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Sankara, l’eroe che denunciò l’impostura mondiale


Scritto il 21/12/10 • nella Categoria: segnalazioni


Anche se per Leibniz il nostro è il migliore dei mondi possibili, viene il sospetto che non sia così facile immaginarne uno peggiore. Basta sfogliare i giornali: l’ambasciatore Usa che racconta a Washington come il governo di Roma si impegnò a insabbiare la verità sull’omicidio Calipari, la setta dei 9 super-banchieri che da Wall Street decidono la vita e la morte di governi, popoli e destini e, nel nostro piccolo, lo spettacolo offerto dal governo “ad personam” che, mentre organizza traslochi di parlamentari, discute su come limitare l’accesso alle manifestazioni di piazza, magari sbattendo in galera gli avversari. Servirebbe una rivoluzione, disse Mario Monicelli, un anno prima di suicidarsi. C’è chi la fece davvero, la rivoluzione, e neppure tanti anni fa. Osò sfidare il potere mondiale: e per questo fu puntualmente assassinato.
Il capitano Thomas Sankara, ufficiale di carriera nell’esercito dell’oscuro Alto Volta, trascurabile staterello nel cuore nero del continente africano,
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prese il potere non molti anni or sono, nel 1983, rovesciando il governo corrotto che manteneva in povertà il paese per svenderne le ricchezze agli interessi dell’Occidente. Sankara prese il potere con la forza popolare di una sommossa, appoggiata da reparti militari, dopo il suo arresto preventivo in occasione della visita di Stato del vero padrone dell’Alto Volta, il governo francese, impersonato in quella occasione dal figlio del presidente François Mitterrand. Si sollevò la popolazione, Sankara venne liberato e assunse il comando, instaurando un regime rivoluzionario basato sulle assemblee che, da ogni parte del paese, erano incaricate di indicare i bisogni e stimolare il governo a trovare soluzioni.
Sankara oggi avrebbe 61 anni. Era nato il 21 dicembre 1949. Era comunista, evangelico e cattolico. Amava citare la Bibbia a memoria. Il comitato internazionale che si batte perché venga stabilita la verità sulla sua morte si domanda che aspetto avrebbe oggi il mondo se l’allora giovane presidente fosse ancora vivo, alla guida del suo stato nel cuore dell’Africa, cioè del vero forziere del pianeta. Perché è questo che fece, l’ultimo leader rivoluzionario africano: pretendere il rispetto del mondo, la fine della rapina sistematica delle risorse, del genocidio quotidiano della povertà che condanna vecchi e bambini a un destino di sofferenza. Sankara parlò agli schiavi e li promosse
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cittadini: sarebbero stati orgogliosi di essere africani, figli poveri ma dignitosi del Burkina Faso, la “terra dei puri”.
In soli quattro anni, Thomas Sankara – il presidente che girava in Renault 5 e percepiva uno stipendio da semplice funzionario statale – riuscì a raggiungere risultati strabilianti: debellò la fame cronica, stroncò la mortalità infantile, rilanciò l’agricoltura e l’autoproduzione dei beni. Tutto il paese era con lui, e non solo: la sua politica e i suoi memorabili discorsi infiammarono rapidamente la gioventù dei più importanti paesi africani, dal Senegal al Cameroun. Diceva: alziamoci e camminiamo con la schiena diritta, in pace col resto del mondo. Viviamo della nostra terra, rinunciamo all’export: non ci serve vendere né comprare niente, perché in Africa abbiamo già tutto.
Discorsi pericolosi. Come quello, storico, che fece alla conferenza panafricana di Addis Abeba nel 1987: «Chiediamo la cancellazione del debito, che rappresenta la nuova schiavitù coloniale, perché noi africani abbiamo già dato tanto. Non dobbiamo restituire proprio niente». I prestiti della Banca Mondiale, disse, sono un trucco: per imbrigliare le economie africane e renderle dipendenti in eterno dalla finanza occidentale. «Non abbiamo bisogno di prestiti e non intendiamo pagare debiti». Ma, aggiunse, con una battuta tragicamente profetica: «Se il Burkina Faso resterà solo
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nella richiesta di cancellazione del debito, io non sarò più qui alla conferenza dell’anno prossimo».
Tre mesi dopo, Sankara era morto. Ucciso nel palazzo governativo della capitale, Ouagadougu, da un commando africano, forse composto da mercenari liberiani armati dal “signore della guerra” Charles Taylor. «Sarà un nero a uccidermi, ma la sua mano verrà armata da un bianco», avvertì con altrettanto talento profetico il congolese Patrice Lumumba prima di essere ucciso dal connazionale Ciombè nel 1961 su ordine del Belgio, interessato allo sfruttamento delle miniere del Katanga. Gli africani che assassinarono Sankara il 15 ottobre dell’87 agirono – si suppone – con l’aiuto della Libia di Gheddafi. L’omicidio sarebbe stato ordinato direttamente dalla Francia, col consenso della Cia. Il primo sospettato, tra gli esecutori, è l’attuale presidente del Burkina Faso, Blaise Compaoré, già braccio destro di Sankara: Compaoré ne ha preso il posto, affrettandosi a
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“normalizzare” il paese ribelle, rimettendolo sotto il totale controllo economico-finanziario dell’Occidente.
Una favola nera, tristemente illuminante. All’epoca non esisteva neppure il G8, non c’erano giovani impegnati a contestare il sistema planetario, il capitalismo finanziario non aveva ancora partorito la rivoluzione tecnologica dell’informatica e neppure la globalizzazione dei mercati. Tutto però era già chiaro, agli occhi del giovane presidente burkinabé: la legalità internazionale è un valore relativo, come oggi rivela Wikileaks, se i diritti dei due terzi della popolazione mondiale sono calpestati dalle lobby che prosperano a loro spese, rapinandoli tutti i giorni. Sankara faceva sul serio: fu l’unico capo di Stato africano a chiedere ufficialmente la liberazione di Nelson Mandela. Oggi Mandela è un’icona venerata, da quello stesso mondo ipocrita che – 23 anni dopo – non è ancora riuscito a dare un nome agli assassini che spararono al cuore del politico più onesto e coraggioso del pianeta (info: www.thomassankara.net).
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<LI class="cat-item cat-item-1">Recensioni<LI class="cat-item cat-item-583">segnalazioniLe guerre americane, la crisi e la dittatura del debito


Scritto il 12/1/11 • nella Categoria: idee


Ormai viene ammesso senza remore da commentatori di differente ispirazione, come Innocenzo Cipolletta e Loretta Napoleoni. Alle origini dell’attuale crisi economica ci sono le guerre in Iraq e in Afghanistan. Per finanziare imprese militari che gli Stati Uniti non potevano permettersi, l’amministrazione americana, attraverso la Federal Reserve, quasi azzerò i tassi di interesse, in modo da avere disponibilità dei capitali ingenti liquidi che le necessitavano. Tutti i governi occidentali furono obbligati, come sempre accade, a fare lo stesso per reggere il passo.
Simultaneamente gli Usa, in cerca di consenso a favore della guerra tra le classi medie, resero agevole – sempre tramite la Federal Reserve, che guida
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il comportamento delle altre banche – l’ottenimento di mutui per l’acquisto delle case, senza riguardi per la solvibilità degli acquirenti. Non lo dico io, lo scrive Cipolletta. Affluirono capitali, però in larga misura speculativi, attratti dalla pacchia che si profilava. Il mercato immobiliare diventò un nuovo Far West, un oggetto di conquista. Tutto ciò, nelle intenzioni, sarebbe stato riequilibrato dalle materie prime dei Paesi assoggettati. Non fu così. Le guerre divennero pantani, incapaci di compensare ciò che costavano.
La finanza crebbe oltre misura, con un volume di scambi insostenibile. Chi aveva venduto titoli di dubbia consistenza, confidando in un imminente rialzo dei tassi, restò deluso. I mutui sulle case furono le prime sabbie mobili delle eccessive esposizioni bancarie; seguirono altre voragini. Gli istituti di credito, a quel punto, tirarono frettolosamente i remi in barca, dopo un paio di naufragi illustri. Vendettero all’estero quote di debito in abbondanza, confezionate in pacchetti che includevano consistenti percentuali di pattume. Troppo tardi. La crisi non era più ciclica, ma strutturale. Digiune di
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prestiti, le compagnie europee non abbastanza solide cominciarono a chiudere, quelle più forti a delocalizzare.
Il dogma monetarista, affermatosi dopo il tracollo del campo socialista e socialdemocratico, vuole che il costo del lavoro sia il primo da comprimere nei momenti difficili. Così è stato. Ovviamente i consumi, nei paesi occidentali, sono crollati, in vista di discutibili eden futuri nelle potenze economiche dette emergenti (Cina, Brasile, India, in parte Russia). Peccato che laggiù larghi settori di popolazione restino esclusi da ogni sviluppo, e dunque non in grado di assorbire l’intera sovrapproduzione dell’Occidente. Peccato altresì che, via via che le nuove potenze emergono, siano in grado di
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produrre cloni o evoluzioni degli stessi manufatti tipici dell’Ovest, a volte di altissimo contenuto tecnologico.
Caduta del saggio di profitto, sovrapproduzione. Tra queste due coordinate, e altre conseguenti, ecco i fondamenti di una crisi niente affatto volatile. Potrebbe rimediarvi solo il raggiungimento degli obiettivi economici prefissati con le avventure militari. Nulla lascia prevedere che ciò sia possibile. Aprire altri fronti di guerra, provarci di nuovo? Malgrado le ringhiose esortazioni del governo israeliano, e di alcuni Stati arabi (come rivelato da Wikileaks), nessuno al momento se lo può permettere.
Si è parlato di “crisi di sistema”. In parte è vero, ma se per sistema si intende il capitalismo in senso lato, finanziario e produttivo, questo mai cade da solo. Se non contrastato, ha molte armi per reagire e sopravvivere. In primo luogo limitare la propria appendice voluttuaria, la democrazia. Desta invidia, in numerosi osservatori occidentali, il modello russo. Limitazione drastica del controllo dal basso, nell’ambito di un assetto economico niente affatto socialista, affidato a strati privilegiati costruiti dall’alto, pezzo per
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pezzo (con epurazioni periodiche, sotto pretesti giudiziari, dei tasselli che non funzionano o si rivelano troppo ingombranti).
Analoga ammirazione suscita il modello cinese. Gli strumenti della vecchia “dittatura del proletariato” al servizio di una crescita prettamente capitalistica (checché ne pensi Diliberto), con classi egemoni create ad hoc. Coloro che criticavano “da sinistra” il socialismo reale, asserendo che la facciata nascondeva le forme di accumulazione del sistema che diceva di combattere, avevano ragione da vendere.
La vecchia arma primaria con cui il capitalismo affronta storicamente le proprie crisi, l’autoritarismo, è verificabile in tutto il mondo occidentale, Unione Europea inclusa. Questa non fa che generare organi centrali di controllo economico sottratti a ogni vaglio democratico e investiti di pieni poteri. Il monetarismo, la Ue lo ha elevato a dottrina centrale e indiscutibile addirittura per costituzione (costringendo a votare di nuovo chi si era espresso contro, fino a non fare votare per nulla la sua ultima riproposizione, il “Trattato di Lisbona”). I parlamenti sono stati esautorati delle loro prerogative attraverso limitazioni di mandato, o meccanismi di voto alterati sino a escludere opposizioni ostili alla filosofia di fondo. Ogni
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impegno è volto a impedire che i cittadini possano influire sulle scelte determinanti che li riguardano.
Naturalmente, l’effetto è più sensibile nelle fabbriche, la cellula autoritaria per eccellenza. Guai a ostacolare l’efficientismo dei padroni, salvo una trasmigrazione delle aziende. Si pisci di meno, si mangi di meno, si lavori fino allo sfinimento, dal giorno alla notte. Altrimenti produrremo (senza peraltro vendere) dove la forza-lavoro costa quasi un *****, e dove i diritti dei lavoratori confinano con quelli della prima rivoluzione industriale. Sindacati gialli, forti solo di una base di pensionati iscritti a forza per presentare la dichiarazione dei redditi, applaudono entusiasti. Due ipotesi alternative: o non hanno capito nulla, o hanno capito troppo e sono complici. Buona la seconda.
Ma come si fa, senza riuscire a vendere ciò che si è prodotto (per esempio automobili), a tenersi sul mercato? Il fatto è che il capitale finanziario ha finito col sovrapporsi al capitale reale. Hilferding lo aveva previsto, ma anche Marx lo aveva intuito (con la formula D-M-D: si rilegga il primo volume de “Il Capitale” per vedere cosa significa). La “M”, merce, è comunque uscita di scena. Paesi prosperi come l’Irlanda o la Spagna sono messi in un angolo, declassati da entità futili quali le agenzie di rating. Agenti fasulli e obbrobriosi, che solo una teoria forsennata come il monetarismo, privo di qualsiasi base scientifica (come aveva dimostrato il compianto
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Federico Caffè in “Lezioni di politica economica”, Bollati-Boringhieri, 1980), poteva formulare.
Ebbene, proprio il monetarismo è la dottrina ufficiale dell’Unione Europea. Non conta quanto un Paese sia vitale e produttivo. Conta, per valutarlo, il suo indebitamento. Verso cosa? Verso un debito complessivo più grande. Tutti sono indebitati. Specialmente l’Africa, il continente più ricco di materie prime e di giacimenti. Guarda caso, sembra il più povero. I suoi abitanti fuggono al nord inseguiti dalla fame. Chi li perseguita? Una povertà naturale? No, il debito. Chi è ricco diventa povero, chi è povero diventa ricco. C’è qualcosa che non va.
Uno spettro si aggira per l’Europa e per il mondo: è un errore di calcolo. Non ha niente a che vedere con l’economia propriamente intesa, cioè con la ripartizione delle risorse tra gli appartenenti al genere umano, cercando di far sì che esistano beni per tutti. E’ una follia collettiva che va oltre le atrocità del capitalismo, cioè la versione moderna del rapporto tra padroni e schiavi. Siamo alla servitù delle cifre, si produca o no. Siamo servi di un registratore di cassa in mano altrui, che pare manipolato da un folle. Ma folle non è poi tanto. Sceglie quale classe colpire, per farla vittima delle sue bizzarre matematiche. E’ sempre la classe subalterna, quella dei salariati e degli stipendiati. Tutto si tocchi salvo i profitti e le rendite, essenziali ai fini dell’algebra astratta del regno della finzione economica. Dove chi non
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produce guadagna, chi produce soffre, chi sarebbe ricco è povero, chi è povero lo è per calcoli immateriali e per flussi di ricchezza inesistente fatti apposta per non beneficiarlo.
Il “debito pubblico” è un’astrazione legata a un’ideologia stupidissima, oggi l’unica insegnata nelle università – il “monetarismo”, più la sua variante volgare, la Supply Side Economy, cara a Reagan, alla Thatcher, a Pinochet – e il sistema, vergognoso, vi ha costruito sopra un intero edificio teorico. Smettiamo di essere servi di un pallottoliere privo di senso. Ma ricordiamoci anche di un vecchio motto: “Senza la forza la ragion non vale” (Andrea Costa, “Avanti!”, 1881). Non è un invito al terrorismo, bensì un’esortazione a tenere le piazze con la determinazione del dicembre scorso
 
Solo 5 paesi mancano ai Rothschild dove fondare una banca centrale.
3 feb 2013 ... Solo 5 paesi mancano ai ROTHSCHILD dove fondare una Banca Centrale. di
Dioni. Rothschild ..
http://www.informarexresistere.fr/2013/02/03/solo-5-paesi-mancano-ai-rothschild-dove-fondare-una-banca-centrale/ - Copia cache name=Encyclopedia&op=content&tid=135 - Copia cache
Papa Gesuita – Templari, Cavalieri di Malta e Blackwater
18 mar 2013 ... Il fatto che il nuovo papa sia un gesuita, il primo in assoluto, è un ... faro'
segretamente e apertamente una guerra senza fine contro tutti gli ... mettili insieme e capirai molte cose.:cool::cool::cool::cool::cool::cool::cool::rolleyes::rolleyes::rolleyes::rolleyes::rolleyes::rolleyes:
 
Avezzano stampa il «marso», la nuova moneta per rilanciare l’economia


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2 settembre 2013 |
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Autore Redazione | Stampa articolo
Fonte: http://www.corriere.it/cronache/13_agosto_31/avezzano-stampa-marso-nuova-moneta-anti-crisi_ed8f9b96-124a-11e3-a57a-42cc40af828f.shtml
Sono diverse le esperienze di questo tipo in Abruzzo. Il marso è un buono che garantirà sconti nel circuito dei commerianti locale


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La nuova moneta di Avezzano, il marso
AVEZZANO – Ad Avezzano, in provincia dell’Aquila, i nuovi acquisti si faranno con il marso (dal nome dell’area abruzzese conosciuta come Marsica), moneta «coniata» dal Comune a beneficio dei propri cittadini. L’intenzione è di rilanciare l’economia locale, in particolare il settore agroalimentare, e dare un po’ di respiro ai negozi di vicinato nella battaglia quotidiana contro la crisi. Il marso, che dovrebbe entrare in circolazione entro la fine dell’anno, sarà una moneta-non moneta: non potrà essere incassata né convertita (in quanto non sostituisce l’euro) e sarà valida esclusivamente nel circuito dei commercianti locali. Versati insieme agli euro, i marso daranno diritto a uno sconto e il negoziante che li riceverà potrà spenderli a sua volta in altri esercizi della città. Leggi il resto di questo articolo »





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Leasing dell'Oro che Non Avete Sentito

Etichette: analisi tecnica, Asia, cospirazioni, economia, informazione, metalli preziosi, traduzioni Invia tramite emailPostalo sul blogCondividi su TwitterCondividi su Facebook







di Byron King


Oggi voglio condividere qualcos'altro — qualcosa di straordinario — in base a quello che succede all'interno dei mercati dell'oro...

I grafici giornalieri non lo mostrano. Sì, il prezzo dell'oro è calato — lo si puo' vedere nei grafici. Ma l'oro fisico è ancora scarso. Cioè, è sempre più difficile e più costoso prendere in prestito l'oro. Non c'è abbastanza oro fisico per soddisfare tutti i bisogni, ed il relativo canone di locazione è in aumento... per così dire.

Cosa intendo? Un recente articolo sul Financial Times ha descritto una carenza del cosiddetto oro "in leasing." Secondo il Times, i costi per prendere in prestito l'oro "sono saliti ai massimi sin dalla corsa verso le uscite post-Lehman, dato che i mercati dell'oro si sono adattati ad una nuova era in cui la domanda degli investitori Occidentali è risultata meno dominante."

I numeri sono piccoli, ma le tendenze sono intriganti. Il tasso ad un mese per il leasing è passato dallo 0.12% di inizio Giugno allo 0.3% dei primi di Luglio. Si tratta di un aumento del 150% in un mese! E' il più alto tasso di leasing dell'oro sin dal 2009, anche se ancora ben al di sotto dei picchi nelle epoche precedenti.

Nel 2008, durante il crollo del mercato azionario — quando la gente vendeva qualsiasi cosa che attraesse un'offerta — i tassi di leasing ad un mese salirono al 2.7%. Nel 1999, verso la fine del decennio di stasi dell'oro, i tassi di leasing dell'oro erano al 9.9%. Allora, prendere in leasing l'oro ripagava appena lo sforzo... tenetelo a mente.



Uno Strano Modo di "Prendere in Prestito" Qualcosa...

Che cosa sta succedendo? In primo luogo, se non avete familiarità con il mercato del leasing dell'oro, c'è una buona ragione. Non dovreste saperne molto. Il leasing dell'oro è un'attività di nicchia, e in gran parte ad appannaggio di poche grandi banche (Goldman Sachs, JP Morgan, ecc.) e delle banche centrali. Il leasing dell'oro è praticamente off-limits per i piccoli investitori.

Le grandi banche "prendono in prestito" l'oro — è proprio quello che sembra — dai possessori di oro fisico come... oh, cavolo... le banche centrali. Dopo di che le cose si fanno nebulose. Pensiamo al "prestito" dell'oro come ad una specie di noleggio di un auto. Prendete una bella auto pulita con un pieno di benzina. La guidate e alla fine l'agenzia di noleggio si riprende la sua macchina.

Con l'oro "affittato," le banche prendono il metallo ma poi lo vendono ad utilizzatori industriali o forse agli investitori che vogliono la consegna fisica (a meno che non siete l'Università del Texas e volete roba per un miliardo di dollari). L'idea è che, alla fine, il mutuatario otterrà più oro da un'altra fonte — diciamo da una miniera o da una raffineria d'oro — e restituirà l'oro preso in prestito dalla banca centrale.

In pratica, gran parte dell'oro "affittato" esce per molti mesi, se non anni. Molti di questi "contratti di locazione" dell'oro sono stati estesi più volte, fino a molti anni.

In questo senso, il modello di leasing dell'oro è come noleggiare una macchina, guidarla fuori dal lotto e venderla immediatamente a qualcun altro. Poi incassate un grande bonus (perché siete un banchiere, giusto?), investite il denaro rimasto in altre cose e continuate a rinnovare il contratto di noleggio dell'auto per anni. Alla fine, un giorno forse, voi o il vostro successore potreste restituire una macchina diversa all'agenzia.

E' strano, vero? Eppure è così che funziona questo leasing dell'oro. Per molti aspetti, si tratta di una sovvenzione da parte delle banche centrali alle grandi banche (sorpresi?). Funziona — in qualche modo — in un ambiente in cui l'oro sale e dove tutti sorridono, firmano le carte e rinnovano i contratti. Ma quando il prezzo dell'oro scende? O quando l'offerta si riduce perché... diciamo... i compratori asiatici si impossessano dei contratti d'oro e quindi ne richiedono la consegna?

In questo momento, bisognerebbe capire che gran parte dell'oro mondiale "affittato" può rappresentare un "prestito permanente," se avete afferrato il mio ragionamento. Pensateci. I mutuatari da dove mai prenderanno il metallo giallo di cui hanno bisogno per restituirlo ai finanziatori? Così, i creditori ed i debitori continuano a rinnovare i contratti di locazione e spostano la "restituzione" più avanti nel futuro.

Se ve lo state chiedendo, il business del leasing dell'oro non è altro che l'ennesimo crollo finanziario destinato ad accadere quando i locatari alla fine non potranno restituire l'oro che hanno preso in prestito. Per ora, i mutuatari di oro hanno bisogno di locatori cooperativi disposti a rinnovare i prestiti nel futuro. Nel frattempo, il costo è rappresentato dal sopracitato rialzo dei tassi di interesse sul leasing dell'oro.



La Scarsità Affonderà il Leasing dell'Oro?

Negli ultimi anni, con l'aumento della quantità di oro nelle mani degli investitori (come GLD, singoli acquirenti e simili), il business del leasing dell'oro è rimasto piuttosto stabile. I tassi di locazione per l'oro hanno toccato punti di prezzo relativamente bassi.

Ma di recente molti ex-compratori si sono trasformati in venditori — almeno per quanto concerne l'oro "di carta." Secondo i banchieri impegnati nel leasing dell'oro, la disponibilità di oro fisico nel mercato dei prestiti si è ristretta. Questa contrazione dell'offerta ha innescato l'impennata osservata nei tassi di leasing dell'oro.

Un altro modo di vedere le cose è quello di tornare di nuovo agli anni '90: con i prezzi dell'oro bassi ed una scarsa volatilità, la comunità degli investitori non prevedeva l'esplosione dei prezzi che stava per accadere. Tenete a mente anche i tassi di locazione mensili molto elevati in quei giorni più sobri.

Ora, però, abbiamo un drammatico cambiamento nel mercato dell'oro. Molti investitori hanno recentemente venduto oro ("cartaceo" per lo più) in massa, innescando un crollo del 30% dei prezzi dell'oro sin dall'inizio dell'anno.

I mercati per il leasing dell'oro hanno trascorso quasi un decennio per abituarsi a prezzi sempre in aumento e ad una buona disponibilità dell'offerta da istituti di credito o da minatori. Ora, con il calo dei prezzi dell'oro, l'aumento dei tassi di interesse, la domanda asiatica di metallo fisico e la produzione mineraria precaria (ricordate il punto in cui il prezzo dell'oro si avvicinò al costo medio per oncia), il business del leasing dell'oro sta iniziando a farsi rischioso.

Anche se un grande debitore di oro dovesse riuscire a riconsegnare il bene — come se l'agenzia automobilistica chiamasse e chiedesse la restituzione del suo veicolo — aspettatevi una corsa per il metallo fisico, con un forte rialzo dei prezzi. Lungo la strada, provate a pensare come un'offerta fisica contratta potrebbe innescare una stretta agghiacciante tra quei fondi con posizioni short in oro, facendo potenzialmente salire i prezzi.

Sarà un buon momento per possedere oro fisico, che spero state comprando. E le quote di estrazione potrebbero offrire enormi vantaggi, in quanto gli ultimi arrivati potranno sfruttare un settore sottovalutato. I pezzi grossi nel settore minerario se la caveranno alla grande. Alcuni di quelli nelle gold junior potrebbero iniziare una magnifica salita.

Sì, si tratta di un mercato dell'oro molto strano. I prezzi nominali sono in calo, ma la scarsità è alta. I tassi di locazione sono elevati. Le carenze di fisico sono visibili. Alla fine, i mercati se ne accorgeranno.

Grazie per la lettura.



[*]
traduzione di Francesco Simoncelli





Reazioni: Pubblicato da Francesco Simoncelli a 11:13 AM




5 commenti:




Read more: Johnny Cloaca's Freedonia: La Storia sul Leasing dell'Oro che Non Avete Sentito
 
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RUPERT MURDOCH E LORD ROTSCHILD: I BARONI PETROLIFERI DELLA SIRIA OCCUPATA
Postato il Mercoledì, 04 settembre @ 00:10:00 CEST di davide
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DI CHRISTOPHER BOLLYN
therebel.org

Milioni di americani prendono le notizie dalla FOX News, il Wall Street Journal, o attraverso altri organi d’informazione di proprietà di Rupert Murdoch. Generalmente, questi organi d’informazione sono a favore di un’azione militare contro la Siria, ma non informano i loro spettatori e lettori che il signor Murdoch ha investito interessi nella guerra con la Siria.

Rupert Murdoch è comproprietario di una compagnia israelo-americana alla quale è stato concesso il diritto di cercare petrolio nelle alture del Golan – il territorio siriano occupato da Israele. È alquanto amorale che la FOX News non riveli queste informazioni al suo pubblico.

Israele ha accordato i diritti per la ricerca di petrolio all’interno della Siria, nel Golan appunto, alla Genie Energy. Rupert Murdoch e Lord Jacob Rothschild sono i principali azionisti della Genie Energy – la quale si interessa anche di gas da argille negli Stati Uniti e di olio di scisto in Israele. Anche Dick Cheney fa parte del comitato consultivo della compagnia.

Secondo il diritto internazionale, è illegale che Israele accordi diritti di ricerca del petrolio su territori occupati, come scrive Craig Murray nel suo articolo del febbraio 2013, dal titolo “Israele accorda diritti petroliferi in Siria a Murdoch e Rothschild”:
Il tentativo di Israele di sfruttare le risorse minerarie del territorio occupato delle alture del Golan è completamente illegale per il diritto internazionale. Singapore ha fatto causa al Giappone presso la Corte Internazionale di Giustizia per lo sfruttamento del suo petrolio durante la seconda guerra mondiale. Il contenzioso era basato sulla norma internazionale per cui una potenza occupatrice è in diritto di utilizzare pozzi petroliferi già in funzionamento e utilizzati dalla potenza sovrana, al cui posto è subentrata la potenza occupatrice; ma tra le autorità e i precedenti legali non c’è alcun disaccordo sul fatto che la realizzazione di nuovi pozzi – per non parlare delle fratturazioni idrauliche – da parte di una potenza occupatrice è illegale.​
Il fatto che Jacob Rothschild e Rupert Murdoch abbiano investito nei tentativi di ricerca di petrolio nei territori siriani occupati suggerisce che siano a favore del rovesciamento del governo Assad di Damasco, in modo da indebolire la Siria e dividere la nazione più o meno alla stessa maniera della Jugoslavia negli anni ’90.

Christopher Bollyn
 
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La fabbrica dei falsi della propaganda USA e dei media allineati


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3 settembre 2013 |
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Autore Luciano Lago | Stampa articolo

di Luciano Lago


Fonte:Foto usada por Kerry para `demostrar´ataque químico fue tomada en Irak | CONTRAINJERENCIA


Un altro clamoroso falso “fabbricato” dall’intelligence USA
Il segretario di stato USA, John Kerry, per dimostrare che l’attacco chimico sarebbe avvenuto in Siria per opera delle truppe di Assad, ha prodotto una vecchia foto che di 10 anni prima, il 23 maggio del 2003, presa durante la guerra in Iraq da un fotografo italiano, Marco Di Lauro. La foto mostra un gruppo di cadaveri che furono trovati a Al Musayyib e che furono trasportati all’interno di una scuola di Bagdad dove si vede un bambino che salta tra i corpi avvolti nei teli bianchi.
Questa fotografia è stata presentata dal segretario di stato USA Kerry alla stampa per dimostrare l’avvenuto attacco con armi chimiche in Siria, in realtà non è stata scattata in questo paese ma si riferisce alle vittime della guerra di aggressione fatta dagli USA dieci anni prima in Iraq.
La stessa fotografia è stata utilizzata anche dalla TV britannica BBC ma era stata utilizzata già prima per illustrare il massacro di Houla in Siria che era avvenuto nel maggio dell’anno passato.
Leggi il resto di questo articolo »
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04 SET 2013 16:33
TREMONTI RISPONDE ALLA GABANELLI: “I DERIVATI SONO APPARSI IN ITALIA NEGLI ANNI '90, TUTTI ANNI DOMINATI DAL CENTROSINISTRA”

“Negli anni ’90 furono ‘una cambiale per l’euro’, io li ho proibiti - Ho proposto un sistema come quello di Roosevelt che separava le banche d’affari e commerciali e un divieto a iscrivere i derivati nei bilanci fino alla scadenza. Ma questo Parlamento non la voterà mai”… - -



Lettera di Giulio Tremonti al Corriere della Sera
Giulio Tremonti
Caro direttore,
ho letto l'articolo di Milena Gabanelli pubblicato ieri sul «Corriere» sotto il titolo «La finanza che danneggia i cittadini e l'assenza di regole per i derivati. E adesso Tremonti presenta un disegno di legge antispeculazione». Grato per l'attenzione, noto quanto segue:
A) i derivati sono apparsi in Italia e si sono diffusi su scala crescente ed in forma anarchica negli anni '90, tutti anni dominati dal centrosinistra (esclusi otto mesi, nel 1994). Si ricorderà ad esempio, a proposito di finanziamento via derivati, la magica stagione del «rinascimento napoletano».
Giulio Tremonti
All'opposto di quanto scritto da Gabanelli, sono stato io, come ministro, prima a disciplinare i derivati degli enti locali (art.41, Legge finanziaria n. 448/2001) e poi a vietarli (art.3 Legge finanziaria n. 203/2008). In specie questa norma introduceva un (prima inesistente) espresso divieto di sottoscrivere contratti in derivati. Si ipotizzava, in senso permissivo, in deroga rispetto al generale divieto, un Regolamento ministeriale che disciplinasse la materia. Regolamento permissivo che tuttavia non ho mai emanato. Era infatti sempre più chiaro che vietare del tutto i derivati, come nel principio della legge, era molto più sicuro che permetterli, basandoli su incredibili «scenari probabilistici».
milena gabanelli
Sui derivati «nazionali», sempre fatti negli anni '90, nella forma di una «cambiale per l'euro» - questa fu la matrice di tutti i derivati - è forse meglio indirizzare altrove le ricerche;
B) la mia recente proposta di legge sui derivati (Atto Senato 945) è combinata con la parallela precedente proposta di legge sulla «separazione bancaria» (Atto Senato 717). Se, come banca, raccogli il pubblico risparmio, lo puoi usare solo per finanziamenti produttivi: per finanziamenti alle imprese, alle famiglie, alle comunità, etc. Se invece vuoi speculare, sei libero di farlo, ma a tuo proprio rischio e pericolo.
Tremonti Giulio
Il modello base di questa proposta, certo non un modello «pro» speculazione, è quello della legge «Glass Steagall», introdotta dal Presidente Roosevelt nel 1933 ed abrogata dal Presidente Clinton alla fine degli anni '90. E poi ancora il modello della legge bancaria italiana dal 1936, pure simmetricamente abrogata negli anni '90. Diversamente da quanto scrive Gabanelli, gli effetti delle due proposte non sono «pro», ma all'opposto «contro» la speculazione finanziaria.
GABANELLI CON IL GESSO
In specie, l'obbligo di contabilizzare i risultati dei derivati solo alla scadenza blocca in radice la convenienza al loro uso distorto e/o tossico, così i derivati non potendo più essere usati come strumento per la fittizia ed anticipata creazione di «valore» (sic)! È così che si vanifica all'origine l'interesse a fare finanza derivata e/o deviata. A mio parere la norma funziona a 360 gradi: se non c'è la prospettiva di profitto da una parte, non c'è infatti neppure rischio di perdita dall'altra. Ferme in ogni caso e non derogate le generali regole di prudenza contabile.
DERIVATI
Se Gabanelli mi convince tecnicamente, posso comunque emendare la mia proposta, prevedendo che le perdite non solo si segnalano nella «Nota integrativa», ma anche si contabilizzano in bilancio. Ma solo le perdite, non i profitti, questi assolutamente no! Secondo Gabanelli il mio «Disegno di legge (in realtà solo una proposta, non un disegno) andrà in discussione con la riapertura dei lavori parlamentari». Magari! In realtà non se ne discuterà affatto, in Parlamento, dato che questo è impegnato su altro. Ma almeno se ne discute sul «Corriere». Ed è anche per questo che ringrazio per l'ospitalità.
 

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