Una poesia al giorno leva il virus di torno

Sarà perché sto terminando di leggere I fratelli Karamazov ... ( una volta nella vita ci si doveva pur provare), ma sono comunque sensibile alla vastità di sguardo nei poeti di quel popolo.
Breve.
Questa poesia è passata in coda al film-documentario di Herzog su Gorbaciov (che però non ho visto), Herzog incontra Gorbaciov.
IL FILM. Herzog incontra Gorbaciov, un imperdibile testamento – Arci

Sempre mi ha colpito la poesia russa, ed anche in questo caso ho apprezzato. L'ho cercata e copiata, eccola.
Ha alleviato la mia quarantena, magari potrebbe pure guarire qualcuno.

Michail Lermontov

Sulla strada esco solo;
Nella nebbia è chiaro il cammino sassoso;
Calma è la notte. Il deserto volge
L’orecchio a Dio. E le stelle parlano tra loro.
Meraviglioso e solenne il cielo!
Dorme la terra in un azzurro nembo.
Cosa dunque mi turba e mi fa male?
Che cosa aspetto, che cosa rimpiango?
Nulla più mi aspetto dalla vita
E nulla rimpiango del passato.
Cerco solo libertà e pace!
Vorrei abbandonarmi, addormentarmi!
Ma non nel freddo sonno della tomba.
Vorrei addormentarmi
Con il cuore placato e il respiro sollevato.
 
Penso che conosciate già "Il lonfo" di Fosco Maraini.
In caso contrario, qui potete vederlo recitato dal compianto Gigi Proietti:


Ecco allora un'altra poesia di Fosco Maraini tratta dal suo "Gnosi delle fanfole":

Dialogo celeste

- E tu quando vivesti? - Io vissi all'era
degli Andali ludiati e perfidiosi:
gli artèdoni liriavano in finiera
metàrcopi e sindrèfani rodiosi...

- Io invece vissi ai tempi laccheroni
degli ùzzeri bagiogi e guazzacagni;
s'andava lornogorno a brencoloni
tra làlleri, gaglioppe e trucidagni;

d'inverno si zurcavano le precchie
cazzando lorigucci e naderlini,
a maggio si correvan le frullecchie
sfoncando con urlacci i mogherini.
 
El catorce de febrero

quien no charla de amor?

pero amor verdadero

tiene el silenciador


Scritta in spagnolo perché ero a Cuba. In italiano potrebbe essere

San Valentino: è vero
sparla ognuno d'amore
però l'amor sincero
usa il silenziatore

Diciamo pure che non se ne può più :rolleyes:
 
- E tu quando vivesti? - Io vissi all'era
degli Andali ludiati e perfidiosi:
gli artèdoni liriavano in finiera
metàrcopi e sindrèfani rodiosi...

- Io invece vissi ai tempi laccheroni
degli ùzzeri bagiogi e guazzacagni;
s'andava lornogorno a brencoloni
tra làlleri, gaglioppe e trucidagni;

d'inverno si zurcavano le precchie
cazzando lorigucci e naderlini,
a maggio si correvan le frullecchie
sfoncando con urlacci i mogherini.
Questa pulaida infinizia sbamiando il falestraito curcilineo e daviddia cominando come frazzali di salnestio lundo. Non gurvigio affatto, se mi è lubicato il faddarire, che tollaime di cichia sia frattisticato o peggio papaiato: certo è che grasmoico e fabbazagni licci non muniricano craggo, eh no!, ma dorto le lipie e sencia le grene, ahimè, co selta da fegarigine estaca la mainozza bufa del peremicinino. Cribbio!
 
Un omaggio al mio paese natale, Pieve al Toppo, dove il 26 giugno 1288 i senesi subirono una sonora sconfitta
ad opera degli aretini ricordata anche da Dante con queste due terzine

Quel dinanzi: «Or accorri, accorri, morte!».
E l’altro, cui pareva tardar troppo,
gridava: «Lano, sì non furo accorte

le gambe tue a le giostre dal Toppo!».
E poi che forse li fallia la lena,
di sé e d’un cespuglio fece un groppo
(Inferno XIII, vv. 118-121)
Arcolano da Squarcia di Riccolfo Maconi, detto Lano da Siena (... – Pieve al Toppo, 26 giugno 1288), è un personaggio che si incontra nel XIII canto dell'Inferno di Dante Alighieri, nella selva dei suicidi e degli scialacquatori.
 
Un omaggio al mio paese natale, Pieve al Toppo, dove il 26 giugno 1288 i senesi subirono una sonora sconfitta
ad opera degli aretini ricordata anche da Dante con queste due terzine

Quel dinanzi: «Or accorri, accorri, morte!».
E l’altro, cui pareva tardar troppo,
gridava: «Lano, sì non furo accorte

le gambe tue a le giostre dal Toppo!».
E poi che forse li fallia la lena,
di sé e d’un cespuglio fece un groppo
(Inferno XIII, vv. 118-121)
Arcolano da Squarcia di Riccolfo Maconi, detto Lano da Siena (... – Pieve al Toppo, 26 giugno 1288), è un personaggio che si incontra nel XIII canto dell'Inferno di Dante Alighieri, nella selva dei suicidi e degli scialacquatori.
Non per pignoleria, ma per una forma di sensibilità, faccio notare che il primo verso
Quel dinanzi: «Or accorri, accorri, morte!».
presenta una rara struttura di accenti _ _ ' _ _ '_'_'_, cioè 3,6,8,10 tale che a orecchio quasi nemmeno sembra un endecasillabo. Ma forse un motivo c'è: così Dante esprime l'affanno della corsa durante la battaglia, incespicando con affanno ... appunto. Un verso normalmente scorrevole non avrebbe dato la medesima sensazione di "disturbo". Pertanto voluta, volutissima. Il piede poggia (= l'accento cade) simmetricamente, prima ogni 3 poi ogni 2 sillabe, una corsa a passi più concitati, ma simmetrici. E garantisco che non sono fantasie o elucubrazioni mie, Dante tiene sempre sotto controllo questo tipo di cose, e se ne serve in modo stupefacente. Famoso, per esempio, l'ansimare in: e come quei che con lena affannata
Ecco, qui è qualcosa di simile, pur se meno conosciuto.
 
"Cercando il tuo viso

Dall'inizio della mia vita
Ho cercato il tuo viso
ma oggi l'ho visto
Oggi ho visto
il fascino, la bellezza,
la grazia insondabile
del viso
che stavo cercando
Oggi ti ho trovato
e quelli che ridevano
e mi ha disprezzato ieri
sono dispiaciuti che non stavano guardando
come ho fatto io
Sono sconcertato dalla magnificenza
della tua bellezza
e desiderare di vederti
con cento occhi
Il mio cuore è bruciato di passione
e ha cercato per sempre
per questa meravigliosa bellezza
che ora vedo
Mi vergogno
per chiamare questo amore umano
e ho paura di Dio
per chiamarlo divino
Il tuo respiro profumato
come la brezza del mattino
è giunto alla quiete del giardino
Mi hai respirato nuova vita
Sono diventato il tuo sole
e anche la tua ombra
La mia anima sta urlando in estasi
Ogni fibra del mio essere
è innamorato di te
La tua effulgenza
ha acceso un fuoco nel mio cuore
e hai reso radioso
per me
la terra e il cielo
La mia freccia d'amore
è arrivato al bersaglio
Sono nella casa della misericordia
e il mio cuore
è un luogo di preghiera"
Rumi
desk.jpg
 
Un tempo come un gagliardo veliero,
la prora fendendo
marosi schiumanti di rabbia marina,
solcai tutti i mari.
Poi,
nel fare ritorno verso le mie coste,
a poca distanza dalla riva,
la chiglia si arenò
sopra una secca.
Ogni giorno i flutti
delle onde che lambiscono
lo scafo ormai immobile
lo corrodono lentamente,
con la salsedine che sopra vi s'incrosta.
Di notte l'alta marea mi sommerge,
e il giorno dopo riappare il veliero,
sempre più bianco e azzurrino,
da confondersi con il riverbero del sole.
E dalla riva nessuno lo scorge.
Anche se io
scorgo la riva.
-
Poesia di Tano Festa letta da Giorgio Franchetti in Santa Maria del Popolo il giorno del suo funerale.
 
C'è un bacio che desideriamo per tutta la vita,
il tocco dello Spirito sul corpo.
L'acqua del mare implora la perla di rompere il suo guscio.
E il giglio, con quanto ardore si strugge per un qualche selvaggio amato.
Di notte apro la finestra
e chiedo alla luna di venire
e di premere il suo viso contro il mio.
Respira in me.
Chiudi la porta del linguaggio
e apri la finestra dell’amore.
La luna non passa dalla porta,
solo dalla finestra.

Rumi
 
Poesia di Mirabai principessa mistica indiana
Vieni amato Signore

Vieni, amato Signore
Concedimi il tuo darshan (*)
Lontano da te
Non posso più vivere.
Come un loto senz'acqua,
Come una notte senza luna,
Sono io la tua diletta
Senza di Te, o Signore.

Io vivo del ricordo del tuo Nome.
Il mondo mi deride, o Signore dalla carnagione celeste, (Krishna)
A causa del mio amore per te.
Alcuni mi chiamano pazza.
Altri pensano che ho portato tutta la mia famiglia alla rovina.
Alcuni dicono che io sono come il profumo dell'incenso,
Assorta nel Nome dell'amato.
Affilata è la lama della mia devozione
Sì da recidere il cappio della morte.
O Signore di Mira tu innalzi le montagne.
Tu mi affoghi nell'oceano del tuo nome.

In fondo al mio cuore il tuo nome ha trovato riposo.
Per il tuo amore, o unica bellezza,
Sono costretta a sopportare le calunnie del mondo.
Alcuni mi lodano perché ti amo,
Altri dicono che ho infamato il nome reale che porto.
Oh! sono ebbra del nettare del tuo Nome,
Incurante degli insulti degli stolti.
Seguire il sentiero della devozione è come
Camminare a piedi nudi sulla lama di un rasoio.
Eppure ci cammino volentieri.
Poiché, dice Meera, beato è colui
Che si è tuffato nell'oceano di nettare del suo nome.


(*) darshan - presenza fisica del Maestro
 

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