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IL DENARO E LA LEGGE
Postato da
leonardofaccoeditore il 26 gennaio 2013 |
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DI GIOVANNI BIRINDELLI
Alla base dello Stato moderno (o totalitario) stanno due frodi: quella della legge e quella del denaro. Il potere politico ha infatti sostituito la legge e il denaro con cose a cui dà lo stesso nome, rispettivamente, ma che non hanno niente a che vedere con essi. Grazie a queste due frodi è stato possibile spianare la strada al totalitarismo “vecchio” (nazismo, fascismo, comunismo) e a quello “nuovo” (la cosiddetta “socialdemocrazia” contemporanea); è stato possibile distruggere l’economia di mercato e creare il declino economico di lungo periodo. Il tutto a beneficio di chi detiene il potere politico (la cosiddetta “Casta”) e, nel breve periodo, di alcuni di coloro che da questa si sono fatti comprare (con i soldi espropriati ad altri) per ottenere determinati privilegi.
Se, a causa della loro enormità (oltre che della mancanza di strumenti), sono pochi coloro che riescono a vedere queste due frodi, sono ancora di meno coloro che riescono a vedere la relazione causale esistente fra di esse.
Non deve sorprendere che l’oggetto di queste due frodi siano stati la legge e il denaro. Essi infatti hanno una caratteristica comune che li rende insopportabili per il potere politico: come
tutte le istituzioni sociali che non sono il risultato del disegno razionale dell’uomo, la legge e il denaro sono entrambi il risultato di un processo spontaneo e disperso di selezione culturale di usi e convenzioni di successo. In altri termini, la legge e il denaro sono due ordini spontanei e quindi vincoli: cose che il potere politico non può cambiare a proprio piacimento dall’oggi al domani.
La legge che vieta il furto, per esempio, è il risultato di un processo spontaneo di selezione culturale di usi e convenzioni che inizia con l’osservazione che la convenzione di distinguere ciò che è di Tizio da ciò che è di Caio riduceva la conflittualità all’interno della società, la quale quindi, introducendo questa convenzione, prosperava e diventava più forte rispetto ad altre che non la introducevano. Questo processo “finisce” con la lenta e graduale trasformazione di questa convenzione (inizialmente introdotta per motivi di interesse) in principio morale, e quindi generale e astratto (che, in quanto tale, deve essere rispettato di per sé, indipendentemente da questioni di interesse): questo principio è la legge.
Ciò che rende la legge un vincolo, anche e soprattutto per il potere politico, è proprio il modo in cui essa è nata: il fatto cioè che non sia stata decisa, che sia indipendente dalla volontà di chiunque, anche e soprattutto dell’autorità. Non è difficile quindi capire le ragioni per cui il potere politico sia stato ansioso di liberarsi della legge. Per poter “stampare” tutte le “leggi” che voleva, il potere politico ha sostituito la legge (il principio generale e astratto, il limite al potere) col suo inverso (il provvedimento particolare, lo strumento di potere). Naturalmente, nel fare questo il potere politico ha dato a quest’ultimo lo stesso nome (“legge”) così che le persone, credendo di rispettare la legge, seguissero come pecore i suoi comandi (il totalitarismo si regge sulle persone perbene).
Una volta sostituita la legge col suo inverso, il potere politico è diventato illimitato e non ha avuto più nessun ostacolo a distruggere e dissanguare le persone e l’economia per il proprio interesse particolare e/o per un arbitrariamente definito “interesse del paese” (Mario Monti, almeno in questo, gliene va dato atto, eccelle).
Anche il denaro è il risultato di un processo di selezione culturale di usi e convenzioni di successo. Nell’economia di baratto, per avere tot mele Tizio doveva dare in cambio a Caio, che aveva mele da vendere, tot uova. Il processo spontaneo di selezione culturale di usi e convenzioni che porta al denaro inizia con l’osservazione che, all’epoca, esisteva una merce (per esempio il bestiame) che non solo Tizio e Caio ma che tutti o quasi tutti volevano (nelle parole di Menger e di Mises, rispettivamente, la merce “più esitabile” o “più commerciabile”); e che, se utilizzava questa merce al posto delle uova delle sue galline, per Tizio era molto più facile entrare in possesso di tot mele (in quanto non doveva necessariamente trovare ogni volta la persona che in quel momento voleva tot uova). Questo processo finisce quando la merce più commerciabile è generalmente riconosciuta e utilizzata e corrisponde alle esigenze di una determinata epoca. Nella nostra epoca, la merce che avrebbe le caratteristiche della merce più commerciabile, cioè la capacità di essere denaro (se il suo uso come mezzo di scambio non fosse vietato dall’autorità), è probabilmente l’oro.
Come la legge, e per le stesse ragioni, anche il denaro è un vincolo: l’oro, per esempio, non può essere stampato a piacimento. Estrarlo costa e comunque, tranne che in casi straordinari, la sua quantità non varia molto velocemente e comunque non arbitrariamente. Quindi dove il mezzo di scambio è solamente il denaro, per esempio l’oro (o, il che è lo stesso, banconote a cui corrisponde una quantità fissa di oro e che, presentandole in banca, possono essere convertite in oro in ogni momento senza rischi di non trovare immediatamente una quantità di oro corrispondente), il potere politico è limitato: se vuole finanziare una guerra, per esempio, oppure i giornali, le infrastrutture, il cinema, la ricerca, le mostre, i concerti, le olimpiadi, oppure gli stipendi e i vitalizi dei parlamentari o le centinaia di milioni di euro l’anno per il Quirinale, eccetera… se vuole finanziare tutto questo e altro, dicevo, e, poniamo, gli è impossibile alzare ulteriormente le tasse e il debito pubblico (per esempio perché è al limite in entrambi i casi – ogni riferimento alla situazione italiana è puramente intenzionale), non può farlo.
Non sono difficili da capire, quindi, le ragioni per cui lo Stato, in Europa guarda caso in corrispondenza dell’inizio della Prima Guerra Mondiale, sia stato ansioso di liberarsi del denaro, cioè di abbandonare la parità aurea: come nel caso della legge, ciò gli consentiva di stampare quante banconote voleva e quindi di aumentare ulteriormente, mediante l’inflazione, le tasse sui cittadini senza che loro se ne accorgessero. Come dice Gary North in
Cosa è il Denaro, se non si fossero liberati del denaro, gli Stati europei non avrebbero potuto finanziare la Prima Guerra Mondiale e quindi questa non ci sarebbe stata (né la Seconda): “per finanziare le guerre i governi avevano necessità di inflazionare la massa monetaria. Lo standard aureo glielo impediva, così i politici e i banchieri centrali lo impedirono per decreto”.
L’effetto economicamente distruttivo dell’abbandono del denaro, tuttavia (cioè della sua sostituzione con un pezzo di carta e oggi nemmeno con questo, visto
il divieto dell’uso del contante per consentire l’ulteriore espansione dello Stato totalitario), va ben oltre l’inflazione: esso consiste anche e soprattutto in una distorsione della struttura produttiva (
misdirection of production), cioè dell’allocazione del capitale. Stampando moneta, il potere politico (o per esso il suo agente: le banche centrali cosiddette “indipendenti”, cioè nominate dal potere politico e titolari, grazie a questo, di un monopolio legale), ha prodotto informazioni sbagliate, in particolare sul tasso d’interesse (ogni volta che un prezzo -in questo caso il prezzo del capitale finanziario- viene fissato arbitrariamente, cioè fuori dal libero mercato, si producono informazioni sbagliate e si mette in moto un processo di distruzione economica). Sulla base di queste informazioni sbagliate sono stati fatti investimenti sbagliati. La recessione è il modo in cui l’organismo dell’economia di mercato cerca di ripulire sé stesso da questi investimenti sbagliati. Tuttavia, se la stampa di denaro (ma più in generale l’interventismo economico da parte dello Stato) e quindi la produzione di informazioni sbagliate non smettono
di essere possibili, il ciclo economico e quindi il declino non si fermeranno (con buona pace di coloro che vorrebbero “fermare il declino” senza aggredire le frodi che lo hanno prodotto). Come sinteticamente riassume Friedrich von Hayek in
Monetary Theory and the Trade Cycle, “[cambiamenti nella quantità di moneta - per esempio la stampa di moneta legale da parte delle banche centrali oppure un'espansione del credito che, grazie al meccanismo della riserva frazionaria, non richiede un aumento del tasso d'interesse] fanno sì che un determinato prezzo (il tasso di interesse) devii dalla posizione di equilibrio, e … deviazioni di questo tipo
necessariamente producono tali cambiamenti nella posizione relativa dei vari settori produttivi che dopo è inevitabile il precipizio verso la crisi”.
Quindi sia la “legge” fiat che il “denaro” fiat servono allo Stato per “governare l’economia”, cioè per distruggerla. Ora, tutti quei (pochi, purtroppo) economisti che oggi si riconoscono nella Scuola Austriaca conoscono molto bene gli effetti economici distruttivi della contraffazione del denaro e, più in generale, dell’interventismo economico da parte dello Stato. Ma non tutti tengono nella dovuta considerazione il fatto che la contraffazione del denaro, e più in generale l’interventismo economico, sono resi possibili dalla contraffazione della legge e che quindi, se si vuole impedire la prima contraffazione occorre anche, necessariamente, impedire la seconda.
Come dice Bruno Leoni in
La libertà e la legge, “Anche quegli economisti che hanno difeso nel modo più brillante il libero mercato dall’interferenza delle autorità hanno, di solito, tralasciato la considerazione parallela che nessun libero mercato è veramente compatibile con un processo di legislazione centralizzato da parte delle autorità”. Facendo riferimento alla stampa di moneta legale, Gary North giustamente sostiene che “[P]oiché gli Stati sono essi stessi dei contraffattori, non vogliono nella maniera più assoluta che qualcuno invada il loro campo d’azione. Le leggi odierne contro la contraffazione sono semplicemente il risultato di una particolare forma di guerra fra bande criminali”. Ma se oggi la contraffazione (così come la violazione dell’uguaglianza davanti alla legge -vedi progressività fiscale-, il furto e qualunque altra violazione della legge intesa come principio) può essere resa legale in alcuni casi particolari decisi dall’autorità, ciò è dovuto solo e soltanto al fatto che oggi per legge si intende non il limite al potere arbitrario (il principio generale e astratto che esiste indipendentemente dal volere e dalle decisioni dell’autorità) ma lo strumento di potere arbitrario (il provvedimento particolare deciso dall’autorità). In altre parole, se oggi la contraffazione (per esempio) è permessa in alcuni casi particolari (guarda caso allo Stato che detiene il monopolio della violenza), ciò è dovuto in ultima istanza al fatto che il potere politico (quello di approvare provvedimenti particolari) non è separato da quello legislativo (quello di scoprire, custodire e difendere principi generali e astratti che valgono per tutti, Stato incluso, sempre, senza eccezioni, allo stesso modo).
Per sconfiggere lo Stato totalitario e produttore di miseria, cioè lo Stato moderno e la cosiddetta “socialdemocrazia”, occorre agire contemporaneamente su più fronti, non solo su quello economico. Le politiche keynesiane (ma anche quelle monetariste) non vanno combattute solo sul piano economico: ciò che le rende
possibili è un’idea astratta di legge che chi le difende non è in grado di difendere. Ci vuole un approccio integrato