un,dos,tres,un pasito bailante by mototopo

venerdì 30 settembre 2011

Cinque banche hanno il 96% dei 250.000.000.000.000 di $ in derivati americani



Traduciamo quest'articolo pubblicato da Zero Hedge qualche giorno fa.


CENTINAIA DI TRILIONI DI DOLLARI


A questo ammonta la quantità di cartaccia che il sistema bancario si è inventato e ha fatto crescere a dismisura sino a quello che è oggi.
Ricordiamo che il debito pubblico degli Stati Uniti, questo mostro terribile, ammonta a circa 14,5 Trilioni. Il prodotto interno lordo degli USA vale circa la stessa cifra.
Il nostro terribile debito pubblico ammonta a meno di 2 Trilioni di euro.
Il prodotto interno lordo del Pianeta Terra si aggira sui 62 Trilioni di dollari.
E JPMorgan Chase da sola ha contratti derivati per 78 Trilioni di dollari...









Submitted by Tyler Durden on 09/24/2011


L’ultimo rapporto trimestrale dell’ Office Of the Currency Comptroller è appena uscito e come al solito ci presenta in un formato incisivo, chiaro e molto impressionante il fatto che le 4 banche più grosse negli USA contano nel sistema finanziario per un ammontare di rischio da derivati massicciamente sproporzionato.
Nello specifico, dei 250 Trilioni di dollari in valore nominale lordo in contratti derivati (comprese
Interest Rate, FX, Contratti Equity, Commodity e CDS) delle 25 maggiori banche commerciali (un numero che sale a 333 Trilioni di dollari se guardiamo alle 25 principali Bank Holding Companies) 5 banche da sole (in realtà 4) contano per il 95,9% di tutte le esposizioni sui derivati (la HSBC ha rimpiazzato la Wells nella top 5 delle banche, che con i suoi “soli” 3,9 Trilioni di dollari in esposizione nei derivati è ben distante dalla Goldman, 4° classificata, coi suoi 47,7 Trilioni).


Le top 4:


JPMorgan Chase > 78 Trilioni di esposizione in derivati
Citi Bank > 56 Trilioni di esposizione in derivati
Bank of America > 53 Trilioni di esposizione in derivati
Goldman Sachs > 48 Trilioni di esposizione in derivati


Queste quattro insieme fanno il 94,4 % dell’esposizione totale.


Come da tradizione il cuore dell’esposizione consolidata sono gli Interest Rate swaps ( 204.6 trilioni di dollari ), seguiti dal FX ( 26.5 trilioni di dollari ), i CDS ( 15.2 trilioni di dollari ), e le Equity e le Commodity con 1.6 trilioni di dollari e 1.4 trilioni di dollari rispettivamente.


Ed eccovi servita la definizione di Too Big To Fail, Troppo grosse per crollare: le banche più grosse non solo stanno diventando sempre più grosse ma la loro esposizione al rischio ha raggiunto i massimi di sempre e in crescita di 5,3 Trilioni nel primo trimestre, visto che per generare un penny in più di ritorno devono rischiare sempre di più nel mercato dei derivati.




A questo punto un economista al suo PhD se ne dovrebbe uscire urlando: “Queste sono un sacco di stronzate. Ci sono i netting bilaterali che eliminano quasi totalmente l’esposizione delle banche!”


Vero: questo è esattamente quello che dirà anche la OCC.
Come ci mostra la tabella qui sotto, concordemente col capo regolatore dello spazio dei derivati nel secondo trimestre il netting benefit è ammontato a un quasi record del 90,8 % dell’esposizione lorda, quindi, anche se sembrano massici quei XXX Trilioni di dollari, i numeri sono piuttosto.. piuttosto piccoli, no?




… Falso.
Il problema col netting bilaterale è che è basato su un presupposto grandemente fallace e cioè che in un collasso ordinato tutti i contratti derivati saranno onorati dalle banche di emissione (in questo caso la company che ha venduto la protezione, e che chi ha comprato la protezione spera compenserà la protezione che a sua volta il compratore ha già venduto).


Il miglior esempio di come il vizio di fondo dietro il netting bilaterale abbia quasi distrutto il sistema è l’AIG: la compagnia di assicurazioni è stata ad ore di distanza dal rendere carta straccia trilioni di contratti derivati quando è stata sul punto di implodere, lasciando tutti quelli che avevano comprato la protezione di quella società in braghe di tela, una contingenza che solo la Goldman ha salvato comprando protezione dalla AIG.


Il caso Lehman insegna che se va bene si recuperano 20 cent per ogni dollaro.
E no, neanche la risoluzione di Frank Dodd potrebbe farci niente per evitare un epico collasso del sistema.


...


Infine vi presentiamo l’esposizione per prodotto delle più grosse banche commerciali.
In particolare vogliamo favi notare che mentre la maggior parte delle banche hanno la parte preponderante della loro esposizione in derivati in IR swaps “plain vanilla” (che in media contano per più dell’80% del totale) Morgan Stanley, e nello specifico la sua banca commerciale con sede nello Utah, Morgan Stanley Bank NA, ha quasi esclusivamente un’esposizione legata coi ben più rischiosi contratti ForEx, per il 98,3 % del suo totale di 1,793 Trilioni.


Per una banca che non ha i guard-rail dei depositi e che ha una massiccia esposizione in banche Europee, anche pensando che altre varie banche si muoverebbero a salvare la Morgan Stanley, il fatto potrebbe forse fare alzare qualche sopracciglio …







Aggiornamento:
Proprio a proposito di Morgan Stanley


Aggiornamento:
 
lunedì 16 settembre 2013

NON SI PUO' USCIRE DALL'EURO SECONDO I TRATTATI? FALSO. BASTA SAPERLI LEGGERE.



Alcuni concetti giuridico-interpretativi, che, nell'attuale situazione possono risultare molto importanti:

1) l'uscita dall'euro, intesa come delimitato recesso dallo status di "Stato membro la cui moneta è l'euro", senza simultanea fuoriuscita dall'Unione europea (quale specificamente prevista all'art.50 del Trattato sull'Unione-TUE), ha un fondamento normativo ricavabile deduttivamente dall'art.139 del Trattato sul funzionamento dell'Unione- TFUE;

2) ciò, in primo luogo, significa che la condizione di "Stato membro la cui moneta è l'euro" (espressamente enunciata dall'art.139 anch'essa, in contrapposizione a quella di "Stato membro con deroga"), non è obbligatoria, ma soggetta alla precondizione essenziale di una libera manifestazione di adesione in tal senso dello Stato interessato (che tale deve sempre rimanere);

3) ciò è confermato senza ombra di dubbio dal par.3 del successivo art.140, in quanto non solo la acquisizione dello status di "Stato membro la cui monetà è l'euro" consegue alla "richiesta" di tale Stato, ma la deliberazione ammissiva finale, DEVE essere adottata all'unanimità tra gli Stati già aderenti e lo stesso Stato "in deroga" che già ne abbia fatto richiesta;

4) la domanda, alquanto ingenua in termini logico-giuridici, ma resa attuale e cruciale dalla propaganda dei "banchieri" e politicanti che hanno il monopolio dell'interpretazione dei trattati, allora è: questo consenso, da manifestare sempre come presente e da attualizzare, può essere revocato, riconquistando, ovvero acquistando per la prima volta (per un paese originariamente aderente, come l'Italia), lo status di "Stato membro con deroga"?
5) la risposta, e cerchiamo di dirlo con sintesi, non può che essere positiva. Innazitutto, per ragioni letterali ancorate, appunto, all'art.139: questo dispone che "in deroga" sia lo Stato per il quale il Consiglio abbia deciso che non soddisfi le condizioni necessarie per l'adozione dell'euro. Il che, conferisce, contrariamente a quanto credevano i banchieri autori del trattato, alla "uscita" un altissimo grado di discrezionalità in capo allo Stato interessato;

6) ed infatti, il Consiglio "decide" la non ricorrenza delle condizioni di adesione all'euro, in base alla richiesta dello Stato membro dell'UE : tant'è vero che non solo nessuna norma prevede la partecipazione obbligatoria all'euro, ma che lo stesso art.140 condiziona alla richiesta-consenso successivo dello Stato in deroga la successiva ammissione. ERGO, LA DECISIONE DEL CONSIGLIO CHE ACCERTA LA "IDONEITA'" E' UN ATTO AMPLIATIVO E NON RESTRITTIVO DELLA LIBERTA' NEGOZIALE DELLO STATO CHE VOGLIA ADERIRE: COME TALE, RIMANE (per principio generale) NELLA DISPONIBILITA' DI QUEST'ULTIMO, CHE PUO' RINUNCIARVI E DECIDERE DI NON FRUIRE DELLA "PATENTE" DI PAESE CHE SODDISFA LE CONDIZIONI DI ADESIONE, REVOCANDO LIBERAMENTE QUEST'ULTIMA;

7) ciò, a maggior ragione vale nel caso in cui lo Stato-membro interessato si avveda, anche a seguito di continui richiami delle istituzioni UE-UEM, circa il mancato "mantenimento" di tali condizioni, di non soddisfare più i requisiti di adesione. Quella che, appunto, in special modo sotto il profilo dell'ammontare del debito, è la condizione attuale, ed anche originaria, italiana. Condizione ora aggravata dagli oneri del fiscal compact: ulteriore "trattato" la cui efficacia è ontologicamente e giuridicamente subordinata al possesso del (revocabilissimo) status di "Stato membo la cui moneta è l'euro";

8) insomma, tutto il trattato è congegnato in modo da delineare l'adesione all'euro come un "qualcosa in più" e di vantaggioso per il paese che vi aderisce, e, ad un "vantaggio", si può sempre rinunziare. Tanto più che tedeschi (e francesi), hanno più volte pubblicamente manifestato la posizione di considerare l'adesione italiana alla moneta unica come un sacrificio cui si sottoponevano in una pretesa prassi cooperativa, senza, inoltre, aver mai lamentato o sostenuto qualunque inadempienza dei paesi "in deroga" che non avessero ancora espressamente richiesto di aderire;

9) quindi la "decisione" del Consiglio circa la soddifazione delle condizioni necessarie per l'adesione, vale, più che mai, come "rebus sic stantibus" e, per espresso dato normativo e sistematico del trattato, non può mai considerarsi "definitiva" e irreversibile, rimanendo, per coerenza con quanto accade in sede di adesione "successiva" ai sensi dell'art.140, subordinata alla perdurante unanimità di consenso che include la altrettanto perdurante volontà positiva dello Stato già aderente;

10) la fuoriuscita dall'euro, per revoca del proprio libero consenso (che tale deve rimanere nel tempo), consente allo Stato che manifesti tale volontà di accedere allo status di membro dell'Unione "con deroga". Ciò implica che vengono meno, ai sensi dello stesso art.139, non solo i vincoli del fiscal compact, ma anche quelli, espressamente enunciati dall'art.139, derivanti dalle norme che "non si applicano" agli Stati "con deroga". Tra essi spicca anche il mancato assoggettamento ai "mezzi vincolanti per correggere i disavanzi eccessivi, art.126, par. 9 e 11";
11) Fuoriusciti così da tutti i ricatti e le ipocrisie (disomogenei) esperibili contro l'Italia in caso di "disavanzo eccessivo" (lo vuole l'Europa), persino il nodo della banca centrale indipendente troverebbe ridefinizione. E' pur vero che il divieto di acquisto del debito pubblico (e gli altri divieti di azione della banca centrale nei confronti degli enti pubblici, in generale), ai sensi dell'art.123 TFUE, permangono anche in caso di Stato membro "con deroga", ma:
a) sarebbe possibile modificare la legislazione interna per consentire alla nostra BC di compiere questi interventi sui titoli sovrani (come fa la Bank of England), dato che l'adeguamento di tale legislazione è controllato dalla UE proprio in vista della futura adesione: e dunque la sanzione all'inadempimento sta nel non rinnovare la decisione del Consiglio di ammettere il paese in quella moneta unica da cui...si è appena voluti uscire. Cioè, non c'è un vero ostacolo giuridico, come dimostra la tranquilla azione di QE e di acquisto del debito perseguita da 2 anni dalla BOE;
b) sarebbe sempre possibile, comunque, che bankitalia agisse come...i tedeschi: cioè sottraendo dalle aste i titoli non collocati al tasso desiderato, trattenendoli in un "atipico" deposito e poi acquistandoli come "se fossero" già sul mercato secondario (una finzione cui finora nulla è stato mai opposto e che, comunque, fa leva sul fatto che tale acquisto "non diretto" non è vietato dai trattati).

Risolte "questioncine" come:
- il recupero della flessibilità del cambio (e della conseguente competitività di "prezzo"...anche su un "mercato unico" ove si riaprirebbero molte prospettive);
- l'assoggettamento al fiscal compact con i suoi esborsi, per noi paradossali ed esorbitanti, per la contribuzione ai vari fondi di salvataggio per gli Stati "la cui moneta è l'euro": oltre a non aggravare il nostro debito con ulteriori "ratei", ci andrebbero restituiti circa 45 miliardi e scusate se è poco...specie di questi tempi;
- il non doversi più preoccupare del pareggio di bilancio - con la "costituzionalizzazione" ce la possiamo vedere "all'interno", in termini di violazione dei principi fondamentali della Costituzione da parte della legge di "revisione"-, delle procedure di "deficit eccessivo, (di cui certo, nemmeno ora, si preoccupano Francia e Spagna);
- la incertezza del collocamento del debito, con possibilità di calmierazione, per più vie, dell'onere degli interessi (e poi, anche qui, la collocazione istituzionale della banca centrale ce la potremmo vedere con tutta una serie di norme nazionali e non più "volute dall'Europa", quindi democraticamente modificabili);
SI RICOMINCEREBBE A RAGIONARE. ANZI, A RESPIRARE.

Tante altre cose potrebbero essere fatte, SEMPRE SUL PRESUPPOSTO, preso in considerazione IN CONDIZIONE NON DI SHOCK RICATTATORIO, CHE LA COSTITUZIONE NON PUO' ESSERE ALTERATA NEI SUOI PRINCIPI FONDAMENTALI DA ALCUN TRATTATO INTERNAZIONALE. Ma questa parte la conoscete già molto bene. LA COSTITUZIONE, LA DEMOCRAZIA, SONO PIU' FORTI DEI "VINCOLI ESTERNI": PERCHE' COSI' STA SCRITTO IN ESSA. Insomma, siamo molto più liberi di decidere il nostro destino di quanto non ci voglia far credere il PUD€.
E' SOLO UNA QUESTIONE POLITICA (purtroppo
 
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SCIE CHIMICHE: INTERROGAZIONI ALLA COMMISSIONE EUROPEA


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19 settembre 2013 |
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Autore Redazione | Stampa articolo
http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/


CHEMTRAILS
di Salvatore Esposito


Il sonno della ragione altro che “teorie del complotto”. Non c’è alcuna dietrologia fantascientifica, ma solo fatti sempre più palesi a milioni di persone nel mondo. Evidentemente chi nega il fenomeno o non vuole guardare la realtà, oppure non ha mai letto la documentazione scientifica e tecnica in merito; ad esempio la Convenzione internazionale del 1978 (ENMOD) che vieta le sperimentazioni militari sull’ambiente.

Anche il Parlamento europeo ha affrontato sia pure raramente il fenomeno dell’aerosolterapia bellica della Nato. Ecco due interrogazioni in particolare.
La prima è l’interrogazione scritta (E-4449/06) di Hiltrud Breyer alla Commissione risalente al 17 ottobre 2006.

«Oggetto: Inspiegabili fenomeni atmosferici in Germania settentrionale. È la Commissione a conoscenza del fatto che, secondo molti media autorevoli, nei cieli della Germania settentrionale si stanno verificando fenomeni misteriosi? Già nel luglio 2005 vari schermi radar di diverse stazioni meteorologiche hanno osservato una presunta nuvola lunga sino a 400 km, benché non piovesse e il cielo non fosse coperto. L’inspiegabile rilevamento radar si è ripetuto alla fine del marzo 2006. Si tratta di un vero e proprio enigma per i meteorologi, i quali tuttavia concordano sul fatto che il fenomeno non ha alcuna spiegazione naturale come la presenza di stormi di uccelli o di cherosene degli aeromobili. Inoltre è da escludere un errore da parte dei dispositivi radar, in quanto diversi rilevamenti effettuati in modo indipendente hanno registrato la medesima situazione nei Paesi Bassi, ad Emden e Hannover. I meteorologi in tutto il territorio federale presumono che tali fenomeni nascondano esperimenti militari. Per esempio Jörg Asmus, meteorologo presso il Servizio meteorologico tedesco, ritiene che l’esercito stia volontariamente provocando cambiamenti meteorologici o stia simulando attacchi terroristici (cfr. Der Spiegel, 13/2006). Sia i fisici del Centro tedesco per l’aviazione e l’astronautica sia i geografi delle forze armate sono giunti alla conclusione che nell’atmosfera vengono rilasciate delle particelle per disturbare l’attività del radar di rilevamento delle precipitazioni. Anche l’Istituto federale dell’ambiente valuta seriamente il fenomeno. Di quali informazioni dispone la Commissione in merito ai Leggi il resto di questo articolo »

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Che forse c'entri qualcosa tutto questo??





Che forse c'entri qualcosa tutto questo??
Noooooo tranquiii...
Speculate e divertitevi...sul Titanic...
finchè dura....

La verità sulle spaventose cifre dell’economia mondiale
18 settembre 2013
Negli Stati Uniti il debito totale del sistema finanziario è di circa 56.280.790.000.000 dollari, mentre nei conti bancari del paese ve ne sono “solo” 9.283.000.000.000.
A livello mondiale il debito totale è di circa 190.000.000.000.000 di dollari.
Cifre tanto grandi che nemmeno si riescono a capire.

Il valore nominale di tutti i prodotti derivati nel mondo si situa fra 600.000.000.000.000 dollari e 1.500.000.000.000.000.
Il sistema finanziario mondiale è un castello di carte molto fragile, costruito sul debito.
Viviamo nella più grande bolla finanziaria di sempre..............
.
L'INFORMAZIONE INDIPENDENTE NON GODE DEL PRIVILEGIO DEI SUSSIDI STATALI
MA VIVE ANCHE GRAZIE ALLA PUBBLICITA'...





e non manca molto a che la bolla scoppi, causando un caos inimmaginabile.
Il peggior disastro finanziario della Storia.
Il sistema finanziario mondiale è più che mai interconnesso e una crisi in una regione del mondo può propagarsi a una velocità fulminea.
Il sistema bancario europeo nel suo insieme ha un sistema di leva di 26-1.
Un calo del valore degli attivi di solo 4% cancellerebbe i capitali propri della maggior parte delle banche.
Potenzialmente, il panico finanziario potrebbe far cadere i grandi istituti finanziari in un inarrestabile effetto domino.
2008 : cosa era successo a Wall Street?
Le banche che avevano il maggior effetto leva (che hanno preso a prestito molti più soldi di quanti ne avessero) sono fallite perchè i beni che avevano acquistato con quei soldi avevano perso valore, al punto che avevano fatto scomparire i soldi reali che detenevano.
Il sistema bancario europeo funziona a 26 per 1
Il colosso bancario americano Lehman Brothers, fallito nel 2008, funzionava a 30 per 1.
L’Europa nel suo insieme è solo di poco inferiore.
I 26 dollari presi a prestito sono investiti in obbligazioni sovrane europee.
Quando si funziona a 26 dollari per 1 dollaro, è sufficiente che gli attivi nei quali si è investito calino del 4% per essere in fallimento totale.
Questo calo del 4% dei prezzi degli attivi in Europa è già avvenuto.
Il solo motivo per cui non vi è ancora stato un crollo sistemico è che Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, ha dichiarato che avrebbe acquistato quantità illimitate di obbligazioni europee.
Draghi non ha proceduto ad alcun acquisto, ma ha rilasciato questa dichiarazione perchè gli attivi principali detenuti dalle banche europee sono le obbligazioni sovrane dell’Unione europea.
Se queste obbligazioni continuano a calare ne risulterà il temuto calo del 4% dei prezzi degli attivi, che annienterebbe tutto il capitale delle banche dell’UE.
Al momento nulla è cambiato, la BCE non ha fissato nulla.
Le banche hanno sempre una leva finanziaria di 26 a 1 e in pratica stanno sedute su una bomba a orologeria di debiti tossici.
I paesi della Zona euro – e gli Stati Uniti – sono già falliti
9.283.000.000.000 dollari – L’importo totale di tutti i depositi bancari negli Stati Uniti.
Il fondo assicurativo che dovrebbe garantire questi depositi dispone solo di 25 miliardi di dollari.
10.012.800.000.000 dollari – L’importo totale del debito ipotecario negli Stati Uniti.
16,749,269,587,407.53 dollari – L’attuale importo del debito nazionale americano.
32.000.000.000.000 dollari – Il totale dei soldi che l’élite mondiale ha depositato nelle banche offshore.
61.000.000.000.000 dollari – Gli attivi complessivi delle maggiori 50 banche al mondo.
212.525.587.000.000 dollari – Secondo il governo americano si tratta del valore dei prodotti derivati detenuti dalle 25 più grandi banche negli Stati Uniti.

(Fonte : quiperdgagne.fr)
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il grande bluff
 
come si finanziava l’Italia prima del divorzio fra Tesoro e Banca d’Italia (Parte 5)
di Daniele Della Bona


Quinta puntata della serie dedicata all’analisi storica e politica del mercato del lavoro in Italia (qui trovate la Parte 1; Parte 2; Parte 3 e Parte 4) e alla sua relazione con i vari shock di politica economica occorsi a partire dall’inizio degli anni ottanta: dal divorzio fra Tesoro e Banca d’Italia, all’indomani dell’entrata italiana nello Sistema Monetario Europeo (SME), fino alle politiche fiscali intraprese dai governi che si sono succeduti; per chiudere poi con lunga fase di crescente liberalizzazione del mercato del lavoro.
Oggi parleremo di come si finanziava il governo (cioè di come il Tesoro finanziava la propria spesa) prima del divorzio fra Tesoro e Banca d’Italia.
Prima del divorzio i canali di finanziamento del Tesoro presso la Banca d’Italia erano sostanzialmente due. Il primo era il cosiddetto “Conto corrente di Tesoreria”. Esso era un vero e proprio conto corrente bancario detenuto dal Tesoro presso la Banca d’Italia già a partire dal dopoguerra, nel quale come spiega questo documento pubblicato dalla Banca d’Italia (La Banca d’Italia e la Tesoreria dello Stato di Giuseppe Mulone, 2006, p.33):
confluivano giornalmente gli introiti e gli esiti in contanti eseguiti da tutte le sezioni di tesoreria. In un primo tempo, lo sbilancio del conto a debito del Tesoro fu fissato, in cifra fissa, nell’ammontare massimo di 50 miliardi di lire; successivamente (D.lgs. 544/48) la misura massima di indebitamento venne rapportata al 15 per cento del complessivo importo degli originari stati di previsione della spesa approvata dal Parlamento e delle successive variazioni di bilancio. In seguito, la L. 13/12/1964, n. 1333, in relazione alla mutata classificazione delle spese, ridusse tale percentuale al 14 per cento. I provvedimenti del 1948 prevedevano che ogni qual volta dalla situazione mensile della Banca d’Italia risultasse uno sbilancio a debito del Tesoro superiore al limite prestabilito la Banca stessa ne desse comunicazione immediata al Ministro del Tesoro per gli opportuni provvedimenti. Qualora l’indebitamento al Tesoro non fosse rientrato nei limiti di legge entro 20 giorni dalla suddetta comunicazione, la Banca d’Italia non doveva dare corso a ulteriori pagamenti di tesoreria fino a quando, a seguito di introiti o versamenti fatti dallo stesso Tesoro, lo sbilancio del conto corrente non fosse rientrato nel limite. Il meccanismo non mirava in teoria a facilitare il finanziamento della Banca d’Italia al Tesoro, ma solo ad assicurare a quest’ultimo una elasticità di cassa, attraverso la creazione di uno strumento di carattere temporaneo come una linea di credito e che non costituisse un vero e proprio finanziamento.
In pratica, come ricorda l’attuale Presidente della Bce, Mario Draghi, il Tesoro aveva la possibilità di “attingere a un’apertura di credito di conto corrente presso la Banca per il 14 per cento delle spese iscritte in bilancio” (Fonte: L’autonomia della politica monetaria. Una riflessione a trent’anni dalla lettera del Ministro Andreatta al Governatore Ciampi che avviò il “divorzio” tra il Ministero del Tesoro e la Banca d’Italia, 2011, p. 2-3)
Ossia, “il Tesoro poteva spendere sopra le proprie entrate utilizzando un ‘diritto di scoperto’ sul conto accentrato presso l’Istituto di emissione; diritto consentito fino al 14 per cento della spesa di bilancio” (Fonte: L’indipendenza della Banca d’Italia dal Governo negli anni Ottanta: cause interne e internazionali di Maria Luisa Marinelli, 2011, p. 148)
Il Tesoro quindi poteva cioè finanziare tramite la Banca d’Italia le spese iscritte nel suo bilancio preventivo (quindi non ancora materialmente effettuate) per un ammontare pari al 14 per cento del loro totale. Facciamo un esempio per capire meglio: supponiamo che il Tesoro decidesse di effettuare una spesa per un ammontare totale di 100, iscrivendo questa spesa nel suo bilancio preventivo, la Banca d’Italia a quel punto avrebbe dovuto garantire al Tesoro uno scoperto di conto pari a 14.
Il secondo canale di finanziamento del Tesoro presso la Banca d’Italia fu introdotto con la riforma del mercato dei Bot (Buoni ordinari del Tesoro) del 1975. A partire da quella data, come ricorda il solito Draghi, la Banca d’Italia si era “impegnata ad acquistare alle aste tutti i titoli non collocati presso il pubblico, finanziando quindi gli ampi disavanzi del Tesoro con emissione di base monetaria”. Anche Draghi, dunque, conferma quello che ci ha già detto Andreatta: la Banca d’Italia si impegnava a “garantire in asta il collocamento integrale dei titoli offerti dal primo” (Fonte). E questo era un fatto di enorme importanza per il Tesoro, dal momento che “gli interventi della Banca centrale alle aste dei titoli servivano a mantenere il tasso d’interesse a un livello stabilito, compatibile con l’esigenza del Tesoro di finanziarsi relativamente a buon mercato: semplicemente se il mercato non voleva i titoli al tasso stabilito dal Tesoro, la Banca d’Italia li acquistava, immettendo così moneta fresca nel sistema. Il Tesoro, certo, le pagava interessi, ma la Banca d’Italia poi glieli restituiva, e quindi per il Tesoro questo era debito a costo zero, equivalente al finanziamento di una parte del fabbisogno con moneta, la cosiddetta ‘base monetaria creata dal canale del tesoro’” (Il Tramonto dell’Euro di Alberto Bagnai, 2012, p. 184).
Facciamo un esempio: il Tesoro decide di offrire al mercato l’equivalente di 100 in titoli di Stato a un tasso d’interesse fissato del 3 per cento (faccio notare che il tasso veniva fissato dal Tesoro stesso, non dal mercato come avviene oggi). Ipotizziamo adesso che il mercato avesse deciso di acquistare solamente 80 di questi titoli. Cosa sarebbe successo a questo punto? Si sarebbe scatenato il panico perché non ci sarebbero stati sono i soldi per finanziare la spesa per scuole, ospedali, infrastrutture? Niente affatto. A quel punto la Banca d’Italia sarebbe intervenuta, acquistando gli altri titoli, equivalenti a un controvalore di 20. “E la Banca d’Italia – si chiederà qualcuno – dove prendeva questi soldi?”. Semplice: li creava dal nulla, trasferendoli poi sul conto corrente detenuto dal Tesoro presso di essa. Come conseguenza la Banca avrebbe poi registrato i titoli acquistati alla voce attivi sul suo bilancio e l’incremento equivalente operato sul conto del Tesoro fra i passivi. A questo punto, il Tesoro avrebbe potuto tranquillamente spendere quel denaro, che indovinate un po’ a chi finiva? Ai privati. Sotto forma di reddito diretto (lo stipendio di un impiegato comunale, di un insegnate, di un medico…) o di reddito da interesse percepito dai detentori dei titoli del debito pubblico (parleremo della differenza nella distribuzione di questa spesa).
“Sì, ma in questo modo – si potrebbe obiettare – il Tesoro non si sarebbe indebitato con la Banca d’Italia?”. La risposta è no, dal momento che la vendita di titoli da parte del Tesoro alla propria Banca Centrale, a differenza di quanto erroneamente pensano in molti (ogni riferimento ai signoraggisti è puramente voluto), non costituisce affatto un indebitamento reale verso essa. Come spiega l’economista francese Alain Parguez, infatti, tale procedura costituisce una semplice operazione contabile “fittizia”: “la quota di disavanzo che non è assorbita dalla vendita di obbligazioni [presso il mercato, nda] viene assorbita dalla vendita fittizia di tali obbligazioni alla Banca Centrale. Si tratta della cosiddetta componente ‘monetaria’ del vincolo di bilancio” (Parguez A., The Tragedy of Disciplinary Fiscal Economics or Back to the Ancien Régime, 29th Annual Conference of the Eastern Economic Association, New York, 2003)
Tesoro e Banca d’Italia agiscono, in questo caso, di concerto, ma è il primo a indirizzare l’operato della seconda, stabilendo l’ammontare della spesa, la quantità di titoli da emettere e il tasso d’interesse al quale offrire quei titoli. In quest’ottica, dice sempre Parguez, bisogna considerare “l’esistenza della Banca Centrale come ramo bancario dello Stato. Nel bilancio della Banca Centrale, la controparte del deficit [pubblico, nda] si traduce nell’accumulo sul lato delle attività di titoli del debito pubblico ad un tasso di rendimento fissato dal Tesoro. In questo caso il debito pubblico non è altro che un debito che lo Stato ha con sé stesso” (Parguez A., The true rules of a good management of public finance, mimeo, 2010).
E anche Luigi Spaventa, per citare un noto ed eminente economista italiano, riconosceva candidamente questo fatto già nel lontano 1984. Leggete cosa scriveva: “lo stock di base monetaria creata tramite il canale del Tesoro può essere considerato un debito solo convenzionalmente. Ciò si vede bene qualora si consolidi il Tesoro con la Banca Centrale: in questo caso manca un vero e proprio debito corrispondente alla base monetaria creata dalla Banca d’Italia per conto del Tesoro, e in ciò consiste l’essenza del potere del signoraggio” (Spaventa L., La crescita del debito pubblico in Italia: evoluzione, prospettive e problemi di politica economica, Moneta e Credito, Volume n. 37 , Fascicolo n. 147, 1984).
Il punto fondamentale da capire è che anche governi che dispongono della piena sovranità monetaria tendono a creare assetti istituzionali che (operativamente parlando) separano l’azione svolta dal Tesoro e dalla Banca Centrale (i motivi possono essere molteplici e sicuramente il principale è l’incomprensione di fondo di come funzionano i sistemi monetari, oltre a un preciso orientamento ideologico di fondo contro lo Stato e la sua inefficienza, la spesa pubblica…). Ma, nella sostanza, questa divisione di ruolo non intacca il fatto che il potere di emissione di monetaria, essendo emanazione del potere che Parlamento e Governo esercitano in nome del popolo sovrano, sia nelle mani del Tesoro. E l’Italia prima del divorzio ne era un esempio lampante.
Per capirlo, vediamo passo dopo passo cosa avveniva durante il processo di vendita di titoli di Stato da parte del Tesoro alla Banca d’Italia. Dunque, ipotizziamo che la Banca d’Italia acquistasse dal Tesoro un ammontare di titoli di Stato pari a 100. Questa sarebbe stata la situazione nei rispettivi bilanci: la Banca d’Italia registra fra le attività i titoli di Stato acquistati e fra le passività l’incremento equivalente messo a disposizione sul conto corrente del Tesoro; specularmente il Tesoro metterà al passivo i titoli di Stato venduti alla propria Banca Centrale e all’attivo l’incremento equivalente del suo conto. Ecco un’immagine per esemplificare il tutto:

Notate subito una cosa: se consolidiamo i bilanci di Tesoro e Banca d’Italia di fatto non esiste un indebitamento del Tesoro (come scriveva lo stesso Spaventa), passività e attività si compensano a vicenda; ma, questa semplice operazione contabile “fittizia” (Parguez) permette al Tesoro di creare dal nulla i fondi necessari a finanziare la sua spesa.
Il Tesoro dunque effettua la sua spesa: ipotizziamo che sia equivalente a 100 per costruire una scuola; paga le aziende incaricate di realizzare l’opera accreditando i loro conti correnti detenuti presso le varie banche private (per semplicità ipotizziamo che ci sia una sola banca commerciale che rappresenta di fatto l’aggregato di tutte le banche commerciali esistenti). Ecco la nuova situazione (vi consiglio di aprire l’immagine in una nuova scheda, basta cliccarci sopra):

Andiamo con ordine: il Tesoro ha effettuato la sua spesa e dunque il saldo del suo conto corrente presso la Banca Centrale diventa zero; i soldi spesi dal Tesoro sono finiti ad aziende e famiglie che hanno lavorato per costruire la scuola, che (per ora) decidono di lasciarli in banca sotto forma di depositi; la banca commerciale registra fra le passività il denaro che famiglie e aziende detengono presso di essa, dal momento che quelli sono soldi che la banca “deve” ai propri clienti; allo stesso tempo, però, contemporaneamente all’aumento dei depositi la banca commerciale vede crescere in egual misura anche le sue riserve detenute presso la Banca Centrale (utilizzate per regolare i pagamenti con le altre banche e per far fronte alla riserva obbligatoria).
Facciamo un ulteriore passo avanti: ipotizziamo (realisticamente) che famiglie e imprese non detengano tutte le loro attività sotto forma di depositi ma che decidano di detenere una quota delle loro attività sotto forma dei contanti (circolante), per esempio 10. In questo caso avremo una variazione che coinvolge i bilanci della banca commerciale e della Banca Centrale. Ecco come:

Adesso, arriviamo a un punto cruciale (attenzione: capire questo significa capire uno snodo importante del funzionamento delle operazioni effettuate dalla Banca Centrale!): ipotizziamo che la Banca Centrale imponga un obbligo di riserva alle banche commerciali pari al 10 per cento dei loro depositi. Nel nostro esempio i depositi delle banche commerciali ammontano complessivamente a 90, dunque le banche commerciali saranno obbligate a detenere a riserva obbligatoria 9 di questi 90. La domanda fondamentale a questo punto è: cosa faranno le banche con le riserve in eccesso, quelle che non sono obbligate a detenere presso la Banca Centrale, nel nostro caso 81? Le possibilità sono solamente tre:
1) Le banche commerciali possono mantenere le riserve in eccesso presso la Banca Centrale e percepire un interesse piuttosto modesto su di esse (oggi, per esempio, nell’Eurosistema questo tasso d’interesse, chiamato deposit facility, è pari a zero).
2) Le banche che hanno un eccesso di riserve possono prestarle (sul mercato interbancario) a quelle che hanno carenza di riserve e devono far fronte alla riserva obbligatoria. Ma, come avviene nel nostro esempio, se in aggregato le banche commerciali hanno un eccesso di riserve significa che complessivamente una volta che tutte le banche sono in grado di far fronte all’obbligo di riserva permarrà una situazione di eccesso di liquidità; quindi le banche cercheranno di piazzare queste riserve in eccesso in vista di guadagni maggiori. E qual è la loro unica opzione?
3) Nel momento in cui il rendimento dei titoli di Stato si colloca anche leggermente al di sopra del tasso d’interesse percepito sulle riserve in eccesso detenute presso la Banca Centrale e del tasso d’interesse interbancario (quello al quale le banche si prestano denaro fra di loro), è nell’interesse delle banche commerciali liberarsi di quelle riserve in modo da ottenere un’attività sicura, facilmente scambiabile ed estremamente liquida, con un rendimento maggiore. Ecco quindi che esse saranno ben liete di acquistare dalla Banca Centrale i titoli di Stato (sul perché la Banca decida di venderli parleremo in uno dei prossimo post in cui vedremo come la Banca Centrale fissa il tasso d’interesse di riferimento).
Ecco quindi la nuova situazione che si viene a creare:

Dunque, riepilogando, questa è tutta le sequenza che abbiamo visto:
1) Il Tesoro emette dei titoli di Stato, li vende alla propria Banca Centrale sul cosiddetto mercato primario (la Banca d’Italia fino al 1981 era obbligata ad acquistare tutti quelli non venduti in sede d’asta).
2) Il Tesoro effettua così la propria spesa a favore dei privati (costruzione di ospedali, scuole….) e accredita i conti correnti delle aziende e famiglie incaricate di eseguire il lavoro.
3) Il denaro così immesso nel circuito bancario crea un eccesso di riserve bancarie rispetto agli obblighi di riserva. Le banche commerciali avranno quindi tutto l’interesse ad acquistare sul mercato secondario i titoli precedentemente acquistati dalla Banca d’Italia, dal momento che essi garantiscono un tasso d’interesse maggiore di quello che le banche otterrebbero lasciando le riserve in eccesso parcheggiate presso la Banca Centrale.
Questo meccanismo (che io ho esemplificato) trova piena conferma empirica in un paper pubblicato nel 2012 dalla Banca d’Italia (Monetary policy and fiscal dominance in Italy from the early 1970s to the adoption of the euro: a review di Eugenio Gaiotti e Alessandro Secchi) che a pagina 27 mostra l’ammontare netto di titoli di Stato (cioè la differenza fra i titoli acquistati dalla Banca Centrale e quelli ripagati dal Tesoro alla Banca stessa) acquistati dalla Banca d’Italia sul mercato primario (in blu) e di quelli scambiati sul mercato secondario da parte della Banca d’Italia con le banche commerciali (in grigio).

Come scrivono gli autori: “la figura conferma che gli acquisti di titoli di Stato (al netto,nda) sul mercato primario da parte della Banca d’Italia sono progressivamente aumentati durante gli anni settanta, raggiungendo il picco nel 1981, poi si sono rapidamente ridotti dopo il “divorzio” (cioè da quando la Banca d’Italia non era più costretta a garantire in asta il collocamento integrale dei titoli emessi dal Tesoro, ma poteva intervenire in via facoltativa, nda), sebbene siano rimasti positivi per il resto del decennio. [...] Negli anni novanta, dal momento che gli acquisti lordi sul mercato primario scesero a zero, il canale Tesoro distruggeva liquidità per un’ammontare pari ai titoli in scadenza detenuti in portafoglio dalla Banca d’Italia, mentre le operazioni sul mercato aperto creavano liquidità per fini di controllo monetario”.
In sostanza il grafico ci dice che nel momento in cui i titoli detenuti dalla Banca d’Italia giungevano a maturazione il Tesoro emetteva altri titoli, per un ammontare maggiore di quelli a scadenza e li vendeva alla Banca d’Italia. In sostanza il debito veniva ripagato emettendo altro debito che veniva venduto alla Banca d’Italia (ricordiamo che si tratta di una vendita “fittizia”, Parguez) e questo per tutti gli anni settanta e ottanta. Poi, con l’entrata in vigore il primo novembre 1993 del Tratto di Maastricht, viene vietata la “concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra facilitazione creditizia, da parte della Banca centrale europea o da parte delle Banche centrali degli Stati membri [..] a istituzioni o organi della Comunità, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della Banca centrale europea o delle Banche centrali nazionali”. Il Trattato, inoltre, sancisce anche l’abolizione del Conto corrente di Tesoreria.
Come conferma il professore della Bocconi, Luca Fantacci: “Nessuno stato è in grado di ripagare i propri debiti. D’altro canto, gli stati non sono nemmeno tenuti a ripagare i loro debiti. I debiti degli stati, da quando hanno preso la forma di titoli negoziabili sul mercato, ossia da poco più di trecent’anni, non sono più fatti per essere ripagati, bensì per essere continuamente rinnovati e per circolare indefinitamente. I titoli di stato sono emessi, sono acquistati e rivenduti ripetutamente sul mercato e, quando giungono a scadenza, sono rimborsati con i proventi dell’emissione di nuovi titoli” (fonte).
Quindi, fino al 1981 il Tesoro aveva la possibilità di finanziare la propria spesa utilizzando (oltre alla vendita di titoli presso privati) denaro fresco, creato dal nulla dalla Banca d’Italia tramite l’acquisto “fittizio” di titoli emessi dal Tesoro; questo denaro veniva immesso all’interno del settore privato (famiglie e aziende) all’atto della spesa pubblica. In pratica, a livello operativo, la Banca d’Italia “consentiva” semplicemente al Tesoro di monetizzare il proprio disavanzo.
Capite bene che, in un contesto di questo tipo, il potere monetario non era affatto indipendente e sovraordinato agli altri; al contrario, il suo controllo era ben saldo nelle mani del Tesoro, che a sua volta rispondeva al governo, al parlamento e al controllo della magistratura. In altre parole, il suo esercizio avveniva, nonostante tutti i limiti che potesse avere (la corruzione, la casta, i favori al cugino, le ostriche e lo champagne), all’interno del circuito democratico.
 
con forme differenti e div metodologie,ma funziona cosi in molte parti del mondo, ricorda da vicino .....................................................:cool::cool:
 
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