un,dos,tres,un pasito bailante by mototopo

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Uccisa giornalista che denunciava le connessioni tra pedofili e alta società belga.

Maria Grazia Cutuli, la giornalista che denunciò le connessioni tra pedofili ed alta società belga, e che fu uccisa in un agguato


- di Corrado Penna -




Maria Grazia Cutuli era una coraggiosa giornalista siciliana che lavorava come inviata del Corriere della Sera. Una giornalista coraggiosa perché non ha avuto esitazioni a svolgere il suo lavoro di cronista in diversi teatri di guerra come la Bosnia e l'Afghanistan (e questo forse lo sanno e lo ricordano molte persone) ma perché ha denunciato senza mezzi termini l'orrore della pedofilia. A dire il vero a fatto anche di più, perché a parole tutti sono bravi, è facile infatti fare denuncie generiche e condannare pubblicamente certi orrori (ed infatti lo fanno in molti, persino quelli che nel segreto della propria vita privata abusano di quei poveri esseri innocenti). Maria Grazia Cutuli invece aveva fatto di più, aveva fatto una seria indagine giornalistica, tanto seria che nemmeno la magistratura e la polizia del Belgio avevano dimostrato tanta serietà.





Nel suo articolo scritto (casualmente?) tre mesi prima di essere uccisa in un agguato in Afghanistan ed intitolato Caso Dutroux, giustizia non è fatta Maria Grazia denunciava che: A cinque anni dall' arresto del «mostro di Marcinelle», l' inchiesta sui pedofili belgi si è arenata. Il processo all' uomo accusato di aver stuprato e ucciso quattro bambine continua a slittare. Sono stati sospesi investigatori, screditati testimoni «scomodi», minacciati i parlamentari che indagano sulla vicenda"E più precisamente che Appare un terzo personaggio, Marc Nihoul, il «principe della notte», sospettato di far da tramite in un commercio di minorenni tra Dutroux e le «alte sfere». Il Paese è sotto choc. Spuntano connessioni internazionali. Scenari foschi dove si materializzano incubi orgiastici, sadismi insospettabili, ma anche interessi d' altro genere. Il Belgio, quartiere generale dell' Unione Europea, della Nato, di migliaia di multinazionali, scopre che dietro l' affare della pedofilia si potrebbe nascondere una rete criminale che mina lo Stato dai vertici alle fondamenta. Cinque anni dopo, nessun imputato è alla sbarra. I grossi nomi sono spariti d...



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i titoli, si dice, devono attrarre il lettore! Ma questa volta c'è qualcosa di più di un semplice specchietto per le allodole, c'è un lato di verità!

Dopo mesi di mio silenzio, ritorno "a bomba" sul post che ho scritto a fine agosto, riguardante il costo del debito pubblico italiano (vi invito a rileggerlo per poter riprendere il filo logico del discorso, in quanto darò molti concetti per appresi).

Eccovi quindi l'aggiornamento al mese di settembre (III trimestre 2012)



Come potete ben vedere, il costo nominale del debito emesso quest'anno si è ridotto al 3,20% (3,24% a luglio scorso). Fa uno strano effetto ahn, specialmente quando lo si mette in confronto allo spread, che attualmente viaggia sui 300 punti base (3%) a cui la grande stampa generalista associa 10 Miliardi di maggiori debiti. Lo dimostrassero almeno: come fanno a dire un'assurdità del genere! Qui si mi devo schierare dalla parte di Berlusconi e Brunetta: il fattore spread è un indicatore utile per capire la situazione del debito pubblico italiano, ma dire che con Monti abbiamo risparmiato più di miliardi di € di interessi è una balla bella e buona, come d'altra parte affermare che con il precedente governo Berlusconi si sarebbero pagati 10 miliardi in più il debito!

Tralasciando questi aspetti, e invitandovi a diffidare da tutti i giornalisti che da un giorno all'altro sparano cifre quando fino a dieci giorni prima neanche sapevano cosa fosse Cct-Eu, passiamo ad una analisi ancora più approfondita degli ultimi avvenimenti.



Come detto, i rendimenti (all'emissione, è quello che conta), sono mediamente calati. Per il 2012, come si può immaginare, si è riusciti a mantenere il costo del debito basso grazie all'intervento della BCE sulla curva a breve, a cui infatti il tesoro ha indirizzato la gran parte delle emissioni, anche durante lo scorso terzo trimestre (196 Mln di debito emesso a breve nel 2012, pari al 54% del totale emesso). Questo ha inevitabilmente diminuito la duration media del debito pubblico, rinviando quindi il rinnovo delle emissioni (scusate il gioco di parole) al prossimo anno;




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PT Club: il sito online che insegna agli individui come fottere gli Stati ladri!

di ANONIMO COSMOPOLITA

Stanchi di vivere in un Paese burocratico ed orwelliano di redditometri e zelanti delatori? Volete lasciare l'Italia e trasferirvi in altro luogo fiscalmente più libero e con più opportunità e prospettive di guadagno ma non sapete come fare e quali mosse compiere? Sappiate che dal 1997 esiste il PT Club, una libera associazione online di liberi individui che offrono privacy a chi realisticamente vuole essere libero di vivere la propria quotidianità senza leggi inutili e tasse.

PT è l'abbreviazione di Perpetual Traveler (Viaggiatore Perpetuo) e si basa sul concetto di sovranità dell'individuo, il sito fornisce ai visitatori consigli e suggerimenti al fine di risiedere in un Paese estero off-shore senza essere vincolato da aspetti di tipo burocratico (quali tasse, obblighi militari, azioni legali) figurando come "turista".

Tale concetto è stato reso popolare da Harry Schultz, il consulente finanziario più pagato al mondo nel 1964, secondo il Guinness Book of World Records, autore di numerosi libri sugli investimenti che sono divenuti dei bestseller negli anni '70, e di un libro intitolato How to Keep Your Money and Your Freedom. Fino al 2010 ha curato The International Harry Schultz Letter, una seguitissima newsletter economica e finanziaria dove avvisava dei rischi iperinflazionistici dell'attuale sistema monetario internazionale e i possibili scenari bellici all'orizzonte.

Schultz ha coniato il concetto di multiple-flag life style: ovvero la possibilità di avere vari livelli di vita a seconda delle proprie possibilità ed interessi: vivere in un Paese, lavorare in un altro ed essere cittadino di un terzo. Tra coloro i quali in tempi recenti hanno seguito i consigli di Schultz, vi è il cofondatore di Facebook,










 
rischiocalcolato.it

Lo scorso 14 dicembre il nostro ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, è volato a Washington ad incontrare il suo pari grado, Tim Geithner, e «investitori» finanziari non meglio identificati. Ad essi, secondo Il Corriere, Grilli ha spiegato il piano del governo Monti per ridurre un poco il debito pubblico, che Monti ha continuato a far salire rispetto al PIL, inarrestabile. Il calo del PIL (e non le tasse, secondo Grilli) ha fatto sì che esso si divaricasse dal debito: quello scende e, per forza, questo sale. La soluzione è aumentare il PIL «nominale», cioè quello reale più l’inflazione (che è al 2%, secondo loro), per far convergere le due entità.

Come fare? Tranquilli, ha detto Grilli ai finanzieri esteri: «Il continuo aumento della disoccupazione spinge chi cerca un posto ad accettare compensi sempre minori pur di lavorare, ridando così un po di competitività di prezzo alle imprese». Le imprese italiane potranno dunque «ridurre i costi del lavoro» (Il Tesoro e la via anti-debito).
Ecco dunque il progetto di «rilancio» e «crescita» di Monti (e di Bersani poi, per cui Monti è «un punto di non ritorno»): nessuna liberazione delle imprese dallo strangolamento della burocrazia pletorica inadempiente, nessun taglio ai «costi della politica»; niente blocco degli statali e dei loro stipendi, già il 15% superiori a quelli privati; niente fiscalità che non sia persecutrice di chi produce, nessun taglio agli statali di lusso con stipendi miliardari. Quello che vuol ridurre, il governo, sono i salari privati, ossia di quelli che producono, non dei parassiti. Mettendo in competizione gli occupati con i disoccupati, costretti ad «accettare compensi sempre minori».
A parte l’odiosità morale, è il caso di avvertire che proprio questa «soluzione» fu quella che stroncò definitivamente l’economia della repubblica di Weimar (1919-1933), e fece sì che i tedeschi votassero il NSDAP e la facessero finita col liberismo. Non fu infatti l’iper-inflazione, come alcuni credono, a provocare il rigetto della democrazia; l’inflazione tedesca, benché atroce per la classe media, era già finita nel 1923, e l’istituzione pluralista durò ancora 10 anni. A provocare il tracollo fu invece la deflazione, unita alla recessione, provocata da programmi di «austerità» rigorosi secondo l’ortodossia liberista, e infine il taglio dei salari privati ordinato per decreto dal cancelliere Heinrich Bruening.
I punti di contatto fra la repubblica italiana d’oggi, e fra Monti e Bruening, sono così numerosi da inquietare. Andiamo per ordine:
Fu la prima globalizzazione (1919-1929): vigeva il Gold Standard, il che significa: negli scambi internazionali si usava una moneta comune globale: l’oro, e le monete in quanto erano agganciate all’oro con cambio fisso. Una volta domata l’inflazione, la Germania – sconfitta nella Prima Guerra Mondiale – riagganciò il marco all’oro, e conobbe una rapida ripresa.
Crescita drogata da grandi prestiti USA: la Germania era stata condannata a pagare colossali «riparazioni» a Francia e Gran Bretagna perché bollata dalla «comunità internazionale» (la conosciamo bene anche oggi) come colpevole della Grande Guerra. Tutti gli anni avrebbe dovuto versare 2,5 miliardi di marchi oro fino al 1929 (piano Dawes), poi 37 versamenti di 2,05 miliardi di Reichsmark, poi altri di 1,65 miliardi di marchi fino al… 1988 (piano Young). Berlino non ce l’avrebbe mai fatta, se il governo americano (appunto Dawes e Young, banchieri-politici USA) non avesse fornito altrettanto enormi crediti.
Tanta generosità non era disinteressata, e fruttava grassi profitti. Gli USA avendo venduto forniture belliche gigantesche agli Alleati durante la guerra europea, erano divenuti i grandi creditori del mondo, e Fort Knox traboccava di oro affluito dai Paesi debitori (che erano poi gli alleati; ma gli affari sono affari). Il Gold Standard obbligava a moltiplicare di altrettanto i dollari: un mare di liquidità in eccesso stava per abbattersi sull’economia USA, che già subiva la recessione inevitabile una volta finita la super-produzione bellica. La Federal Reserve e i banchieri USA impedirono tale effetto abbassando artificialmente i tassi – la stessa cosa fatta da Greenspan negli anni ’90, e da Bernanke poi – ed incitando all’esportazione di dollari: come nella storia dei petrodollari degli anni ’70, esportarono così la loro inflazione all’estero.
Assoluta libertà di circolazione dei capitali: questa fu la decisione decretata da Washington e da Londra, potenze vincitrici. I capitali americani, poco remunerati in patria, affluirono in Germania. Nel 1925, il tasso di sconto della Federal Reserve era del 3%; in Germania, era sul 10%. Negli anni seguenti, la remunerazione del capitale investito in USA fu sul 4%, in Germania spuntava l’8%. Il doppio.
Pura finanza speculativa, perché basata su un circolo vizioso finanziario: i capitalisti USA si facevano prestare dalla FED al 4%; con questa liquidità indebitavano i tedeschi all’8%, e con questi prestiti i tedeschi pagavano le riparazioni a francesi e inglesi. Come «garanzia» per i generosi prestiti, furono ipotecate la Reichsbank (la Banca Centrale), le Reichsbahn (le ferrovie nazionali), i diritti di dogane e l’imposta sui consumi.
Ma una parte delle riparazioni doveva essere pagata in merci e beni: e dunque parte dei prestiti USA andarono anche a finanziare l’industria tedesca.
La repubblica di Weimar piaceva all’alta finanza USA come uno Stato «business friendly»: le dava le due garanzie che il liberalismo capitalista desidera in un Paese per investire, il «mercato» e la «democrazia». E inoltre, i salari tedeschi erano bassi – milioni di soldati smobilitati cercavano un lavoro a qualunque prezzo – e i bassi salari stimolano sempre gli investimenti industriali: come abbiamo visto fino ad oggi in Cina.
Bolle finanziarie:il risultato di tanto denaro a disposizione provocò oltre ad un surriscaldamento industriale, gigantesche «bolle». Rapidamente, i terreni e i fabbricati rincararono del 700% a Berlino, e del 400% ad Amburgo. I giornali seguaci del liberismo (perché pagati dai capitalisti) lanciarono una campagna per «liberalizzare gli affitti». Gli affitti erano stati bloccati durante la guerra; ma ormai era «ingiusto», dicevano i media, visto che gli immobili si erano tanto apprezzati, che essi rimanessero fermi. Una legge sbloccò gli affitti, che crebbero immediatamente del 125%. A pagarli erano soprattutto gli operai, appena urbanizzati, risucchiati nelle metropoli dall’industria assetata di manodopera. Berlino passò da 2 a 6 milioni di abitanti, e gli alloggi non bastavano mai. I padroni immobiliari erano quelli che guadagnavano.
Anche a spese delle industrie, che pagavano di più affitti e mutui e fidi per i fabbricati industriali. «Leconomia era sempre più dipendente dal capitale estero; il peso degli interessi continuava a crescere (…) I crediti esteri erano per lo più a breve, ma erano piazzati in investimenti a lungo termine, sicchè la minima crisi economica presso i creditori avrebbe avuto conseguenze gravissime per la repubblica» (così lo storico Horst Moeller).
Allora la crisi fu quella del 1929, che da un giorno all’altro lasciò l’economia germanica a secco di capitali americani. Oggi è stata la crisi dei sub-prime in USA, che ha destabilizzato il sistema bancario globale, rivelandone l’insolvenza.
Ma intanto, tra il 1925 e il ’29, l’economia cresceva trionfalmente. Erano Die Goldener Zwanziger, i dorati anni ’20 immortalati dalle vignette di Grosz, coi ricconi grassi in cilindro, sigaro e frac che palpano puttanelle (figlie della classe media rovinata) nei cabaret. Gli industriali tedeschi rispondevano al peso crescente degli interessi passivi e dei costi da «bolla» sui fabbricati, creando un apparato industriale ad alta intensità di capitale, in modo da risparmiare sui salari.
«Le industrie smantellavano le vecchie fabbriche e le rimpiazzavano coi più nuovi macchinari. La Germania stava diventando il Paese industriale più avanzato del mondo, più degli stessi Stati Uniti (…) l’intero sistema ferroviario fu rinnovato…». Così Bruno Heilig, giornalista ebreo dell’epoca, che scampò nel 1938 a Londra (Bruno Heilig, “Why the German Republic Fell”).
Non mi dilungherò sulle «privatizzazioni» scandalose e truffaldine che allora prosperarono. Mi limito a citare il nuovo porto sulla Sprea, che il municipio di Berlino rammodernò spendendo milioni di marchi, attrezzandolo di gru e magazzini (era il porto che serviva il rifornimento della capitale) e che poi fu ceduto a due privati – con l’argomento che la mano pubblica non poteva gestirlo «con efficienza e profitto» . Il consorzio privato, Schenker & Busch, pagò 396 mila marchi – unico pagamento per 50 anni di affitto (il solo prezzo d’affitto del nudo terreno del porto sarebbe stato di 1 milione di marchi l’anno) e per giunta si fece dare dal comune un prestito di 5 milioni di marchi come capitale operativo. L’alto funzionario pubblico responsabile del progetto, e che aveva poi consigliato la privatizzazione, lasciò l’impiego pubblico e fu assunto da Schenker & Busch con uno stipendio principesco. Intanto «i lavoratori berlinesi, già aggravati dal rincaro delle pigioni, pagavano un tributo a quei privati per ogni pezzo di pane che mangiavano» (Heilig).
La crescita a credito cominciava a perdere colpi. Gli interessi sui debiti degli industriali crescevano, crescevano i costi degli affitti e dei macchinari. Ma per qualche anno «ogni segno di crisi fu scongiurato comprimendo i salari e licenziando lavoratori»(Heilig). È significativo che anche durante il boom dei Venti Dorati, i disoccupati restarono tanti, si mantennero sui 2 milioni. Tanto meglio, per gli industriali: manodopera a basso costo. E coi «risparmi» sui salari, comprarono macchinari ancora più efficienti onde aumentare la produttività. Così gli aveva insegnato il liberismo anglosassone. E i tedeschi sono allievi-modello.
L’altra faccia della produttività. Accadde quello che sempre accade quando si retribuisce troppo il capitale (i banchieri, essenzialmente) e poco il lavoro: le merci, prodotte in quantità sempre maggiore, non trovano acquirenti, perché i consumatori (che sono i lavoratori) hanno perso potere d’acquisto.
Gli imprenditori corsero ai ripari applicando i dettami del liberismo americano appena appreso. Nel 1931, ridussero la quantità di merci prodotte, sperando con ciò di sostenerne i prezzi. Ma così facendo «interessi, tasse, ammortamenti ed affitti, ossia le spese fisse, divise su un volume minore di beni, aumentarono il costo unitario di ogni bene. Il costo di produzione crebbe in proporzione inversa ai profitti, fino a divorarli» (Bruno Heilig).
Quali misure vennero prese? Altri licenziamenti in massa. Ovviamente, «per ogni lavoratore licenziato era un consumatore che scompariva», ha scritto Heilig, sicché i datori di lavoro «ne ebbero ben poco sollievo».
Già. A far colare a picco le imprese erano i «costi non comprimibili», non già il costo del lavoro; ma questo era il solo ritenuto «comprimibile» – e fu compresso senza pietà. Furono i costi incomprimibili, nel corso del 1931, a rendere insolventi sempre più imprese. Gli interessi sui debiti diventarono impagabili, e non furono più pagati. Con l’insolvenza dei debitori-imprenditori, cominciarono a fallire le banche.
Il cancelliere Heinrich Bruening, salito al potere nell’ottobre ‘31, spese miliardi di marchi (dei contribuenti) per «salvare le banche», applicando da allievo modello i dettami del liberismo anglosassone. Come oggi, quando sono le banche a crollare per i loro investimenti sbagliati, il «mercato» viene sospeso, e invece di lasciarle fallire, si invoca la mano visibile dello Stato, l’intervento pubblico a loro favore.
Non bastò, ovviamente. Allora Bruening, che ormai gestiva l’economia a forza di decreti d’autorità, lanciò una politica di austerità e rigore, tagli di bilancio, deflazione deliberata. Il cancelliere «ascoltava i funesti consigli del dottor Sprague, lemissario della Bank of England. Il quale naturalmente voleva la continuazione della politica di deflazione ad ogni costo; deliberata permantenere il valore dei fantastici investimenti della City in Germania» (Robert Boothby: Recollections of a Rebel, 1978).
Anche oggi, il rigore e la deflazione decretati da Mario Monti sono nel solo interesse dei grandi creditori internazionali, che vogliono mantenere il «valore dei loro investimenti». Proprio di questo il nostro (loro) Grilli è andato a rassicurare gli investitori americani che creerà «crescita» tagliando i i salari.
Nel 1931, Bruening fece lo stesso:
per decreto, ordinò una riduzione generale dei salari del 15%.
Nella sua teoria, riteneva che riducendo il potere d’acquisto del lavoratori, si sarebbe prodotta di conseguenza una riduzione dei prezzi. Il «prezzo umano», la messa alla fame dei lavoratori e delle loro famiglie, non gli sembrò indegno d’esser pagato.
La massa salariale prima del 1929, ossia nel boom liberista, ammontava a 42,4 miliardi di marchi. Durante il cancellierato Bruening scese a 32 miliardi (il Terzo Reich la fece risalire, nel 1937, a 48,5 miliardi).
Ovviamente, il drastico taglio dei salari non funzionò come sperava Bruening, anzi accelerò il tracollo. Come abbiamo visto, i prezzi delle merci erano determinati da fattori ben diversi che dalle paghe: dai costi incomprimibili, dal servizio del debito, dagli indebitamenti per comprare suoli sopravvalutati dalla bolla. Bruening avrebbe dovuto agire su quelli. Non lo fece.
I disoccupati salirono a 7 milioni: un terzo della forza-lavoro nazionale; a cui si dovettero aggiungere «i «disoccupati parziali», part time e precari, altri milioni non censiti.
«Lapparenza di prosperità economica degli anni Venti si rivelava ingannevole. Quando la crisi americana del 1929 e la poca fiducia nella stabilità economica e politica di Weimar spinsero (gli stranieri) a ritirare i crediti, leconomia tedesca collassò… La generazione giovanile si vide privata di possibilità professionali, economiche e sociali; era sradicata e si sentiva derubata dellavvenire». (Moeller). «La classe media (era) spazzata via: questa la situazione ad un anno dallapice dalla prosperità» (Heilig).
In quell’anno, il numero dei deputati nazisti al Reichstag passò da 8 a 107. Avevano votato per loro 13,4 milioni di tedeschi; il 60% erano persone che prima non avevano votato, astenendosi. Nel gennaio 1933, divenne cancelliere Adolf Hitler. E cominciò la ripresa,usando ricette contrarie a quelle del liberismo (1).
Oggi, i poteri forti – che hanno la memoria lunga – hanno agito d’anticipo, di fatto favorendo un colpo di Stato dall’alto in Italia, svuotando di senso le votazioni; hanno accelerato la creazione della giunta oligarchica a livello europeo, in modo – mentre cadono a picco tutti i dati dell’economia reale – da prevenire una deriva «populista» della volontà popolare, che scalzi il loro potere come avvenne «allora».

Maurizio Blondet
Fonte: Rischio Calcolato | Finanza e Politica
Link: Mario Monti, Weimar Reloaded (Maurizio Blondet) | Rischio Calcolato
22.12.2012

1) Bruening se ne andò in USA, dove fu accolto a braccia aperte dall’Università di Harvard. Vi restò come docente di politica liberista fino al 1951.
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Global Research










Nell’edizione 2012 di [ame="http://www.amazon.com/Occupy-Money-Creating-Economy-Everybody/dp/0865717311/ref=sr_1_1?s=books&ie=UTF8&qid=1351734217&sr=1-1&keywords=occupy+money"]Occupy Money[/ame] della scorsa settimana, il Professor Margrit Kennedy scrive che dal 35% al ​​40% di quello che spendiamo serve a pagare interessi. Questi interessi vanno a banchieri, finanzieri, e obbligazionisti, che taglieggiano quindi il PIL – USA dal 35% al ​​40% del suo valore.
Questo aiuta a spiegare come la ricchezza viene sistematicamente trasferita da Main Street a Wall Street. I ricchi diventano progressivamente più ricchi a spese dei poveri, non solo per " l’avidità di Wall Street ", ma a causa delle regole matematiche e inesorabili del nostro sistema bancario privato.
Questo tributo nascosto a favore delle banche sarà una sorpresa per molte persone, che pensano che se pagano i conti della carta di credito entro la scadenza non hanno chiesto un prestito e quindi non devono pagare interessi.
Questo, dice il Dott. Kennedy, non è vero. Commercianti, fornitori, grossisti e dettaglianti lungo tutta la catena della produzione si basano sul credito per pagare i conti. Devono pagare la manodopera e i materiali prima di avere un prodotto da vendere e prima che il compratore finale paghi il prezzo del prodotto, 90 giorni dopo. Ogni attore della catena aggiunge interesse per i suoi costi di produzione, che vengono trasferiti al consumatore finale. Il dottor Kennedy parla di oneri per interessi che vanno dal 12% per la raccolta dei rifiuti, al 38% per l’acqua potabile fino al 77% per un affitto di una casa popolare nella sua nativa Germania.
Queste cifre sono pubblicate in una ricerca dell’economista Helmut Creutz, che le ha estratte da documenti della Bundesbank e si riferiscono alle spese delle famiglie tedesche per i beni di tutti i giorni e per i servizi nel 2006, ma cifre simili si possono incontrare anche nelle analisi dei profitti del settore finanziario negli Stati Uniti, dove corrispondono a un enorme 40% dei profitti finanziari del 2006. Questa percentuale si può confrontare con il 7% che aveva registrato il settore bancario nel 1980. Attivi bancari, profitti finanziari, interessi, e debito sono tutte voci in crescita esponenziale.(Nota1)

La crescita esponenziale dei profitti del settore finanziario si è verificata a discapito dei settori non finanziari, i cui redditi sono cresciuti nella migliore delle ipotesi linearmente. (NOTA 2)
Grafico : Chi si gode gli interessi
Nel 2010, l’1% della popolazione possedeva il 42% della ricchezza finanziaria, mentre l’80% possedeva solo il 5% della ricchezza finanziaria ( NOTA 3). Il dottor Kennedy osserva che la parte povera del paese, l’80%, paga spese per interessi nascosti che vengono incassate dal 10% : gli interessi quindi sono una tassa fortemente antidemocratica che redistribuisce la poca ricchezza dei poveri ai più ricchi.

Grafico : L’evoluzione dell’iniquità
La crescita esponenziale è insostenibile. In natura, la crescita sostenibile progredisce in una curva logaritmica che cresce sempre più lentamente per poi livellarsi (la linea rossa nel primo grafico sopra). La crescita esponenziale fa il contrario: inizia lentamente e aumenta nel tempo, fino a quando la curva spara verticalmente (vedi tabella qui sotto). La crescita esponenziale normalmente rappresenta l’evoluzione dei parassiti o dei tumori. . . oppure degli interessi composti. Quando il parassita esaurisce la sua fonte di cibo, la curva di crescita crolla improvvisamente.
Si crede che pagando i conti entro la scadenza prevista, non si stiano pagando interessi composti, ma ancora una volta, questo non è vero. L’interesse composto è una componente della formula della maggior parte dei mutui, che costituiscono l’80% dei prestiti degli Stati Uniti. E se le carte di credito non vengono pagate entro 30 giorni, le spese per gli interessi si sommano giorno per giorno.
Anche se si paga entro la scadenza, si paga dal 2% al 3% per l’uso della carta ( NOTA 4), dal momento che i commercianti ricaricano i loro costi per l’uso della carta di credito sui consumatori.
La Crescita esponenziale

Anche le carte di debito, che sono l’equivalente degli assegni personali, prevedono spese. Visa- MasterCard e le banche che intervengono nelle operazioni di interscambio ricevono un canone medio di 44 centesimi per ogni transazione ( NOTA 5), anche se il costo è circa quattro centesimi.
Come Recuperare gli interessi: Possedere la Banca
Le implicazioni di tutto questo sono meravigliose. Se avessimo un sistema finanziario che restituisse gli interessi raccolti dal pubblico direttamente al pubblico, si potrebbero abbassare i prezzi di tutto ciò che compriamo del 35%. Questo significa che potremmo comprare tre per due, e che i nostri stipendi ci consentirebbero di raddoppiare il nostro potere di acquisto di oggi.
Un rimborso diretto alle persone sarebbe un sistema difficile da attuare, ma c’è un modo per poter recuperare collettivamente gli interessi pagati alle banche. Potremmo trasformare le banche in servizi di pubblica utilità e i loro profitti in beni pubblici. I profitti ritornerebbero al pubblico e potrebbero essere utilizzati sia per ridurre le imposte che per aumentare la disponibilità dei servizi pubblici e delle infrastrutture.
Prendendo prestiti da banche di proprietà pubblica, i governi potrebbero eliminare del tutto la spesa degli interessi. Questo è stato dimostrato con risultati stellari, anche in Canada ( NOTA 6), Australia ( NOTA 7), Argentina ( NOTA 8) e altri paesi.
Nel 2011, il governo federale degli Stati Uniti ha pagato 454 miliardi di dollari di interessi sul debito federale, quasi un terzo del totale di 1.100 miliardi di dollari incassati con le imposte sul reddito personali annuo. Se il governo avesse preso il prestito direttamente dalla Federal Reserve, che ha il potere di registrare il credito sui libri contabili e poi di trasferire i suoi profitti direttamente al governo, le imposte sul reddito avrebbero potuto essere ridotto di un terzo.(NOTA 9)
Prendendo prestiti dalla propria banca centrale, senza dover pagare interessi, si potrebbe consentire a un governo di eliminare del tutto il suo debito pubblico. Bernard Lietaer e Christian Asperger, in [ame="http://www.amazon.com/Money-Sustainability-Missing-black-white/dp/1908009772/ref=sr_1_1?s=books&ie=UTF8&qid=1351868182&sr=1-1&keywords=money+and+sustainability+the+missing+link"]Money and Sustainability: The Missing Link[/ame] citano l’esempio della Francia che permise al Ministero del Tesoro di prendere un prestito senza interessi dalla Banque de France nazionalizzata dal 1946 al 1973. [ame="http://img43.imageshack.us/i/frenchdebt.png/"]
frenchdebt.png
[/ame]
La legge poi è stata cambiata
per vietare questa pratica, e obbligare il Tesoro a chiedere prestiti solo al settore privato.
Gli autori mostrano in un grafico cosa sarebbe successo se il governo francese avesse continuato a prendere prestiti senza interessi, rispetto a quanto è accaduto: Anziché scendere dal 21% al 8,6% del PIL, il debito è salito dal 21% al 78% .
"Non è colpa di un ‘governo spendaccione’ , in questo caso," scrivono gli autori. "Gli interessi composti spiegano tutto!"
Ma non è una soluzione solo per la FED
Non solo la FED potrebbe eliminare i suoi oneri finanziari in questo modo, potrebbero farlo anche i governi statali e locali.
Consideriamo la California. Alla fine del 2010, aveva un debito azionario e obbligazionario di 158 miliardi. Di questi, 70 miliardi, o il 44%, è stato pagato per interessi. Se lo Stato avesse contratto il debito con la propria banca, che poi avrebbe rigirato i profitti allo stato della California, oggi potrebbe essere più ricco di 70 miliardi di dollari. Invece di dover tagliare servizi, vendere beni pubblici, e licenziare i dipendenti, potrebbe dare servizi in più e fare lavori pubblici per sistemare le infrastrutture in disfacimento.
L’unico stato americano che è proprietario di una banca depositaria oggi è North Dakota. North Dakota è anche l’unico stato ad essere scampato alla crisi bancaria del 2008, sfoggiando un consistente avanzo di bilancio ogni anno dopo il 2008. C’è il più basso tasso di disoccupazione, il più basso tasso di bancarotte, e il più basso tasso di insolvenza per debiti con la carta di credito.
A livello globale, il 40% delle banche sono di proprietà pubblica, ( NOTA 10) e sono concentrati nei paesi che sono sfuggiti alla crisi bancaria del 2008. Questi sono i paesi BRIC-Brasile, Russia, India e Cina, dove vive il 40% della popolazione mondiale. Le economie del BRIC sono cresciute del 92% negli ultimi dieci anni, mentre le economie occidentali hanno galleggiato.
Le città e regioni potrebbero possedere proprie banche, ma negli Stati Uniti, questo modello non si è ancora sviluppato. In North Dakota, nel frattempo, la Banca del Nord Dakota sottoscrive emissioni obbligazionarie per governi municipali, salvandoli dai capricci dei "vigilantes obbligazionari" e degli speculatori, nonché dalle spese fisse che deve pagare chi investe in borsa o dalle spese assicurative che si chiedono per ridurre il rischio di rimetterci tutto il capitale.
Una delle molte città schiacciate da questo regime "assicurativo" di Wall Street è Philadelphia, che ha perso 500 milioni di dollari in derivati. (Come derivati e scandalo LIBOR abbiano legami è già noto). La settimana scorsa, al Philadelphia City Council c’è stata una seduta per decidere cosa fare per questi mancati ricavi. In un articolo del 30 ottobre dal titolo "Can Public Banks End Wall Street Hegemony?"( NOTA 11), Willie Osterweil ha discusso su una soluzione presentata da Mike Krauss, direttore dell’Istituto bancario pubblico.
La soluzione Krauss dice di fare come ha fatto l’Islanda: gambe in spalla e andiamo.
Ha proposto "un default strategico finché la banca negozi condizioni migliori". Osterweil lo ha definito "radicale", dato che la città vedrebbe ridotto il suo rating e potrebbe avere problemi a chiedere nuovi prestiti. Ma Krauss ha presentato una soluzione anche a questo problema: la città potrebbe creare una propria banca e utilizzarla per generare credito per le entrate pubbliche cittadine, proprio come fanno oggi le banche di Wall Street che generano credito da queste stesse entrate.
Una soluzione radicale ma sarebbe ora !
Banche pubbliche : possono essere una soluzione radicale, ma è anche una soluzione ovvia. Questa non è scienza missilistica. Con lo sviluppo di un sistema pubblico bancario, i governi possono trattenere per sé gli interessi e reinvestirli sul territorio. Secondo Kennedy e Creutz, questo sarebbe un risparmio pubblico dal 35% al ​​40%. I costi potrebbero scendere in modo lineare, le imposte tagliate o i servizi aumentati, e potremo finalmente raggiungere una stabilità nei mercati per far vivere governi, mutuatari e consumatori.
Banche e credito potranno diventare servizi pubblici, alimentando l’economia, piuttosto che affamandola.
Ellen Brown
avvocato e presidente del Public Banking Institute. In” Web of Debt”, il suo ultimo di undici libri, mostra come sia riuscito un cartello privato a usurpare il potere creando denaro dal popolo stesso, e come la gente può tornare indietro. http://WebofDebt.com http://EllenBrown.com http://PublicBankingInstitute.org
 

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