell’art3 del TUE, tra cui la “piena occupazione” (par.3)?
Che la sua missione le imponga un “contemperamento” di tali obiettivi e non una semplice incondizionata realizzazione del primo risulta dal criterio ermeneutico di “bone fide” e di rilevanza delle clausole alla luce della “causa” (cooperativa) e dei principi fondamentali (“sociali”, espressamente enunciati) del Trattato istitutivo.http://orizzonte48.blogspot.it/2012/12/per-chinon-guardasse-solo-google-e.html.
Quanto alle regole che Commissione, anzitutto, e BCE (comunque soggetta ai principi generali procedimentali dell’azione UE) si sono dettate in materia “controllo bancario”, va segnalato che tali autorità sono (auto)vincolate a emanarle previo “RIA” (regularoty impact assessment) http://orizzonte48.blogspot.it/2012/12/accertamento-dellimpatto-regolatorio.html
Pare, in definitiva, che gli organi comunitari usino una sospetta fretta che implica una “violazione” sistematica, nella lettera e nello Spirito, degli stessi trattati: ma lo sa che l’art.11 Cost, correttamente inteso secondo la più autorevole dottrina costituzionalista, imporrebbe al nostro governo di “denunciare” queste violazioni?"
Risposta del professore:
"In realtà lei ha ragione e torto: “Without prejudice to the objective of price stability”. Quindi preferenze lessicografiche che danno priorità alla lotta all’inflazione. Quindi un contempearmento condizionato.
Sull’AIR (aspetto su cui sono fissato) la ringrazio di cuore: è essenziale e leggerò con attenzione il suo post"
Replica del sottoscritto:
"Sì il problema lessicale me lo ero posto anche io.
Però, sul piano di una corretta tecnica di interpretazione, trascura che:
1) il testo in italiano (“fatto salvo l’obiettivo”) è giuridicamente equivalente e non subordinato al testo inglese (e d’altra parte la legge di ratifica è sulla traduzione in italiano);
2) per tradizione del diritto e anche dello jus cogens internazionale (che racchiude i principi comuni alle nazioni civili) nella “apparente” conflittualità tra due proposizioni normative, prevale l’interpretazione alla luce dello scopo fondamentale dell’accordo (cooperativo e comunque definito dal principio essenziale di cui al’art.3, par.3, richiamato continuamente anche nella sua dizione materiale nelle disposizioni del trattato) ;
3) dunque il contemperamento dei due principi si “impone” proprio in queste situazioni “congiunturali” di conflitto di obiettivi politici (altrimenti, come sta facendo ora la BCE, una clausola di principio fondante sarebbe “tam quam non esset”), cioè il contemperamento non può arrivare MAI all’ “incondizionato” prevalere, attuale, della stabilità dei prezzi, che è proprio, tra l’altro il problema economico che afflige il riequilibrio interno all’area;
4) gli strumenti del diritto non sono così facili e “scontati” da maneggiare, e servono proprio a trovare le vie d’uscita negoziali. Se li si ignora ci si arrende alla legge del “più forte costituito”, cioè all’asimmetria strutturale (De Grauwe).
Che i trattati correttamente intesi NON consentono"
3- La "precomprensione" e l'intepretazione dei testi giuridici. L'ausilio che ci viene dal pensiero tedesco.
La questione ora vista deriva in realtà da uno dei problemi più indagati dalla teoria generale del diritto. Sul quale si sono cimentati non solo i più illustri filosofi del diritto italiano (Betti, Calcaterra, Bobbio), ma che è stato decisivamente indagato dai pensatori tedeschi. Con conclusioni interessantissime, che partono da Aristotele, Cicerone, Ulpiano, e Leibniz (per citarne alcuni) e sono culminate nel concetto di "precomprensione", intesa come "anticipazione del senso" dell'interpretazione anteriore, cioè "pregiudiziale" alla stessa lettura del dato normativo.
Va da sè (per i più appassionati di linguistica e di psicanalisi) che il fenomeno di tale "anticipazione pregiudiziale del senso" lo si è anche indagato alla luce di...Freud e Lacan. Ma ovviamente vi risparmio questo interessantissimo versante.
Il concetto di "precomprensione" lo dobbiamo, in particolare a Gadamer, per alcune forme a Wittengstein, e a Viehweg. Come ci illustra questo interessantissimo studio non a caso intitolato "Ermeneutica e pluralismo":
"L’interpretazione in quanto tale non è mai un fine ultimo. Si interpreta al fine di comprendere. Ma a sua volta il comprendere, a differenza del conoscere puro e semplice, ha un carattere pratico, cosicché esso porta in sé le ragioni per cui si vuole comprendere. Anzi queste ragioni precedono il comprendere e contribuiscono a determinare e ad orientare la precomprensione.
L’interpretazione come attività acquista un senso proprio perché avviene all’interno di una preliminare comprensione, che è il vero e proprio luogo del «senso». Ogni attività ha un significato solo all’interno di una totalità di senso. Di conseguenza la comprensione precede e condiziona l’interpretazione che a sua volta la sviluppa, la corregge e la libera dai fraintendimenti."
Viehweg, nella sua fondamentale opera, "Topica e giurisprudenza" (Giuffrè, 1962; ed.originale in tedesco del 1953), aggiunge un tassello importante che ci fa capire come "l'anticipazione pregiudiziale del senso" delle norme, e questo è il caso dei trattati, discendendo da un condizionamento politico, psicologico, sociale - inteso come riflesso degli assetti dominanti sulle "ragioni del comprendere" del singolo interprete- sia particolarmente pericolosa perchè l'interpretazione giuridica, cioè delle norme, è "al fondo collegata ad un problema perenne che è quello della giustizia".
Cioè, la precomprensione, mascherata in operazioni apparentemente logiche, può condurre a interpretazioni che "vulnerano" la giustizia, l'equità (giustizia del caso concreto), la verità dinamica la cui ricerca dà senso al diritto.
A queste premesse culturali, i tedeschi sono molto attenti, tanto che come evidenziato in questo studio già citato (pag.162 e nota 853), la loro Corte costituzionale, aderendo oggettivamente al movimento di pensiero detto del "neo-costituzionalismo", che nasce dall'esigenza di dare risposte certe al problema proprio del "centralismo europeista" che rischia di stravolgere la portata delle Costituzioni nazionali, afferma, a partire dal noto caso Lutz:
i) la garanzia costituzionale dei diritti individuali non si restringe a applicazioni dei diritti difensivi clássici (cioè include anche i "diritti sociali" ndr). Essa ingloba un ordine oggettivo di valori;
ii) i valori (o i princípi) rinvenuti nei diritti costituzionali si applicano in "tutte le aree del diritto" (includendo chiaramente anche quello europeo, ndr), producendo un effetto "radiante" su tutto il sistema legale;
iii) i princípi tendono a collidere. Le collisioni si risolvono attraverso la ponderazione (balancing).
Dunque MAI attraverso l'incondizionato prevalere di un principio, anche allorchè tale prevalere è suggerito da una lettura linguistica che, pervenendo a una soluzione rimozionale di uno dei principi confliggenti, denota in sè il pericolo della "precomprensione".
E questo MAI vale a maggior ragione per la BCE.
3- Un problema che non si può più "nascondere" a noi stessi.
Ora è chiaro che il problema non è sul "singolo argomento" (importantissimo e "sintomatico") del modo di intendere la "mission" della BCE alla luce degli artt 127 TFUE e 2 del suo Statuto.
Ma coinvolge tutta la ambigua e, sicuramente difettosa, impalcatura dei trattati, come abbiamo cercato di dire in questo post, tra i più letti...in questo blog (migliaia di lettori: grazie!).
Dunque: se non ci si decide a leggere i trattati in modo sistematico, "causale"(alla luce dello scopo essenziale che si prefiggono) e secondo "buona fede" (cioè tenendo conto delle ragionevoli attribuzioni di significato che le altre parti possono prevedibilmente attribuirgli), si rischia che le analisi economiche "correttive" delle distorsioni che si vogliono evitare partano in salita e perdano di forza "politica", dato che il diritto è il vero correttivo all'arbitrio della politica, inteso come "legge del più forte".
E questo tipicamente può orientare proprio la "precomprensione" nella successiva lettura dei trattati e, a sua volta, condizionare anche l'intepretazione economica dei fatti, conducendo entrambe, così intrecciate nel caso dei trattati UE-UEM, al di fuori di una possibile "riconduzione a giustizia" dello stesso quadro dei rapporti tra aderenti ai trattati stessi.
Che poi, metodologicamente, l'interpretazione dei trattati debba procedere nel modo da me indicato, non lo dice la mia modesta persona, ma lo dice la fonte fondamentale che vincola quasi tutti gli Stati civili (che l'hanno ratificata) e certamente gli Stati europei, cioè la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati.
Riporto le norme della Convenzione in rilievo:
Articolo 31
Regola generale di interpretazione
1. Un trattato deve essere interpretato in buona fede seguendo il senso ordinario da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto e alla luce del suo oggetto e del suo scopo.
2. Ai fini dell'interpretazione di un trattato, il contesto comprende, oltre al testo, il preambolo e gli allegati ivi compresi:
ogni accordo in rapporto col trattato e che è stato concluso fra tutte le parti in occasione della conclusione del trattato;
ogni strumento posto in essere da una o più parti in occasione della conclusione del trattato e accettato dalle parti come strumento in connessione col trattato.
3. Si terrà conto, oltre che del contesto:
di ogni accordo ulteriore intervenuto fra le parti in materia di interpretazione del trattato o della applicazione delle sue disposizioni;
di qualsiasi prassi successivamente seguita nell'applicazione del trattato attraverso la quale si sia formato un accordo delle parti in materia di interpretazione del medesimo;
di qualsiasi regola pertinente di diritto internazionale applicabile nei rapporti fra le parti.
4. Un termine verrà inteso in un senso particolare se risulta che tale era l'intenzione delle parti.
Articolo 32
Mezzi complementari di interpretazione
Si può fare ricorso ai mezzi complementari di interpretazione, e in particolare ai lavori preparatori e alle circostanze nelle quali il trattato è stato concluso, allo scopo, sia di confermare il senso che risulta dall'applicazione dell'art. 31, sia di determinare il senso quando l'interpretazione data in conformità all'articolo 31:
lascia il senso ambiguo o oscuro; oppure
conduce ad un risultato che è manifestamente assurdo o irragionevole.
Articolo 33
Interpretazione dei trattati autenticati in due o più lingue
1. Quando un trattato è stato autenticato in due o più lingue, il suo testo fa fede in ciascuna di queste lingue, a meno che il trattato non disponga o che le parti non convengano che in caso di divergenza prevalga un testo determinato.
2. Una versione del trattato in una lingua diversa da una di quelle in cui il testo è stato autenticato sarà considerata come testo autentico solo se il trattato lo prevede o se le parti si sono accordate in tal senso.
3. Si presume che i termini di un trattato abbiano lo stesso significato nei diversi testi autentici.
4. Salvo il caso in cui un testo determinato sia destinato a prevalere ai sensi del paragrafo 1, quando il raffronto dei testi autentici fa apparire una differenza di senso che l'applicazione degli articoli 31 e 32 non permette di eliminare, si adotterà il senso che, tenuto conto dell'oggetto e del scopo del trattato, permette di meglio conciliare i testi in questione.
Ora è chiaro che i criteri sopra enunciati paiono darmi ragione nella querelle interpretativa col professore (cioè non avrei la parte di "torto" che mi attribuisce), se non altro perchè il sottoscritto (essendo principi interpretativi sostanzialmente comuni a quelli seguiti nel nostro ordinamento e che utilizzo per mestiere da circa 30 anni) avrebbe un indubbio vantaggio professionale che sarebbe "sleale" fa pesare nella "disputa" (ma preferisco vederla come un "chiarimento" dialettico).
C'è una chiara gerarchia di criteri interpretativi e quello dell'art.31, primo comma, è con certezza il più importante (lo dice lo stesso ordine espositivo e la tradizione plurisecolare dell'ermeneutica negoziale).
Però, siccome non sono abituato a "darmi ragione", ma a dare ragione a...chi la ha, pongo l'accento sul "contesto" e sulla "prassi": sussiste il rischio che, se non ci si basa rigorosamente e coerentemente sulla buona fede e sul criterio dello scopo essenziale, uno Stato parte di un trattato consenta, contro il proprio chiaro ed obiettivo interesse, prassi che possono dar luogo ad un contesto asimmetrico.
Che è, per definizione, contrario all'art.11 della Costituzione, come abbiamo visto in questo post
Ed è esattamente quello che sta accadendo in questa fase storica rispetto ai trattati UE-UEM!
4- La "duplice" precomprensione" di giuristi ed economisti e i suoi effetti alteranti la sostanza di "giustizia" del diritto europeo.
Ma come ciò (che abbiamo visto al par. precedente) può accadere? Cioè che uno Stato non sappia fare i propri interessi nella applicazione di un trattato così importante per la sua stessa "sopravvivenza democratica"?
Nonostante taluni (non consapevoli dei termini giuridici della questione e non "familiari" con le tecniche del diritto) mi accusino di essere complottista, la mia spiegazione è invece, credo, rigorosamente tecnico-giuridica, agganciandomi peraltro alle più autorevoli voci della teoria generale dell'interpretazione giuridica cioè alle teorie di Gadamer e di Viehweg e all'affermarsi del "neocostituzionalismo".
Il fatto, è che, ripeto, le "ragioni del comprendere" sono affette da precomprensione sia da parte degli economisti, che non conoscono e non sono tenuti a conoscere, e quindi non è una "colpa", le corrette (e complesse) operazioni interpretative stabilite dalle disposizioni giuridiche, nazionali e internazionali, sia da parte dei giuristi, che non si accostano all'applicazione di questi principi interpretativi (che conoscono molto bene) con la consapevolezza dei problemi economici evidenziati dagli economisti. E anche qui non è una colpa.
In questo gap di reciproca comunicazione finisce per crearsi uno spazio di precomprensione, per cui:
1) i giuristi credono che le ragioni economiche dei trattati siano solo quelle che "politicamente", e "non" nei trattati stessi (nelle loro concrete disposizioni, come abbiamo visto), sono enunciate, e cioè una presunta armonizzazione delle economie e ed il perseguimento cooperativo del benessere comune dei popolo aderenti ai trattati (che è esattamente ciò che fin dall'inizio era problematico e che ora si sta manifestando come semplicemente non vero, in fatti drammaticamente inoppugnabili);,
2) mentre gli economisti tendono (in prevalenza) a leggere i trattati sulla base della "precomprensione" che le Costituzioni da una part, e le norme e le prassi europee, dall'altra, non possano collidere e se collidessero, bisogna adattare l'intepretazione esclusivamente alla versione propugnata dalle istituzioni europee, partendo da questa (fallace) sicurezza per finire in una (eventuale) critica molto più difficile da sostenere, perchè non supportata dal diritto e dalla coessenziale ricerca della giustizia.
5- La "precomprensione sul versante giuridico".
Ho parlato della precomprensione rispetto a un caso suscitato da un economista, ma ora è giusto che esemplifichi come il pericolo, collettivamente, lo corrano in concreto anche i giuristi.
Su questo blog mi ha scritto, commentando, Luigi Maruotti, senza alcun nickname, con la consueta civiltà e limpidezza d'animo che contraddistingue la sua grande figura di alto magistrato.
Ma mi hanno scritto pure (nell'ordine significativo che loro conoscono ...), swing-wing, quarantotto-bis -)), grumpy1893 e, last but not least, Luca Cestaro.
Voi non lo potete sapere, ma ve lo dico io: si tratta, per tutti i nomi e nickname ora citati, del "Gotha" (e non esagero) del pensiero giuridico-giurisprudenziale italiano.
La loro attenzione mi onora e il loro contributo scientifico è il meglio che si può avere per la democrazia costituzionale.
Ora, Luigi mi ha posto un problema in questi termini:
"...Personalmente, mi sono spesso chiesto quale sia il 'nocciolo duro' dei diritti fondamentali (in un ordinamento 'multilivello'), nelle dinamiche che inevitabilmente sorgono quando le risorse economiche scarseggiano.
Il dibattito in corso, dunque, mi interessa moltissimo.
Per il momento, mi limito a riflettere sui contributi finora da tutti voi forniti e mi riservo di tornare sull'argomento.
Cari saluti a tutti.
Luigi Maruotti (amico e collega di Luciano Barra Caracciolo)"
Al che ho risposto:
"Caro Luigi, sai qual'è il punto cruciale: ma chi lo dice che le risorse scarseggiano?
Scarseggiano solo in una impostazione incostituzionale della gestione delle risorse dello Stato e accettata con strana "leggerezza" a partire dallo SME e dallo strettamente connesso divorzio tesoro-banca d'Italia. V.qui per capire un pò meglio:
Il debito pubblico italiano. Da dove viene fuori?
Per una visione più d'insieme, v. il libro di Alberto Bagnai "Il tramonto dell'euro".
Poi ne riparliamo: in effetti solo i vincoli monetari e la follia ideologica delle politiche degli ultimi 20 anni ci hanno portato in questa condizione. Ma l'Italia avrebbe risorse e capacità imprenditoriali per eccellere, checchè ne dicano questi strani "soggetti", ma naturalmente al di fuori di questa gabbia UEM-euro-banca centrale indipendente dalla democrazia, ma dipendente dal sistema bancario (su cui infatti vigila per modo di dire dato che le regole cui si attiene considerano solo la posizione dei "vigilati"...e da domani la BCE farà ancora peggio).C'è assoluto bisogno che gente come te comprenda questi fattori allucinanti ed esca da "Matrix"... PS: anche l'ultimo post ti da' un frammento di queste nozioni"
La precomprensione, che ripeto non è una colpa, di fronte all'enorme sforzo che impone una effettiva conoscenza interdisciplinare, che qui auspichiamo, risiede nel fatto che si dia per scontato che "le risorse economiche scarseggiano" anche se si vede la consapevolezza che ciò sia collegato a un ordinamento multilivello.
Ma il punto è allora questo: è legittimo, alla luce dell'art.11 Cost., che un "ordinamento multilivello" conduca a una situazione per cui, IN ASSENZA DEL SUO INFLUIRE SULL'ASSETTO DEL NOSTRO STATO, le risorse NON scarseggerebbero?
E' evidente infatti che le risorse "non scarseggerebbero", al netto di 30 anni di vincoli valutari, - e cioè:
a) prima di tassi di sconto che "bankitalia indipendente" ha tenuto alti per sostenere un livello di cambio (SME) che ha provocato l'ammontare "eccessivo" dell'attuale debito pubblico quasi esclusivamente a causa degli interessi passivi (che tutti noi paghiamo con tasse crescenti);
b) poi del successivo obiettivo di raggiungere gli obiettivi di Maastricht, che ha vincolato al costante avanzo primario del pubblico bilancio, che in sè comprime risparmi e investimenti privati e pure quelli pubblici e quindi la crescita stessa.
Tanto più che l'indipendenza della politica monetaria dal governo democraticamente rappresentativo e la fissazione dei tassi del debito lasciata alle dinamiche dei mercati (cioè dei creditori) costituisce un intrinseca limitazione da cui, poi, è difficile uscire, perchè assimila lo Stato a un qualsiasi cliente del sistema bancario, esponendolo alla stima di solvibilità prima e alla tendenza speculativa di breve periodo (per definizione) che compiono gli investitori finanziari, quindi assoggettandolo a logiche che sono estranee al programma di realizzazione di valori-obiettivi che sono propri della Costituzione. Come ben sa il Giappone.
E, preliminarmente, in assenza di livelli di cambio "innaturali" e immodificabili, l'Italia avrebbe avuto, come comprovano le serie storiche della bilancia dei pagamenti, un ("almeno" più frequente) attivo delle partite correnti e una connessa crescita che avrebbero senz'altro abbassato il rapporto debito/PIL.
Tutto ciò non è controfattuale, cioè ipotetico, perchè basta guardare ai fondamentali economici italiani successivi all'uscita dallo SME nel 1992 (peraltro compressi dal coevo irrompere di Mastricht) e al rientro nello stesso nel 1997, in vista dell'adozione dell'euro, per capire che l'Italia avrebbe potuto crescere in base al semplice schema della "legge", o meglio, del modello di crescita di Thirlwall .
Conclusione che dal punto di vista economico è, adesso più che mai, dopo i dati (quantomeno scoraggianti) di 14 anni di euro, scienticamente attendibile.
E a cui aggiungo questo link alla rivista economica Bloomberg, per chi se lo fosse perso e a giovamento di Luigi, dove tutte queste premesse economiche spingono verso l'opportunità di un vantaggioso abbandono dell'euro per l'Italia.
E' non si tratta di teorie isolate, nel quadro europeo, tanto che oggi più che ormai in Francia se ne parla apertamente su Le Monde.
Ma in conclusione, spero che Luigi si legga questo post e che riesca a trovare il tempo per guardarsi pure ciò che è contenuto nei links.
Perchè Luigi non è uno qualsiasi. E' un autentico "maestro" del pensiero giuridico italiano degli ultimi decenni, come sanno i suoi molti allievi che oggi siedono nei posti più alti delle funzioni giurisdizionali e, non solo, ma in generale "istituzionali", dell'ordinamento italiano.
Quarantotto a 17:17