un,dos,tres,un pasito bailante by mototopo

CAPOTERRA RAC





IL RACKET DELLA PROTEZIONE DI WALL STREET E I DERIVATI NASCOSTI. I DERIVATI DELLA JP MORGAN PUNTELLANO IL DEBITO USA E IL SENATO DA' MANO LIBERA A JAMIE DIMON


economic_crisis_in_the_us_284535.jpg
Quando Jamie Dimon, amministratore delegato della JP Morgan Chase Bank, è apparso il 13 giugno davanti alla Commissione per le Attività Bancarie del Senato [Senate Banking Committee], indossava gemelli col sigillo presidenziale. “Dimon stava cercando di inviare un qualche messaggio, indossando quei gemelli?” ha domandato John Carney, redattore della CNBC. “Stava per caso... insinuando che era lui, in realtà, quello che comanda?” [1]

L'atteggiamento servile dei senatori era così smaccato da ispirare a Jon Stewart un finto servizio satirico in un pezzo sull'Huffington Post intitolato “Jon Stewart stigmatizza il crudele atteggiamento inquisitorio del Senato contro Jamie Dimon.” e Matt Taibbi ha scritto un editoriale dal titolo “All'udienza per Dimon i senatori strisciano, coprendosi di vergogna.” E afferma che l'intera scena era dolorosa da guardare. “Ma che sta succedendo con questa commissione senatoriale?” si è chiesto Stewart. “Baciano le chiappe di Jamie Dimon come se fossero a libro paga della JPMorgan.” La spiegazione, fornita da una successiva notizia in video, è che la JPMorgan Chase è la principale finanziatrice elettorale di molti dei membri della Commissione per le Attività Bancarie.

Si tratta della risposta più ovvia, ma gli analisti finanziari Jim Willie e Rob Kirby ritengono che il retroscena possa essere molto più ampio, profondo e inquietante. Sostengono che le perdite di 3 miliardi e più di dollari in transazioni speculative avvenute a Londra (oggetto dell'udienza [2]) possono essere ricondotte non ai debiti sovrani europei (come si sostiene), ma ai tassi di interesse sui titoli di stato statunitensi, tenuti eccezionalmente bassi.

Il debito pubblico [statunitense] cresce a un ritmo di 1.500 miliardi di dollari l'anno. Interessi estremamente bassi DEVONO essere mantenuti per impedire al debito di travolgere il bilancio dello stato. Interessi prossimi allo zero devono inoltre essere mantenuti perché perfino un loro modesto aumento causerebbe alle banche perdite sui derivati da molte migliaia di miliardi, e comprometterebbero la loro principale fonte di profitto, l'arbitraggio [3] permesso dal prendere in prestito a zero interessi e reinvestire a tassi più alti.

Questi tassi bassissimi vengono mantenuti mediante gli swap sui tassi di interesse [4], definiti da Willie “uno strumento derivato che controlla il mercato dei titoli in un modo subdolamente artificiale.” Tale controllo è complicato da descrivere, e viene esaminato in dettaglio negli articoli di Willie e Kirby.
Kirby sostiene che l'unica istituzione abbastanza grande da svolgere il ruolo di controparte in alcuni di questi scambi è il Tesoro statunitense. I suoi sospetti si concentrano sull'Exchange Stabilization Fund del Ministero del Tesoro [5], un'entità poco trasparente e priva di controllo, che non rende conto a nessuno. Kirby sottolinea anche che se alcune società quotate in borsa (incluse la JPMorgan, la Goldman Sachs e la Morgan Stanley) vengono ritenute compartecipi della sicurezza nazionale degli Stati Uniti (parliamo della protezione della solidità del Dollaro), esse possono essere legalmente esentate dalla comunicazione della loro reale situazione finanziaria. Hanno il permesso di tenere una doppia contabilità.

Gli swap di interessi attualmente costituiscono l'80% del vastissimo mercato dei derivati, e la JPMorgan ne detiene per un ammontare di 57.500 miliardi di dollari. Senza la protezione degli swap della JPMorgan, i tassi di interesse sul debito pubblico statunitense si accoderebbero a quelli della Grecia, puntando al 30%. L'amministratore delegato Dimon potrebbe quindi essere effettivamente “quello che comanda”: è possibile che i puntelli che sostengono l'intero sistema finanziario statunitense siano sotto il suo controllo.

Eroe o Farabutto?

Dobbiamo perciò considerare Dimon un eroe nazionale? Se consideriamo il suo passato, certamente no. A parte le recenti perdite di 3.000 miliardi della JPMorgan, che assomigliano più a una speculazione illegale che a un rischio lecito, esiste il conflitto di interessi della JPM, che è stata sia camera di compensazione sia creditrice nei confronti della MF Global, per dirottare fondi che sarebbero dovuti andare sui conti dei clienti [della MF] [6], e inoltre c'è la sua responsabilità nel crollo della Lehman Brothers, quando decise di riprendersi 7 miliardi in contanti e collaterali. Bisogna considerare anche il fatto che Dimon sedeva nel consiglio della Federal Reserve di New York, quando nel 2008 quest'ultima ha prestato 55 miliardi di dollari alla JPMorgan , che ha utilizzato quel denaro per acquistare la Bear Stearns a un prezzo stracciato. A quel tempo Dimon possedeva quasi tre milioni in azioni della JPM, in aperta violazione della sezione 208 del Codice Penale, che rende un simile conflitto di interessi un crimine [7].

L'analista finanziario John Olagues, già intermediario di titoli stock option, sottolinea come il prestito venisse garantito da 55 milioni di dollari di patrimonio della Bear Stearns. Se la Bear Stearns aveva tutta questa disponibilità, la Fed avrebbe potuto fare il prestito direttamente ad essa, evitandole l'assorbimento da parte della JPMorgan. Ma la Bear Stearns non aveva un suo uomo nel consiglio della NY Fed.

Olagues evidenzia inoltre che la JPMorgan ha ricevuto dal Tesoro altri 52 milioni come salvataggio TARP [8], soldi a quanto pare restituiti tramite altri prestiti ottenuti dalla NY Fed a un misero tasso dello 0,5%; inoltre, i dirigenti della JPM hanno ricevuto bonus, tanto cospicui quanto sospetti, denominati “Stock Appreciation Rights and Restricted Stock Units” (varianti complicate delle stock option, anche del tipo sottoposto a vincoli, riservate ai dipendenti). Nel 2009 questi bonus vennero concessi il giorno in cui le azioni della JPMorgan avevano raggiunto il valore più basso dei precedenti cinque anni. Quel valore è subito tornato a salire, accrescendo sensibilmente il valore di quei bonus. Lo schema si è ripetuto nel 2008 e nel 2012.

Olagues ha le prove di sistematiche vendite computerizzate di azioni della JPMorgan immediatamente prima e nelle date delle concessioni di stock option. La collusione per manipolare le azioni per far spazio alla concessione di opzioni viene definita “spring-loading” e viola la norma 10 b-5 della SEC, oltre alle leggi fiscali, comportando conseguenze civili e penali.

Tutto questo comporta che potremmo effettivamente avere un criminale alla guida dello stato.

Si sta sviluppando un movimento d'opinione che mira alla rimozione di Dimon dal consiglio della NY Fed, sostenendo che la sua dirigenza rappresenti una smaccato conflitto di interessi. A maggio, la candidata al Senato del Massachusetts Elizabeth Warren ha chiesto le dimissioni di Dimon dal consiglio della NY Fed, e il senatore del Vermont Bernie Sanders ha sfruttato il clamore provocato dalle speculazioni fallimentari della JPM per promuovere una ristrutturazione della Federal Reserve. In un comunicato stampa Warren ha affermato:

“Quattro anni dopo la crisi finanziaria, non si riesce a far assumere a Wall Street le proprie responsabilità, e questa mancanza di responsabilità fa sì che la storia si ripeta – enormi e rischiose scommesse finanziarie che portano a perdite miliardarie. È tempo di assunzione di responsabilità... L'uscita di Dimon dalla NY Fed sarebbe almeno un piccolo segno che in futuro Wall Street renderà conto dei propri fallimenti.”

Ma quale peso potrebbe avere questo piccolo passo di fronte alla prospettiva ricattatoria di un terrificante collasso dell'intero sistema debitorio statunitense?

Tenere in Piedi la Piramide

Davvero non si può far altro che sottomettersi al racket della protezione in stile mafioso, esercitato da Wall Street con un mercato clandestino di swap di interessi? Come osservano Willie e Kirby, alla fine quel sistema è intrinsecamente destinato a fallire, e anzi potrebbe già essere fallito. I due analisti indicano elementi che provano che le perdite della JPMorgan non sono affatto di 3 ma di 30 miliardi di dollari o più, e che la JPM è a tutti gli effetti in bancarotta.

Lo stesso casinò dei derivati non è altro che il disperato tentativo di tenere in piedi uno schema piramidale basato sulla creazione di denaro per le riserve frazionarie [9], uno schema che si è sviluppato nel corso di parecchi secoli, attraverso una serie di “riserve” - dall'oro alla “base monetaria” [10] creata dalla Fed, alle obbligazioni garantite da mutui, ai debiti sovrani protetti in apparenza con l'uso dei derivati. Abbiamo constatato che l'unico vero soggetto garante in tutto questo è il governo stesso, in primis con l'assicurazione federale sui depositi e infine con il salvataggio statale delle banche “troppo grandi per fallire”. Se i cittadini finanziano le banche, allora dovrebbero anche esserne i proprietari; e la loro valuta corrente dovrebbe essere emessa non tramite le banche, con aggravio di interessi, ma dal loro governo sovrano.

A differenza della Grecia, che per finanziarsi deve contare su una riottosa Banca Centrale Europea, gli Stati Uniti possiedono ancora il potere legale di emettere i propri dollari, o di prenderli in prestito a interessi zero dalla propria banca centrale. Il governo potrebbe ricomprarsi i propri titoli di stato e rifinanziarli a zero interessi tramite la Federal Reserve – che adesso li acquista sul mercato allo stesso tasso di interesse di chiunque altro – o semplicemente stracciarli. L'unico ostacolo a questa alternativa è il babau dell'inflazione, ma molti paesi hanno dimostrato che un simile approccio non deve essere necessariamente inflazionario. Il Canada ha ricevuto prestiti dalla sua banca centrale a interessi praticamente nulli dal 1939 al 1974, stimolando la produttività senza creare inflazione; l'Australia l'ha fatto dal 1912 al 1923; e la Cina l'ha fatto per decenni. La creazione da parte di privati di moneta gravata da interessi è la capostipite di tutti gli schemi piramidali; e come tutti gli schemi di questo tipo è destinata a crollare, a dispetto dei milioni di miliardi di derivati che la puntellano.
Willie e Kirby ritengono che questa fase sia imminente. Abbiamo bisogno di alternative, di strutture pubbliche e cooperative pronte a rimpiazzare il vecchio sistema quando crollerà su se stesso.

Ellen Brown
 

nel tuo post non si legge bene...
lo riscrivo io ;)
ciao andrea :D:D

L'Argentina ha incassato in meno di una settimana due vittorie all'insegna della difesa della propria sovranità economica e dell'indipendenza nazionale. La prima di tipo giudiziario e l'altra più politica consistente in una iniziativa legislativa che riveste un grande significato per il Paese sudamericano che con Cristina Kirchner sta rinnovando tutti i grandi temi della tradizione peronista e che per questo si è attirata la piena ostilità della finanza Usa e del suo maggiordomo alla Casa Bianca.[/FONT]

La corte d'appello di New York ha bloccato l'attuazione della sentenza emessa la settimana scorsa dal giudice federale,Thomas Griesa, con la quale si intimava a Buenos Aires di pagare 1,33 miliardi di dollari ai detentori dei titoli che avevano respinto le due ristrutturazioni del debito nazionale nel 2005 e 2010, a seguito della bancarotta dichiarata dal governo argentino nel 2001. Detentori che, detto per inciso, sono esclusivamente fondi speculativi Usa che avevano presentato ricorso al tribunale di New York per ottenere il rimborso al valore nominale pieno di quei titoli in bancarotta e che essi avevano acquistato ad una cifra oscillante tra i 20 e i 25 centesimi per dollaro.Una bella pretesa quella dei banditi di Wall Street ma che evidentemente ha trovato in un tribunale federale un altro bandito togato pronto a sostenerla. Griesa aveva stabilito che l'Argentina depositasse entro il 15 dicembre in un fondo di garanzia quei 1,3 miliardi di dollari pretesi dagli speculatori. La data nella quale l'Argentina dovrà pagare 3,3 miliardi agli obbligazion...
 
Ciao Moto,
credo che un 3D monotematico sul signoraggio sia stata un'ottima idea.
Quando voglio leggermi qualcosa a riguardo passerò qui. L'altro 3D stava diventando impossibile da leggere per tanti lettori che entravano per parlare e condividere idee di trading e finanza.
Scusa per l'intervento forse troppo duro.
Ps: se ci metti un po' del tuo(commenti opinioni sintesi ecc) sarebbe ancora più coinvolgente. ;)
Alla prossima...
Jim
 
L’Islanda paga tutti i debiti: il falso mito della rivoluzione democratica

Quando stampa e cattiva informazione creano esempi sbagliati da imitare: il caso della rivoluzione silenziosa islandese

Da qualche tempo va di moda riferirsi all’esempio della cosiddetta rivoluzione islandese per rivendicare la possibilità di mantenere una presunta dignità nazionale, che gli altri stati sovrani non sarebbero in grado di difendere dinnanzi agli interessi della finanza mondiale e, in particolare, alle politiche del Fondo Monetario Internazionale.

Crisi Islanda risolta? Vediamo perchè si sta parlando di un mito
Qua e là si sente dire che l’Islanda avrebbe mandato finanzieri e istituzioni internazionali a quel paese, semplicemente ripudiando il debito e non accettando le misure lacrime e sangue applicate in altri stati, come in Grecia. Nulla è stato mai forse così falso, come questa sciocchezza.
Iniziamo a ricostruire i fatti. Siamo alla fine degli anni Novanta, esattamente nel 1998, e il governo di Reykjavik decide di privatizzare le banche allora di proprietà statale. Ne nascono tre istituti, Landsbanki, Glitnir e Kaupthing, che iniziarono a erogare crediti in misura crescente, portando il livello delle loro attività dal 100% del pil del 2000 al 450% del pil islandese nel 2007.
Senonché, la finanza dell’isola di ghiaccio viene travolta a seguito del crollo di Lehman Brothers e con essa l’intera economia islandese. In poco tempo, la corona si svaluta fino a un picco dell’85%, mediamente del 35%, portando i redditi nominali del Paese dai livelli tra i più alti al mondo a quelli più in basso della classifica.
E che la corona islandese sia una valuta molto variabile sui mercati lo si intuisce dal fatto che negli anni precedenti la crisi, i tassi furono mantenuti alti dal governo (5-6%), per cercare di attirare investimenti in un’economia che deve importare un pò tutto, a causa delle sue condizioni geo-climatiche, rendendo così la valuta vulnerabile ai prezzi delle materie prime e degli altri beni importati.

Islanda non paga il debito e caccia l’Fmi: solo una fantasia o al massimo un sogno
Fatto sta che con il crac delle banche, l’economia dell’isola tracolla. Numerose famiglie non sono più in grado di ripagare i mutui, dato che molti finanziamenti erano stati denominati in euro (ora rivalutatosi contro la corona) e le rate impennano. A ciò si aggiunge l’inflazione, che galoppa improvvisamente a oltre il 20% nel 2009, per attestarsi attualmente intorno al 6,5%. Tra il 2009 e il 2010, il pil crolla dell’11%, per riprendersi del 3% l’anno successivo, più che altro per il recupero delle esportazioni, grazie all’iper-deprezzamento della corona. Nel frattempo, il numero delle famiglie con difficoltà finanziarie raddoppia, portandosi dal 28,5% del 2007 al 51,6% del 2011.
E il debito pubblico, che nel 2007 era di appena il 30% del pil, esplode al 100% in soli quattro anni. Il Paese si ritrova esposto per 10 miliardi di debito pubblico e per altri 40 miliardi delle banche, alle prese con il crac.
In particolare, nell’autunno del 2008, le banche islandesi non furono più in grado di rifinanziarsi sul mercato, malgrado avessero debiti in scadenza per il 13% del pil isolano. Per evitare il tracollo dell’economia nazionale, il premier Geir Haarde fu costretto a chiedere aiuto al Fondo Monetario Internazionale, che erogò a Reykiavik 1,5 miliardi di euro, a cui si aggiunsero altri 1,7 miliardi di euro da parte degli stati del Nord Europa. In attuazione del programma di assistenza dell’istituto di Washington, il governo Haarde s’impegno anche a ripagare i debiti delle banche, tra cui 4 miliardi di sterline verso i correntisti della filiale britannica di Icesave (controllata Landsbanki) e altri 1,7 miliardi verso i risparmiatori olandesi della stessa filiale.

Rivoluzione silenziosa Islanda: poche verità e tante mistificazioni
Ma dinnanzi al Parlamento, prima centinaia e in seguito migliaia di persone ogni giorno protestano, chiedendo le dimissioni del governo, la redazione di una nuova Costituzione e il divieto di accollarsi perdite private sul bilancio pubblico. Nonostante la volontà del premier di attuare le misure concordate con Olanda e Gran Bretagna, il Presidente rifiuta di firmare e nel marzo del 2010 il 93% degli islandesi vota contro l’accollamento pubblico dei debiti bancari. Esito, confermato con un secondo referendum dell’aprile 2011, sebbene con percentuale minore di contrari.
Tra il primo e il secondo referendum, il governo si ostina a portare avanti la sua politica, stabilendo che i debiti delle banche verso i creditori esteri saranno ripagati tra il 2019 e il 2046 al tasso annuo del 5,5%. Progetto ancora una volta bloccato dal presidente, in attesa, appunto, del secondo referendum.
Ma la questione si trascina fino al settembre 2012 nei tribunali, perché Olanda e Gran Bretagna intendono tutelare i propri investitori da quella che ritengono una ingiusta discriminazione, portando il governo di Reykjavik dinnanzi al tribunale dell’EFTA (Regno Unito e Olanda porteranno l’Islanda in tribunale?).
Nel 2008, infatti, in seguito alla crisi delle banche, il governo decise di tutelare i conti correnti, pattuendo con i cittadini di rimborsare quanto da loro depositato, in caso di bancarotta, ma al contempo chiedendo loro di non ritirare i risparmi, affinché la tutela funzionasse. E così avvenne. I risparmiatori si fidarono del governo e non ci fu la temuta corsa agli sportelli. Tuttavia, il governo bloccò i conti esteri di Icesave, che furono così discriminati, non avendo la possibilità di ritirare i depositi.
Le proteste di piazza portarono, tuttavia, a un cambio di governo, con la caduta di Haarde e l’arrivo al potere di una maggioranza di centro-sinistra, guidata dalla premier Johanna Sigurdardottir. Questa, pur avendo adempiuto alle indicazioni dei due referendum, ha annunciato da poche settimane di volere rimborsare i debiti esteri delle banche private, attraverso l’utilizzo degli asset in vendita di Landsbanki, mentre gli esperti del Fondo Monetario hanno lasciato il Paese oltre un anno fa non perché cacciati dall’isola, come qualche fantasioso blogger ha scritto su internet, ma perché l’Islanda ha completato il programma degli aiuti nel mese di agosto del 2011, ripagando tutti i debiti con nove mesi di anticipo dalla scadenza prevista.

L’Islanda attende di entrare nell’Unione Europea
E non solo il Paese è impegnato nella restituzione alle date e alle condizioni pattuite di tutto il 100% del debito pubblico islandese, ma al contempo sta cercando di ripagare persino il debito privato estero delle sue banche. E contrariamente alla vulgata comune, per cui Reykjavik sarebbe gelosa della sua sovranità nazionale, il governo ha fatto domanda nel 2009 di fare ingresso nella UE.
Quindi, due fatti vengono smentiti: che l’Islanda abbia ripudiato anche solo in parte il suo debito; che sia un modello da imitare. Se sul primo punto si è già dimostrato la totale falsità delle favole raccontate, sul secondo va detto che l’Islanda non naviga in buone acque. Alta inflazione, cambio oscillante, debito al 100% del pil, disoccupazione al 7% (ma con punte del 10% nel 2009 e con fuga di cervelli verso la Norvegia), governi che decidono in barba ai referendum, per quanto sia l’unico caso al mondo di Costituzione riformata con proposte su internet da parte dei cittadini (L’Islanda rivede la luce: Pil a +3,5% nel terzo trimestre). :bow::bow::bow:
La ripresa del Paese nel biennio 2011-2012 è solo parziale e conseguenza della forte svalutazione sui mercati della corona, che ha rilanciato le esportazioni, nonché dalla veloce riconversione dell’economia verso il settore ittico, traino tradizionale del reddito nazionale. Ma è evidente che ciò sia stato possibile in un’isola di appena 330 mila abitanti, con popolazione di poco più della metà di un medio capoluogo di provincia italiano.
Additare l’Islanda come esempio di riscossa e dignità nazionale è semplicemente ridicolo e il caso semmai dimostra come la falsa informazione su internet possa creare miti opposti alla realtà dei fatti.


Link: L’Islanda paga tutti i debiti: il falso mito della rivoluzione democratica - Economia - Investireoggi.it
 
Ultima modifica:
è stato inviato tramite Google Reader
ECCO PERCHÉ L'ITALIA USCIRÀ DALL'EURO

L'opposizione della Cgil al governo MontiLe elezioni prossime e il nostro futuro visto da un economista inglese


di Ambrose Evans-Pritchard*
In termini pro capite l'Italia è una nazione più ricca della Germania , con un po di 9 trilioni (9mila miliardi) di ricchezza privata. Ha il più grande avanzo primario di bilancio del blocco G7. Il suo debito combinato pubblico e privato ammonta al 265% del PIL, inferiore a quello in Francia, Olanda, Regno Unito, Stati Uniti o Giappone.


Per l'indice del Fondo monetario internazionale il punteggio dell'Italia è il migliore per "sostenibilità a lungo termine del debito" tra i principali paesi industrializzati, proprio perché, sotto Berlusconi, ha riformato per tempo la struttura del sistema pensionistico.
«Hanno un vivace settore delle esportazioni, e un avanzo primario. Se c'è un paese dell'eurozona che potrebbe trarre beneficio dall'abbandonare l'euro e ripristinare la competitività, è ovviamente l'Italia», ha detto Andrew Roberts di RBS.
«I numeri parlano da soli. Pensiamo che nel 2013, non si tratterà di sapere quali paesi saranno costretti a lasciare l'eu...


questo articolo e' buona conferma di cio' che dicevo da tempo .noi siamo i piu ricchi di tutti e come tali dobbiamo essere esprorpiati.si ripropone il 1992 in forma esponenziale.la gente nn capisce e nn capira' mai.provate a dialogare per strada e forse vi accorgerete che nn vi' e nulla da fare.
 
e' stato scritto e postato molto su cio' che e' la moneta. cioe' debito.provo a pensare e riflettere su una cosa successa.ora chi ha una ditta rifletta e una impresa indivuduale,titolare di partita iva. bene la banconotazza quando viene emessa ,viene addebitata a chi la accetta come mezzo di pagamento di beni e servizi.quindi debito. le tasse sipagano nn sicuramente sui debiti o passivita'.bon fin qui ci siamo. ovvera il trucco lo fa bce,che posta nel passivo la moneta cartacea o virtuale x nn pagare tasse.il titolare di partita iva,ha prelevato dal cc 1500 euro cah,per acquistare da 2 diverse persone.della merce.operazione nn andata a buon fine e riversato il giorno dopo in cc la medesima somma,stessa pezzatura.accertamento ag entrate,sanzione per presunta evasione ,prima sui 1500 prelevati ,poi sui medesimi 1500 versato,desunzione logica e banale della agenzia e' nero.punto e a capo x loro. nessuno ,pero' ,pensa e tanto meno l'agenzia,pensare atto faticoso, sulle passivita' si pagano le tasse? no. la moneta per il popolo cosa e'? un debito e sui debiti le tasse nn si pagano,tantomeno sul contante,ma nessuno ci pensa.la banconota ci viene addebitata e nn accreditata,quando la accettiamo come mezzo di pagamentooooooooooooooooooooooooooo, il cliente ha beccato multa su 3000 banane in quanto atto presuntivo di nero, e secondo te il nero lo verso sul conto regolare della ditta? x presunta iva evasa. e nn c'e' stato verso.
 
Ultima modifica:

Users who are viewing this thread

Back
Alto