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venerdì 16 agosto 2013

Depositanti ciprioti preparano la battaglia legale



Depositanti ciprioti preparano la battaglia legale sul piano di salvataggio bancario UE

Pubblicato il 7 agosto 2013
http://www.euractiv.com/euro-finance/cypriot-depositors-prepare-legal-news-529735?utm_source=EurActiv%20Newsletter&utm_campaign=406d135922-newsletter_weekly_update&utm_medium=email&utm_term=0_bab5f0ea4e-406d135922-245523965






[SIZE=+0]Una vittima di salvataggio finanziario caotico di Cipro, Georgiou non può essere sicuro che suo stressante battaglia legale per i soldi persi rovinato la salute della sua famiglia. Ma, come ha detto con truce understatement, "sicuro come l'inferno non aiuta".[/SIZE]
Georgiou è uno di una stimata intestatari 20.000 che aveva grandi quantità di risparmio spazzato via quasi tutta la notte a Laiki, seconda più grande banca dell'isola, che fu ferita in giù sotto il pacchetto di aiuti internazionale €10 miliardi.
"La mia reazione iniziale è stata incredulità assoluta. Ora io sono solo arrabbiata,"Georgiou, 56, ha detto a Reuters. Ha trascorso la parte migliore degli ultimi quattro mesi sostenendo con il suo direttore di banca e negli uffici degli avvocati, cercando di recuperare fondi, suo padre e le tre sorelle avevano in banca ormai defunta.
Caso della famiglia Georgiou è uno dei centinaia di azioni contro i creditori commerciali, la Banca centrale e governo che sono pendenti nei tribunali. In caso di successo, essi potrebbero svelare il "bail-in" che salvato Cipro dal fallimento nel mese di marzo ma, a differenza dei salvataggi di altri paesi dell'UE travagliate, mirati risparmi in due banche principali.
Piccola Cipro è diventato il terreno di sperimentazione per i leader dell'UE che ha realizzato i propri elettori non sarebbero non accetterà più utilizzando qualsiasi più contribuenti per salvare le banche dal crollo.
Depositanti hit
Considerando che una lunga linea di banche dell'UE sono stati salvati a enormi spese pubbliche durante la crisi finanziaria del 2008-09, questa volta l'UE esclusi Laiki e relativo peer, banca di Cipro, da qualsiasi aiuto.
Invece, pagato i loro clienti. Circa €4,3 miliardi in depositi appartenendo a 14.000 enti sono stati influenzati dal defaticante di Laiki. Questo lasciò risparmiatori con al massimo 100.000 euro, il massimale di deposito assicurazione sotto regolamenti UE.
La famiglia Georgiou era complessivamente €750.000 a Laiki. Alcune di queste è coperta da assicurazione, ma esattamente quanto rimane poco chiaro a causa della confusione sopra diritti su diversi conti joint hanno tenuto. I funzionari della Banca hanno rivisto le dimensioni delle loro perdite stimate più volte, aggiungendo agli Stati d'ansia.
A differenza di Laiki, banca di Cipro è stato salvato ma le autorità schiaffeggiato una perdita del 47,5% sui depositi che superano il limite di €100.000 per aiutare a ricapitalizzare, scambiando i fondi sequestrati per azioni il mutuante.
Entrambe le banche avevano scommesso su ad alto rendimento titoli greco che saltare fori nei loro stati patrimoniali quando il debito del paese è stato ristrutturato sotto un altro salvataggio UE/FMI. Il governo di Cipro sarebbe andati in bancarotta tentò di salvare la banca stessa.
Cercando sollievo nella Corte
Gli avvocati per i querelanti, che vanno da russi che erroneamente pensavano che i risparmi sono stati in un luogo sicuro per ciprioti ordinari come la Georgious, dicono di che avere un caso forte.
"Non ci sono motivi molto solidi per credere loro azione avrà successo," ha detto Costas Velaris, un avvocato di Nicosia.
"Ora se il convenuto - la banca interessata, la Banca centrale e il governo di Cipro - avrà i soldi per risarcire il ricorrente successo è un'altra questione, ha detto Velaris, che è uno di una squadra consigliando i depositanti.
Ufficio del procuratore generale, né la Banca centrale, che ha assunto la responsabilità per le due banche, ha risposto prontamente alle richieste di commento. Tuttavia, hanno sottolineato i funzionari della Banca centrale hanno dovuto prendere decisioni molto difficili dopo che la Banca centrale europea ha detto vuoi fermare emergenza finanziamenti per i due istituti di credito, a meno che Cipro ha accettato i termini del salvataggio dell'Unione europea e del fondo monetario internazionale.
Sotto questo accordo, Cipro ha approvato un "quadro risoluzione banca" che dividere Laiki in una "buona" e una "cattiva" banca. La buona attività, ivi compresi l'assicurato depositi sotto €100.000, sono state trasferite alla banca di Cipro
Velaris ha detto il legale azione non stop a Cipro, ma estendere alla Corte di giustizia europea e più lontano se necessario. Vuoi intervenire contro le istituzioni europee, funzionari e "chi ci possiamo porre una mano", ha detto.
EurActiv.com con Reuters
 
Europa: 1 milione di euro per addestrare i funzionari a fare i "troll"

By admin / 4 febbraio, 2013 / No Comments















La UE ha deciso di addestrare “eurotroll” per impedire la diffusione di "sentimenti anti euro". Così l’anno prossimo voteremo secondo prescrizione.

Beh che dire, preparatevi: tra qualche mese, ogni volta che qualcuno su Internet, Facebook o Twitter si azzarderà a menzionare certe parole chiave, vedrà l’assalto dei troll pronti ad azzannarlo.
Scrivere "uscire dall’euro", "MES", "fiscal compact", "ritorno alla lira" o altre parole ad alto rischio di critica attirerà subito gli esperti del caso, quelli bravissimi a sfottere, deridere, insinuare, insomma a buttare tutto in caciara. Troll professionisti. L’ha scoperto il Telegraph, che racconta come l’Unione Europea si stia preparando alle elezioni del prossimo anno cercando di preservare se stessa e le proprie istituzioni investendo qualche milione di euro allo scopo. Così l’articolo:
"Particolare attenzione sarà prestata ai Paesi che hanno sperimentato un aumento dell’euroscetticismo", dice un documento confidenziale dello scorso anno. "I comunicatori istituzionali del Parlamento dovranno avere l’abilità di monitorare le conversazioni pubbliche e il sentimento popolare, per capire gli argomenti di tendenza, e avere la capacità di reagire velocemente, in un modo mirato e rilevante, unendosi alla conversazione ed influenzandola, per esempio, fornendo fatti e distruggendo miti." Il training per i funzionari comincerà questo mese.
Qualche deputato ha protestato, sostenendo che "spendere più di un milione di euro per addestrare funzionare pubblici a diventare troll di Twitter in orario di ufficio, è uno spreco e una cosa ridicola".
Oltre che ridicola, a me pare anche una cosa piuttosto inquietante. Non che sia la prima volta: abbiamo assistito ad invasioni di troll finti-scienziati durante la marea nera della BP due anni fa, e ricordiamo anche l’iniziativa del governo giapponese di offrire viaggi gratis a chi raffreddasse la "paura Fukushima". Sicuramente, inoltre, c’è al momento in giro un piccolo esercito di troll al soldo di questo o quel partito allo scopo di influenzare le nostre opinioni nell’imminenza delle elezioni. Si sgamano da un chilometro, eh.
Ma è la prima volta che un’istituzione pubblica di tale importanza, come è l’EU, assoldi troll per orientare le elezioni politiche che la riguardano direttamente nella direzione che ritiene più comoda. E’ un gesto assolutamente antidemocratico, la dimostrazione (qualora ce ne fosse ancora bisogno) che l’istituzione europea così come è oggi è intrinsecamente dittatoriale e fascista.
E adesso, aspettiamo pure l’arrivo degli “eurotroll”.




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DI GZ
cobraf.com

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Questo mese le pubblicazioni economiche più importanti al mondo parlano della semplice e radicale soluzione del debito pubblico che qui si propone da due anni, cioè SEMPLICEMENTE DI CANCELLARLO, di farlo sparire nel bilancio della Banca Centrale (per sempre).
Niente finanziarie di tasse, sacrifici, aumenti di IVA e accise, posti di blocco della GdiF, vendite di beni pubblici… una semplice MANOVRA CONTABILE CHE NON COSTA UN EURO.
Non è questione di una teoria "MMT" e Mosler, lo sanno tutti, sotto sotto, a Londra e a New York, al Fondo Monetario, al Wall Street Journal, al Telegraph, al Financial Times, alla City di Londra che il debito pubblico è un gioco di prestigio, un imbroglio e il governo lo potrebbe cancellare quando vuole. Alcuni pensano che proponga "teorie". Errore: qui mi limito ad informare il popolo di quello che si sa nei piani alti.
Il 16 ottobre sul Wall Street Journal: "La Tentazione della Gran Bretagna: cosa succederebbe se la Banca di Inghilterra cancellasse semplicemente i 400 miliardi di debito pubblico che ora detiene.." ("..What would happen if the Bank of England simply canceled the nearly £400 billion of government debt that it holds?..")
Qualche giorno fa Gavyn Davies sul Financial Times, editoriale titolato: "La Banca Centrale cancellerà il debito pubblico ?" (Will central banks cancel government debt?). Questo Davies è l’ex capo economista di Goldman Sachs e cita Lord Turner (capo della FSA, la Consob inglese, che avrebbe detto in privato che una soluzione fattibile (Tuner ha poi cercato di smentire quando è apparso riportato sul Guardian)
Oggi sul Telegraph Ambrose Evans-Pritchard cita il report di due ricercatori al Fondo Monetario uscito ad agosto (di cui avevo parlato) che dimostra anche matematicamente che se lo stato stampa moneta in misura sufficiente, può eliminare sia il debito pubblico che il credito bancario e il risultato come PIL, reddito e il resto sarebbe ottimo.
Oggi su BusinessInsider.com Joe Weisenthal cita un trader a Londra che gli parla della possibilità che la Banca di Inghilterra, che ha già comprato 1/4 del debito pubblico inglese, semplicemente lo mandi al macero e dica al governo che non le deve più niente. People Are Talking About A National Debt Solution That Might Actually Make Your Brain Hurt.
Come ha scritto Warren Mosler e spiegato al convegno di Rimini ieri, lo stato non ha bisogno di finanziarsi emettendo debito, la prova è che in Inghilterra da cinque anni stanno quatti quatti ritirando il debito pubblico con una pura manovra contabile, senza aumentare tasse e fare austerità, senza vendere beni pubblici, semplicemente scambiando Gilt con Sterline. E negli ultimi giorni Wall Street Journal, Financial Times e Telegraph parlano del fatto la Bank of England può ora semplicemente cancellarli con un colpo di tastiera…paf !… e 400 miliardi di titoli di stato non esistono più…
Nonostante sia ovvio che funzioni così e sia facile da spiegare, nonostante che qui si riportino esempi su esempi nella storia, nella letteratura economica e persino nell’establishment finanziario attuale del fatto che funzioni così, lo stesso tanta gente ha paura di pensare con la propria testa e accetta un idea solo quando appare su Repubblica, Corriere e in TV. Come titola Joe Weisenthal "…una soluzione al problema del debito che fa sì che il tuo cervello ti faccia male"
LO SANNO TUTTI A QUEL LIVELLO, ma il pueblo italiano e spagnolo (ad esempio anche i nostri vari antitrader, hobi50, traderoscar, vincenzoS…qui sul forum) va menato per il naso con la favola del "dobbiamo pagare i debiti" (dello stato)
LORO SANNO CHE IL DEBITO PUBBLICO SI PUO’ CANCELLARE II
Tutti gli articoli citati qui sopra si riferivano al fatto che DOPO CHE LA BANCA DI INGHILTERRA O LA FED HANNO RICOMPRATO TITOLI DI STATO (dal pubblico, da istituzioni finanziarie o da chiunque glieli venda) li possono ora cancellare e cominciano a circolare rumors che alla fine facciano proprio questo (è scritto negli articoli citati sotto, ma come al solito arrivano commenti di chi non li legge e mi tocca riassumerli)
1) le Banche centrali stanno comprando tonnellate titoli di stato dal 2009 o sul mercato secondario come la FED e la Bank of Japan o anche direttamente in asta (come la Banca di Inghilterra (e come faceva la Banca d’Italia ai bei tempi)
2) dopodichè la la Banca centrale in teoria dovrebbe tenerli fino alla scadenza e alla fine ricevere indietro i soldi dallo stato, quando appunto tra 3 o 5 o 10 anni i titoli scadono. Finora Ben Bernanke e Mervyn King hanno dato da intendere che era così, che si comportavano come un normale investitore che compra titoli di stato e poi quando scadono riceve i soldi del loro ammontare. Cioè finora avevano detto che compravano migliaia di miliardi di bonds solo per abbassarne il costo (vedi anche Draghi negli ultimi due mesi).
3) Ma in realtà la Banca Centrale è lei stessa parte dello stato, è lei che garantisce tutti gli assegni e passa tutti i bonifici dello stato, perchè può accreditare qualunque somma senza limiti e senza vincoli e i soldi" li crea con il computer quando le pare, per cui se alla scadenza dei titoli di stato si accreditasse l’importo sarebbe solo una finzione contabile tra lei e il Tesoro. Le passività nel bilancio del Tesoro diventano attività nel bilancio della Banca Centrale e viceversa, ma non ci sono vincoli, possono fare come vogliono, 100 miliardi a destra e -100 miliardi a sinistra E’ SOLO CONTABILITA’
Di conseguenza, ora che sono passati 4 anni dall’inizio dell’Alleggerimento Quantitativo cominciano a far circolare l’ipotesi che in realtà alla Banca centrale alla fine non si faranno riaccreditare l’importo dei bonds dal Tesoro che poi dovrebbe tornare in asta a venderne un altro importo equivalente per essere in grado di fare l’accredito sul conto della Banca Centrale. Ma dato appunto che possono farlo senza alcun costo e senza alcun problema, possono alla fine far cancellare tutti questi 4 o 5 mila miliardi di titoli.
Come spiegato dozzine di volte non creerebbe inflazione, perchè i soldi lo stato li ha già spesi e non cambia l’ammontare della spesa pubblica. Il fatto che continui a finanziarsi con debito oppure che di fatto (come questi articoli implicano) si finanzi semplicemente con moneta cambia solo i rendimenti sul mercato del reddito fisso (cioè la gente che vuole investire si ritrova meno titoli governativi e metterà i soldi in qualcosa d’altro)
GZ


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cancellazione del debito generalizzata si è verificata più volte nella storia.
Hammurabi, re di Babilonia, e gli annullamenti del debito
Il Codice di Hammurabisi trova nel Museo del Louvre di Parigi. In realtà il termine “codice” è inappropriato, perché Hammurabi ci ha tramandato piuttosto un insieme di regole e di giudizi sulle relazioni tra i poteri pubblici e i cittadini. Il regno di Hammurabi, “re” di Babilonia (situata nell’attuale Iraq), iniziò nel 1792 avanti Cristo e durò 42 anni. Quello che la maggior parte dei manuali di storia non dice è che Hammurabi, come altri governanti delle città-Stato della Mesopotamia, proclamò in varie occasioni un annullamento generale dei debiti dei cittadini con i poteri pubblici, i loro alti funzionari e dignitari. Quello che stato chiamato il Codice di Hammurabi fu scritto probabilmente nel 1762 avanti Cristo. Il suo epilogo proclamava che “il potente non può opprimere il debole, la giustizia deve proteggere la vedova e l’orfano (…) al fine di rendere giustizia agli oppressi”. Grazie alla decifrazione dei numerosi documenti scritti in caratteri cuneiformi, gli storici hanno trovato la traccia incontestabile di quattro annullamenti generali del debito durante il regno di Hammurabi (nel 1792, 1780, 1771 e 1762 A. C.).

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All’epoca di Hammurabi, la vita economica, sociale e politica si organizzava intorno al tempio e al palazzo. Queste due istituzioni, molto legate, costituivano l’apparato dello Stato, l’equivalente dei nostri poteri pubblici di oggi, nei quali lavoravano numerosi artigiani e operai, senza dimenticare gli scriba. Tutti erano alloggiati e nutriti dal tempio e dal palazzo. Ricevevano razioni di cibo che gli garantivano due pasti completi al giorno. I lavoratori e i dignitari del palazzo erano nutriti grazie all’attività di una classe contadina a cui i poteri pubblici fornivano (affittavano) le terre, gli strumenti di lavoro, gli animali da tiro, il bestiame, acqua per l’irrigazione. I contadini producevano in particolare orzo (il cereale di base), olio, frutta e legumi. Dopo il raccolto, i contadini dovevano consegnare una parte di questo allo Stato come quota per l’affitto. In caso di cattivi raccolti, accumulavano debiti. Oltre al lavoro nelle terre del tempio e del palazzo, i contadini erano proprietari delle loro terre, della loro casa, delle loro greggi e degli strumenti da lavoro. Un’altra fonte di debiti dei contadini era costituita dai prestiti concessi a titolo privato da alti funzionari e dignitari al fine di arricchirsi e di appropriarsi dei beni dei contadini in caso di mancato pagamento di questi debiti. L’impossibilità nella quale si trovavano i contadini di pagare il debito poteva portare anche alla loro riduzione in schiavitù (anche membri della loro famiglia potevano essere ridotti in schiavitù per debiti). Al fine di garantire la pace sociale, in particolare evitando un peggioramento delle condizioni di vita dei contadini, il potere annullava periodicamente tutti i debiti [2] e ripristinava i diritti dei contadini.
Gli annullamenti generali del debito si sono susseguiti in Mesopotamia per 1000 anni
Le proclamazioni di annullamenti generali dei debiti non si limitarono al regno di Hammurabi: cominciarono prima di lui e si prolungarono dopo di lui. C’è la prova di annullamenti del debito che risalgono all’anno 2400 A. C., cioè sei secoli prima del regno di Hammurabi, nella città di Lagash (Sumer), i più recenti risalgono al 1400 A. C., a Nuzi. In totale, gli storici hanno identificato con precisione una trentina di annullamenti generali del debito in Mesopotamia tra il 2400 e il 1400 A. C.. Si può concordare con Michael Hudson [3] quando afferma che gli annullamenti generali del debito costituiscono una delle caratteristiche principali delle società dell’Età del Bronzo in Mesopotamia. Si trovano d’altronde nelle diverse lingue mesopotamiche espressioni che designano questi annullamenti per cancellare il debito e riportare i conti a zero: amargi a Lagash (Sumer), nig-sisa a Ur, andurarum ad Ashur, misharum a Babilonia, shudutu a Nuzi.

Queste proclamazioni di annullamento del debito erano occasione di grandi festeggiamenti, generalmente nella festa annuale della primavera. Sotto la dinastia della famigia di Hammurabi fu instaurata la tradizione di distruggere le tavolette sulle quali erano scritti i debiti. In effetti, i poteri pubblici avevano una contabilità precisa dei debiti su tavolette che erano conservate nel tempio. Hammurabi muore nel 1749 A. C., dopo 42 anni di regno. Il suo successore, Samsuiluna, annulla tutti i debiti con lo Stato e decreta la distruzione di tutte le tavolette dei debiti salvo quelle che si riferiscono a debiti commerciali.

Quando Ammisaduqa, l’ultimo governante della dinastia Hammurabi, accede al trono nel 1646 A. C., l’ annullamento generale dei debiti che proclama è molto dettagliato. Si tratta manifestamente di evitare che certi creditori si approfittino di alcune carenze. Il decreto di annullamento precisa che i creditori ufficiali e gli esattori di imposte che hanno espulso contadini debbano indennizzarli e restituire i loro beni pena la morte. Se un creditore ha accaparrato un bene facendo pressioni, deve restituirlo e/o pagarlo per intero, se non lo fa è condannato a morte.
In conseguenza di questo decreto, furono create commissioni al fine di controllare tutti i contratti immobiliari ed eliminare quelli che rientravano nella proclamazione di annullamento del debito e di ripristino della situazione precedente, statu quo ante. La messa in pratica di questo decreto era facilitato dal fatto che, in generale, i contadini spossessati dai creditori continuavano a lavorare nelle loro terre anche se queste erano diventate proprietà del creditore. A partire da qui, annullando i contratti e obbligando i creditori a indennizzare le vittime, i poteri pubblici ripristinavano i diritti dei contadini. La situazione peggiorerà un po’ due secoli dopo.
I limiti degli atti di annullamento dei debiti
In Mesopotamia, durante l’Età del Bronzo, gli schiavi per debiti erano liberati, ma non gli altri tipi di schiavi (in particolare quelli che erano prigionieri di guerra).
Gli atti di annullamento del debito non devono essere presentati come decisioni che promuovessero l’emancipazione sociale, si trattava di restaurare l’ordine precedente, che comprendeva diverse forme di oppressione. Tuttavia senza esaltare l’organizzazione di queste società di 3000 o 4000 anni fa, bisogna sottolineare che i governanti tentavano di mantenere una coesione sociale evitando la costituzione di grandi proprietà private, prendendo provvedimenti perché i contadini mantenessero accesso diretto alla terra, limitando l’aumento delle disuguaglianze, vigilando sulla manutenzione e lo sviluppo dei sistemi di irrigazione. Michael Hudson sottolinea, da parte sua, che la decisione di dichiarare guerra spettava all’assemblea generale dei cittadini e che il “re” non aveva il potere di prenderla.
Sembra che, nella cosmovisione dei mesopotamici dell’età del bronzo, non ci fosse stata una creazione originaria da parte di un dio. Il governante (ruler), di fronte al caos, riorganizzò il mondo per ristabilire l’ordine normale e la giustizia.
Dopo il 1400 A. C., non si è trovato nessun atto di annullamento del debito. Le disuguaglianze si rafforzarono e svilupparono fortemente. Le terre furono accaparrate dai grandi proprietari privati, la schiavitù per debiti si radicò. Una parte importante della popolazione emigrò verso il nordest, verso Canaan con incursioni verso l’Egitto (i faraoni si lamentavano di questo).
Nel corso dei secoli che seguirono, considerati dagli storici della Mesopotamia come tempi bui, (Dark Ages) -a causa della riduzione delle tracce scritte-, si hanno tuttavia prove di lotte sociali violente tra creditori e indebitati.
Egitto: la stele di Rosetta conferma la tradizione degli annullamenti del debito
La stele di Rosetta della quale si appropriarono membri dell’esercito napoleonico nel 1799 durante la campagn d’Egitto fu decifrata nel 1822 da Jean-François Champollion. Si trova oggi nel British Museum di Londra. Il lavoro di traduzione fu facilitato dal fatto che la pietra presenta lo stesso testo in tre lingue: l’ egizio antico, l’egizio popolare e il greco dei tempi di Alessandro Magno. Il contenuto della stele di Rosetta conferma la tradizione dell’annullamento dei debiti che fu instaurata nell’Egitto dei faraoni a partire dall’VIII secolo avanti Cristo, prima della sua conquista da parte di Alessandro Magno nel IV secolo A. C.. Vi si legge che il faraone Tolomeo V, nel 196 avanti Cristo, annullò i debiti verso il trono del popolo dell’Egitto e oltre.
Anche se la società egizia dell’epoca dei faraoni era molto diversa dalla società mesopotamica dell’Età del Bronzo, si trova traccia evidente di una tradizione di proclamazioni di amnistia che precede gli annullamenti generali del debito. Ramsete IV (1153-1146 A. C.) proclamò che chi era fuggito poteva rientrare nel Paese. Chi era in carcere veniva liberato. Suo padre Ramsete III (1184-1153 A. C.) fece la stessa cosa. Bisogna segnalare che nel 2º millennio sembra che non ci fosse schiavitù per debiti in Egitto. Gli schiavi erano prigionieri di guerra. Le proclamazioni di Ramsete III e IV riguardavano l’annullamento dei ritardi nel pagamento di imposte dovute al faraone, la liberazione dei prigionieri politici, la possibilità per le persone condannate all’esilio di tornare.

Solo a partire dall’VIII secolo avanti Cristo si trovano in Egitto proclamazioni di annullamento dei debiti e di liberazione degli schiavi per debiti. È il caso del regno del faraone Bocchoris (717-711 avanti Cristo), il cui nome fu ellenizzato.
Una delle motivazioni fondamentali degli annullamenti del debito era che il faraone voleva disporre di una classe contadina capace di produrre sufficienti alimenti e disponibile quando fosse necessario per campagne militari. Per queste due ragioni, era necessario evitare che i contadini fossero espulsi dalle loro terre a causa dell’influenza dei creditori.
In un’altra parte della regione, si constata che anche gli imperatori siriani del primo millennio avanti Cristo adottarono la tradizione dell’annullamento dei debiti. Lo stesso successe a Gerusalemme, nel V secolo avanti Cristo. Come prova, nel 432 avanti Cristo, Neemia, certamente influenzato dall’antica tradizione mesopotamica, proclama l’annullamento dei debiti degli ebrei indebitati verso i loro ricchi compatrioti. È a quell’epoca che si redige la Torah. La tradizione degli annullamenti generalizzati del debito farà parte della religione ebraica e dei primi testi del cristianesimo tramite il Levitico che proclama l’obbligo di annullare i debiti ogni sette anni e in ogni giubileo, cioè ogni 50 anni.
Conclusione
Oggi la restituzione del debito costituisce innegabilmente un tabù. È presentata dai capi di Stato e di governo, dalle banche centrali, dal FMI e dalla stampa dominante come inevitabile, indiscutibile, obbligatoria. I cittadini e le cittadine dovrebbero rassegnarsi al pagamento del debito. L’unica discussione possibile è sul modo di modulare la ripartizione dei sacrifici necessari per ottenere risorse di bilancio sufficienti per mantenere gli impegni presi dalla nazione indebitata. I governi che hanno chiesto prestiti sono stati eletti democraticamente, gli atti che hanno realizzato sono pertanto legittimi. Bisogna pagare.
È essenziale attraversare la cortina di fumo della storia raccontata dai creditori e ristabilire la verità storica. Annullamenti generalizzati del debito hanno avuto luogo ripetutamente nella storia. Questi annullamenti sono situati in diversi contesti. Nel caso che abbiamo appena citato, le proclamazioni di annullamento generalizzato del debito erano prese su iniziativa di governanti preoccupati di preservare la pace sociale. In altri casi, gli annullamenti furono risultato di una lotta sociale esacerbata dalla crisi e dall’aumento delle disuguaglianze. È il caso della Grecia e Roma antiche. Bisogna prendere in considerazione anche altri scenari: l’annullamento del debito decretato da Paesi indebitati che deliberano un atto sovrano in modo unilaterale, l’annullamento del debito concesso dai vincitori a un Paese sconfitto e/o alleato… Una cosa è certa: dal punto di vista storico, il debito gioca un ruolo motore in numerosi grandi cambiamenti sociali e politici.

NOTE:
[1] Eric Toussaint (laureato in Scienze Politiche, presidente del CADTM del Belgio, www.cadtm.org, membro del Consiglio Scientifico di ATTAC Francia). Damien Millet ed Eric Toussaint hanno curato il libro collettivo Il debito o la Vita, che ha ricevuto il Premio del Libro politico alla Fiera del libro politico di Liegi nel 2011). Ultimo libro pubblicato, Damien Millet ed Eric Toussaint, AAA, Audit, Annullamento, Altra politica, Le Seuil, Parigi, 2012.
[2] I debiti tra commercianti non erano oggetto di questi annullamenti .
[3] Quest’articolo è essenzialmente basato sulla sintesi storica presentata da Michael Hudson, laureato in Economia, in vari articoli e opere: “The Lost Tradition of Biblical Debt Cancellations”, 1993, “The Archaeology of Money”, 2004. Michael Hudson fa parte di un équipe scientifica multidisciplinare (ISCANEE, International Scholars’ Conference on Ancient Near Earstern Economies) che comprende filologi, archeologi, storici, economisti, che lavorano sul tema delle società e delle economie antiche del Vicino Oriente. I suoi lavori sono pubblicati dall’università di Harvard. Michael Hudson iscrive il suo lavoro nel proseguio delle ricerche di Karl Polanyi. Inoltre produce analisi sulla crisi contemporanea. Vedere in particolare, “The Road to Debt Deflation, Debt Peonage, and Neoliberalism”, febbraio 2012. Tra le opere di altri autori che a partire dalla crisi economica e finanziaria iniziata nel 2007-2008 hanno scritto sulla lunga tradizione di annullamento del debito, conviene leggere: David Graeber, Debt : The First 5000 Years, Melvillehouse, New York, 2011
 
intermarket and more
Bond USA: ecco chi ha venduto (e chi venderà ancora)


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Scritto il 20 agosto 2013 alle 14:50 da Dream Theater
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Riprendo rapidamente quanto ieri spiegato in un post che illustrava i deflussi di capitali dal mercato obbligazionario governativo USA (US Treasury).
Tra le varie cose dette, ponevo la domanda:
(…) però è palese che le munizioni sono praticamente esaurite ed il mercato rischia di perdere quei sostegni artificiosi che hanno creato ricchezza artificiale, gonfiando asset e mercati finanziari in genere. Ma ora che succederà? E poi chi comprerà i bonds USA, che recentemente erano quasi esclusivamente sottoscritti dalla FED stessa? Insomma, sembra proprio che la FED stia perdendo il controllo del mercato obbligazionario.
Il debito USA in pancia alla FED (diviso per duration)

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Ovviamente la questione non è di facile soluzione. Se dal mercato viene esclusa la FED, praticamente unico sottoscrittore dei debito pubblico USA di nuova emissione negli ultimi mesi, diventa difficile trovare qualcuno che si metta dalla parte del compratore (buy side). Ma non dimentichiamo anche il ruolo che hanno avuto nella storia economica due grandi paesi, che erano arrivati a detenere cifre pazzesche di debito pubblico USA.
I detentori del debito USA oggi



Sto parlando di Cina e Giappone. E loro compreranno ancora? Beh, a questa domanda non credo di poter rispondere. Temo di conoscere la risposta (visti i problemi che ci sono oggi in Asia…), però vi faccio vedere COSA stanno facendo ORA.
T note USA: copiose vendite dall’Estero (China & Japan in primis)

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Come potete vedere, da questo grafico risulta evidente il ruolo di Cina e Giappone, che sono diventati NON sottoscrittori ma VENDITORI di debito pubblico USA.
Quindi questi paesi non solo non compreranno più debito USA, ma probabilmente lo venderanno. Una ulteriore tegola sui tassi USA che rischia di rendere il mercato obbligazionario potenzialmente “fuori dal controllo” sempre disciplinato della FED. Ma la stessa FED permetterà tutto questo?
Nel dubbio, continuiamo a fare quanto già detto in passato sui bond con più ampia duration.
STAY TUNED
 
analisi economica del diritto.

















































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mercoledì 21 agosto 2013

USQUE TANDEM?- 2 EURO-SPACCHETTAMENTO E IL PERICOLO IRLANDA



Nel post di ieri abbiamo passato in rassegna il versante italico della faccenda. Almeno nel senso delle dinamiche che, probabilisticamente, in assenza di fattori nuovi, ci attendono.
Ora vi propongo una visione di "osservatori internazionali", apparentemente neutrali: qui si fa una premessina di prammatica mainstream sugli indicatori della "ripresa", dell'attendibilità dei quali abbiamo già detto (nei commenti è poi emerso un dibattito sul..."fascismo"). Qualificata così la sua base scientifico-ideologica, lo studio (?), prosegue: "L’Eurozona, inoltre, mostra segnali di un riequilibrio. Negli anni del boom i costi unitari del lavoro sono aumentati troppo rapidamente nell’Europa periferica e in misura insufficiente in Germania. Ciò si è tradotto in un ampio divario di competitività nell’Eurozona, che comincia a ridursi (anche se paesi come l’Italia e la Francia hanno ancora molta strada da fare; si veda il post sul nostro blog). Per quanto concerne il saldo delle partite correnti, l’Italia e l’Irlanda fanno registrare un avanzo, la Grecia ha ridotto il suo ampio disavanzo e la Spagna e il Portogallo evidenziano deficit modesti.
Si tratta di piccoli passi ma necessari, per assicurare la sopravvivenza dell’euro
".
Per fortuna ci risparmia, poi, l'idea che la Germania sia la locomotiva d'Europa e piuttosto, sottolineandone il boom - e dimenticando alcuni "piccoli dettagli" sulle sue cause- ci dice che essa, piuttosto, è la "Cina" d'Europa (il che fa persino torto alla Cina se si volesse guardare specialmente alla situazione attuale). E ammette: "Le eccedenze di capitale generate dall’accresciuta competitività internazionale della Germania si sono riversate in Europa meridionale e in Irlanda. Le banche e gli investitori tedeschi sono parte della comunità internazionale che ha fatto credito ai governi e alle imprese nei paesi periferici, con l’obiettivo di realizzare maggiori rendimenti di quelli offerti dai Bund. Naturalmente, in assenza di questi apporti di capitale, i paesi dell’Europa meridionale e l’Irlanda non avrebbero potuto accumulare tanto debito (nel 2008 circa l’80% dei titoli di Stato greci, irlandesi e portoghesi era detenuto da investitori esteri). In aggiunta, l’aumento dei costi unitari del lavoro in questi paesi sarebbe stato probabilmente più contenuto (specialmente nel settore pubblico) e il divario di competitività tra la Germania e le nazioni periferiche sarebbe stato meno pronunciato.
La Germania ha beneficiato della moneta unica più di ogni altro Stato membro. Un eventuale default avrebbe effetti devastanti sul sistema bancario e sulle esportazioni nazionali. Il Paese si trova in una situazione delicata, quindi è difficile capire perché potrebbe abbandonare l’euro
". Già perchè mai?

Infine conclude che i PIGS non "potrebbero" uscire, nonostante il massacro cui si sono (auto)sottoposti: "L’argomentazione più convincente proposta finora è che i costi dell’uscita dall’UEM sarebbero nettamente superiori ai benefici. Deflussi di capitali, impennata dell’inflazione, fallimento su scala nazionale, disoccupazione di massa e disordini sociali non rendono questa opzione particolarmente allettante. Provate poi a immaginare cosa accadrebbe se Italia e Spagna decidessero di uscire dall’euro. Restare nell’Eurozona è la scelta meno deleteria per i paesi debitori". Infine, lodata la BCE perchè sarebbe pronta a salvare l'euro "a qualunque costo", invita a "non sottovalutare il desiderio politico di preservare l'integrità dell'area euro", anche se, si ammette, tale area "resta per noi una fonte di preoccupazione". E poi conclude con una frasetta raggelante: "Tuttavia, dato il track record di UE e BCE e per le ragioni sopra elencate, forse l’euro potrebbe sopravvivere molto più a lungo di quanto alcuni analisti economici attualmente non si aspettino".

Insomma, tra terrorismo e "volontà politica" ci facciamo andare bene il massacro, il che comprova che per molti, la propaganda €uro-PUD€, ben diffusa nel continente, funziona e pure molto efficacemente. Il dato è che alla M&G, banca di investimenti UK, pur con "preoccupazione", la prosecuzione dell'euro pare star bene.

Un pò più seria, come analisi presupposta - dato che certo alla Germania l'uscita non conviene, ma altrettanto certamente non gli aggrada sostenere il benchè minimo costo di una correzione che vuole e sempre vorrà solo a carico dei paesi debitori- e come proposta, è quella che ormai dovrebbe essere ben nota: la "segmentazione controllata". Da cui si desumerebbe che l'euro rimarrebbe per i...PIGS e uscirebbero, o condividerebbero un euro "pesante", Germania, Olanda, Finlandia e Austria. Almeno a interpretare Henkel.
La questione critica di questa prospettiva, riguarda com'è intuibile e come abbiamo già evidenziato, il trattamento dei crediti pregressi, emergenti in Target 2. Questa è la questione, a nostro modesto parere (forse sbagliato? Vedremo):
"La partita è tutta qua: finito il "loro" dividendo per collasso della domanda UEM- provocato dalla loro imposizione di austerity e, in definitiva, dalla loro gretta avidità nell'assumersi un rischio che consegue a strategie di mercantilismo imperialista in violazione dei trattati- l'oligarchia tedesca vorrebbe conservare il malloppo e portarselo a casa intatto.
Probabilmente, tenteranno di convincere i deboli governi PIGS che i corsi dell'euro siano "ultrattivi": cioè che per i debiti contratti prima dell'eurobreak, si continuino ad applicare i valori, ad es; euro-dollaro, vigenti al momento in cui il debito è stato contratto, o, per semplificare, ad un dato momento anteriore all'euro-break.
Potrebbero essere i recenti minimi dell'estate scorsa, quando appunto il mondo scontava la oggettiva insostenibilità dell'euro (che permane), con i picchi degli spread. Spread che appunto riflettono l'approssimarsi dei valori monetari conformi ai tassi di cambio reale dei diversi paesi UEM.
O potrebbero essere gli alti corsi di quest'anno, non solo susseguenti all'OMT di Draghi (che, va rammentato a commentatori disattenti, in sè, non ha portato finora ad un solo acquisto), ma, ancor più, all'indebolimento di altre importanti valute attribuito alle politiche monetarie fortemente espansive.
E' chiaro che i tedeschi punteranno alla seconda soluzione.
Cioè, in pratica, a portare avanti una trattativa in cui, di fronte alla fine dei saldi commerciali, dai paesi UEM, che si sta prospettando, non offra alcun compromesso effettivo.
Ma anche la prima soluzione "compromissoria" pone un interrogativo: perchè si dovrebbe accettare di attenuare il rischio che essi si sono intenzionalmente assunti, stressando la moneta unica per avvantaggiarsi a spese degli altri paesi e eludendo-violando una pluralità di vincoli dei trattati, rispondenti alla "causa" cooperativa degli stessi?
Perchè farlo quando i paesi in sofferenza crescente - inclusa ormai la Francia- possono lo stesso determinare l'euro break semplicemente coalizzandosi e imponendo un assetto "naturale" dell'euro break con la normale applicazione delle rispettive "lex monetae"?"

Ora il punto è che gli ultimi dati (Istat), risalenti al 9 agosto, danno di nuovo in attivo il conto corrente estero italiano, partita merci. E non è una novità, anche lo scorso anno il dato era positivo, anche se in misura inferiore: si può segnalare l'incoraggiante dato della crescita del surplus, per beni strumentali e durevoli, proprio verso i paesi UE. Il che significa che (nonostante i Van Rompuy e i...Giannino), l'Italia sta aggiustando, repentinamente i tassi di cambio reale, cioè perseguendo una svalutazione interna.
Su base annua, ultimo dato Bankitalia di agosto, relativo a giugno, saremmo ormai in leggerissimo attivo, con quasi due punti di PIL "commerciali", ma con una partita redditi e una partita "trasferimenti" che si "mangiano" circa l'85% degli attivi.
Un quadro che conferma che la recessione-deflazione giova a un settore (manifatturiero, di PMI, ma anche di imprese ormai sotto il controllo estero) ma è pur sempre recessione e, quindi, è una cuccagna di paglia, dato che la caduta degli investimenti, e, a monte, dei risparmi, rende precaria la prosecuzione nel tempo dello stesso attivo, e comunque, rende complessivamente il sistema industriale depatrimonializzato e suscettibile di acquisizione dal "miglior offerente" estero.
E quindi, vista la situazione "redditi" e "trasferimenti" una ulteriore prosecuzione della correzione dei tassi di cambio reale rischia di condurci alla situazione Irlanda. La cuccagna sarebbe per gli investitori esteri, l'occupazione in definitiva solo nei settori da questi controllati, e la compressione "coloniale" di salari e domanda interna diverrebbe un elemento strutturale.
Tornando all'ipotesi "euro-spacchettamento", i vantaggi sono dunque legati alla sopravvivenza dell'italianità.
Ovviamente, con le politiche attuali, il problema si pone, più che mai, anche in caso di permanenza nell'€uro-assetto attuale. E forse più drammaticamente. Ma è anche vero che se dovessimo ripagare la posizione debitoria estera intra-UEM determinata dagli squilibri commerciali degli anni scorsi, a "cambi" fissati su rapporti euro-dollaro convenienti per la Germania, il problema sarebbe non da poco: sarebbe insomma il "tacchino che si mette in forno da solo".
Tuttavia la partita, con la proposta "spacchettamento", sarebbe almeno aperta: diversamente non avremmo, probabilmente mai, nè una classe politica nè un supporto di politica industriale, finanziabile dal sistema attuale, per affrontare una uscita in solitaria.
E, a onor del vero, altri dati ci suggeriscono che una valuta (euro-2 o, in prospettiva, italiana "vera") a corso più basso, ci consentirebbe di avere un saldo commerciale ancor più vantaggioso con gli USA e, in generale, con i paesi extra-UE (vedi Turchia, ma non solo). Ecco: questo è un dato non trascurabile che coinvolge arredamento, moda, farmaceutica e agroalimentare, e non la sola "mitica" meccanica, specialmente considerando la (scarsa) performance del dollaro rispetto al super-euro. Un aspetto, questo della competitività "relativa" dei vari settori, di cui discutiamo spesso con il mio amico Cesare Pozzi.

Il problema è che, nella "filiera produttiva", non siamo più padroni dell'intero processo, e il prodotto finale, di cui produciamo ormai per lo più componenti, sfugge, in tale assetto, alla nostra determinazione di prezzo. E perciò dobbiamo accettare il prezzo di chi ci "domanda" e finchè ci domanda.
Il che, a sua volta, dipende dalla strategia di chi controlla le imprese che compongono la filiera, che, sempre più potrebbe divenire un controllo straniero.

Per impedire che questo aspetto faccia proseguire una situazione difficile, se non critica, anche in caso di svalutazione monetaria (comunque realizzata), occorre dunque pensare AD ALTRI STRUMENTI NON ESCLUSIVAMENTE VALUTARI.
In particolare, a un sistema creditizio nazionalizzato e commerciale "puro", e ad un sistema industriale di grande respiro che possa riprendere a fare investimenti su tecnologie competitive comunque detenute all'interno delle imprese, anche in partnership estera, ma in una posizione di forza almeno paritaria. E per far questo, poichè solo lo Stato ha la "endurance" e le risorse idonee a supportare investimenti di grande dimensione, nella situazione attuale più che mai, occorrerebbe non smantellare ma ampliare il sistema delle imprese pubbliche. Certamente nei settori giusti, e certamente dandogli il supporto del credito sinergico di un sistema bancario pubblico che pensi solo a fare credito industriale e non a giocare alla roulette russa della finanza derivata...Insomma, tutto l'opposto di von Hayek e dell'impostazione dei trattati (come sempre) by orizzonte 48
 
UNA CAPORETTO SPENSIERATA - MPS-ANTONVENETA, LA COMPRAVENDITA DI CUI NESSUNO SA NULLA

Nei verbali tutti ammettono che Mussari spese 9 miliardi soltanto con una telefonata ma nessuno gli chiese spiegazioni - Nella distrazione generale, compresa quella della Bankitalia di Draghi-Tarantola, l’ex presidente ha distrutto una banca - Un’operazione da mercato del pesce, senza controlli e fatta in tutta fretta…



Giorgio Meletti per il "Fatto quotidiano"
LANCIO DI MONETINE A MUSSARI IN PROCURA jpegMUSSARI
Il 28 luglio 2012, verso mezzogiorno, l'ex presidente del Monte dei Paschi di Siena Giuseppe Mussari, di fronte all'attonito pubblico ministero Antonino Nastasi e agli increduli maggiore Marcello Carrozzo e maresciallo Tommaso Luongo, detta a verbale la seguente dichiarazione: "Non ricordo come si svilupparono le trattative per l'acquisizione di Antonveneta".
E questo è bello, come diceva "Bisteccone" Galeazzi di fronte a certi rovesci di John McEnroe: l'Italia è quel meraviglioso Paese dove viene osannato ed eletto presidente dell'Abi, l'associazione delle banche, un uomo in grado di spendere oltre 16 miliardi (ovviamente non suoi) con tanta spensieratezza da dimenticarsi come arrivò alla decisione.
giuseppe mussari
E invece è importante capire come andò. Perché, notate bene, nel libero mercato non è reato sfasciare una banca come il Montepaschi facendole comprare un altro istituto per il triplo del suo valore; né è vietato portare la terza banca italiana da 20 miliardi di valore a due. La Procura di Siena, infatti, ipotizza a carico di Mussari, dell'ex direttore generale Antonio Vigni e altri una serie di reati commessi dopo l'acquisto di Antonveneta, nel tentativo di attenuare i tragici effetti della gigantesca fesseria originaria.
mussari vigni
CAPORETTO SPENSIERATA
Eppure la classe dirigente italiana dovrebbe riflettere sul perverso equilibrio politico-affaristico che ha consentito a Mussari di spendere 16 miliardi (9 per Antonveneta più 7 per i suoi debiti) con un'attenzione inferiore a quella che avrebbe dedicato all'acquisto (con soldi suoi) di un'auto usata.
monte dei paschi di siena
Il tutto nella distrazione generale, Bankitalia compresa. I magistrati cercano di capire e si vedono sfilare davanti i maggiorenti della banca e delle autorità di controllo, e tutti fanno come le tre scimmiette: non vedevo, non sentivo, non parlavo. Mussari faceva tutto da solo, proponeva e disponeva.
L'allora capo della Vigilanza della Banca d'Italia, Anna Maria Tarantola, oggi presidente della Rai, andrebbe presa a simbolo di una classe dirigente tanto supponente quanto impalpabile di fronte alle responsabilità. Ai magistrati che le chiedono come mai Bankitalia - l'unica istituzione che poteva fermare Mussari - ha autorizzato l'incauto acquisto di Antonveneta, racconta un colloquio tra i vertici di Palazzo Koch (compreso l'allora governatore Mario Draghi) e quelli di Montepaschi, durante il quale "ci raccomandammo con i vertici di Mps di fare per bene l'acquisizione".
monte-dei-paschi-di-siena-sede
Per bene, dice testualmente. Sembra di vederla la Tarantola che a mani giunte si rivolge a Mussari come al nipotino discolo: "Mi raccomando Giuseppe, 16 miliardi sono sempre 16 miliardi". Non è l'unico momento grottesco che emerge dagli atti dell'inchiesta senese. Anzi, la dimensione surreale risulta dominante in questa Caporetto della finanza italiana, avvenuta tra il 6 e l'8 novembre del 2007.
Ecco il consigliere d'amministrazione Turiddo Campaini, che rappresenta l'azionista Unicoop Firenze, di cui è presidente dal 1974 (sì, da 39 anni). Campaini è l'uomo che disse no a Giovanni Consorte per la scalata alla Bnl, poi ha pensato bene di buttare qualche centinaio di milioni di euro della cooperazione sul Montepaschi.
Dice ai magistrati: "Ho saputo dell'acquisizione di Antonveneta in sede di consiglio di amministrazione in data 8.11.2007. Ricordo che il presidente Mussari o il direttore generale Vigni illustrarono l'operazione. Ci dissero anche che bisognava fare in fretta perché vi era il rischio che l'acquisizione non si facesse. Non ricordo se vidi il contratto di acquisto. Non ricordo se ci fu detto che era stata fatta una due diligence su banca Antonveneta". Non ricorda niente, se non che diceva sempre sì.
LOGO ANTONVENETA
IL MISTERO DELLA "DUE DILIGENCE"
Parla Francesco Gaetano Caltagirone, uno degli uomini più ricchi d'Italia, allora azionista e vicepresidente di Mps: "Ho saputo dell'acquisto di Antonveneta in sede di Cda tenutosi il dì 8.11.2007. Ricordo che ci fu comunicato tra le varie (...) Tra l'entusiasmo degli altri consiglieri, io e il consigliere Gorgoni sollevammo qualche perplessità. Ricordo che all'annuncio chiesi, prima di votare, di vedere i documenti. Ricordo che fu fatto tutto molto in fretta.
Ci furono dati dei documenti e il contratto di acquisto. La delibera, però, fu presa all'unanimità". Poi aggiunge: "Non ricordo che durante la discussione in Cda fu fatto riferimento a una due diligence. Normalmente, quando si intende acquistare un'impresa la due diligence viene effettuata. Non sono in grado di dire se in quel caso fu fatta, ovvero se ne fu fatta una successiva". Non sapendo, votò a favore.
EMILIO BOTIN
Già, la due diligence. Quando si compra un'azienda, normalmente, si fa un contratto preliminare, poi l'acquirente manda i suoi esperti a scartabellare tutta la contabilità dell'azienda in vendita per verificare la congruità del prezzo stabilito. Stavolta il venditore, il Banco Santander, che poche settimane prima ha rilevato Antonveneta dall'Abn Amro per 6,6 miliardi, la mette giù dura: se Mussari vuole l'Antonveneta se la prende a scatola chiusa. Mussari se la prende. Nessuno fiata.
Ecco per esempio che cosa racconta Fabrizio Saccomanni, oggi ministro dell'Economia, allora direttore generale della Banca d'Italia: "È molto probabile che Banca d'Italia abbia detto a Mps che il gruppo Antonveneta andava efficientato poiché l'Istituto non era particolarmente soddisfatto della gestione fatta da Abn Amro". Quindi Bankitalia sa che la banca comprata non è in gran forma.
Però autorizza senza chiedere: "Non ci fu segnalato che Mps aveva acquisito Antonveneta senza fare una due diligence. Devo dire che, per prassi, Banca d'Italia caldeggia sempre, in caso di acquisizioni, la due diligence preventiva". Bankitalia dunque caldeggia in astratto, in stile Tarantola ("mi raccomando Giuseppe"), ma in concreto non vede, non sente e non parla. Non si preoccupa di niente, autorizza l'acquisto di Antonveneta per 9 miliardi senza rendersi conto delle modalità da bancarella con cui l'operazione viene condotta.
MPS LINGRESSO DI ROCCA SALIMBENI SEDE DEL MONTE DEI PASCHI DI SIENA
Dice Mussari: "Non ho condotto le trattative per l'acquisizione di Antonveneta e non ho fatto l'offerta di 9 miliardi di euro per il suo acquisto. Le trattative sono state condotte dal direttore generale e dalla struttura tecnica della banca".
Alessandro Daffina, amministratore delegato di Rothschild Italia, che curava per conto di Santander la vendita di Antonveneta, ricorda bene: "Quando ho trattato con banca Mps i miei colloqui erano prevalentemente con Mussari. Solo in poche occasioni era presente anche Vigni. Non era presente alcuno della struttura tecnica della banca".
E allora che cosa faceva la struttura tecnica? Parla Marco Morelli, all'epoca vicedirettore generale di Mps: "Ho avuto notizia dell'acquisizione di Antonveneta la mattina del dì 8.11.2007. Ricordo di essere stato convocato dal direttore generale". La struttura tecnica non partecipa alla valutazione di Antonveneta, deve solo eseguire, in particolare deve mettere insieme i 9 miliardi.
VIGNI MUSSARI
Morelli viene incaricato di trovare subito due miliardi di prestito-ponte presso il sistema bancario internazionale, e così ci regala una preziosa notazione sulla selezione meritocratica nel capitalismo di relazione: "L'incarico che mi fu assegnato avrebbe dovuto svolgerlo il direttore finanziario Daniele Pirondini. Ritengo che fu assegnato a me poiché Pirondini non parlava inglese". Ecco le truppe scelte di Mussari: se è vero quanto so- stiene Morelli, dobbiamo dedurre che per la direzione finanziaria di una banca l'inglese non è indispensabile, evidentemente il capitalismo di relazione pretende ben altri requisiti.
"BISOGNAVA CHIUDERE IN FRETTA"
Lo dimostra la testimonianza di un altro cane da guardia che avrebbe dovuto controllare Mussari, il consigliere Andrea Pisaneschi, uomo di Gianni Letta e Denis Verdini dentro Mps: "Chiedemmo al presidente se potevamo avere del tempo per visionare e studiare il contratto, per valutare con ponderatezza l'operazione. Mussari ci disse che bisognava chiudere in fretta".
Come non detto, niente ponderatezza: "Ci fu chiesto se eravamo d'a ccordo e noi lo rassicurammo". Poco dopo Pisaneschi diventa presidente di Antonveneta. Spiega tutto ai magistrati Gabriello Mancini, il ragioniere della Asl di Poggibonsi messo alla presidenza della Fondazione Mps, azionista di controllo della banca, in quota Margherita: "Ricordo di avere avuto, in proposito, un colloquio con Mussari il quale indicò Pisaneschi alla presidenza della banca.
Egli motivava questa sua indicazione con motivi di opportunità politica e nei seguenti termini: poiché Antonveneta aveva i suoi maggiori interessi in Veneto, regione a forte connotazione politica di centrodestra, era opportuno che il presidente fosse della medesima area politica". Così adesso sappiamo a che tipo di due diligence dedicavano il loro tempo Mussari e i suoi sodali.
ANTONIO VIGNI GIUSEPPE MUSSARI FOTO ANSA
E che cosa dice il venditore, Emilio Botin-Sanz De Sautuola Garcia De Los Rios, d'ora in poi per brevità Botin? Il presidente del Santander è uomo che va per le spicce: "Non ci furono riunioni con i rappresentanti di Mps per negoziare la vendita di Antonveneta, ma si trattò tutto per telefono (...), due o tre volte con Mussari".
Ma c'era davvero questa offerta di Bnp che giustificava la fretta indiavolata di Mussari? Lo sostiene Daffina di Rothschild: "Botin intratteneva rapporti diretti solo con Bnp Paribas interloquendo direttamente con Baudoin Prott" (il numero uno della banca francese). L'interessato dice di non aver mai parlato con Prott e che dell'offerta Bnp lo sapeva da Rothschild, perché lui "non parlò con nessuno di Bnp, né nessun'altra persona della Banca Santander parlò con i manager di Bnp".
MUSSARI
PIANGE IL TELEFONO
E dunque, alla seconda o terza telefonata con Mussari, Botin dice "9 miliardi, risposta entro 48 ore, prendere o lasciare", e Mussari, racconta Botin, "tentò di abbassare il prezzo ma lui era consapevole di essere in una posizione ottima per mantenere il prezzo, dato l'enorme interesse che il compratore aveva". Mussari tenta il colpaccio di cavarsela con 8 miliardi, Botin non molla.
Tutto al telefono, in pochi minuti, miliardi che vanno e vengono come se trattassero lo sconto su un paio di scarpe. Mussari dirà poi al mercato che "il corrispettivo per l'acquisto del-l'intero capitale di Banca Antoveneta è stato concordato tra Mps e Banco Santander nell'ambito di un processo negoziale competitivo", una frase priva di senso su cui, ovviamente, la Consob non ha neppure chiesto spiegazioni. E intanto la classe dirigente al gran completo (azionisti, amministratori, sindaci revisori, autorità di controllo e, naturalmente, politici) si preoccupavano solo di spellarsi le mani inneggiando alla grande operazione, già pronti a dire un giorno, eventualmente, che loro non ne sapevano
 

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