un,dos,tres,un pasito bailante by mototopo

STAMPA LIBERA ha aggiunto John Perkins a Che Tempo che fa al blog 1 sett. fa
Pubblicato in data 04/mag/2013 Che tempo che fa del 4 maggio 2013 – John Perkins, saggista e attivista, dal 1968 al 1981 ha lavorato, come economista e consulente di pianificazione economica per conto del governo Usa e di grandi aziende statunitensi, nella demolizione di sistemi politici ed economici di paesi del secondo e del terzo [...]

17:15
 
SE IL FILO SI SPEZZA? SI SALVA SOLO CHI HA IL PARACADUTE
mentre il mercato azionario americano cede ...e cede con il dollaro debole....io continuo ad avere un brivido lunga la schiena pensando alle disponibilita' che il TESORO italiano ha in pancia ..oltre 64 miliardi di euro ...pari al 3% del totale debito pubblico.
34 MILIARDI DI DEBITO PUBBLICO IN PIU' IN UN SOLO MESE
I GIORNALI CHE NON NE DANNO QUASI RISALTO...
SEMBRA UN FIL DELL'ORRORE!!!

PERCHE' SACCOMANNI E COMPANY HANNO DECISO DI AVERE QUESTO SURPLUS ENORME...SURPLUS CHE FRA L'ALTRO COSTA INTERESSI E NON POCHI..
il rischio che la situazione possa precipitare ad agosto ESISTE, è palpabile e reale. In quel caso il nostro governo non potra' rivolgersi al mercato finanziario (se lo spread dovesse salire enormemente) e gli aiuti dall'europa potrebbero arrivare solo dopo LA CONFISCA DAI CONTI CORRENTI CON LE NOTE PROCEDURE DI BAIL IN. in questo caso potrebbero essere mesi in discussione anche i primi 100.000 euro e AVVERREBBE IL BLOCCO ALLA LIBERA CIRCOLAZIONE DEI CAPITALI.
ecco il motivo dei 60 miliardi di riserve..per avere due o tre mesi per organizzarsi..e ARRAFFARE L'ARRAFFABILE...by mercato libero
 
Grecia, Cipro e Siria messe ko, per rubargli il gas dell’Egeo (e non solo)
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12 luglio 2013 |
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Autore Redazione | Stampa articolo
Fonte: Grecia, Cipro e Siria messe ko, per rubargli il gas dell?Egeo | LIBRE
Scritto il 11/7/13 • nella Categoria: segnalazioni
Grecia, Cipro, Siria. Tre crisi ben distinte, secondo la narrazione mainstream: il debito pubblico non più tollerato dall’Europa del rigore, la fragilità del sistema bancario dell’isola mediterranea, la rivolta armata contro il regime di Assad. Peccato che nessuno veda cosa c’è sotto: ma proprio in fondo, là in basso, nel fondale marino dell’Egeo. Tecnicamente: uno smisurato giacimento di gas. Un tesoro inestimabile, a cui avrebbero accesso – per diritto internazionale – sia i greci massacrati dalla Troika, sia i ciprioti strapazzati da Bruxelles, sia i siriani assediati dai miliziani Nato travestiti da ribelli. Quel tesoro lo vogliono per intero, e a prezzi stracciati, le Sette Sorelle. E’ questo il vero motivo per cui si sta cercando di radere al suolo la sovranità della Grecia, di Cipro e della Siria. Non si tratta di una tesi, ma di fatti che il mondo diplomatico conosce. Parola di Agostino Chiesa Alciator, già console italiano in Francia. Che avverte: il disastro che ci sta rovinando addosso – crisi economica, catastrofe finanziaria, focolai di guerra permanente in ogni angolo del pianeta – ha una precisa di data d’inizio: 11 settembre. Non quello del 2001, le Torri Gemelle. Si tratta di undici anni prima: la caduta del Muro di Berlino. Leggi il resto di questo articolo »

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Pubblicato in DOMINIO E
 
DEFICIT, PAREGGIO DI BILANCIO E PSEUDO-RIPRESA





Per chi se le fosse perse, e ad ogni buon conto, faccio il montaggio delle risposte date alle pertinenti osservazioni fatte da Lorenzo Carnimeo:
"Una cosa va detta: tecnicamente, se accettano di lasciare nel breve periodo il deficit al 3%, può in effetti verificarsi un periodo di assestamento con crescita poco sopra lo 0,...
Ma questa è un'ipotesi che non tiene conto della bilancia dei pagamenti: questa ha avuto un miglioramento "ante mortem", dovuto alla restrizione fiscale della domanda interna (aumenti dell'IVA e delle accise sui carburanti, con generale e drastica caduta dei consumi).

Tuttavia, la recessione (innescata dalle manovre dell'estate 2011 e seguenti) ha inciso in modo strutturale sull'offerta nazionale: la caduta simultanea e drammatica di investimenti e consumi, porterà alla incapacità di produrre quanto una "eventuale"domanda, non dico in crescita, ma anche solo "stabilizzata", potrà comportare.
Ecco allora che, dopo una fase di stagnazione (crescite 0,3...) che verrà salutata come ripresa, la bilancia dei pagamenti (in tutte le sue voci, non solo per la partita "merci", beninteso), ritrascinerà l'Italia in recessione e si procederà a nuova deflazione salariale (unico metodo di correzione conosciuto in UEM), nuova caduta della domanda, nuova deindustrializzazione da caduta della domanda; e perciò calo del PIL, del gettito fiscale, acuito da furiosi tagli della spesa pubblica (in risposta) e quindi fallimento successivo dell'obiettivo di deficit.
SE SI RIMANE NELL'EURO, questo e solo questo ci attende; PER DECENNI.
Cioè il ciclo oscillerà sempre e solo tra stagnazione e recessione: e con una frequenza allarmante e distruttiva.
Esattamente come prefigura ciò che è accaduto dal 2002 ad oggi.
Quindi non avremmo una "ripresina"; in realtà sarebbe una "non recessione". Cioè crescita prossima allo zero, ma non negativa (sostanziale stagnazione).

Cerco di farla sintetica:
il margine di spesa pubblica è in realtà estraneo a ciò; come dice pure Munchau si tratta di programmi risibili. Quelli attuali e pure i futuri; gli sbandierati cofinanziamenti esigono pur sempre un concorso di spesa nazionale, contabilmente ridotto a essere simbolico;
- la "non recessione", nella visione paradossale e ormai fuori dalla realtà dei responsabili della nostra economia, è in realtà dovuta:
a) al fatto stesso di consentire il mantenimento di un deficit e di non perseguire con immediatezza il pareggio tecnico (-0,50, in assenza di congiuntura);
b) il che significa di non dover calibrare, con la stessa frequenza e dimensione degli ultimi 2 anni, manovre di austerity su questo obiettivo, lasciando, più o meno i conti come stanno e attendendo, secondo le "loro" previsioni, che la deflazione salariale aumenti la competitività e l'export;
- questa stessa aspettativa conferma che la recessione è dovuta tutta alle politiche fiscali!;
- poichè invece la crisi è di domanda, anche lasciando le cose come stanno (più o meno, e comunque per il 2014, perchè il 2013 è già di recessione), la domanda interna calerà lo stesso e non potrà essere sostituita da quella estera "aggiuntiva", perchè mancati investimenti e deindustrializzazione nazionali sono stati portati troppo in là,mentre i nostri vicini UEM soffrono di problemi analoghi e il livello del cambio non ci consente una vera espansione extra-UEM;
- differenziali di interessi, credit crunch, crollo del valore patrimoniale di assets finanziari e immobiliari, porteranno poi ad una ulteriore forte fuga di capitali, i cui rendimenti permarranno all'estero e non verranno reimportati (fenomeno simile alla fuga delle expertise migliori, cervelli e relativi redditi in fuga);
- siccome non sanno PERCHE' E DOVE SBAGLIANO, di fronte alla caduta della domanda (interna e estera), e quindi di gettito fiscale (e persino con innalzamento di spesa per disoccupazione), non sapranno far altro che tassare ancora e tagliare la spesa comprimibile (che si allargherà a dismisura, con acclamazione mediatico-livorosa). Nel tentativo di arrivare prima o poi al "pareggio di bilancio".

Risultato: brevi stagnazioni preluderanno a fasi recessive da ripresa della austerity.

Vorrebbero andare avanti così all'infinito gli ITALIAN-PUD€, non avendo capito il moltiplicatore e cosa non funzioni nel vincolo di cambio.
Perchè l'euro, per loro, è irrinunciabile e la deflazione salariale come prospettiva illimitata nel tempo li esalta troppo.


Ora, fresca di giornata, arriva la notizia ANSA che conferma al 100% questo quadro.


"La Commissione Ue ''consentira' deviazioni temporanee dal raggiungimento dell'obiettivo di medio termine'' che consentiranno ''investimenti pubblici produttivi'', cofinanziati dalla Ue. Lo ha annunciato il presidente Jose' Barroso e oggi il commissario Olli Rehn scrivera' ai ministri per spiegare il nuovo approccio.
La Commissione, ha spiegato Barroso, "ha esplorato ulteriori modi all'interno del braccio preventivo del Patto di Stabilità (cioé per chi è sotto il 3% di deficit e quindi fuori da procedura, ndr) per realizzare investimenti pubblici non ricorrenti con un impatto provato sulle finanze pubbliche". E oggi quindi Barroso ha annunciato che "quando la Commissione valuterà i bilanci nazionali per il 2014 e i risultati di bilancio del 2013, considererà di consentire deviazioni temporanee del deficit strutturale dal suo percorso verso l'obiettivo di medio termine (per l'Italia è il pareggio strutturale nel 2014-2015, ndr) fissato delle raccomandazioni specifiche per Paese". Tale deviazione"deve essere collegata a spesa pubblica su progetti co-finanziati dalla Ue nell'ambito della politica strutturale e di coesione, delle reti trans-europee e della 'Connecting Europe Facility' con un effetto nel lungo termine positivo, diretto e verificabile sul bilancio".


Puddo-piddini di tutte le "etnie" festanti. Un trionfo!
Ma la prospettive sono puntualmente quelle sopra enunciate. Il discorso è questo: "per il 2014 vi consentiamo di mantenere il deficit al 3%, ma solo se ci "piace" quello che fate in termini di spesa, chiamandolo "investimenti" (cioè supply side per produrre ma non si sa, per le ragioni dette, per vendere a chi).
Per il 2015, l'obiettivo deve essere il "prossimo al pareggio di bilancio", cioèl'obiettivo "strutturale" da cui non si può deviare. E lo ribadiscono.
Nella migliore delle ipotesi, per chi ha capito il moltiplicatore e il funzionamento del saldi settoriali: se non verrà impostata una riduzione del deficit "a consuntivo" del 2013,pseudo-ripresina nel 2014 e, alla fine di tale anno, massiccia manovra riduttiva del deficit per il 2015 (sul deficit che risulterà a fine 2014: e ci sarà da divertirsi, per così dire, dato che sarà molto difficile persino mantenere il deficit al 3%).

Quindi nuova inevitabile recessione...e manovre correttive per "promuovere la crescita" attraverso la "virtuosità" fiscale.
GUEST POST ORIZZONTE 48
:rolleyes::rolleyes::rolleyes::rolleyes::rolleyes::cool::cool::cool::ordine::ordine::ordine::benedizione::benedizione::benedizione::benedizione:
 
di Paolo Cardenà - Sapete benissimo che in questo sito si è discusso molto di come i soldi dei contribuenti italiani siano finiti a finanziare i vari salvataggi europei (lo abbiamo fatto QUI, QUI, QUI, e QUI ma anche altrove). I soldi spesi , fino a questo momento, sono circa 45 miliardi di euro, di cui circa 9 miliardi a favore del Fondo Salva Stati/Banche ESM. Il tutto, mentre Italia si muore di fame o non si riesce a trovare due FOTTUTISSIMI miliardi di euro per evitare l'aumento dell'IVA.

Siccome buona parte del sistema bancario italiano è in stato di fallimento, così come lo sono numerose banche di altri stati dell'Europa meridionale (e non solo), si sta cercando un'intesa tale da conferire al fondo ESM la possibilità di entrare nel capitale delle banche fino a 60 miliardi di euro.
Questa è la più grande truffa della storia dell'umanità. E non lo è solo perché interi popoli vengono spremuti di tasse per finanziare il fondo salva stati. Il meccanismo è più complesso e cercherò di spiegarvelo, in poche parole, senza cadere nelle tecnicità.
Funziona più o meno così. Stati falliti emettono debito per finanziare la propria spesa. Questo debito non può essere comprato da una banca centrale nella veste di prestatore di ultima istanza. Nel caso specifico, i trattati europei, impediscono alla BCE di poter svolgere questo ruolo e quindi monetizzare i debiti degli stati. Il debito emesso da stati falliti, viene acquistato dalle banche (anch'esse fallite) che si finanziano, a loro volta, per poterlo fare, prevalentemente presso la BCE. Per potersi finanziare presso la BCE a tassi irrisori devono prestare delle garanzie. Le garanzie prestate, in genere obbligazioni, devono essere garantire dallo stato, in modo che la BCE, in caso di insolvenza della banca finanziata, potrà rifarsi sullo Stato e, se del caso, escuterne il patrimonio. Ma il patrimonio dello Stato, altro non è che il patrimonio della popolazione. Quindi, ricapitolando, stati falliti si fanno garanti di banche fallite che devono acquistare il debito di stati falliti. Un'ottima miscela esplosiva, non c'è che dire. Le banche, prestando i soldi allo Stato, esigono un interesse che è ben più alto (dalle 4 alle dieci volte, o forse più) dell'interesse pagato alla BCE per avere in prestito denaro. Gli interessi che lo stato paga alle banche, nel caso italiano circa 90 miliardi di euro all'anno, vengono garantiti grazie all'autorità che ha lo Stato di imporre misure fiscali sui cittadini all'uopo spremuti di tasse. Quindi, in mancanza di crescita economica, lo stato, per poter pagare gli interessi ai propri finanziatori, dovrà aumentare le tasse. L'aumento delle tasse ha effetti recessivi, poiché la popolazione avrà una quota di reddito disponibile via via minore in ragione della maggiore tassazione pretesa dallo Stato. Minori spese per i cittadini, significa minore domanda interna. Le persone non spendono, le fabbriche non producono, sono costrette a licenziare e chiudono. Il licenziamento amplifica ed esalta il problema, facendo crollare i consumi e la domanda interna. A questo punto, le aziende che chiudono o i lavoratori che hanno perso il loro lavoro, non avendo flussi reddituali, non possono ripagare i loro debiti alle banche che vanno in sofferenze, fino a diventare insolventi. Ma siccome lo stato deve sempre avere a disposizione qualcuno capace di garantire che i propri titoli possano essere collocati sul mercato, allora deve intervenire per salvare le banche. E questa volta lo fa con il fondo ESM. Quindi, i cittadini, oltre ad essere tassati per ripagare gli interessi alle banche, non essendo questo sufficiente a garantirne l'esistenza, devono essere tassati anche per garantirne il salvataggio. Questo, banalmente, per dirvi che è il contribuente il vero prestatore di ultima istanza.



Questa è la notizia tratta da Milano Finanza
A Roma si sta volgendo un vertice europeo riservato per finalizzare le difese anticrisi sulle banche. Secondo quanto riporta il Wall Street Journal, citando due fonti anonime a conoscenza della questione, tra ieri e oggi i tecnici dell'Euro Working Group sono impegnati in una riunione informale che punta a sbloccare l'utilizzo del fondo salva Stati permanente, l'Esm, per effettuare interventi diretti di soccorso sugli istituti di credito.
E per questa opzione si punterebbe a fissare un limite di 60 miliardi di euro. All'Esm si vuole dare la possibilità di effettuare ricapitalizzazioni di banche in difficoltà, acquistandone azioni, in modo da evitare che si ricrei quella spirale negativa tra debiti pubblici in affanno e banche, spirale che ha destabilizzato ulteriormente la crisi dell'area euro.
In cambio l'Esm otterrebbe un seggio di garanzia nel cda delle banche sui cui dovesse effettuare un intervento di sostegno. I dettagli di questo strumento restano però problematici, ha osservato il Wsj, e la decisione finale se procedere o meno con questa opzione spetterà all'Eurogruppo che si svolgerà il prossimo 20 giugno.
"L'introduzione del meccanismo di ricapitalizzazione dell'Esm aiuterebbe a rompere il legame fra il debito sovrano e le banche, ma l'imposizione di un tetto da 60 miliardi di euro potrebbe non essere percepita positivamente dal mercato", commentano gli analisti di Intermonte. Oggi il comparto bancario europeo sale allo Stoxx dello 0,23%. A Piazza Affari tra le banche resiste alle vendite solo Mps (+0,38% a 0,2116 euro).
O
 
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Gyorgy Matolcsy, governatore della Banca Centrale Ungherese, ha inoltrato alla signora Christine Lagarde una lettera, invitandola a chiudere l’ufficio di Budapest del Fondo Monetario Internazionale (FMI) segnalando che non vi era più ragione per prolungarne la presenza e che il governo ungherese conta di concludere il rimborso del prestito di 25 miliardi contratto nel 2008 in anticipo rispetto al termine del 2014 stabilito dagli accordi vigenti.
 
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Fmi brûlé. Ricetta in salsa magiara


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17 luglio 2013 |
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Autore Redazione | Stampa articolo
http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=22036
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L’Ungheria di Viktor Orban non è affatto un’animale domestico.
Non soltanto ha rivendicato i suoi diritti nazionali di dotarsi di una Costituzione senza briglie a Bruxelles o altrove, non soltanto ha più volte sollevato un netto rifiuto ad assoggettarsi alle politiche di rigore imposte dalla Troika urbi et orbi, non soltanto ha reimposto una sorta di “nazionalizzazione” della propria Banca centrale… ma ora ha anche deciso sia di pagare al più presto, nove mesi prima della scadenza, il suo prestito usuraio contratto con il “mecenate” Fmi, e sia di annunciare la chiusura degli uffici di rappresentanza del Fondo Monetario insediati a Budapest.
Messa all’indice dalla “troika” (Fmi, Bce, Ue) subito dopo l’assunzione del potere da parte del partito di Orban dichiarato “populista” nonché soggetto alle influenze “negative” della forte destra radicale degli Jobbik, l’Ungheria aveva già “risposto” alle critiche dei padroni-soloni facendo fronte al problema del debito (contratto con l’usura internazionale dal precedente governo), portando detto indebitamento al di sotto del 3% sul suo Pil già a fine 2011. Leggi il resto di questo articolo »
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Abbattiamo la Frode Bancaria e il Signoraggio

VOGLIONO UN GOVERNO SOVRANAZIONALE UFFICIALE

In Italia non esiste più Sovranità alcuna, nemmeno quella POLITICA e il governo sovranazionale già esiste ed è in mano a Banchieri e Multinazionali, ma ora vogliono che il POPOLO diventi consapevole di ciò e accetti, anzi chieda, schifato dalla politica interna, questo cambiamento CHE PORTERA' AD UNA SCHIAVITU' PERMANENTE.
 
Orizzonte48 ;);););););)






















































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venerdì 24 maggio 2013

LE VERE CAUSE DELLA SVENDITA DEL MADE IN ITALY



Ci sarebbe poco da aggiungere a questo commentario ragionato di Flavio sulla questione della "svendita all'estero" dell'industria italiana. Questione che, nei media italiani si tende ad affrontare continuando a dare la colpa alla eccessiva tassazione e dimenticando che essa è solo un corollario di una "verità" più ampia e, complessivamente, ben diversa. Essa ha a che fare con il divorzio tesoro-Bankitalia, col legare il nostro cambio al marco (nelle varie forme partite con lo SME), con la competitività di prezzo regalata a concorrenti che "barano" e che addirittura additiamo a modello, con la assurda auto-preclusione della domanda estera, con una connessa debolezza della spesa pubblica, corrente e per investimenti: tutti elementi che hanno determinato la crisi da domanda in cui ora ci ritroviamo. Senza che i governanti lo vogliano riconoscere come tale e senza che, comunque, mostrino la benchè minima volontà di adottare i provvedimenti indispensabili per risolverla.


Le vere cause della svendita del “Made in Italy”.



Lo Stato colpevole, lo Stato che spreca, lo Stato che impedisce all’impresa di sopravvivere. Il luogo comunismo imperversa anche sul web. Noi, nel nostro piccolo, ci dedichiamo a correggere le “lievi imprecisioni” che da troppe parti falsificano la storia economica del nostro paese. Ci dedichiamo oggi ad un articolo di qualche tempo fa’. Partiamo dal pezzo: eccolo.
Prima di tutto suggeriamo di leggerlo completamente. Perché è molto utile: la prima parte, fatto salvo un passo non chiaro sulla politica, è sostanzialmente corretta, inoltre la tabella delle aziende italiane di proprietà straniera ci può aiutare a capire molte cose sui comportamenti ufficiali delle stesse imprese in questa crisi oramai divenuta di lungo corso. Che il liberoscambismo europeo sia un male per il nostro paese (cfr. ad esempio) non lo diciamo solo noi, ma numerosi altri economisti di fama internazionale tra cui Dani Rodrik.
Partire con il piglio giusto però non vuol dire, come in questo caso, giungere alle conclusioni corrette. Tutt’altro. Le parole: “mercato unico”, “libero mercato”, “adeguarsi all’Europa” possono risuonare dolci al lettore disattento ma, come sentenzia il famoso proverbio, il diavolo fa le pentole, non i coperchi. Il perché di queste nostre rimostranze? E’ presto detto.
Innanzitutto per dovere di informazione: farla nel modo corretto, senza urlare, né sparando dati o numeri a caso, in momenti di crisi come quello in cui stiamo vivendo, risulta essere quanto mai di fondamentale importanza. Indispensabile è inoltre focalizzare bene il cosiddetto “colpevole” che si vorrebbe andare a smascherare. Cerchiamo quindi di fare chiarezza.
Sostanzialmente l’incipit del post linkato è corretto: non è difficile dimostrare come, nella realtà, numerose aziende italiane siano di fatto di proprietà estera. Altro che Made in Italy quindi direte voi!! Calma, un passo per volta. Che ciò accada è purtroppo vero. Ma non dimentichiamoci di tutte quelle aziende che in Italia producono e mantengono viva l’occupazione ed il lustro dei nostri prodotti nel mondo. imprenditori e lavoratori encomiabili, che andrebbero premiati per il loro coraggio. Ma, ritornando a noi, davvero vogliamo credere che la colpa di quanto accade in Italia sia solo ed esclusivamente dello Stato italiano? Davvero vogliamo credere che a far fuggire gli imprenditori siano state solo le tasse, i sindacati comunisti e la Costituzione sovietica?


Dichiarare che l’impresa in Italia è ostaggio dalla Costituzione, che ne farebbe il nemico pubblico numero uno, non è assolutamente corretto. Affermando ciò, infatti, ci si pone in palese contrasto con quanto affermato nell’art.41 della nostra Carta: “L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.”.
Vorremmo capire come questo articolo, ad esempio, ostacoli l’iniziativa privata e possa in qualche modo andare in contrasto con l’attività imprenditoriale, visto che la Costituzione definisce esplicitamente il ruolo “sociale” che essa deve avere: essere cioè fonte di lavoro, occupazione, reddito e quindi risparmio per i cittadini che si tramutano necessariamente, attenzione, in domanda per i beni delle imprese stesse. Dov’è quindi che la Costituzione uccide l’impresa? Perché mette dei paletti vincolandola ai “fini sociali”, che non sono nient’altro che i diritti al lavoro, al reddito dignitoso, alla sanità pubblica, alla previdenza, alla maternità dei cittadini e delle cittadine italiani/e? O forse, come afferma Kalecky, essa è scomoda perché intralcia qualcos’altro?
La figura dell’imprenditore, come ben sapete, è disciplinata inoltre nel Codice civile all’art.2082. Imprenditore è colui che “esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi”. Beni e servizi, non finanza quindi (sempre che non si voglia far rientrare nei servizi resi al pubblico l'attività di trading sui "nuovi" strumenti finanziari che le banche svolgono sostanzialmente "in proprio", sia operando direttamente come investitore-scommettitore, sia orientando, in conflitto di interessi, il risparmiatore che entra in rapporto con loro per "consulenze" di investimento).
Il Codice civile definisce la figura dell’imprenditore e non quella dell’impresa, ponendo in primo piano la persona che esercita l’impresa e non l’organizzazione, in quanto l’economia è fatta per le persone, non le persone per l’economia. E le persone hanno doveri, certo, ma pure dei diritti.
La libertà economica riconosciuta dalla Costituzione si differenzia dalle altre libertà fondamentali anch’esse previste nella Carta in quanto non può essere esercitata tenendo conto dei soli interessi dell’imprenditore, ma deve tenere conto anche degli interessi di quei soggetti su cui si possono riflettere le scelte aziendali. Bene.
Il problema principale quindi è: quando un’azienda chiude, de-localizza o viene acquistata da una multinazionale straniera (come sta accadendo ad esempio or ora in Italia), essa tiene conto degli interessi “estranei” all’imprenditore?


Non pare. Dimenticare quindi il ruolo che certe scelte politiche ed economiche hanno avuto sull’economia italiana, e sulle scelte imprenditoriali nazionali, in questi ultimi trent’anni è errore grave. Non scomodiamo di certo Francesco Carlucci, che nel suo “L’Italia in ristagno”,Franco Angeli 2008, ben fotografa l’errore cardine: l’entrata in un sistema di cambi fissi insostenibile per la nostra economia. Che l’Euro sia per l’Italia una moneta sopravvalutata non è difficile da dimostrare: non credo servano molti esempi. Basterà per chi è già avvezzo, dare un rapido sguardo a due o tre cose :
- il saldo partite correnti italiano negativo dell’ultimo decennio o figura 2 linea blu;
- il tasso di cambio nominale euro/dollaro;
- il CLUP italiano al confronto con i concorrenti (cfr. pagina 64 bollettino Bankitalia) .


Cosa ci dicono questi tre dati? Che la moneta unica ha chiuso i nostri mercati di sbocco, strozzando la domanda estera. Infatti, a fronte di un conto di parte corrente negativo, che avrebbe quindi dovuto dare luogo ad una progressiva svalutazione della divisa nazionale (meno richiesta dai mercati), il sistema Italia si ritrova con cambio nominale (verso gli Usa ad esempio) in costante rivalutazione verso “l’esterno” dell’Eurozona, ed un andamento dei prezzi interni in aumento al confronto con quelli dei propri partner commerciali (in EU i principali sono infatti Germania e Francia). Un’enorme perdita di competitività quindi, sia all’interno dell’Eurozona (Clup), che all’esterno della stessa (Euro forte), che ha facilitato l’import ed ostacolato l’esportazione (deficit partite correnti), a danno delle imprese italiane e dell’occupazione nazionale.
C’è chi dice che senza l’Euro avremmo "fatto il botto"…ma, dopo aver visto questo terrificante grafico, possiamo davvero essere ancora sicuri di ciò?


Alla domanda estera stagnante, aggiungiamo quanto afferma Giarda nel suo famoso report sulla spesa pubblica :
Per un lungo periodo il peso degli interessi passivi sul totale della spesa è progressivamente aumentato, passando al 3,8% nel 1951 al 10,7% nel 1980, al 12,7% nel 1993. Si è gradualmente ridotto fino all’8,8% nel 2010. Nel corso del periodo in esame, si è drasticamente ridotto il peso delle componenti tradizionali dell’intervento pubblico, la fornitura di servizi pubblici, le spese per trasferimenti di sostegno alle famiglie e gli investimenti pubblici; complessivamente queste tre categorie di spesa assorbivano l’81,9% del totale nel 1951, il 59,8% nel 1980 e il 57% nel 2010. La quota dei consumi pubblici nella spesa complessiva è scesa dal 54,4% nel 1951 e si è stabilizzata a partire dal 1980 nell’intorno del 41% del totale; la quota degli investimenti pubblici è scesa dal 15,4% del totale nel 1951 al 10,8% nel 1980 e al 6,8% nel 2010. I numerosi programmi di sostegno di individui, lavoratori e famiglie assorbivano il 12,1% del totale della spesa nel 1951, il 8,1% nel 1980 e il 8,8% nel 2010.”.
Cosa ci dicono questi dati? Che, oltre la domanda estera, manca anche quella pubblica.
Quest’ultima ha dovuto nell’ultimo trentennio far fronte ad un imprevisto di non poco conto: gli interessi.
Lo dice lo stesso Giarda: negli ultimi anni si sono letteralmente regalati, perché di elargizione a titolo gratuito si tratta, miliardi e miliardi di interessi alle banche, a cui lo Stato italiano si deve rivolgere, non potendo, prima a seguito del "divorzio", e poi da trattato UE-Maastricht, avere più Bankitalia come prestatore di ultima istanza, per ottenere la liquidità necessaria per le proprie spese. Omettere questo dato di non poco conto, significa sostanzialmente fare informazione NON corretta. 80, 90, 100 miliardi trasferiti l’anno alle banche, private, quante manovre sono?
Quanti investimenti si possono fare con tutti quei soldi, nostri, per rimettere in moto i NOSTRI ospedali pubblici, le NOSTRE ferrovie, le NOSTRE scuole fatiscenti, la NOSTRA fibra ottica per aiutare le NOSTRE imprese. Ecco, partiamo da qui. Partiamo dal fatto che 90 miliardi l’anno di soldi, NOSTRI, vanno alle banche tedesche, americane, francesi, italiane e non finiscono nelle nostre tasche sotto forma di servizi pubblici al cittadino, o domanda aggiuntiva per i beni ed i servizi delle NOSTRE imprese.
Tralasciando le enormità trasferite all’UE per i salvataggi dei paesi in difficoltà. Pensiamoci bene quando parliamo di spesa pubblica da ridurre, come da troppe parti a sproposito si continua a fare, dato che lo Stato italiano da oltre vent’anni fa AVANZO PRIMARIO . Pensiamoci, e pensiamo a tutte le cose che si potrebbero mettere a posto ed a come la nostra economia ripartirebbe. Dire che la spesa pubblica italiana va ridotta perché strozza le imprese, è dire un’emerita stupidaggine se non si specificano le parole “per interessi”. Perché? Perché Giarda il debito pubblico lo studia da 30 anni. E dire che lui non ci capisce nulla è cosa grave… da bocciatura all’esame di economia del primo anno.


Chiusa la doverosa digressione, ci chiediamo quindi: e se manca la domanda, gli investimenti in ottica futura, dal lato dell’imprenditore, si fanno oppure no? Domanda retorica.
Studi dimostrano che, a fronte di questi “intoppi” accade che “In Italia anche l’andamento della formazione del capitale risulta più basso, per tutto il periodo considerato, rispetto alla Francia e alla media europea, mentre risulta superiore a quello della Germania per buona parte del periodo a partire dall’inizio del nuovo secolo, fino al 2009, evidente indizio che non conta solo il volume, ma anche la qualità degli investimenti. Con la crisi, dopo il 2007, questa variabile assume in Italia un andamento drammaticamente decrescente, molto più accentuato rispetto agli altri paesi. Il problema degli investimenti si presenta quindi particolarmente acuto nel nostro paese durante la crisi e l’effetto delle politiche di austerità è quello deprimere gli investimenti, cioè proprio una dei fattori essenziali su cui puntare per uscire dalla crisi. In conclusione i dati sembrano supportare l’ipotesi che una parte considerevole, anche se, a parere di chi scrive, non esaustiva, delle cause delle difficoltà attuali dell’Italia, anche in rapporto agli altri paesi europei, sono legate all’andamento della domanda aggregata. Ad esempio, è difficile negare che una scarsa dinamica della domanda domestica non abbia conseguenze molto negative per le micro imprese, che difficilmente, a differenza delle medie, possono essere orientate all’esportazione. Basti pensare che nella manifattura in Italia, secondo dati Eurostat, prima della crisi era impiegato nelle micro imprese (da 1 a 9 occupati) il 25% dell’occupazione totale del settore, mentre in Germania appena il 6% e in Francia il 12%. Inoltre in ciascuna micro-impresa in Italia sono impiegati in media 2,8 lavoratori. Ignorare questo aspetto significa entrare in una spirale recessiva da cui è onestamente difficile vedere l’uscita.”.


Aggiungiamoci inoltre un altro drammatico dato, il ristagno dei salari reali : “L’accordo del luglio 1993 raggiunge il suo principale obiettivo ovvero la moderazione salariale, contribuendo così alla stagnazione dei salari a livello nazionale... In seguito, sotto la pressione delle novità legislative introdotte nel mercato del lavoro, la flessibilità del lavoro, in particolare quella “in entrata”, è aumentata in modo consistente: il lavoro a termine, il lavoro a progetto e tutte le forme atipiche di lavoro sono esplose. Il processo è stato completato di recente con una legge del giugno 2012 che ha introdotto alcune forme di flessibilità del lavoro “in uscita”. Tuttavia, la flessibilizzazione del mercato del lavoro non è stata accompagnata da un livello più elevato livello di spesa pubblica per la dimensione sociale, per l’occupazione e più in generale per le politiche del lavoro (come è spesso il caso nei paesi che hanno introdotto un cosiddetto modello di “flexicurity” come la Danimarca o la Svezia). In realtà, si è verificato tutto il contrario poiché anche il salario indiretto (ovvero la spesa pubblica per le politiche sociali) è diminuito. La disuguaglianza del reddito è aumentata e il potere d’acquisto dei lavoratori è diminuito.”.


Tutto ciò, ragionando per assurdo, avrebbe dovuto in qualche modo stimolare la competitività della nostra economia, ed invece: “Appare chiara una forte diminuzione del livello della domanda aggregata italiana causata da una diminuzione drammatica dei consumi che a sua volta è generata dalla sensibile riduzione della quota dei salari sul Pil, dalla marcata diminuzione del salario indiretto, vale a dire la spesa pubblica, in particolare nelle dimensioni sociali, dall’aumento della disuguaglianza e dalla pressione sul lavoro e sui salari causata da una forte flessibilità del lavoro e dalla conseguente creazione di posti di lavoro precari. Il calo della domanda aggregata è la causa principale della riduzione del PIL e, più generalmente, della recessione…
Le imprese, a causa dei costi del lavoro relativamente più bassi (garantiti appunto dalle pressioni della flessibilità), e delle protezioni di cui possono godere nel mercato dei beni, preferiscono una strategia di investimenti “labour intensive” piuttosto che una strategia di innovazione tecnologica (in contraddizione con quanto stabilito negli accordi di luglio del 1993)...
L’analisi dei dati rivela che la dinamica di crescita delle principali componenti del PIL è sistematicamente al di sotto di quella dei principali partner (Francia e Germania). In particolare, il contributo alla crescita del consumo - elemento cruciale della domanda aggregata - è pari solo allo 0,3% nell’ultimo decennio; il valore più basso tra quelli registrati dai paesi OCSE ed una delle peggiori performance dalla Seconda Guerra Mondiale in poi. Una dinamica simile riguarda il contributo degli investimenti alla crescita e il contributo della spesa pubblica alla crescita.
La scarsa dinamica di crescita delle principali componenti del PIL può confermare la nostra ipotesi: il crollo della domanda è una conseguenza di un calo dei consumi e degli investimenti. La dinamica delle esportazioni ha registrato una crescita cumulativa nel periodo 1990-2011 superiore rispetto alle altre componenti, ma ancora inferiore a quella di Francia e Germania. La politica economica negli ultimi 15-20 anni non ha sostenuto la domanda interna, e la competitività internazionale ha mirato solo a tagliare i costi del lavoro attraverso la flessibilità del lavoro e una pressione sui salari che ha portato alla loro stagnazione. Alla fine, tuttavia, le esportazioni non erano più sufficienti per sostenere la domanda aggregata e mantenere una dinamica positiva del PIL; la produttività del lavoro non è cresciuta anche perché non si è investito.
Nell’Unione Europea, Italia compresa, fino a prima della crisi del 2007-08, si è avuto un aumento di occupazione nel settore terziario, frammentato e disorganizzato, scarsamente motivato e poco retribuito. La conseguenza è stata la bassa produttività dell’economia europea, e di quella italiana in particolare. Alla fine, l’unico dato parzialmente positivo, cioè il relativo aumento di occupazione, è stato negativamente compensato dall’andamento negativo della produttività, dalla riduzione della percentuale dei salari sul Pil, dalla riduzione del potere di acquisto dei lavoratori e dalla scarsa dinamica del Pil. La mancata crescita economica e l’attuale crisi hanno riportato l’occupazione sui bassi livelli iniziali, soprattutto in Italia.
I minori salari reali, hanno portato, un aumento dei profitti, i quali non si sono trasformati in maggiori investimenti. Il sistema economico non ha ottenuto effetti positivi in termini di produttività e crescita economica.”.


Ancora convinti che l’Italia non sia un paese per imprenditori a causa “dell’arretratezza culturale e dall’aspirazione a divenire dipendenti pubblici”?
Nel caso non foste ancora persuasi, Vi chiediamo: alla luce di quanto sopra affermato, e dovendo avere a che fare con concorrenti così, che praticano dumping salariale (qui alla Daimler, ed i famosi minijobs teutonici salvati dal sussidio statale) e dumping fiscale (i casi irlandesi per Apple ed inglesi della FIAT, sono all’ordine del giorno, per non parlare di quello, ben noto, tedesco ), sommati a tutti i problemi di domanda estera ed interna, e di calo dei consumi causa salari reali stagnanti se non calanti, possiamo ancora dire che la colpa sia SOLO ed esclusivamente dello Stato e della Costituzione sovietica, oppure le svendite agli stranieri di aziende italiane, produttrici del Made in Italy, esaurite da una tassazione assurda, derivano piuttosto dall’assenza per lo Stato di un prestatore di ultima istanza e da una domanda aggregata in continuo calo, entrambe generate dai trattati di Maastricht e dalle direttive UE?
Per questi due motivi gli imprenditori italiani vendono agli stranieri: perché produrre in queste condizioni, con tasse sempre più alte, per ripagare via avanzi primari costanti il debito alle banche ed avendo a che fare con clienti senza soldi, non ha senso!!!
Mettendoci dalla parte dell’imprenditore: che senso ha investire e produrre, se nessuno compra? Tanto meglio vendere la propria attività alle multinazionali, almeno si ha un ritorno economico e si evitano numerosi problemi al fegato.


Chi non ricorda infine lo SME (in cui confluì l’Alivar), l’azienda pubblica italiana “incubatore” del settore agricolo-alimentare italiano? Provate a cerca in rete quante, delle aziende menzionate nella tabella dell’articolo, facevano parte di quel gruppo. Quando venne smembrato? Nel 1993… Vi ricorda qualcosa, come poi ha stimato la Corte dei conti, il lo “vuole l’Europa” ?
Ecco, pure lo SME fu parte della svendita coatta che diede il via alla prima vera ondata di privatizzazioni italiane degli anni ’90.
Dare uno sguardo alla galassia IRI 1992 di pagina 21, figura 4, del documento della Corte dei Conti è istruttivo. E’ bello infatti notare quanti, dei gruppi indicati nella tabella dell’articolo da cui prendiamo le mosse, e inizialmente linkato, facevano al tempo parte dello SME o dello stesso Istituto per la Ricostruzione Industriale.
Ecco il motivo per cui furono privatizzate: per fare cassa, per tentare di rispettare i vincoli fiscali di deficit al 3% e debito pubblico al 60% del trattato di Maastricht, nella speranza di poter aderire definitivamente alla moneta unica negli stessi tempi degli altri partecipanti. Finendo, alla fin dei conti, in mano estera.


Vi ricordo, nel caso non fosse ancora chiaro, quanto si afferma in un bel documento Deutsche Bank: “Il rinnovato concentrarsi sull'economia di mercato in seguito al declino del socialismo, ed i concomitanti stimoli delle istituzioni europee, hanno svolto un ruolo importante. Da un verso, la legislazione che richiedeva l'apertura dell’economia ai mercati ha comportato una notevole pressione sui vari governi per sciogliere i loro attuali monopoli… privatizzando attività e strutture pubbliche. Dall’altro…i Paesi membri dell'UE hanno utilizzato le privatizzazioni per… migliorare la posizione dei loro bilanci pubblici nel periodo di poco precedente al lancio dell'Unione…e quindi… soddisfare i criteri di convergenza fiscaledel Trattato di Maastricht. I governi si sono focalizzati principalmente sulla cessione di partecipazioni delle imprese statali nei settori delle telecomunicazioni e della fornitura di energia…la maggior parte dei Paesi dell'UE hanno registrato le loro entrate più alte dalle privatizzazioni in questo periodo.”.


Eccolo il vero motivo che strozza l’impresa: il trattato di Maastricht!! E’ questa la causa! Allora, che senso ha dire che la colpa è dello Stato, se non si capisce che il vero punto di partenza di un’analisi corretta deve essere la moneta unica ed i trattati di Maastricht e di Lisbona!?!
Basta dare uno sguardo su Wikipedia e cercare il nome di una azienda delle tante citate, a caso: Avio, Fastweb, Buitoni, San Pellegrino, Parmalat, Carapelli, Standa, Coin, Ducati (in mano ad Audi, gruppo Volkswagen, Germania). Segni particolari di queste aziende? Tutte italiane, pubbliche o private che fossero, tutte vendute agli stranieri, e tutte, caso strano, cedute negli anni del declino economico italiano iniziato negli anni ’80 e continuato fino ai giorni nostri.
Colpa dello Stato o colpa delle vicissitudini che lo Stato e l’economia italiana hanno dovuto subire in questo trentennio di adesione alla “zona del marco allargata”? Dopo la lettura di questi due post, qual è per Voi, tra le due, la soluzione più plausibile?
 
Orizzonte48


























































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venerdì 21 giugno 2013

LO SCENARIO BANCARIO (FRATTALICO) INTERNAZIONALE, LA FED E L' "AMICIZIA" DELLA GERMANIA: LA MORAL "HAZARDED" GEOPOLITICA



Questo contributo nasce dalla mitica collaborazione di Flavio e si è trasformato in una sorta di post "a quattro mani". Probabilmente non è che la cronaca delle avvisaglie della crisi USA-Germania che si svilupperà nei prossimi mesi.
Lo "spirito" di questa congiutura internazionale, senz'altro "eccezionale", che stiamo vivendo può essere già racchiuso, come chiave di lettura del post, in queste parole di Bibow (più sotto linkato):
From a global perspective, not only is Euroland shamelessly freeloading on external growth to offset suffocation of domestic demand through mindless area-wide austerity (see Figure 19), but adding insult to injury, Euroland is also hijacking the IMF as global sponsor in backstopping the EFSF/ESM (European Stability Mechanism) “firewall” for its purely homemade internal crisis. German mercantilism had given rise to regional imbalances and global tensions in the pre-EMU past.
The euro has multiplied Germany’s weight—and the gravity of German policy views—in the global economy. Effectively, Germany, the world champion of moral hazard talk, is holding the world community hostage to a “too big to fail” global risk “made in Germany” today: arising as the potentially lethal mix of a dysfunctional monetary union paired with the economic consequences of Germany’s denial of her euro trilemma. It is one thing that, by freeloading on external growth, Euroland is reneging on its commitments to the G-20 process of global rebalancing. It is quite another for Euroland to create the world’s foremost threat to stability by self-inflicted folly and to not even be ashamed of “marshalling support from countries that are either more fiscally challenged or a lot poorer than the eurozone itself” to bail it out (Bibow 2012b).”.


Persino La Repubblica inizia ad accorgersene (registrando il tutto con una algida equidistanza, senza capire i risvolti potenzialmente favorevoli alla nostra dignità di democrazia, una volta, almeno formalmente indipendente di gestire i propri interessi sociali ed economici; anche se c'è chi ancora crede che la Nato sia un problema di sovranità limitata più urgente del fiscal compact o dell'ESM, ancora ignorando il significato del pareggio di bilancio imposto "esogenamente" nella nostra Costituzione). E così commentava la visita di Obama a Berlino:
"Il clima resta amichevole, ma la freddezza lo rende sempre più irriconoscibile, ogni anno che passa. Quando ieri il capo della Casa Bianca ha affermato che «per l'eurozona non c'è una soluzione unica», ha trovato in Merkel orecchie fredde, quasi ostili: quel giardino di casa è tedesco, non americano. Il pretesto per la loro svolta a 180 gradi, i leader tedeschi lo usano sfacciati: l'America comunque guarda più verso l'Asia, affermano.
È con la Cina che Volkswagen, Siemens, i responsabili di Istruzione e ricerca scientifica firmano le intese più importanti a raffica. La conclusione del settimanale di Amburgo (Sueddeutsche Zeitung, ndr.) non lascia dubbi: «I tempi in cui Usa e Germania si sentivano legati da una comunità di destino e sorpassavano piccoli disaccordi appartengono ormai al passato»."
Qualche mese fa, nell'ambito di questa analisi, avevamo ricordato:
"...la Germania ha radicalmente riconsiderato il proprio posizionamento strategico, avvicinandosi ai nuovi centri di gravità del pianeta – i BRICS – che stanno trasferendo l’asse della crescita mondiale dall’Atlantico all’Oceano Indiano e al Pacifico, aprendo prospettive nuove e profondamente rivoluzionarie per l’intero continente europeo. Qualora la Germania si cimentasse seriamente nel tentativo di trainare l’Europa sul solco tracciato da Berlino, potrebbe ipoteticamente prendere forma uno dei pericoli contro cui Zbigniew Brzezinski ha ostinatamente messo in guardia gli Stati Uniti. «Per dirla in una terminologia che richiama l’età più brutale degli antichi imperi – scrive Brzezinski – , i tre grandi imperativi della geostrategia imperiale statunitense sono impedire la collusione e mantenere la dipendenza della sicurezza tra i vassalli, tenere i tributari deboli e protetti, e impedire ai barbari di unirsi». Una “unione dei barbari” che potrebbe comportare significative “discontinuità” negli scenari futuri."


Ora, in questo quadro molto attuale, che si proietta anche sullo scenario cooperativo con i partners europei che gli USA vorrebbero mantenere rispetto alla crisi in Medio-oriente, (dove rischia fortemente di acuirsi una riedizione della contrapposizione con la Russia), le mosse geopolitiche della Germania si sommano ad un atteggiamento conflittuale del suo sistema bancario con le autorità finanziarie USA.
La cosa è aggravata dal fatto che, dell'istituto principale protagonista di questa frizione ormai esasperata, cioè la "solita" Deutschebank, lo Stato federale è ormai un azionista non di secondo piano (nell'ambito di una sostanziale compartecipazione su Deutsche-Postbank, operazione che ha dato vita all'acquisizione statale della partecipazione). Così come, anche a seguito del noto salvataggio di Hypo Real Estate, lo Stato tedesco è il crescente azionista di sistema dell'intero sistema bancario (v. Commerzbank, KFW, equivalente alla nostra Cassa Depositi e Prestiti, e centinaia di altri istituti bancari di livello locale).
La conflittualità, ormai chiaramente intrecciata, tra USA-Germania-membri UEM (specie PIGS) non è estranea a questo ruolo dello Stato federale, interessato alla copertura delle relative "colossali" magagne di bilancio, e conferma come il terreno finanziario sia quello dove oggi si esplicano i conflitti tra "aree economiche", pur sempre nazionali, anche se dissimulate, nel caso dell'UEM, sotto le vesti dell'ipocrita sogno internazionalista europeo.
Le "torsioni" geopolitiche tedesche sono quindi l'altra faccia della medaglia dello scontro bancario mondiale: la Germania "esporta" l'instabilità finanziaria mediante una condotta bancaria spregiudicata e spesso poco accorta, ma finchè si rimane in UEM, la fa pagare ai partners commerciali, su cui esercita ormai una ferrea "presa" (col "tallone"), ma poi negli USA il discorso cambia e si assomma alla strategia del Drang Nach Ost commercial-finanziaria.
Ed è qui, col suo eloquente significato di contrapposizione accelerata praticamente su...tutto, che si colloca la questione Fed-Deutschebank, su cui ci dà lumi l'analisi di Flavio.


Prendiamo spunto dai due commenti di Paolo Giusti e Matteo Di Felice per porci due ottimi quesiti in chiave “frattalica”. Paolo si chiede: c’è già stata, a livello globale, una Casablanca come nella Seconda Guerra Mondiale? Marco invece sottolinea: oh, Deutsche Bank è “orribilmente sottocapitalizzata” ?
Cercheremo di essere veloci, chiari e concisi e tenteremo di saldare insieme le due cose. Perdonate le sbrigatività ma, di questi tempi, alle volte essa sembra essere davvero tutto. Innanzitutto partiamo dall'interessante articolo di Mauro Bottarelli, che utilizza la fonte Zerohedge per inquadrare bene come e dove “stiamo andando”. Il suo ottimo articolo dà un quadro generale della situazione che si sta delineando nell’attuale contesto economico mondiale, soprattutto nella parte finale dove si dice chiaro e tondo una cosa: come durante il primo dopoguerra, dove sussidiando la macchina bellica nazista diede il via all’escalation che portò al secondo conflitto mondiale, anche al giorno d’oggi il modello finanziario tedesco è messo sotto accusa, per la sua spregiudicatezza e per l’idiosincrasia recondita a qualsivoglia forma di controllo, sia da parte dell’amministrazione americana che, soprattutto, dagli organi di controllo federali statunitensi: v. http://dealbook.nytimes.com/2013/01/31/deutsche-banks-lonely-fight-with-the-fed/ . Perché? Cosa c’è dietro questa amicizia di facciata, dimostrata all’ultimo G8 nonostante le frecciatine di Obama alla Merkel sulla fine dell’austerità, che sotto le ceneri nasconde invece un crescente nervosismo fra la classe dirigente americana e la cancelleria tedesca?


Il soggetto della nostra discussione è, come già accaduto, Deutsche Bank. Dobbiamo quindi aver ben presente cosa abbiamo già riportato su questo blog in merito a tale argomento e come essa si muova nel contesto europeo e mondiale. Sappiamo bene d’essere di fronte ad un colosso finanziario globale. Ma, per illustrare al meglio la situazione paradossale in cui ci troviamo, cerchiamo di partire dal principio. Tutto, o quasi, ha inizio all’indomani del collasso della Lehman Brothers del 2008.
Negli USA il debito privato esplode dopo decenni di redditi in caduta libera, cioè un frutto liberista che oggi essi stessi trovano sempre più avvelenato, i mutuatari subprime non riescono più a far fronte alle rate dei loro mutui, le banche si ritrovano con crediti inesigibili e case invendibili, il sistema finanziario americano (e non) collassa.
La FED si vede costretta ad intervenire e mette sul piatto tutte le risorse disponibili per evitare il peggio, cercando di salvare tutti, o quasi, gli istituti più importanti, nazionali e stranieri. Diviene quello che potremmo definire “the global lender of last resort” . Come avviene ciò? La Fed seleziona quattordici banche centrali straniere e garantisce loro linee di swap in dollari con lo scopo di fornire liquidità (in dollari) alle banche con controllate sotto giurisdizione estera (statunitense), inoltre presta soldi direttamente alle filiali americane delle banche europee facenti parte della Federal Reserve System per garantire loro tutta la liquidità necessaria ad evitare il peggio.
La BCE riceve fondi nella misura dell’80% elargito alle 14 BC estere selezionate dalla FED mentre le banche inglesi e tedesche assorbono rispettivamente il 27% ed il 24% dei fondi prestati alle sussidiarie straniere.


Perché la FED ha agito in tal modo? Per preservare l’integrità finanziaria statunitense (e globale) all’indomani del collasso Lehman “salvando” le banche estere su cui le banche americane stesse erano più esposte (cfr. pag. 14 primo .pdf). La Fed ha concesso prestiti di ultima istanza alle banche straniere poichè hanno sperimentato gravi carenze di fondi in dollari dopo che i mercatiinterbancari a breve termine si erano di fatto congelati nell’ottobre 2008. Queste carenze di dollari sono state una conseguenza diretta della crescita esplosiva delle attività bancarie transfrontaliere dopo il 1999.
Le banche estere, in particolare quelle europee, hanno cominciato ad accumulare grandi quantità di attività denominate in dollari, tra cui titoli garantiti da ipoteca (MBS), tramite il sistema bancario “ombra”, raggiungendo il picco di oltre 10.000 miliardi dollari poco prima della crisi, un importo pari al totale degli attivi del settore bancario commerciale degli Stati Uniti. Le banche estere finanziavano i loro subprime assets, tutti di lungo periodo, con sul breve via swap, sul mercato monetario o acquistando valuta nazionale americana. Nell’ottobre 2008, con l’interbancario congelato, non avevano di fatto più fondi per poter rinnovare le loro posizioni.
E’ qui che la Fed ha agito da prestatore di ultima istanza globale, garantendo attraverso le linee di swap dollari alle banche centrali selezionate, girati poi agli istituti richiedenti, oppure garantendo accesso diretto ai prestiti alle sussidiarie straniere operanti sul suolo americano secondo quanto affermato nel Federal Reserve Act del 1913, secondo cui la FED ha la responsabilità di impostare la politica monetaria e garantire la stabilità dei mercati finanziari.


Parliamo di una cifra vicina ai 30mila miliardi di dollari di cui le banche straniere (e loro controllate) furono le maggiori beneficiarie. Diamo un po’ di numeri: 77,5 i miliardi sul totale dei 110,5 totali prestati al picco delle richieste nell’ottobre 2008 agli istituti “stranieri”; 290 e 287 i miliardi, con acquisto di MBS, elargiti rispettivamente a Deutsche Bank e Credit Suisse; il picco di debiti, come paese, nei confronti della FED da parte di UK e Germania, rispettivamente di 355 e 325 miliardi di dollari. Non male!!!


A tali cifre aggiungiamoci l’oramai tristemente famoso affare Taunus Corp., controllata americana della Deutsche Bank, che a fronte di assets pari a 396 miliardi di dollari aveva un patrimonio netto passivo di 1400 miliardi (cioè le sue passività erano maggiori delle sue attività), salvata con ben 66 miliardi di dollari dalla FEDNY nel 2008. Oltre a ciò aggiungiamoci pure gli 11,8 miliardi per il salvataggio della AIG, che direttamente ha beneficiato sia la Deutsche Bank che la Taunus. Leggendo quanto affermano Simon Johnson e Mark Jarsulic sul blog del New York Times la questione diventa più chiara:
“Gran parte delle sue (della Taunus Corp.) passività, all’incirca 294mld di dollari, consisteva in indebitamento a breve in dollari… attraverso depositi non assicurati, repo, ecc… Non è chiaro di quanto aiuto la controllante (Deutsche Bank ndr.) avrebbe dovuto o voluto fornire alla sottocapitalizzata Taunus. Ma il governo degli Stati Uniti non ha scelto di scoprirlo, perché il fallimento accompagnato da vendite forzate di centinaia di miliardi di dollari in attività denominate in dollari avrebbe potuto produrre un altro scivolone in stile Lehman… la Federal Reserve è intervenuta per sostituire i creditori a breve termine che hanno scelto di mollare Taunus. L’Indebitamento della Taunus - attraverso la finestra di sconto, la Term Auction Facility, la Primary Dealer Credit Facility, la Term Securities Lending Facility, Single-Tranche Open Market Operations – raggiunse i 66 miliardi dollari nel mese di ottobre 2008. La Federal Reserve ha anche iniziato enormi currency swap con la Banca centrale europea, rendendo possibile per la Deutsche Bank scambiare euro per dollari e soddisfare le esigenze di finanziamento in dollari di Taunus ... Deutsche Bank (e indirettamente Taunus) è stata fortemente favorita dalla decisione da parte della Fed e del Tesoro di attuare il salvataggio del gigante assicurativo AIG per cui Deutsche Bank ha ricevuto 11,8 miliardi dollari (quali pagamenti relativi ai CDS AIG e a prestiti che altrimenti non sarebbero stati saldati). Taunus ha ricevuto questo aiuto da parte del governo degli Stati Uniti perché il suo fallimento avrebbe intensificato una situazione finanziaria già caotica… la Federal Reserve sapeva che, una volta passata la tempesta, le attività del Taunus sarebbero state sufficienti a ripagare i suoi creditori. Ma i dati contabili dicevano ben altro, e non è stato possibile per la Fed o chiunque altro poter stimare i valori fondamentali delle attività situate nelle 180 e più filiali Taunus. Taunus ha ottenuto il sostegno del governo Stati Uniti perché era semplicemente troppo grande e troppo intrecciata con il sistema finanziario americano per poter fallire.”.
Detto in parole povere, la FED ha praticamente salvato la Taunus Corp., la Deutsche Bank e la Germania stessa. Pazzia? Vogliamo dare uno sguardo all’esposizione sui derivati della DB o ai suoi “fondamentali” ? Praticamente la DB sembra avere i tratti “somatici” di una dead bank walking. Vogliamo immaginare cosa succerebbe se passasse una nuova legislazione che ricalcasse ed implementasse il Glass Steagall Act entrato in vigore negli anni ’30 ed abolito dall’amministrazione Clinton? Possiamo dire che DB si troverebbe tutto a un tratto fallita? Non siamo molto lontani dalla realtà.


Eppure, nonostante tutto ciò ed i grossi rischi corsi in passato, lontano dai nostri sguardi, Deutsche Bank non ha perso la sua voglia di business, dimenticandosi alla grande dei “piccoli” problemi causati a livello globale (http://www.bloomberg.com/news/2013-05-21/deutsche-bank-seeks-to-avoid-law-suits-with-board-changes.html). Lasciando da parte i presunti scandali di sessismo, dalle parti di Francoforte ci sono problemi con:
- “amici” di vecchia data che reclamano soldi http://www.bloomberg.com/news/2013-04-22/deutsche-bank-margin-call-on-vik-turns-into-2-5-billion-dispute.html;
- ex- dipendenti gole profonde http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/il-buco-del-crucco-ora-che-la-sec-di-obama-ha-messo-sotto-inchiesta-47807.htm;
- cause intentate dall’amministrazione metropolitana di L.A. per l’acquisto di oltre 2.200 case lasciate poi andare in rovina nei bassifondi della città http://www.bloomberg.com/news/2013-06-18/deutsche-bank-settles-los-angeles-slumlord-lawsuit.htm;
- Le autorità di regolamentazione bancaria americana: Deutsche Bank e altre banche estere con importanti controllate negli Stati Uniti sono sotto la lente della FED, che tenta di costringerle a soddisfare gli standard di capitale locali causando, a detta loro, maggior propensione al fallimento.La Fed richiede infatti che tali banche stabiliscano delle holding intermedie a capo delle loro filiali statunitensi, come indicato dal Dodd-Frank Act del 2010.
Alla pari delle banche degli Stati Uniti, tali holding dovrebbero soddisfare gli standard di capitale e sottostare agli stress test a cui verrebbero sottoposte. La regola entrerebbe in vigore 1 luglio 2015 e, viste le esposizioni e le scarne capitalizzazioni degli istituti tedeschi, danno il mal di testa a DB e soci, visto che per la sola Taunus mancherebbero ben 12 miliardi di euro;
- la rabbia degli azionisti a cui è stato chiesto di partecipare ad un aumento di capitale di 2,8 miliardi tre mesi dopo che l’attuale amministratore delegato Anshu Jain aveva detto che tale operazione non era nel loro interesse: http://www.bloomberg.com/news/2013-05-23/jain-halts-speech-as-deutsche-bank-protestors-vent-anger.html;
- i problemi per soddisfare i parametri di Basilea III http://www.bloomberg.com/news/2013-05-21/deutsche-bank-cut-by-jpmorgan-on-concern-over-capital.html e la relativa sottocapitalizzazione.
Bottarelli al termine del suo articolo si chiede quali siano le cause di questo attacco a Deutsche Bank e, di conseguenza, al sistema finanziario tedesco. Difficile capirlo. Ma i fatti parlano chiaro. Vista l’abnorme esposizione di Deutsche Bank e delle sue controllate, gli Stati Uniti stanno chiedendo una massiccia ricapitalizzazione e controlli sugli operati delle banche. Un po’ come accade in UE dove si vorrebbe l’Unione bancaria che è vista dalla BuBa di Weidmann come fumo negli occhi. Dare il via a tali controlli significherebbe aprire il vaso di pandora delle omissioni dell’istituto di Francoforte proprio mentre i tedeschi impongono manovre lacrime e sangue per rientrare dai loro crediti al consumo sparsi in tutta Europa.
Gli Usa hanno praticamente salvato le terga della Germania all’indomani dello scoppio del bubbone Lehman, ed ora pretendono, a ragione o torto non sta a noi dirlo, di poter in qualche modo avere voce in capitolo anche nelle questioni dell’Eurozona.
Se non altro assistiamo a una pressione USA anti-austerity, che non passa certo, come da certi commentatori italiani si vorrebbe indurre, per la richiesta all'Italia di riforme strutturali che involgano, in questa fase, drastici tagli della spesa pubblica (si invocano 73 miliardi di tagli, senza sapere bene quale sia l'attendibilità del calcolo effettuato dall'Istat rispetto alla variazione comparata dei costi e senza sapere bene quali siano i volumi del bilancio statale su cui operare la comparazione: ma sul punto torneremo prossimamente). Gli USA, col fiscal cliff, stanno sperimentando senza obre di dubbio, da parte loro, quali siano gli effetti di tagli alla spesa come più "violenta" misura PRO-ciclica e non vogliono certo contrraddirsi chiedendo a noi di peggiorare le cose (a parte la fattibilità contabile-finanziaria della misura e la sua dimensione in base a criteri tecnicamente corretti).
Che lo vogliamo ammettere o no, gli studi citati, fra cui anche Bibow (v.introduzione) indicano una cosa chiara: la crisi viene si dal settore finanziario, ma a spingere sull’acceleratore dopo la Dot.Com Bubble del 2000 (e qui un succoso risvolto reso noto da Richard Koo di Nomura: http://www.businessinsider.com/richard-koo-the-entire-crisis-in-europe-started-with-a-big-ecb-bailout-of-germany-2012-6, traetene voi le conseguenze), preludio dell’attuale recessione in corso, sono state le banche europee e le loro controllate in terra statunitense.
Ora, le suicide politiche di austerità stanno tagliando l’erba della ripresa sotto i piedi dell’amministrazione Obama, mentre in ambito finanziario le frizioni molto ampie all’interno del contesto delle regolamentazioni bruciano le relazioni fra SEC-FED e BuBa. La deindustrializzazione in atto in UEM e la contemporanea frenata della Cina, allontanano sia la speranza di una ripresa globale sia il miraggio di una possibile ripresa degli scambi proficua tra Eurozona e Stati Uniti. Il messaggio sembra essere chiaro: ragazzi, il tempo è agli sgoccioli, vi abbiamo già salvato le chiappe una volta, non ci sembra il caso che vi rimettiate nei guai. E’ da capire ora fino a quando la Germania avrà il coraggio di giocare col fuoco e quale sarà:
a) la nuova Casablanca
b) chi sarà il ventre molle da colpire.
La Germania ha, nei fatti, un conto in sospeso con gli USA ma le politiche di austerità e la riottosità ai controlli finanziari sembrano essere il modo migliore per tentare di non onorarlo.
Di certo il "gioco" della Germania, che mira ad accentuare la propria veste di global player, spostandosi a Oriente per allacciare rapporti privilegiati con Cina e Russia, con ciò mirando a svincolare l'intero sistema commerciale mondiale dall'influenzamento del dollaro, e tirandosi indietro rispetto agli interventi strategici USA nelle varie aree del mondo (giunti probabilmente agli sgoccioli, vista la crescente autonomia energetica che l'America sta raggiungendo), è qualcosa di più di un "moral hazard" finanziario.
 

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